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sabato 28 novembre 2009

Food in Cina: l’Italia c’è!!

Guidata sul campo da Maurizio Forte dell’ICE di Shanghai ed ispirata dallo spirito di Matteo Ricci, “l’Italiano più amato dai cinesi”, l’Italia del Food risponde alla crisi mondiale con una presenza con la P maiuscola all’FHC 2009 di Shanghai, la fiera del Food ed Hospitality. Come del resto affermato dallo stesso Forte, “il 2009 è stato un anno di sofferenza e transizione, ma dai primi segnali che riceviamo, sembra proprio che il 2010 sarà ben diverso e caratterizzato da una decisa inversione di tendenza per il prodotto agro-alimentare Made in Italy in Cina”.

Tra l’altro Forte sottolinea come, “l’EXPO di Shanghai 2010 ci vedrà protagonisti. Infatti lo stile e il gusto italiano potrà essere apprezzato non solo nel ristorante del padiglione nazionale, ma anche nei tre ristoranti che hanno vinto le rispettive gare per l’utilizzo dei 150.000 metri quadri di aree comuni e che così consentiranno alle decine di milioni di visitatori, di fare “un salto in Italia” nella loro visita tra un padiglione nazionale e l’altro”.

Ma tornando alla presenza italiana alla FHC 2009, nei circa 1000 mq. del padiglione comune, di grande rilievo da segnalare la scelta logistica, di fatto all’ingresso della fiera, elemento che così ha obbligato tutte le migliaia di visitatori a dover prima passare a far una visita alle aziende tricolori e poi entrare un contatto con il resto del mondo. Una posizione in linea con il prestigio connesso, visto che numeri alla mano, il mercato del food italiano è il 4° al mondo, ma indubbiamente il 1° per quanto riguarda l’indiscutibile apprezzamento che lo contraddistingue e il continuo tentativo di “copiarlo” all’estero.


Regione Lombardia

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Proprio per poter aiutare ad imparare come “diffidare dalla imitazioni”, l’azione del padiglione italiano è stata quindi focalizzata nell’insegnare, dimostrare e far entrare in contatto i cinesi e i professionisti in visita, con il vero gusto Italiano. Ciò attraverso una continua serie di dimostrazioni e sessioni, che anche attraverso il supporto delle diverse aziende espositrici, lasciando da parte i luoghi comuni, ha offerto in presa diretta le basi necessarie per poter apprezzare a fondo l’esperienza del “mangiare italiano”.

Il mercato cinese è comunque ancora tutto da creare, perché di fatto il gusto a tavola dei cinesi è in continua mutazione ed evoluzione. Per cui occorre, con tanta sana pazienza, far vivere loro l’emozione del mangiare italiano, affiancandoli, in quella che per molti di loro è una vera e propria “cerimonia d’iniziazione”. Quindi la presenza italiana in questi giorni, sta svolgendo la propria funzione di catechesi al gusto italiano, con un’area attrezzata più che doppia rispetto all’anno scorso.

Dietro la presenza istituzionale che fa da driver, esistono comunque le presenze Regionali e d’impresa che raccontano tutte storie di una evidente rinvigorita volontà di voler portare il Made in Italy sul più grande mercato al mondo, quale e quello della Cina. Parlando con i diversi operatori presenti, emerge la coscienza delle non poche difficoltà esistenti per conquistare il mercato cinese, soprattutto per quelle imprese che per le loro dimensioni, fanno fatica ad imporre il proprio discorso di qualità, di fronte all’agguerrita concorrenza dei gruppi alimentari Francesi ed Americani, fatti di grandi imprese e sperimentate multinazionali, che oltre tutto possono sfruttare la leva delle proprie reti distributive esistenti in Cina, come nel caso dei Francesi con la propria Carrefour.

Gli italiani non hanno nulla di tutto questo e con il “coltello tra i denti”, sono costretti come i salmoni, a dover risalire il fiume, giocando su terreni spesso impervi, dovendo per prima cosa sconfiggere l’ingenerosa, ma da queste parti normale, competizione basata sul prezzo, più che sulla qualità. Questo scenario rende tutto più difficile alla singola azienda, che sicuramente necessita di un gioco di squadra e di sistema, che consenta di mettere a fattor comune i punti di forza dei nostri prodotti e che nel contempo minimizzi il problema dei costi e della trattativa con i sistemi distributivi cinesi.

Quindi i sistemi territoriali presenti alla FHC 2009, come concentrato delle eccellenze locali dei diversi territori italiani, in un confronto diretto tra Puglia, Marche, Sicilia, Sardegna, Toscana e Lombardia, si sono trovati così gli uni vicini agli altri, “armati” dei propri prodotti, nel comune obbiettivo di trasferire l’esperienza Italiana fatta di sapori e piaceri e di una qualità a tavola, numero uno nel mondo.

