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giovedì 7 giugno 2012

Mentre l'Italia aumenta l'Iva, la Cina ha deciso di tagliarla per continuare a crescere!


Alla luce degli interventi in materia fiscale previsti in Italia e il prossimo aumento dell'Iva, prima che sia troppo tardi, forse sarebbe opportuno per i nostri governanti considerare con maggiore attenzione il messaggio in controtendenza che arriva in questi giorni dalla Cina.

Infatti, mentre l'Italia era concentrata su come fare cassa attraverso una sempre maggiore pressione fiscale, i cinesi erano impegnati a testare esattamente il contrario, attraverso un esperimento partito da Shanghai basato sulla riduzione dell'Iva ad un gruppo di imprese pilota. I risultati sembrano essere stati più che lusinghieri, tanto che ora si pensa ad una estensione dell'approccio a livello nazionale.

L'esperienza di Shanghai, che ha visto coinvolte da marzo oltre 129.000 aziende dei trasporti, costruzioni, ricerca e sviluppo, ICT, prodotti culturali, servizi finanziari e consulenza, si basava su un principio di "tassazione differenziata". Si passava così dal 17% per l'affitto di immobilizzazioni materiali, all'11% per i trasporti e le costruzioni, per finire al 6% per quelli che erano stati definiti "servizi moderni".

"Il progetto pilota ha funzionato senza problemi ed evidenti sono i primi effetti connessi alla sua applicazione," hanno dichiarato le autorità cinesi dopo l'ultima sessione di verifica di questi giorni a Shanghai. "In media, il programma ha ridotto il carico fiscale per le industrie che vi hanno partecipato e contribuito a stimolare uno dei nostri settori più critici: quello dei servizi."

La nuova Iva sperimentata a Shanghai, a differenza della tassazione tradizionale, presenta il grande vantaggio che tiene conto del fatturato delle aziende a prescindere dai costi operativi sostenuti per le loro attività. Questo nuovo metodo consente quindi alle aziende di rivendicare il "credito d'imposta a monte", come ad esempio le spese per macchinari, carburante ed altri beni e servizi soggetti ad IVA.

Dalle analisi fatte in questi giorni, il progetto pilota ha contribuito a rafforzare la competitività delle aziende coinvolte e al rafforzamento del terziario avanzato, per anni schiacciato dalle basi stesse dell'economia cinese, dedicata all'industria ed all'esportazione.

Va sottolineato come questa di Shanghai rappresenti solo una delle azioni in cantiere di un più esteso piano di riduzione del carico fiscale sui cittadini e le imprese che verrà introdotto nei prossimi mesi.

L'obiettivo è quello di aiutare la crescita del mercato interno, favorire i consumi e contribuire al volano economico che possa portare la Cina ad una sempre maggiore indipendenza dall'export.

Un messaggio chiaro, corredato da risultati sul campo che forse potrebbe indicare una rotta ben diversa da quella che invece sembra essere stata scelta dal Governo italiano, un approccio che rischia solo di "strozzare" il sistema imprenditoriale italiano, contribuendo non poco ad una complessiva perdita di competitività del sistema Paese nel suo assieme.

Il dubbio a questo punto appare legittimo: non è che l'Italia stia imboccando la strada sbagliata?

mercoledì 20 luglio 2011

Crisi/ Ecco perché la Cina salverà l'Italia

(Pubblicato su Affari Italiani
Indiscutibilmente l’Italia sta rischiando veramente grosso e la situazione economica si è fatta talmente delicata che se solo qualcosa non dovesse andare per il verso giusto nei prossimi mesi, il debito che pesa sul “belpaese” potrebbe schiacciare anche chi viene definito dagli stessi più accaniti speculatori "troppo grande per fallire!".

E' per questa ragione che grande rilievo va dato alla recente visita del vice presidente cinese, Xi Jinping, in occasione della Festa della Repubblica, colui che il prossimo anno dovrebbe diventare il nuovo presidente cinese e alle dichiarazioni di queste ore dei vertici economico-finanziari cinesi. Sono "segnali forti" su cui vale la pena fare qualche riflessione.

Va evidenziato che allo stato attuale, guardando i dati sugli investimenti cinesi all'estero e soprattutto in Europa, questi non vedono al primo posto l'Italia, ben altri sono i paesi dove le aziende cinesi investono copiosamente. Per contro, la Cina nell’ultimo periodo ha comprato copiosamente titoli di stato italiani, tanto da essere stimato ne possieda già il 13% e sia diventato il nostro primo investitore straniero.

Ma allora, perchè tanto interesse da parte cinese sulle sorti dell’Italia, tanto da farle comprare negli ultimi tempi così tanti “pericolosi” titoli Italiani? La riposta è semplice: la Cina ha deciso di salvare l'Italia!

Infatti, così come negli ultimi mesi ha già agito attivamente per contribuire alla riduzione dell'impatto della crisi Greca sull'Euro, così ora la Cina è preoccupata che i paesi dell'Europa non falliscano o peggio, non contribuiscano a mettere in crisi il loro asset comune: l'Euro.

La Cina ha infatti nell'Europa il primo partner commerciale a livello mondiale, un partner con una moneta molto forte che consente ai prodotti cinesi di avere sbocchi importanti in un mercato molto vasto, questo anche alla luce della crescente rivalutazione che il dollaro sta avendo su pressione americana, fatto che renderà sempre meno vantaggiosi i prodotti cinesi agli occhi delle aziende USA. Ecco perchè la Cina pone grande interesse al futuro della vecchia capitale della grande Roma, perchè una sua "caduta", decreterebbe ancora una volta la caduta “dell’Impero d'Occidente".

La storia i cinesi l'hanno letta e riletta con attenzione, così come i dati finanziari, fatto che ha consentito loro di comprendere che non sono ne il Portogallo o la Spagna né tantomeno l'Irlanda o la Grecia i potenziali creatori del Big Bang che potrebbe decretare le fine dell’euro e riportare il mondo occidentale molti anni indietro (e creare non pochi problemi ai cinesi), ma bensì il “belpaese”.

Tra l'altro il nuovo ruolo assunto da Draghi a livello di Banca centrale Europea, non può che essere visto positivamente, visto che quale ex governatore della Banca d'Italia, contribuirà a "controllare" la situazione, dato che conosce le debolezze italiche forse come nessun altro.

Ed ecco perchè la Cina salverà l'Italia: per creare le basi per continuare a crescere, da un lato con la esportazione delle produzioni per così dire tradizionali e dall'altro, per cercare di ricevere ed instillare il know-how che l'Italia ha nel sangue negli sviluppi futuri delle proprie imprese, per fare il tanto auspicato "salto di qualità" che serve per passare ad una nuova fase della propria crescita industriale.

