sabato 12 luglio 2008

Il Made in Italy che ci invidia(va)no ..

Tempo fa, leggendo un libro sul Made in Italy, con tanto di prefazione del Presidente di Confindustria Montezemolo, ho avuto modo di conoscere da vicino la storia di alcuni dei nostri “campioni” del Made in Italy, mostrati quali esempi da imitare per aver successo nel futuro globalizzato che avanza.

Una di queste storie, riguardava il giovanissimo Matteo Cambi, che attorno ad una semplicissima margherita stampata su una T-Shirt, ha creato un impero ad altissimo tasso VIP: la famosissima GURU.

Nella descrizione che lui stesso faceva del suo successo, mi avevano colpito due cose:

la prima, il ruolo dei genitori, reali “deux ex machina” della società, con una competenza del settore reale, con il risultato che il ruolo del figlio, poteva essere al massimo considerato quello di un semplice Public Relation, di alto profilo.

La seconda, che poco realmente fosse prodotto in Italia, ma in altri paesi ben più a basso costo del lavoro, fatto che lo stesso Cambi sottolineava, una anomalia non secondaria, in un libro riguardante il Made in Italy, oltretutto sottoscritto dal Presidente di Confindustria

Il progetto di espansione internazionale descritto da Cambi era poi sicuramente affascinante, così come la sinergia con i mondi dei “lustrini e pailliettes” che lo rendeva uno dei simboli delle nuove generazioni imprenditoriali di successo e quindi parte del futuro luminoso del Made in Italy italiano nel mondo.

Bene, oggi leggo dell’arresto di Matteo Cambi, dopo che nei giorni scorsi, la richiesta di fallimento della Guru, era stata sostenuta incredibilmente anche dagli stessi creditori.

La notizia di oggi è connessa anche con il tentativo di salvataggio dei giorni scorsi, attraverso l’affitto del marchio Guru agli indiani della Bombay Rayons Fashions, per 33 Milioni di euro.

Questo “uno-due” che ha prima colpito e poi affondato uno degli esempi della riscossa del Fashion e del Made in Italy, va letto, con tutte le cautele del caso, come un ulteriore segnale che le radici di quello che crediamo essere il “motore del rilancio” dell’economia italiana, rischiamo di scoprirle totalmente “marce”.

Dico questo, perché il lusso e il fashion italiano, basano tutto il proprio potere economico sull’immagine che gli consente di moltiplicare enne volte, il valore reale delle cose, alcune volte semplicemente spacciate di lusso, quando di lusso ormai è spesso solo il marchio utilizzato.

Le recenti perplessità degli analisti finanziari per alcuni dei nostri campioni , alcuni dei quali già passati di mano, esausti e privi di contenuti industriali, dovrebbero poi far aprire gli occhi e le menti.

Negli anni 90 ci fu la crescita e la caduta della New Economy. Fenomeno che in Italia però ebbe un impatto reale molto limitato, vista la marginalità dell’innovazione nella società italiana.

Allora si gridò allo scandalo e molti dei protagonisti, furono bollati quasi fossero degli untori.

Quello che sfuggì ai più, è che il periodo della New Economy, fu una terribile occasione mancata per il paese, in quanto emerse per contro, l’incapacità di pensare in modo innovativo ed investire sul futuro, con il risultato che la Old Economy italiana fece credere di essere solida, scaricando su altri, i problemi strutturali che furono solo rimandati.

Ora la finanza mondiale è stata colpita dalla peggiore crisi economica proprio nel cuore Old della Economia che dovendosi curare le ferite, cerca di gettare le “zavorre”, come su una mongolfiera, per cercare di continuare a volare e il Fashion rischia di essere uno di queste.

La sensazione è avvalorata dal fatto che gli ultimi dati macro-economici, evidenziano una sempre crescente povertà delle famiglie in tutto il mondo, USA e Italia comprese, fatto che intacca la propensione all’acquisto dei proibitivi “griffati”originali, notoriamente sovraprezzati artificiosamente dal prezzo non sempre legato al valore reale dell’oggetto.

Non è poi casuale, che Guru abbia avuto i propri problemi negli ultimi due anni, proprio gli anni di questa inversione di tendenza mondiale e l’inizio della internazionalizzazione dei marchi Cinesi ed Indiani che fanno del prezzo una delle loro leve competitive, in grado di mettere alle corde, le ambizioni di successo di molti dei nostri attuali campioni del lusso.

Il rischio è che ora, molte altre aziende del fashion italiano corrano il rischio di finire come la Guru oppure, nel migliore dei casi, dovranno cercare una via di uscita “morbida”, per almeno cercare di salvare la faccia ( oltre ai conti).

Ma è tutto così nero?

No, nel senso che ora occorre dare veramente spazio ai nomi nuovi, ai giovani di un fashion che “puzza” di antico, per competere con nuovo e ritrovato entusiasmo, ma questa volta con piani Industriali seri e concreti, per continuare ad insegnare lo stile e la classe che tutto il mondo comunque ci invidia.

Come?

Innovando per non morire, alleandosi, sinergizzando e investendo nella ricerca e sviluppo, in maniera convinta e concreta, ma soprattutto creando per il mondo (più povero) che arriverà, adeguandosi a questa tendenza e non continuare a pensare ai lussi e gli eccessi di un passato che difficilmente tornerà ancora.