Continuando il dialogo con gli espositori, emergono alcune storie esemplari e spunti interessanti. Per cui parlando con Silvia Molinas della Camera di Commercio di Firenze, emerge come la Toscana intenda “riempire” i propri prodotti anche della storia del territorio da cui provengono, concentrandosi sul trasferimento, prima di tutto, delle competenze che stanno dietro ai prodotti,  necessarie per poter comprendere il prodotto e la qualità che contiene, conoscenze che in Cina sono del tutto inesistenti. Chi meglio degli inventori della bruschetta può quindi far comprendere ai cinesi il valore dell’uso dell’olio a freddo, che non appartiene alla storia e cucina cinese, che come affermato dalla Molinas “dopo una prima diffidenza, finiscono per apprezzare moltissimo”.

Auspicandosi un sempre maggiore gioco di squadra che vada “oltre i particolarismi” ragionali è anche l’elemento caratterizzante della significativa presenza Siciliana, una terra ricca di prodotti, letteralmente sconosciuti ai cinesi. Sicilia che può diventare anche un’interessante destinazione turistica, fino ad ora lasciata fuori dalle rotte del turismo cinese, ma che meriterebbe una sua riscoperta e il suo inserimento nei pacchetti dei Tour Operators cinesi, che fino ad ora considerano solo Roma, Milano, Venezia con una puntata a sud fino a Napoli, per visitare Pompei. Guidata da Enzo Milisenna, lo stand siciliano ha inteso esaltare i colori della terra e delle tradizioni, ma si è caratterizzato anche dalla volontà di entrare in un contatto profondo, attraverso un team misto che potesse tradurre al visitatore cinese il “dietro alle quinte” dei sapori di una terra speciale come quella siciliana, intraducibili con le sole parole occidentali.


Anche la Sardegna ha avuto una presenza importante al FHC 2009, introducendo un territorio che per i cinesi appare ancora misterioso, vista la sua distanza dal classico modello italiano fatto di pasta - pizza e caratterizzato da gusti spesso ben più forti che in altre parti d’Italia. Oltrettutto l’isola sta puntando ad intercettare un turismo cinese di tipo marinaro, più che da spiaggia, qualcosa che in Cina è ancora agli inizi ma in grande crescita, visto il crescente numero delle marine nel paese, opportunità che però deve fare i conti con i retaggi culturali, tanto che ancora oggi per le donne cinesi, prendere la tintarella, è considerato segnale di povertà e basso lignaggio. Vallo a dire a quelli della Costa Smeralda!.

Ma è soprattutto da un ripensamento e riposizionamento dei marchi storici italiani, divenuti negli anni multinazionali di primissimo piano sui mercati occidentali, che può passare la conquista del gusto cinese. Per esempio, alla ormai consolidata presenza di marchi come acqua San Pellegrino che a livello mondiale è riuscita a costruirsi un “marchio di bontà”, ora altri marchi storici stanno cercando il proprio spazio sul mercato cinese.

Addirittura per la Negroni, la Cina sembra “scritta” nel proprio marchio, riportando alla mente lo storico Jingle che lo ha caratterizzato negli anno 80, che visto alla luce delle stelle presenti nella bandiera cinese, sembra quasi un segno del destino.

Ma dietro i marchi, i cinesi in questi giorni stanno anche scoprendo che gli italiani non distribuiscono ciò che madre terra offre loro, ripetendo da centinaia d’anni le medesime procedure, ma che in una continua evoluzione, hanno saputo trasformare in tecnologia la competenza accumulata. Esemplare è proprio il caso della Negroni che può spiegare il profondo Gap che ancora esiste tra l’industria alimentare cinese e la nostra, visto che ancora oggi ai loro occhi appare incredibile che un prosciutto possa avere tempi così lunghi di conservazione, senza che sia necessario aggiungere alcun surrogato chimico e che come detto da Fausto Vecchi della Negroni “sia fatto solo di carne di maiale e sale di mare”. Qualcosa che ai cinesi colpisce e li lascia increduli, un problema di tecnologie, che non consente ai prosciutti “Made in China” di essere mangiati a freddo ma devono essere prima cotti, nelle zuppe o in qualsiasi altro modo.

Per cui esiste il problema di trasmettere la competenza, affinché sappiano comprendere come la differenza tra qualcosa chiamato caffé e un “buon caffè”, non lo fa il network di negozi che te lo vende, ma una miscela sapiente di aromi che sono poi in grado di creare, se opportunamente preparati, l’esperienza comunemente nota di caffé espresso o caffé italiano. Parlando infatti con alcuni dei produttori di caffé presenti al FHC 209 come Massimo Remonti della omonima azienda lombarda, non hanno nascosto la delusione di sentirsi “pesati non per la unicità delle nostre miscele innovative ma per il prezzo, considerato troppo alto se comparato con le altre offerte sul mercato, spesso fatte però con miscele di bassa qualità”.