Infatti in questi mesi, per quanto siano continui gli incontri ai massimi livelli tra Cina ed Usa, crescenti sono le difese che gli Stati Uniti stanno alzando per evitare di subire la stessa sorte che subirono con i Giapponesi nella seconda metà del secolo scorso, dove lo stradominio giapponese arrivò a conquistare tutto quello che c'era da conquistare.

Ora però gli Usa, che troppo spesso sembrano animati da rigurgiti da "guerra fredda", non sembrano "fidarsi" troppo dei propri partner cinesi in questa loro vorticosa fase di crescita, tanto che di recente hanno stoppato le ultime operazioni finanziarie cinesi negli Usa sull’high-tech e telecomunicazioni per "ragioni di sicurezza nazionale".

E' per questo che la Cina, compreso che la sfida con il gigante Usa non si è ancora capito quale direzione realmente prenderà, ha deciso di guardare altrove e se per le materie prime ha lavorato in un win-win con i maggiori paesi africani, per quanto riguarda tutto il resto, il nuovo terreno di sviluppo è rappresentato dall'Europa.

L'Italia è quindi il paese che può dare ai cinesi le "chiavi" per guidare le sorti dell'intero continente, "troppo grande per fallire", così come appare sempre più chiaro che l'Europa (e l’EURO) senza i Cinesi non sarebbe in grado di sopravvivere a se stessa. A questo punto nasce la domanda: ma l'Italia vuole essere salvata dalla Cina? 
Questo sembra essere un punto non secondario e dolente per un paese, che con "orgoglio" intende cercare di preservare la propria "presunta" indipendenza, senza voler comprende a fondo come questo potrebbe contribuire non poco a riscrivere un proprio migliore futuro, visto che per esempio, a seguito dei prevedibili sviluppi in nord africa, rischia a breve di perdere la centralità che aveva in tale area, qualcosa che invece potrebbe recuperare attraverso un convinta co-azione con i cinesi. Il mondo (e i suoi equilibri) è cambiato da tanto tempo. Si tratta di accorgersene prima che sia troppo tardi!!

Ed ecco anche perchè da Bruxelles, Berlino e ora anche Pechino arriva un solo chiaro messaggio: "non mollate sul debito!". Comunque sia i Cinesi hanno scommesso che l’Italia si salverà. Sta ora a noi non deluderli.

giovedì 9 giugno 2011

Buon giorno Italia! La Cina sotto l'acqua, che vuole mangiare meglio, unirsi a Taiwan, e sostenere le PMI in crisi!!

(Pubblicato su Affari Italiani)

Buon giorno Italia,

per prima cosa il tempo: oggi la Cina si appresta ad entrare nella "stagione delle pioggie" (una buona notizia) ma precocemente al normale (una brutta notizia? altro effetto dei cambiamenti climatici?).

Comunque si spera sia qualcosa di salutare, visto che 1/3 del paese ed alcuni dei più grandi laghi e fiumi, non sanno più cosa sia un goccio d'acqua. I terribili effetti di una siccità che non si vedeva da decenni!

Oltre a questo, a tenere banco in queste ore sono ancora le questioni economiche globali, World bank annuncia una crescita del 9,3% del PIL Cinese ed alimentari.

Il problema della sicurezza alimentare ormai è il tormentone che dimostra come il paese sia entrato in una nuova fase di sviluppo, quella del benessere e di chi è sempre più attento alla propria salute.

A questo va aggiunto come l'impatto dell'inflazione sui prezzi, contribuisca ad alimentare la crescita del già grande mercato del "sotto costo e di scarsa qualità, ma che ora rischia di diventare una emergenza sanitaria, visti i rischi sulla salute pubblica che può provocare.

Nel paese manca completamente una cultare in grado di distinguere il salubre dall'insalubre, visto che fino ad ora nella scelta di cosa mangiare, l'unico criterio tradizionalamente utilizzato è il prezzo. Questo atteggiamento è  connesso al fatto che il cinese medio considera aprioristicamnete tutti i prodotti sul mercato di pari livello, buoni e controllati.

Da qua la vera e propria battaglia che è stata ingaggiata agli additivi non a norma, ai criteri di conservazione e date di scadenza non rispettati e così via, di una lista lunghissima di irregolarità quotidiane, fatto di abitudini spesso ormai consolidate, tipiche del passato di povertà che la Cina si sta laciando alle spalle.

Altra notizia del giorno è nel campo turistico e la prossima liberalizzazione dei viaggi a Taiwan per turisti singoli in partenza da certe città (Beiing, Shanghai, Xiamen). Comunque un ulteriore passo verso una sempre più stretta relazione tra i due paesi e che nei prossimi decenni potrebbe portare alla tanto auspicata "soluzione", come è stato per esempio per Hong Kong e Macao.

Sul piano invece economico, crescente è l'attenzione alle PMI cinesi che a corto di capitali ( e spesso di clienti) ed ora anche sotto la spada di Damocle della crescente inflazione interna, fanno sempre più fatica a finanziare le proprie attività.

Da questa situazione di "crescente tensione", l'azione governativa a supporto, con alcuni interventi legislativi che intendono favorire una crescente disponibilità di liquidità per le PMI, interventi che passano attraverso una sostanziale ristrutturazione del settore del credito, con tanto di creazione di banche o branch specializzate sulle PM in tutto il paese.

"Ma i soldi non bastano" è il messaggio del Governo alle imprese : "occorre che vi innovate e concentrate i vostri capitali soprattutto per creare nuovi prodotti sempre più di alto profilo, altrimenti queste misure non basteranno!!"

Alla prossima da Shanghai!!

lunedì 14 marzo 2011

Post Terremoto: a rischio l’economia del Giappone (e dell’Asia)

  “Questo terremoto proprio non ci voleva!”. Sembra essere questo il pensiero ricorrente in Giappone ma anche in molti paesi dell’area Asiatica.

Infatti quest’ultimo evento rischia di aggravare il momento di difficoltà che il Giappone sta attraversando, prima di tutto sul piano politico ma anche sul piano economico.

Politicamente dopo l’ultimo scandalo che ha finito per coinvolgere lo stesso primo ministro Naoto Kan che proprio ieri aveva confermato di avere ricevuto “donazioni illegali”, un caso molto simile a quello che aveva portato nei giorni scorsi, alle “famose” dimissioni del suo Ministro degli Esteri.

Ma lo scandalo politico è solo l’ultima delle vicissitudini di una stasi politica complessiva che hanno portato il Giappone a vedere eleggere (e dimettersi), ben 3 primi ministri negli ultimi 3 anni.

Il terremoto di ieri rischia di accelerare il logoramento in atto e mettere a durissima prova anche quest’ultimo governo, questione molto delicata, visto che ci dovesse essere un ulteriore cambio, questo potrebbe avere effetti devastanti sulla stessa tenuta della economia nipponica, già traballante a causa di un debito eccessivo che più volte ha rischiato di coinvolgere il paese nella spirale dei “Default” dei titoli di stato della crisi finanziaria del 2008 - 2009.