Per comprendere il problema che sta assillando le aziende italiane, è un po’ come stimare il prezzo di un lingotto d’oro, dove la percentuale d’oro decreta il prezzo giusto sulla base di una quotazione universalmente riconosciuta. Bene il caffé, come un lingotto d’oro subisce variazioni di prezzo a seconda della sua diversa miscela ed è evidentemente del tutto fuori luogo il confrontato con chi spesso si limita a “placcare d’oro” il proprio lingotto. L’attuale incapacità cinese di saper comprendere se si è in presenza di un lingotto realmente d’oro o di uno semplicemente placcato, crea non pochi problemi agli italiani e una difficoltà nel dialogo con i propri interlocutori cinesi, che si limitano a trattare il prodotto solo come una questione di prezzo, come se tutti i prodotti fossero tra loro gli stessi.

In questo scenario, emerge però un elemento interessante che potrebbe caratterizzare la prossima fase della presenza dell’industria agro-alimentare italiana in Cina: la produzione in loco. A questa affermazione ed idea, molti “puristi” nostrani rimangono letteralmente scandalizzati, ritenendola una ipotesi irrealizzabile, pura eresia. Bene, l’FHC 2009 sembra dimostrare proprio il contrario, come nel caso di Masciulli Domenico che ha deciso di trasferire la propria decennale competenza nel produrre formaggi all’industria cinese, affiancando una azienda del nord della Cina che produceva latte, creando una prima esperienza di industria casearia Made in Italy, direttamente in Cina. Alla domanda se ci siano differenze tra il prodotto puro italiano e quello fatto qua in Cina, Masciulli, dopo un sorriso, ammette: “sicuramente a causa dell’acqua, molto più dura della nostra e l’ambiente diverso, il gusto finale è leggermente diverso”. “Ma onestamente è una questione marginale, tanto che la caciotta o la mozzarella come gli altri nostri prodotti, quando anche i professionisti del settore gli assaggiano, stentano poi a credere che siano prodotti qua in Cina”. Ed infatti “tra i nostri clienti ci sono parecchi ristoranti italiani, così come hotel a 5 stelle internazionali” che apprezzano il fatto di avere un prodotto che mantiene tutte le caratteristiche di un prodotto artigianale italiano, disponibile secondo le regole di un mercato cinese, “molto diverso dal nostro,” continua Masciulli, “con esigenze spesso incompatibili per le strutture e le capacità industriali delle aziende italiane”.

Quanto fatto da Masciulli nel caseario, sembra essere la strada di una risposta concreta, un messaggio anche per le altre aziende italiane, ad avere il coraggio di fare scelte che consentano non solo di arrivare sul mercato cinese, ma di garantirsi di restarvi anche in futuro, per non rimanere schiacciati dalla competizione portata in Cina dalle industrie internazionali, come i francesi.

Emblematico quanto accaduto con il vino, dove anni fa i francesi hanno addirittura finito per passare la tecnologia per produrlo ad una Join Venture mista Sino – Francese, che ora di fatto fa la parte del leone sul mercato interno, scalzando anche molte delle produzioni francesi, obbligandoli così a concentrarsi sul medio alto livello.

E’ una riflessione che a voce alta ha fatto nella nostra chiacchierata anche Fausto Vecchi della Negroni, una strada ed una sfida, quella di venire a produrre in Cina, da una parte intrigante ma dall’altra piena d’incognite, visto che “nel nostro caso, necessiterebbe di “riscrivere” il futuro della nostra azienda, fatto di un passato partito dalla capacità di creare mangimi di alto livello per i nostri maiali, che poi si evoluto nel saperli macellare meglio degli altri e che solo dopo, quasi fosse stato un incidente di percorso, ci ha portato a produrre salumi”, gli stessi per cui ora è famosa in Europa e in America e che la rendono una delle eccellenze italiane.

Ma questo è un fatto ed una scelta che appare inevitabile, perché in assenza di un approccio diretto ci si ritroverà come già gli Usa ci stanno insegnando, dove solo il 20% dei prodotti “Italians Like” sono realmente provenienti dall’Italia. Ben l’80% di ciò che sulle tavole americane è venduto come italiano è infatti prodotto in America, con nuovi marchi di proprietà non italiana che magari, solo sommariamente, utilizzano le procedure e gli ingredienti italiani, offrendo prodotti che sono simili a quelli italiani solo nel nome. Un esempio palpabile già ora lo abbiamo in tutte le principali catene di Pizza presenti in Cina (e nel mondo), che di fatto non usano ingredienti italiani, a partire dalla mozzarella come da noi considerata tale. Qua in Cina quella che loro chiamano mozzarella, oltre ad essere prodotta in Nuova Zelanda, si presenta con un colore giallognolo da formaggio fuso a quadretti, ben diverso dal candido bianco e gusto della vera mozzarella che da noi tutte le pizzerie usano e che fanno l’unicità anche di una semplice margherita sia a Milano che a Napoli.

La questione è da considerare seriamente, visto che poi, quando i Cinesi arrivano in Italia e vogliono finalmente provare la vera pizza italiana, finiscono per rimanerne delusi, visto che non ha nulla in comune con l’esperienza provata in Cina, tante sono le differenze negli ingredienti e nei metodi di preparazione.

Poi arrivano i casi limite come quello Australiano, dove il Parmesan, la copia del nostro Parmigiano, in assenza di una presenza italiana, ha finito per crearsi nel tempo una solida credibilità locale, tanto che in una pubblicità televisiva era arrivata addirittura ad affermare “diffidate dalle imitazioni!!”. Paradossalmente, per gli australiani un autentico “Parmigiano Reggiano”, da noi addirittura strumento finanziario alla base della Banca del Parmigiano, è ora considerabile copia del loro Parmesan, una situazione incredibile, che però si sta rischiando su una scala ancora più ampia qua in Cina.

Gli esempi si sprecano, come nel caso del vino, dove esistono sul mercato cinesi produzioni industriali che poco hanno a spartire con il vino prodotto come tale. Ma come nel caso del caffé, anche in questo caso il prodotto è affrontato e gestito solo sulla base del prezzo e non sulle capacità di saperne riconoscere la qualità reale, che inevitabilmente si ripercuote sul prezzo e che finisce spesso per mettere fuori mercato il prodotto italiano.

Quindi al FHC 2009 il messaggio lanciato dalla presenza italiana sembra essere riassumibile in: “alfabetizzare per competere” (e vincere).Un’azione sul campo fatta con atti di persuasione, per cercare non solo di trasmettere i nostri brands e prodotti italiani, ma soprattutto la profonda conoscenza del “dietro le quinte” della storia che ogni nostro prodotto contiene e la cultura che trasmette.

Qualcosa che una volta spiegato bene ai cinesi, li appassiona, perché apre loro un mondo completamente nuovo, di quello che noi chiamiamo Slow Food, prima di tutto uno stile di vita oltretutto in grado di avere effetti positivi sulla salute di chi lo segue, qualcosa a cui gli stessi cinesi sono attentissimi, tanto che anche per i loro prodotti, prima di tutto vengono valutati gli effetti alla salute che il loro gusto.

Nella nostra dieta e nei nostri prodotti le due questioni coesistono, sta quindi a noi saperlo spiegare in maniera convincente, accettando la sfida anche di farlo direttamente in Cina. E in questo ci viene incontro proprio l’esempio di Matteo Ricci di 400 anni fa, il testimonial dello stand delle Marche e ancora oggi il portatore di quello che Augusto Bordini, il responsabile dello stand, non esita a definire “il modo corretto per entrare nei cuori dei cinesi, attraverso una profonda e rispettosa comprensione reciproca, per una reale integrazione non realizzata attraverso la presunzione di volere a tutti costi esportare i nostri desideri, con la sola smania di “conquistare”.

Un messaggio tutto Italiano, che travalica l’altrettanto famoso Marco Polo, che però si limitò a portare merci dalla Cina a Venezia, non lasciando il segno che invece Matteo Ricci lasciò dietro la sua esistenza, tanto che se ancora oggi la Cina si chiama “il paese di mezzo” lo si deve all’opera di questo singolo gesuita italiano che fece del motto “farsi cinese con i cinesi” la base della sua opera, che finì per essere tanto apprezzata dai cinesi stessi, che ancora oggi la sua tomba è tra quelle delle celebrità che hanno fatto la storia millenaria della Cina. Ora sta a noi, quali “nuovi missionari del gusto” attualizzarne gli insegnamenti e provare a costruire la nuove dimensione del gusto che convinca anche i cinesi ad adottarne i nostri secolari principi ed ingredienti, per un reciproco scambio culturale duraturo nel tempo.

martedì 16 dicembre 2008

Partita nei migliori dei modi l’avventura italiana all’EXPO di Shanghai

Nei giorni scorsi, ha avuto grande enfasi in Italia, la notizia dell’entusiastica adesione della Cina a Milano EXPO 2015.