Rimasto a “stento” a galla fino ad ora, nel momento che sembrava ci potesse essere una ripresa in grado di rilanciarlo per il futuro, ora questo terremoto, che rischia d’essere il “colpo di grazia” alle speranze nipponiche, di potercela fare da soli.

Le ragioni di tanto timore sono connesse al fatto che, oltre ad avere intaccato la rete di produzione elettrica, basata su una rete capillare di centrali nucleari che si è dimostrata meno “indistruttibile” di quello che si pensava, intere aree produttive sono state spazzate via dalla furia dello tsunami. Aree che richiederanno ora massicci investimenti e tempi di ripristino tutti da definire.

Una situazione d’emergenza che mal si concilia con le priorità di riduzione ed ottimizzazione dei costi che il governo giapponese si stava apprestando a realizzare, proprio per cercare di allontanare il paese dal baratro.

Basti pensare che già ora, sulla base delle poche informazioni disponibili sui danni che sono stati inferti ieri dal terremoto, gli analisti stimano che questi contribuiranno a ridurre dell’1% la crescita del PIL del paese. Ma tutti dicono ciò a “denti stretti”, convinti che questa stima sia per difetto rispetto alla realtà che il Giappone sarà costretto a vivere nei prossimi anni.

A questo va aggiunto un dato, per così dire culturale che potrebbe giocare un ruolo decisivo: lo scatenarsi degli elementi naturali in Asia assume un valore sovrannaturale molto rilevante, tanto che sono spesso considerati segni e giudizi divini sull’operato di chi governa. Un evento naturale di queste proporzioni, con i danni collaterali che sembrano emergere dalle condizioni di rischio di alcune delle centrali nucleari nel paese, rischiano di minare prima di tutto il “morale” del paese, una qualità che ha caratterizzato il Giappone del dopoguerra e che lo ha portato, sconfitto sul piano bellico dagli USA nella seconda guerra mondiale, ad iniziare una rincorsa sul piano economico e finire per primeggiare 40 anni dopo.

In tutta l’Asia, si guarda quindi con grande preoccupazione a come il Giappone reagirà al terribile colpo inferto ieri. La ragione è semplice: è il primo partner commerciale di quasi tutti i paesi dell’area. Un’eventuale recessione potrebbe provocare uno tsunami commerciale che potrebbe coinvolgere molti paesi, minando seriamente il processo di crescita economico / sociale di questi anni. Un pericoloso effetto domino che inevitabilmente si diffonderebbe nel mondo, occidente compreso e potrebbe finire per intaccare anche molti dei fragili equilibri sociali esistenti.

Il mondo, dopo ieri non sarà comunque più lo stesso.

venerdì 18 giugno 2010

Cina e il turismo di lusso: un futuro in continua crescita

Visitando la 4° edizione della Asia Luxury Travel Market (ALTM) che si è svolta a Shanghai in questi giorni, si è avuta la netta percezione delle tendenze del futuro prossimo venturo del turismo cinese ed asiatico.

Se da un lato il turista cinese sicuramente finirà per rappresentare nel futuro quello che fino ad oggi sono stati i Giapponesi, dall'altro, si assisterà ad un radicale mutamento delle necessità connesse.

"Lusso" sembra essere la parola chiave connessa al successo futuro delle destinazioni turistiche che attireranno maggiormente il turista cinese.

E per lusso si intende una offerta caratterizzata soprattutto da una logistica d'altissimo livello e un servizio vip esclusivo, il tutto in maniera decisamente più diffusa di quanto lo sia fino ad ora.

A questo punto occorre fare una precisazione sul tema del "lusso" se visto nella prospettiva cinese.

Mentre per noi occidentali il lusso è per pochi, tanto che le destinazioni sono spesso piccole ed esclusive, per i cinesi sta diventando uno status symbol che si sta diffondendo e quindi rappresenta più una sorta di upgrade alle attuali offerte che devono possedere nuovi e più stringenti parametri e servizi.

Due gli elementi fondamentali su tutti: il livello dell'alloggio che deve essere da vera 5 stelle internazionali e la qualità dei servizi connessi che devono essere di pari livello.

Visti quindi con gli occhi cinesi, questi due parametri se calati nella situazione italiana, spesso "fanno a pugni" con il reale valore della nostra offerta turistica, che se anche circondata da paesaggi da favola o culturalmente rilevanti, spesso dispongono di logistiche e ricettività di medio / basso livello.

A questi due parametri se ne aggiunge un terzo, forse il nostro vero limite attuale: l'esiguità della nostra offerta di lusso.

L'offerta Italiana appare infatti molto esigua per poter beneficiare della sempre crescente necessità cinese di esplorare il mondo da vip in termini quantitativi.

Perchè quando il cinese si muove, sia che sia un vip vero che un semplice turista, pretende servizi analoghi a quelli di cui dispone già in madre patria, soprattutto quando il costo è decisamente superiore a quello pagabile per destinazioni asiatiche comunque di alto livello, quali Thailandia, Australia, Indonesia.

Dai risultati di un questionario preparato da My China B2B, la piattaforma B2B dell'Italian Center di Shanghai, redatto assieme ad un centinaio di operatori turistici cinesi, è emerso come la qualità della residenza / hotel pesi per il 40% nella scelta della destinazione turistica.

Ben il 20% è invece l'incidenza dell'esistenza o meno di una rotta aerea diretta ed addirittura il 10% è connesso al fatto che la destinazione non sia "pericolosa" per la incolumità personale.

Solo il 9% è invece connesso al peso "culturale" dell'offerta che addirittura scende sotto al 5% se si parla di gastronomia e percorsi enogastronomici.

Ben il 10% pesa invece la possibilità di acquistare prodotti del lusso ai prezzi migliore che in madre patria.

Per finire, addirittura il 6% è il peso connesso al poter disporre di servizi in lingua nei luoghi visitati, hotel compreso. Quest’ultimo dato è connesso al fatto che la stragrande maggioranza dei nuovi ricchi cinesi, anche se quarantenni, non parlano inglese.

Come si vede, una connotazione di lusso quindi ben diverso da quello che la parola stessa sembrerebbe evocare se pensata con menti occidentali.

Un approccio in rapida evoluzione e in forte crescita dai paesi che stanno diventando i nuovi centri motore dell'economia mondiale.

Una situazione a cui dovremo velocemente adeguarci, visto l'ormai ed inesorabile riduzione dei flussi storici dagli USA a favore dell'area asiatica, che ad oggi comunque preferisce per ben il 94% le più “sicure” mete del Far- East anche solo per la vicinanza culturale che sono in grado di offrire.

Il rischio è quello di venire esclusi sulle rotte future del lusso, di chi è pronto a pagare profumatamente ma pretende in cambio di ricevere il massimo.