Sicuramente un grande successo per il prossimo EXPO italiano, ma soprattutto la prova e la conferma, della stima che lega i cinesi agli italiani e Milano in particolare con la Cina

Legate da un gemellaggio oramai trentennale (1979), Milano e Shanghai sembrano ora legate dal destino nel divenire crocevia fondamentali del futuro economico mondiale.

Infatti, mentre Shanghai EXPO 2010 si terrà nella fase che tutti gli economisti ritengono essere di fine crisi e inizio del rimbalzo dell’economia del pianeta, Milano 2015 dovrebbe avere l’onore di essere il momento del consolidamento della crescita iniziata a partire proprio dal 2010.

Un legame tra le due città che quindi va ben oltre i formalismi, un ponte tra passato e futuro, ben rappresentato anche dalle comuni priorità dei rispettivi EXPO: “qualità della vita, innovazione e sviluppo, ambiente”.

Ma veniamo ai numeri” della futura presenza Italiana all’EXPO di Shanghai.

Come illustrato la settimana scorsa alla comunità d’affari Italiana di Shanghai dal Commissario Italiano per l’EXPO, Beniamino Quintieri, alla presenza del Sottosegretario allo Sviluppo Economico Adolfo Urso, il presidente dell’ICE Vattani e l’Ambasciatore Sessa, la presenza italiana all’EXPO di Shanghai sarà da paese protagonista.

Per prima cosa per la dimensione e la qualità degli impianti espositivi: 7000 Mq, con un investimento di circa 8,2 milioni di Euro, a cui vanno aggiunti i materiali che saranno offerti dalle aziende italiane.

Un progetto selezionato dopo una gara europea, che ha visto impegnati 65 studi d’architettura e che ha il pregio di trasmettere il messaggio tutto Italiano, del “Design quale cultura del vivere”.

E’ talmente piaciuto ai cinesi, che ora stanno seriamente pensando di non distruggere il padiglione dopo la chiusura dell’evento, come prassi vigente per ogni EXPO.

A questo aspetto quantitativo si aggiungerà la qualità del programma che verrà sviluppato, totalmente concentrato sulla promozione dei valori “dentro” il Made in Italy, cercando contemporaneamente di sfatare i luoghi comuni che lo circondano.

Un programma direttamente gestito dal Commissariato Italiano per l’EXPO 2010, con l’obbiettivo da un lato, di coordinare al meglio gli interventi delle diverse regioni e dall’altro, dando precise indicazioni e gli obbiettivi che la presenza italiana deve necessariamente raggiungere, selezionare solo i migliori progetti.

La missione della presenza Italiana all’EXPO di Shanghai sarà quindi quella di “portare l’eccellenza italiana e l’essere italiano a 360°, puntando su un futuro fatto di alta tecnologia, cura ambientale e qualità della vita quotidiana”.

Un’importante ruolo in tal senso, lo avrà proprio la Triennale di Milano, che coinvolta nel concept del progetto, contribuirà anche nella fase dell’allestimento del padiglione italiano che vedrà in gara il meglio del Made in Italy.

Questo approccio della presenza Italiana all’EXPO di Shanghai, è in linea con il pensiero esposto nel suo intervento dal Sottosegretario Urso che, nel cercare di inquadrare l’attuale situazione economica, ha spiegato come l’economia italiana, al di là delle sensazioni, nei numeri appare tutt’altro che in declino, semmai in profonda trasformazione.

Infatti, mentre nel passato si è potuta sfruttare la leva del prezzo migliore rispetto ai concorrenti europei ed americani, ora e da tempo, il prodotto Made in Italy, si vende perché, riconosciutane la qualità, è il più caro.

A riprova della trasformazione in corso, il sottosegretario Urso, ha sottolineato poi come a trainare il “recupero” italiano siano proprio i settori che venivano dati per “decotti”, come il tessile-abbigliamento, il cuoio-calzature e arredamento, settori che dopo essersi dovuti pesantemente ristrutturare, ora sono tornati più che mai l’eccellenza italiana nel mondo.

Ad avvalorare tale tesi, il recente dato WTO che definisce come l’economia italiana, in fatto di competitività, sia la 2° a livello mondiale, sorpassata solo dalla Germania.

Ma tornando all’EXPO di Shanghai, che ci si auspica possa rappresentare un momento di svolta importante, lo si può comprendere proprio nelle parole del Commissario Quintieri: “abbiamo recuperato il ritardo!”.

Qualcosa di ben augurante, anche per la non proprio brillante prima fase della preparazione dell’EXPO di Milano.

Infatti, come sottolineato dal Commissario Quintieri, “quando noi italiani abbiamo una data, siamo in grado di tirare fuori il meglio che c’è in noi e riuscire così a superare qualsiasi difficoltà”.

Un’affermazione che sembra quasi il manifesto della partecipazione Italiana all’EXPO di Shanghai e forse, in maniera estensiva, anche per l’intero sistema Italia in questi momenti di crisi.

Infatti al di là delle parole, i fatti sembrano confermare le affermazioni del Commissario per l’EXPO, tanto che ben 3 città italiane Venezia, Bologna ed appunto Milano, sono state scelte tra le 35 “best practises” che i cinesi mostreranno al mondo intero in termini di esempi urbanistici.

Un bel risultato che come ha spiegato il Presidente dell’ICE Vattani, è arrivato anche grazie all’importante azione di contatto e mediazione svolta dall’ICE, che ha permesso alle proposte italiane di essere migliori delle altre, perché rispondevano meglio alle esigenze e alle sensibilità delle diverse giurie OCSE.

L’ICE intende ora proseguire la propria azione di supporto per l’EXPO ed aiutare le aziende italiane nel cercare di utilizzare gli oltre 150.000 spazi comuni, dove le aziende del Made in Italy, potrebbero aspirare ad una vetrina di primissimo piano, fatta di oltre 70 milioni di presenze previste.

In chiusura, il Sottosegretario Urso, ha “presentato” la squadra, i ruoli e gli obbiettivi delle diverse componenti italiane a supporto della internazionalizzazione delle imprese in questi tempi di crisi.

All’ICE è stato assegnato il compito prioritario di concentrarsi sui paesi emergenti, divenendo “testa di ponte” per il sistema italiano nella sua successiva espansione.

La SIMEST, che ha già provveduto ad allargare i tempi di rientro per i propri finanziamenti, ha contemporaneamente agito su una riduzione dei propri tassi, rendendo così ancora più conveniente l’uso di tali strumenti finanziari per l’impresa italiana che intende internazionalizzarsi.

Per finire la SACE, che gioca un ruolo attivo nel garantire, assicurare il credito e quindi partecipare ai rischi paese che le imprese italiane devono correre nella conquista ed espansione dei nuovi mercati.

Milano – Shanghai, due città e due simboli planetariamente riconosciuti.

Ora sempre più l’asse sul quale passerà il futuro del mondo, qualcosa che deve essere “sprone” per continuare a fare sempre meglio e non perdere di vista l’obbiettivo condiviso: “la definizione di un nuovo sviluppo sostenibile”.

lunedì 16 luglio 2007

ICE è piu' viCINA

(Pubblicato su Affari Italiani il 2 Luglio 2007)

Nei giorni scorsi a Roma si è svolto il 1° forum dedicato alle PMI Italiane e Cinesi.Un passo importante e concreto, come sottolineato dalla Ministro Bonino, per cercare di dare un forte impulso nel cercare di riequilibrare il nostro deficit delle esportazione verso la Cina (5,7 Mld di euro contro i 18 Mld di Euro cinesi), attraverso lo sviluppo delle attività in Cina delle PMI.

Con l'apertura formale di un canale diretto tra ICE e l'omologa CCBCC (China Center for Business Cooperation and Coordination) in grado di incrementare lo scambio di informazioni e delle co-attività, finalmente molte più imprese italiane potranno esportare verso la Cina le proprie produzioni e sfruttare la forte crescita del mercato interno cinese.

Il contemporaneo potenziamento degli uffici ICE in Cina, con l'apertura di quello di Tianjin, consentiranno inoltre alle imprese italiane, notoriamente piccole se non piccolissime, di avere, ove necessario, sempre più vicina la presenza delle istituzioni italiane, a supporto dell'intraprendenza imprenditoriale.

In particolare va sottolineato che la funzione dell'ICE è fondamentale per un paio di aspetti sostanziali.

Il primo è quello di predisporre una sempre migliore piattaforma di relazioni tra Cina ed Italia, in grado di semplificare, facilitare le imprese Italiane nella propria azione in Cina.

Ma forse la seconda è ancora più importante: cercare di incentivare le interazioni e le cooperazioni tra le imprese, in modo da favorire la creazioni di nuove economie di scala tra le diverse imprese, attraverso co-azioni e iniziative che non le lascino isolate nel proprio agire.

Per capirci: il futuro delle imprese italiane, soprattutto sui nuovi mercati, dovrà essere quello di unire gli sforzi, magari anche creando ex novo imprese e consorzi tra le diverse aziende, in modo da presentarsi in Cina ben più solidamente di come fino ad ora hanno fatto.

L'ICE può aiutare le imprese nel conoscersi e permettere così agli imprenditori di valutare nuove strade in comune, per progetti di crescita sul mercato cinese, così come può introdurle ai potenziali partner stranieri.

E' una funzione importante, decisiva affinché l'Italia torni a competere costruendo nuove e più concrete offerte di mercato che basandosi sul nostro “Made in Italy”, consentano di conquistare sempre maggiori spazi sul mercato cinese.