Qualcosa che sul suolo Italico appare spesso ancora una chimera, visto il persistere di una visione del turismo di stampo famigliare, fatta di piccole realtà non in grado di competere con i campioni dei circuiti internazionali che invece sanno "accompagnare" con saggezza i nuovi ricchi a spendere al meglio la propria nuova ricchezza.

mercoledì 21 aprile 2010

"Capicomunismo": La Cina corre grazie al consenso!!

Da tempo vado dicendo che noi occidentali, guardando il fenomeno Cina con i "parocchi", non stiamo capendo veramente quello che sta avvenendo in questo paese " in via di sviluppo".

Così come si continuano a non comprendere le ragioni vere dietro i "cortesi rifiuti" alle insistenti richieste occidentali di adottare i nostri modelli sociali, politici e di vita.

Non posso quindi che segnalare una libro della economista Loretta Napoleoni che sicuramente potrà contribuire a dare una mano a molti a cominciare a guardare il futuro, soprattutto il nostro, con occhi diversi e meno "prevenuti".

Anche la Cina può insegnare molto, basta volerla ascoltare.

Di seguito l'intervista apparsa su Affari Italiani che sottoscrivo al 100%.

"Capicomunismo e, cioè, un sistema molto più flessibile del neoliberismo occidentale e grande consenso incentrato sul benessere, di cui gode il partito di Pechino".
Sono i due fattori vincenti che per l'economista Loretta Napoleoni, intervistata da Affari  in occasione dell'uscita del suo ultimo libro Maonomics, hanno permesso alla Cina di "passare in soli 30 anni, dall'essere un Paese in cui si moriva di fame a una superpotenza in grado di sfidare gli Stati Uniti per il primato economico". "E' un libro - spiega la Napoleoni - che cerca di utilizzare il miracolo economico cinese come una sorta di pietra miliare per fare una comparazione con il nostro sistema economico e politico e capire cosa, da noi, non ha funzionato nell'inserimento nel processo di globalizzazione".
L'INTERVISTA

Perché questo libro? Qual è la tesi principale?
"Il mio scopo era quello di utilizzare il miracolo economico cinese come una sorta di pietra miliare per fare una comparazione con il nostro sistema economico e politico per capire cosa, da noi, non ha funzionato nell'inserimento del processo di globalizzazione. Insomma, mi sono chiesta perché Pechino ce l'ha fatta e noi no".

Allora non è un libro sulla Cina...
"Esatto, è su di noi. Anche se smitizza molti dei luoghi comuni che sono stati diffusi negli ultimi 20 anni sulla Cina". 
Quali sono stati i punti forti della Cina?
"Sono riusciti a sfruttare i vantaggi della globalizzazione perché hanno creato il sistema ibrido del Capicomunismo. Non è nè un sistema capitalista nè comunista, intesi in senso classico. Hanno introdotto dei cambiamenti e delle riforme all'interno del sistema marxista, dopo Mao, perché era un sistema molto più flessibile del neoliberismo che avevamo noi. Hanno adattato il marxismo al capitalismo e alla globalizzazione". 

Insomma, par di capire che Pechino ha fatto ciò che dovremo fare noi oggi e cioè attuare un sistema neoliberista regolamentato...
"Sì, anche se da noi il modello cinese non funzionerebbe, perché la Cina è ancora un Paese in via di sviluppo. La mia analisi vuole dimostrare che il nostro sistema, così com'è, non va e finisce per portarci da una crisi all'altra. Necessita di riforme, specialmente nell'economia e nella finanza. Un altro punto di forza della Cina, poi, è stato il rapporto che esite tra la popolazione e il partito che si basa sul benessere".

E cioè?
"Fin tanto che l'economia cresce e il benessere si diffonde, la popolazione sarà d'accordo con questo sistema. Cosa che non accade da noi, dove sempre meno gente vota".

Nel lungo periodo, il modello cinese sarà sostenibile e vincente?
"Sì, perché in 30 anni, la Cina è passata dall'essere un Paese in cui si moriva di fame a una superpotenza che sfida gli Stati Uniti per il primato economico. Un anno fa al G20 avevano un atteggiamento di maggiore deferenza nei confronti dell'Occidente. A Washington, nell'ultimo vertice sul nucleare, l'atteggiamento è stato completamente diverso".

venerdì 9 aprile 2010

Perchè la Cina NON rivaluterà lo Yuan

Ormai tutti i commentatori e gli economisti occidentali sono alla caccia del perché i Cinesi non rivalutano lo Yuan, come se lo facessero apposta per danneggiare le economie Occidentali, Usa in testa.


Le ragioni cinesi sono evidenti e "sotto gli occhi di tutti", ma difficilmente saranno comprese nelle asettiche sale delle borse, dei giornalisti finanziari e dei guru delle economie occidentali.

Il problema vero è che la prospettiva con la quale osservano il problema, valutano, giudicano è di stampo occidentale, favorevole ad un "bilanciamento" della situazione americana attraverso questa rivalutazione.

Ma invece di affannarsi ad accusare la Cina di presunte manipolazioni della propria valuta, per comprendere le ragioni di questa sorta di dissociazione cinese dalle problematiche mondiali di questi anni, basterebbe che questi commentatori venissero in Cina e andassero fuori dalle scintillanti Shanghai e Beijing.

Il paese NON è pronto, per quanto sia ormai la seconda economia al mondo, a competere con le economie reali dei paesi sviluppati e necessita ancora di tempo e di un ambiente favorevole dove "consolidare" la propria struttura e il proprio sviluppo.

Rivalutando lo Yuan sicuramente l'America ne trarrebbe giovamento, sopratutto sul piano commerciale, visto che ora la barriera del prezzo frena le esportazioni in Cina.

Ma la priorità del governo cinese non è di salvare il "Soldato Usa", bensì di garantirsi tassi di sviluppo interni stabili per i prossimi decenni, perchè continui il processo in corso che può continuare solo se le condizioni rimangono quelle attuali.

E se la competitività sui mercati esteri si acquisisce anche attraverso un mantenimento del controllo delle oscillazioni della propria valuta, gli investimenti in titoli di stato americani sono stati il loro modo di "restituire" questo vantaggio in maniera concreta, tangibile.

Ma esiste anche un secondo aspetto che guida le decisioni cinesi: stare lontani dalla speculazione.

Ai cinesi, fino ad ora sostanzialmente rimasti fuori dai giochi che hanno guidato parecchie crisi dei decenni passati, causate spesso da speculatori senza scrupoli, tutti intenti a guadagnare spesso nel crollo del valore più che nel suo apprezzamento di una valuta nazionale, temono di essere oggetto di azioni massicce che possono minare le basi stessa della propria economia.

Per cui il rimanere di fatto "sganciati" dalle regole di mercato che stanno dando parecchi grattacapi a quasi tutto il fronte occidentale, non è una scelta di chiusura, ma di tutela per garantirsi un futuro stabile.

Quindi difficilmente il Governo Cinese accetterà di portare a termine alcuna profonda modifica dello stato attuale di cose, che di fatto prima di tutto tutela i poveri del paese e che consente al paese di non trovarsi a dovere fare i conti di uno scenario ancora molto lontano dal suo realizzarsi.

Per comprendere la cosa, basti ricordarsi cosa è successo da noi con l'introduzione dell'Euro che se da un lato ha dato al paese una moneta forte ( forse troppo) e che ha reso molto convenienti gli acquisti fuori dall'area euro, per contro ha portato alla crescita di una povertà reale interna ed un raddoppio del costo della vita reale di cui ora sono in tanti a pentirsene.

I cinesi, che hanno studiato tutte le situazioni e gli accadimenti occidentali, sanno che il rafforzamento della propria valuta rischia di trascinare nel baratro quasi un miliardo di cinesi, non ancora in grado di competere con il resto del mondo sviluppato.

Per questo e solo per questa ragione, i cinesi NON toccheranno, se non solo di facciata, il valore dello Yuan nei prossimi decenni.

Ovviamente qualche apertura agli Usa sarà anche data, sicuramente in cambio di aperture su molti dei prodotti di fatto bannati sul mercato americano, ma non seguiranno il desiderio degli Usa di equilibrare le due economie e le due valute, considerando i Cinesi una economia già sviluppata e alla pari.

Una trappola ed una sirena che i cinesi non hanno intenzione di ascoltare. La loro visione guarda molto più lontano, tanto che oggi, nonostante gli impetuosi successi economici e finanziari, ancora si definiscono "un paese in via di sviluppo".

E se gli americani saranno costretti per colpa di questo loro agire a “tirare la cinghia”, beh da queste parti, pensano che non se la passeranno troppo male lo stesso.

Per questo lo Yuan non verrà toccato!!.

venerdì 19 febbraio 2010

Detto - fatto: ora i cinesi NON sono più i primi creditori degli USA

Nelle scorse settimane si è assistito ad un "botta e risposta" tra Usa e Cina che in qualche maniera ha intaccato lo spirito di grande sinergia ( e fiducia) che esisteva tra i due paesi e che aveva portato la Cina a divenire il primo creditore dei Titoli di Stato Usa.

Dopo quelle che i cinesi hanno ritenuto essere state autentiche "provocazioni" gratuite, come la fornitura di armi a Taiwan o il prossimo incontro tra Obama e il Dalai Lama ma soprattutto dopo non aver ricevuto le richieste garanzie a tutela del proprio imponente credito con gli Usa, sembra ora essere prevalsa a Beijing l'idea che l'America possa divenire un potenziale futuro problema, prima di tutto finanziario.

Per cui, detto - fatto, i cinesi nel dicembre 2009, hanno tagliato ben 34,2 Miliardi delle proprie partecipazioni sul debito Usa, lasciandosi così "superare" dal Giappone, che ora è diventato ufficialmente il primo creditore assoluto degli Stati Uniti.

Infatti nello stesso periodo, il Giappone ha aumentato la propria partecipazione di titoli del tesoro Usa di 11,5 Miliardi, arrivando alla quota di 768,8 Miliardi di dollari, superando la Cina ora attestata a 755,4 Miliardi di dollari. 

Una sorta di compensazione all'alleggerimento Cinese sembrano poi essere state le azioni di copertura della Gran Bretagna, che ha incrementato la propria quota di titoli Usa da 277,6 Miliardi di dollari di Novembre, a 302.5 Miliardi di dollari a Dicembre e del Brasile che ha aumentato da 157,1 a 160.6 miliardi di dollari la propria partecipazione al debito Usa.

Tra l'altro va segnalato come il Giappone, ora primo creditore degli Usa, esso stesso stia attraversando una fase di profonda crisi strutturale che potrebbe in futuro aggravarsi, tanto da rischiare un possibile Default paese.

Attorno al debito Usa si stanno giocando in queste settimane alcune partite prima di tutto di politica – internazionale, piuttosto che azioni puramente finanziarie ed economiche.

La prova sta nel fatto che mentre alcuni governi nazionali “amici degli Usa”, hanno aumentato la propria quota, nel frattempo gli investitori privati abbiano iniziato a ridurre la propria partecipazione al debito Usa (700 Milioni di dollari).

Va ricordato come nel 2008 gli investitori stranieri aumentarono le proprie partecipazioni sul debito americano di ben 456 Miliardi di dollari. 

Poi arrivò la crisi finanziaria e dopo una prima stagnazione, ora si sta profilando una "ritirata" di massa degli investitori stranieri, molto preoccupati anche dal fatto che il Governo Usa rischia ora di dover alzare i tassi di interesse per evitare l'emorragia dei propri investitori, a partire dalla Cina, ma questo però finirebbe per pesare in maniera significativa sul deficit federale,

Tra l'altro le ultime mosse del governo americano non tranquillizzano, visto che il primo febbraio è stato annunciato un deficit per l'anno 2010 che toccherà i 1,56 trilioni di dollari.

L'analisi cinese che sta dietro l'alleggerimento di dicembre, posizione del resto condivisa da molti analisti, sembra quindi essere di una generale sfiducia in questo piano che invece di risolvere, rischia di rinnescare una spirale simile a quella che portò alla precedente crisi finanziaria.

Per cui, di fronte alle "sterili" promesse di Obama che intende iniziare a risolvere il problema dell'enorme disavanzo attraverso la costituzione di una commissione che dovrà definirne le modalità di taglio, i cinesi, quale atto di sfiducia anche all’azione proposta da Obama, hanno preferito portarsi avanti, iniziando una sorta di disimpegno che potrebbe continuare nei prossimi mesi.

Qualcosa che potrebbe anche subire un’accelerata se le iniziative del governo americano, invece di attaccare il problema finanziario di cui soffrono e che potrebbe contagiare il mondo intero, continueranno a metter al centro della propria agenda "litigiosità" del tutto fuori luogo, in momenti delicati come quelli odierni e la non remota possibilità dell'aprirsi di nuovi fronti internazionali, quale per esempio quello medio orientale, che potrebbero portare gli Usa diritti alla bancarotta.

Qualcosa che preoccupa i Cinesi, per cui il disimpegno sul debito è stato sicuramente anche un "forte" messaggio inviato a Washington affinché si torni a discutere presto sulle priorità reali.

I cinesi infatti non sono più così sicuri che a Washington abbiano le idee chiare su come uscire dalla situazione attuale.

lunedì 11 gennaio 2010

Cina: Campione d'Esportazione!!!

Più che una lunga marcia, quella che la Cina sta correndo in questi anni sembrano più delle ripetute da centometrista.

In anticipo su qualsiasi previsione e dopo essere diventato l’anno scorso il primo mercato automobilistico mondiale, superando gli USA, ora la Cina ha conquistato il primato del più grande esportatore al mondo superando questa volta la Germania.