Ma gli imprenditori devono dimostrare di crederci, andando oltre gli “interessi di bottega”, in modo che nelle liste ICE, non obbligatorie, siano presenti tutte le realtà agenti sul mercato cinese.

Se oggi non tutte le imprese sono in queste liste, non è colpa dell'ICE o dei suoi funzionari, ma delle singole imprese e degli imprenditori che nel solito ma oramai datato approccio individualistico, non segnalano spesso la propria presenza all'ICE, non consentendole così di fornire un sempre maggiore e attivo supporto per le azioni future.

Occorre quindi che gli stessi imprenditori italiani cooperino, affinché le informazioni in possesso dell'ICE siano le più complete possibili, in modo che nelle relazioni con la Cina, la struttura che ci rappresenta tutti, possa avere ancora maggiore capacità di "persuasione" nelle azioni bilaterali con i Cinesi.

E chi sa come agiscono i Cinesi, sa perfettamente che senza questa concreta “massa critica” a supporto, è difficile che il singolo imprenditore o consulente dell'imprenditore, possa arrivare ad avere reali e concreti risultati nel tempo.

Insomma il "fai da tè" in Cina è meglio lasciarlo da parte. E' l'approccio di fine '900 non più adatto alle sfide della globalizzazione e del confronto tra nazioni nello sviluppo dei nuovi mercati.

Ora l'Ice è più vicina. Occorre preservarla, aiutarla. E' un patrimonio comune a noi tutti che merita attenzione e che può essere migliorata, giorno dopo giorno, con il contributo di tutti.

lunedì 25 giugno 2007

Idee e pensieri ... su Affari Italiani

Come richiestomi: di seguito una lista degli articoli pubblicati su Affari Italiani (>320.000 Utenti Medi/ giorno) sugli ultimi 8 mesi di Cina.





(2 Luglio 2007) L'ICE è viCINA



venerdì 8 giugno 2007

Made in Italy ... secondo il Governo...

(Pubblicato su Affari Italiani l'8 Giugno 2007)

Che Shanghai e la Cina rappresentino la palestra nella quale testare le strategie sul Made in Italy nel mondo, è apparso chiaro ieri nell’incontro tra la comunità d’affari di Shanghai con il Sottosegretario del Ministero degli Affari Internazionali, Mauro Agostini e il Direttore Generale dell’ICE Massimo Mamberti.

Alla presenza anche della “Missione in Cina” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (circa 80), di è potuto discutere di Made in Italy direttamente con esponenti del Governo, senza filtri e ben lontani dai “rumori” attuali della Politica Italiana.

A cappello dell’incontro, il Sottosegretario Agostini ha sottolineato che se il PIL italiano è tornato in positivo (+2%), questo lo deve ESCLUSIVAMENTE alle proprie esportazioni.

Il futuro italiano per risollevarsi e tornare a competere è quindi quello di tornare a scoprirsi un “popolo di esportatori”, come lo fummo nei periodi d’oro del Made in Italy.

Il sottosegretario ha infatti evidenziato che i margini per crescere ci sono e sono enormi. Basti pensare che il volume delle esportazioni verso la Cina era recentemente pari a quello con la Grecia e verso l’India era pari a quello con la Croazia.

Ad oggi poi, il nostro export verso la Cina rappresenta solo la metà dell’import dalla Cina stessa e aggiungiamo noi, il governo cinese ha deciso di incrementare il proprio mercato interno, creando così ulteriori enormi spazi di sviluppo, nei quali il Made in Italy potrà inserirsi.

Ma il Sottosegretario è andato oltre. Non usando mai il “faremo”, ma il ben più concreto “abbiamo fatto”; elemento nuovo negli incontri tenutesi fino ad ora, ha sottolineato che per proteggere il Made in Italy dalla contraffazione, oltre al potenziamento degli strumenti a tutela da parte delle istituzioni italiane, come il recente incremento delle presenze ICE in Cina (+4), il sistema più sicuro, rimane quello di essere presenti sui mercati, direttamente.

Come esempio, ha citato il caso limite del clone del Parmigiano Reggiano in Australia. L’assenza del VERO parmigiano su quel mercato, consente al suo clone locale, di permettersi il “lusso” di farsi pubblicità con lo slogan “ diffidate dalle Imitazioni!!”.

Questo esempio è stato sostenuto anche dal Direttore Generale dell’ICE che ha citato inoltre il caso Usa, dove il mercato per il 20% è fatto dagli originali Made in Italy mentre per l’80% sia fatto di prodotti che richiamano (copiano) lo stile e i prodotti italiani.

Quindi il mercato internazionale ha “fame” di Made in Italy, ma per beneficiare di questo reale vantaggio competitivo, occorre esserci sui mercati e in maniera diretta.

E qua il nostro “piccolo è bello” delle nostre imprese, valido negli anni passati, ora evidenzia tutti i propri limiti strutturali.

Il messaggio lanciato dal Sottosegretario agli imprenditori, condiviso ieri con i commercialisti quali loro consulenti privilegiati, è stato quello di agire direttamente, di trovare nuove formule e strutture imprenditoriali, per non perdere le opportunità del mercato, agendo all’unisono, in gruppo e non in ordine sparso come spesso fatto ora.

Il Sottosegretario ha infatti sottolineato che le singole azioni di promozione, se non inserite in più ampie attività promozionali del prodotto ITALIA, rischiano di essere più controproducenti di quanto auspicato dagli enti locali (Comuni, Provincie e Regioni) o dalle singole imprese italiane.

I cinesi vedono l’Italia come una sola. Quindi promuovere la singola realtà disgiuntamente, non fa altro che alimentare una confusione che poi si ripercuote su tutto il sistema e quindi fa perdere competitività a tutti noi.

Detto ciò, il metodo d’azione che il governo sta seguendo a supporto del Made in Italy nel mondo è stato riassunto dal Sottosegretario in tre parole: Selezione, Pianificazione, Continuità.

Selezionare in particolare le aree ad alto sviluppo quali la Cina e il Far-Est, alcune aree del mediterraneo e del Sud America, consente di investire meglio, focalizzandoli, i pochi capitali attualmente disponibili.

Ma l’aspetto che la comunità di Shanghai ha più apprezzato ieri sera, è stato il tema della “Continuità”.

Finalmente, citando incontri e temi degli incontri, si è sentita dire che il governo è stato ed intende essere sempre più presente, in continui, frequenti e periodici incontri bilaterali con le controparti cinesi, in modo da aprire quegli spazi di cooperazione e di business che le imprese italiane possano utilizzare nei propri sviluppi futuri.

Ma il Sottosegretario ha sottolineato che il governo non può fare business. Questo lo devono fare gli imprenditori che ahimè però, in risposta ad una delle domande dei dottori commercialisti presenti, non potranno beneficiare di alcun sgravio fiscale nella loro internazionalizzazione, in quanto ciò è ritenuto “aiuto di stato” e verrebbe sanzionato dai nostri partners Europei, in sede comunitaria.

Stesso approccio pragmatico lo ha avuto il Direttore Generale dell’ICE Mamberti nel suo intervento. Ha infatti evidenziato, forte della sua ultima esperienza in Russia, per qualche verso simile a quella cinese, come il gioco di squadra delle istituzioni italiane, sul terreno delle singole presenze internazionali, rappresenti la chiave per supportare, con ritrovato vigore, la forza propulsiva ad esportare il nostro ingegno, i nostri prodotti e creare valore tangibile.

Ma ha raccomandato alle realtà imprenditoriali di unire gli sforzi: se gli imprenditori vogliono affrontare un nuovo mercato con grande potenzialità come quello cinese, prima devono attrezzarsi, creando le premesse strutturali per poter sfruttare le opportunità. Altrimenti tutto ciò, può solo creare scompensi, ai quali difficilmente possono sopperire le strutture governative.

Entrambi quindi hanno puntato l’accenno sul ruolo delle istituzioni, quale semplice “facilitatore” a favore delle imprese italiane che però devono tornare a fare impresa.

Questo richiamo fa riflettere, anche alla luce delle ultime discussioni in Italia sulla crisi attuale della imprenditorialità italiana, in affanno ed invecchiata, troppo propensa spesso a gestire i propri capitali che a crearne di nuovi.

Probabilmente la chiave del futuro del Made in Italy nel mondo sta proprio qua: fare in modo di “facilitare” nuove imprese, nuove idee, nuove ambizioni che possono competere e creare valore, come lo fu per i nostri nonni negli anni del boom.

Le strutture e le basi ci sono. Forse il coraggio di arrivare in Cina e rimanerci, è ancora un aspetto che latita in molte imprese ed imprenditori italiani.

Spesso infatti NON investono per creare ma sperano che il semplice esserci, basti per creare ricchezza. Ma aihmè, non è possibile creare nulla se non con il duro lavoro quotidiano sul campo, la “continuità” citata dal Sottosegretario, con presenze reale e convinte, oltre le attuali semplici “vetrine”, che poco possono per creare business tangibili, in particolare in Cina.

L’esempio del Parmigiano in Australia e del Caffè o del Vino in Cina, sono lì a monito e dimostrazione che se non ci muoviamo direttamente, gli altri lo fanno già, “rubandoci” l’identità, faticosamente create negli anni.

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