Il balzo alla testa della classifica è stato fatto in dicembre, dove le spedizioni all’estero hanno raggiunto i 130,7 Miliardi di dollari, aumentando oltre qualsiasi stima attesa dagli economisti del 17,7% rispetto al già pregevole risultato dell’anno precedente.

Così ora la Cina, con i suoi 1,2 trilioni di dollari realizzati nel 2009, ha superato i 1,18 trilioni di dollari della Germania e sembra anche lanciare un segnale evidente: la crisi sembra essere superata.

Una risposta positiva, dopo che nello scorso anno a causa della crisi economica, il surplus di cassa generato dalle esportazioni era diminuito a 196 Miliardi di Dollari, così come le esportazioni erano diminuite del 16% .

Tra l’altro le due economie, quella cinese e tedesca, sono strettamente collegate, perché se in senso assoluto la Cina ha superato la Germania, la Germania ha ancora il predominio sulle esportazione ad alto valore aggiunto e alto livello tecnologico, mentre i risultati Cinesi sono stati realizzati esportando giocattoli, scarpe, mobili e prodotti a basso contenuto tecnologico.

Ciò dimostra l’ampio margine di crescita e di miglioramento che la Cina potrà avere nel prossimo futuro.

Per contro, i macchinari delle maggiori esportatrici cinesi hanno proprio nei tedeschi i loro maggiori fornitori, per cui la Germania può vedere positivamente il nuovo record cinese.

Infatti anche l’import cinese ha raggiunto un suo nuovo record in dicembre, raggiungendo i 112,3 Miliardi di dollari, con un balzo di ben il 55,9%.

L’impressione che se ne trae è quindi che il risultato cinese sia realmente un segnale complessivo di salute del commercio cinese e che sia strettamente connesso ai recenti piani di incentivi che sembrano abbiano favorito questo recupero.

Non solo, stesso discorso vale anche per i diversi provvedimenti a supporto degli esportatori, così come le riduzioni delle tariffe sulle esportazione che per ben 7 volte dall’agosto del 2008 hanno riguardato prodotti per un valore di 676 Miliardi di dollari e le cui imposte sono state ridotte del 16,4%.

Anche l’apertura di nuove aree di libero scambio, per ridurre le barriere commerciali e le tariffe, sembrano aver dato i loro risultati. Uteriori stimoli quindi potrebbero arrivare all'export cinese dai recenti accordi ASEAN che proprio dal 2010 interesseranno l’area asiatica con oltre 2 miliardi di abitanti e potranno fare da volano per futuri record cinesi.

Tornando ai dati dell'export cinese, si vede come l’area EU rimanga saldamente in testa, con un volume bilaterale di 364 Miliardi di dollari, seguita dagli USA e dal Giappone anche l'occidente ha subito una riduzione a doppia cifra a causa della crisi mondiale.

Ora è da vedere se tale performance cinese possa favorire l’inversione di tendenza anche per le altre economie mondiali, in una graduale e continua uscita dalle “secche” della crisi.

Anche il PIL cinese sembra comunque confermare questo recupero, visto che dopo un iniziale 6,1% su base annua del primo quarto si è avuto una prima crescita al 7,9%, per arrivare al 8,9% del terzo quarto.

Nel 2010 si attende un PIL attorno all’9%, risultato in grado di dare alla Cina nuovo slancio trainante anche alle economie mondiali.

Un risultato, quello cinese, che quindi sembra non essere indice di salute solo cinese ma anche il segno che la ripresa mondiale è qualcosa di tangibile ed è iniziata.

Una cosa l'export cinese però teme: le crescenti azioni protezionistiche di questi tempi che possono in qualche maniera minare i possibile risultati futuri.

Proprio per questo i cinesi invitano i paese sviluppati ad evitarle, per non aggravare la situazione complessiva e ridurre la speranza di ripresa, soprattutto dei paesi in via di sviluppo, Cina compresa.

Adesso la palla passa all'occidente.

venerdì 3 aprile 2009

La "rivoluzione" cinese che fa paura a Obama

faccia a faccia Hu Jintao e Obama a Londra. L’inizio di un dialogo che può aiutare gli equilibri mondiali e premessa per il discorso che Hu farà al G20, dove proporrà la “ricetta” Cinese per cercare di cambiare il corso degli eventi mondiali.

La Cina si augura nel successo del G20 in corso, attribuendo grande importanza al fatto che sia giunto il momento che le grandi potenze mondiali inizino ad ascoltare veramente e comprendano a fondo i punti di vista allargati di tutta la comunità mondiale, smettendo di decidere e deliberare su particolarismi, ormai del tutto inapplicabili, vista l’interconnessione in tempo reale dell’intero sistema economico sociale.

Parafrasando il famoso principio fisico, “un battere d’ali di farfalla nei paesi sviluppati, può scatenare la tempesta dall’altra parte del mondo”!

E ora l’altra parte del mondo è preoccupata, perché la tempesta è nei paesi sviluppati!! (Leggi)

giovedì 2 aprile 2009

Hu Jintao- Obama: l'incontro!!

A Londra, a margine del G20, si è finalmente svolto l'atteso incontro tra il presidente Cinese Hu Jintao e quello Americano Obama.

Questa è stata l'occasione per ribadire l'intenzione di entrambe le amministrazioni, di continuare a cooperare in maniera sempre più stretta, sulle principali questioni mondiali.

Obama ha anche già accettato l'invito di Hu Jintao a visitare la Cina, entro la fine di quest'anno, segnale ed impegno affinchè le relazioni tra i due paesi continuino a migliorare ecome affermato da Hu, "contribuiscano alla pace, la stabilità e alla prosperità dell'area Asiatico- Pacifico e del mondo".

I due leader si sono poi trovati d'accordo per sempre più frequenti consultazioni reciproche, anche attraverso la creazione di un "Forum China - US Strategico ed Economico" che favorisca il coordinamento tra le due nazioni, non limitandosi però solo ad un dialogo di carattere commerciale ed economico, allargandolo anche a questioni sociali, militari e tecnologiche.

Ora c'è da attendere, come del resto annunciato dal Vice Ministro degli Affari Esteri Cinese, il discorso che Hu Jintao farà durante il proseguo dei lavori del G20, discorso nel quale verranno esposte le "ricette" cinesi per risolvere la crisi in corso, crisi come sottolineato dallo stesso Obama, "è risolvibile solo attraverso un comune lavoro di tutte le nazioni, senza protezionismi e altri errori che poi portarono alla Grande Depressione".

Una apertura mentale importante, buon viatico per poter "comprendere" ed ascoltare le proposte cinesi che Hu si accinge a fare che intendono proprio "rivoluzionare" il modo fin qui seguito nella gestione degli equilibri mondiali, fino ad ora strettamente connesso con le fortune e i destini di una sola nazione: gli USA.

La posizione di Hu, appare essere molto in linea con quella fin qui tenuta da Francia e Germania, che confermano sia giunto il momento per riscrivere le regole complessive della finanza mondiale e nel contempo evitare che gli USA esportino inflazione al solo scopo di ridurre il proprio debito, scaricando sulle altre nazioni l'onere di dover sostenere le sorti della prima potenza economica mondiale, causa stessa della crisi in corso.

mercoledì 1 aprile 2009

La Cina avrà il suo Nasdaq

Ormai è evidente come Usa e Cina stiano “marcandosi” strettamente su qualsiasi questione, così come la crisi finanziaria stia aprendo ampi spazi, nei quali i Cinesi si stanno inserendo con sempre maggiore frequenza.

Non sorprende quindi che ora, la Cina voglia replicare anche uno dei successi storici della finanza americana: il Nasdaq. 

GEM il NASDAQ CINESE - Si chiamerà GEM (Growth Enterprise Market), un nome che evoca l’approccio che i cinesi vogliono avere sulla questione, una piattaforma finanziaria dedicata a supportare start-up innovative e tecnologiche.

In realtà il progetto non è nuovo, visto che fu pensato ben già 10 anni fa, ma dopo l’esplosione nel 2000 della bolla finanziaria legata alla new economy e alle dot.com, il progetto della creazione del GEM cinese, fu temporaneamente sospeso, fino ad oggi.

Basata ovviamente a Shenzhen, l’area con il più alto tasso tecnologico della Cina, il GEM cinese sarà fortemente focalizzato sulle piccole imprese a grande potenziale di crescita, con l’obbiettivo di diventare lo spazio per trovare finanziamenti e supportarne la crescita.

I REQUISITI PER LA QUOTAZIONE - Le potenziali aspiranti di questo nuovo listino tecnologico cinese, dovranno però rispettare rigorosamente alcuni parametri, quali:
  • un capitale sociale superiore ai 30 Milioni di Yuan (oltre 3 Milioni di Euro)
  • avere avuto utili per due anni consecutivi e redditività combinata di almeno 10 Milioni di Yuan (oltre 1 Milione di Euro), 
  • fatturato di almeno 50 Milioni di Yuan (oltre 5 milioni di Euro);
  • utili di almeno 5 milioni di Yuan (oltre 500.000 Euro) nell’ultimo anno fiscale, 
LA TRASPARENZA DEI DATI - Ma l’aspetto fondamentale che sta a cuore ai cinesi, è la trasparenza nella diffusione dei dati e dei risultati aziendali da parte delle imprese, così come l’efficienza dei controlli e la vigilanza che la piattaforma GEM dovrà garantire, così da evitare criticità simili a quelle di questi mesi, su quasi tutti i mercati finanziari.

Questa iniziativa, intende essere un concreto supporto alle imprese innovative cinesi ma anche il punto di partenza per la crescita di un mercato di capitali cinesi, in grado di finanziare in maniera sistematica una nuova generazione d’imprese ad alto potenziale di crescita e tecnologiche.

UN'INDICE DI BORSA CONTRO IL CREDIT CRUNCH è anche una risposta alla situazione che si è venuta a creare a causa della crisi finanziaria, dove gli istituti bancari sono diventati sempre più prudenti a concedere prestiti alle start-up, situazione che finisce anche per colpire le piccole imprese che in Cina di fatto rappresentano il 99% delle imprese e danno lavoro al 75% degli occupati del paese.

Il progetto della GEM appare anche del tutto in controtendenza rispetto a quanto sta accadendo agli altri mercati finanziari mondiali, che di fatto stanno subendo tutti forti ridimensionamenti ed accorpamenti.

La Cina sembra dimostrare, ancora una volta, come solo attraverso l’agire e la creazione di nuove innovative iniziative, si potrà sperare di superare la crisi attuale, per creare un futuro fatto si di grandi multinazionali, ma soprattutto da milioni di “invisibili” aziende che, dati alla mano, rappresentano però l’asse vero di tutte le nazioni.

L'ATTENZIONE ALLE PMI - Quello delle piccole imprese è il vero asset che il governo cinese intende salvaguardare attraverso anche questa iniziativa, cercando nel contempo, di lanciare nuove imprese in grado di diventare i leader del futuro, trainando così la crescita sia economica del paese che di competenze tecnologiche necessarie per rinnovare l’industria cinese.

Un messaggio sul quale riflettere, visto che lo scenario cinese assomiglia incredibilmente a quello italiano che anche nei suoi massimi splendori degli anni scorsi, è stato sempre strettamente collegato al successo, spesso planetario, delle proprie “multinazionali tascabili” del Made in Italy.

Le stesse che ora la Cina spera possano trovare nel GEM il proprio terreno fertile per poter diventare le solide protagoniste del crescente “Made in China” futuro.

venerdì 27 marzo 2009

No al Dollaro:una nuova moneta per il futuro del mondo!!!


La Cina sta assumendo, giorno dopo giorno, un sempre crescente ruolo nella riscrittura delle regole cardine del futuro del mondo moderno,

Fino ad ora, con la forza delle proprie esportazioni, si era imposta solo come la “fabbrica del mondo”, contribuendo non poco alla crescita economica degli ultimi decenni di molti paesi occidentali, Stati Uniti in testa.

Ora però, sotto l’incalzare della crisi finanziaria, la Cina ritiene che sia giunto il momento per riscrivere le regole della Finanza mondiale, quella che regolano i flussi di capitale ed investimenti, la base per sostenere la propria Economia reale e continuare a crescere.

Non è pertanto un mistero che la Cina sia seriamente propensa a sganciare il proprio sviluppo e quello del mondo prossimo venturo, dall’influenza del dollaro, proprio per evitare che i destini del mondo continuino ad essere legati, in maniera indissolubile, ai destini di una sola nazione.

Da qui la proposta cinese: creare una “nuova moneta” chiamata “di riserva”.

Ma questa proposta cinese, non vuole essere il preludio per l’ingresso dello stesso Yuan in detto paniere o la sostituzione del dollaro con altra valuta, ma la creazione di una NUOVA MONETA, non coniata da alcun singolo paese e patrimonio dalla Comunità Internazionale tutta, quale bene comune in grado di fornire stabilità agli scambi tra le nazioni.

Un’idea utopica?

Tutt’altro. Dall’idea alla pratica, i dirigenti della Banca Centrale Cinese hanno pertanto proposto che questa “nuova moneta” sia gestita dal Fondo Monetario Internazionale, sfruttando i già esistenti “diritti speciali di prelievo” della Fmi che basati su un paniere allargato di Dollaro, Euro, Yen Giapponese e Sterlina Inglese,  permettono già ora, di essere usati come unità di conto dal Fmi e da alcune organizzazioni multilaterali.

Questo approccio cinese, espresso dal Governatore della Banca Centrale Zhou Xiaochuan, è fortemente connesso anche al fatto che per aiutare le economie più deboli, la “nuova moneta” potrebbe consentire di sostenere molti di questi paesi, spesso ricchi di materie prime, ora “vittime” inconsapevoli delle bizze delle economie già sviluppate, che rende impossibile qualsiasi pianificazione sui lunghi periodi di cui necessitano.

Le ragioni dei timori cinesi rispetto al dollaro alla base di questa proposta, sono stati espressi di recente dallo stesso Premier Wen Jiabao, quando nella conferenza stampa a conclusione della sessione annuale del Parlamento Cinese, si era detto “preoccupato” per gli investimenti cinesi in dollari in buoni del tesoro americano.

Ma mentre tutti i commentatori internazionali hanno pensato si riferisse solo alla paura cinese per un Default USA, in realtà il messaggio cinese agli Americani era ben diverso: che non creassero le premesse per il rilancio dell’inflazione e una svalutazione delle propria moneta, per così diluire nel tempo i propri debiti con l’estero, tra cui anche quelli con la Cina.

Ma come i Cinesi vorrebbero attivare questa nuova moneta??

Lo dice lo stesso governatore della Banca Cinese: attraverso un allargamento del paniere che già compongono i “diritti speciali” di prelievo e l’atto da parte degli Stati membri di affidare la gestione di una parte delle proprie riserve valutarie al Fmi.

Questa azione, ha aggiunto il governatore Zhou, “necessita di straordinaria visione politica e coraggio” richiamando la sua posizione a quella di una proposta simile fatta dall’economista Keynes nel 1940.

In vista dell’imminente G20 di Londra, appare quindi chiaro che la Cina non intenda essere semplice spettatrice, ma soprattutto non ritiene più sia il tempo per “effetti placebo” sull’economia e finanza mondiale, ma che invece occorra agire prendendo decisioni strutturali che “cambino gli scenari” futuri, dalle fondamenta.

lunedì 23 marzo 2009

Obama vuole fare il cinese!!


Sembra proprio che un cinese o meglio un sino-americano, siederà sulla poltrona del Ministero del Commercio dell’Amministrazione Obama.

Obama, dopo il proprio record, quale primo Presidente di pelle nera e d’origine africana, sembra ora voglia bissare con il primo Sino – Americano in un governo USA.

Ma il prescelto, Gary Locke, deve ancora passare le “force caudine” delle audizioni del Senato, prima di potersi insediare in questo prestigioso incarico.

Se lo farà, da parte di Obama sarebbe un segnale forte a Beijing, sulle reali intenzioni della nuova Amministrazione americana ma soprattutto una sorta di “telefono rosso” sui temi economico – commerciali tra USA e CINA.

Infatti Gary Locke è molto ben visto dai Cinesi, tanto che gli è stato dato l’onore di essere uno dei tedofori alle recenti Olimpiadi di Beijing, lui che comunque è già stato il primo Sino – Americano Governatore di uno stato, quello di Washington, dal 1995 al 2005.

A sorpresa, decise però di non ricandidarsi per un terzo mandato da Governatore, decidendo invece di occuparsi di questioni legali in un importante studio di Seattle, nel gruppo di lavoro sulla Cina e le relazioni governative.

Scorrendo il curriculum di Gary Locke, si scopre essere comunque avvezzo ai record, visto che fin dal 1993 è stato il primo sino – americano ad essere eletto nella contea di King County e a cui è seguita quello di Governatore.

Ma soprattutto, ad interessare probabilmente Obama, sembra essere lo stretto rapporto di Locke con lo stesso Hi Jintao, tanto che si pensa ci sia stato il suo “zampino” nella decisione di Hu di aggiungere Seattle quale tappa della sua ultima visita ufficiale negli Stati Uniti,.

Questo aspetto sembra però anche essere il tallone d’Achille per Gary Locke, il punto debole che i senatori repubblicani americani potrebbero utilizzare per cercare di smontarne la candidatura, fortemente voluta da Obama, sottolineando proprio il fatto di come Locke sia stato tra l’altro consulente d’affari sul mercato cinese, per una nota azienda della zona di Seattle: la Microsoft.

Adesso c’è solo da aspettare l’esito dell’audizione con i senatori, ma sembra che tutto ciò sia un segno del destino, visto che Locke non è stata nemmeno la prima scelta di Obama e stia ora beneficiando di due precedenti ritiri illustri, quale quello del Governatore del New Mexico, Bill Richardson, ritiratosi per uno scandalo e quello recente di Judd Gregg,  per sopravvenute divergenze con il Presidente su questioni economiche.

Chissà se quale segno del destino, questo incarico possa anche essere solo il “trampolino di lancio” verso qualcosa di ancora più prestigioso: il sogno americano di un Presidente USA figlio di immigrati cinesi, una favola per oltre un miliardo di e 300 milioni di cinesi.

lunedì 2 marzo 2009

Obama Robin Hoodf o Sceriffo di Nottingham??

In questi giorni, su tutti i media occidentali, vengono rilanciati i proclami di “guerra” che Obama sembra aver lanciato al “lato oscuro” della finanza, oltretutto appena fuori i confini americani: i paradisi fiscali dei Caraibi.

Sorge però un dubbio: Obama è a conoscenza che il suo 4° finanziatore e che consente agli Stati Uniti interi di non essere già falliti, è rappresentato proprio dal sistema bancario dell’area caraibica e quindi dagli speculatori tanto “odiati” di queste ore??

Dichiarazioni analoghe sono state fatte dai leaders della EU che intendono ora stroncare il “traffico di denaro” che passa costantemente dai paradisi fiscali di tutto il mondo.

Usa e EU, di fronte alla crisi che le attanaglia, sembrano ora unite da un solo obbiettivo: intercettare i miliardi di tasse evase che per solo gli USA sarebbero stimati in 1600 Miliardi di dollari.

Alleluia. Ma poi ci si riflette un attimo e tutto ciò finisce per apparire più qualcosa di schizofrenico, visto che gli stessi “eroi” odierni, spesso sono proprietari o controllori degli enti e delle banche nazionali, che di fatto sono stati gli strumenti attraverso i quali i grandi evasori spostano denaro da un paradiso all’altro.

Adesso, con una “faccia di tolla” che ha dell’incredibile, i potenti occidentali, scoprono con “terrore” che le maggiori banche da loro controllate, hanno filiali in questo o quel paradiso fiscale, divenendo così parte del sistema di import / export di capitali, alla stregua di quanto accade nella vendita di petrolio dove è noto, la petroliera cambia bandiera e regime fiscale nel bel mezzo dell’oceano!.

Alle banche, coscienti o meglio incoscienti responsabili di tutto quello che sta accadendo, però sembra sia stata garantita l’impunità. In cambio sembrano ora diventati tanti “pentiti” che collaborano con la giustizia, denunciando senza remore i propri clienti, da loro stessi profumatamente consulenziati, come già successo per 250 americani dell’UBS.

Non solo, sarebbe a questo punto interessante sapere, visto che tutto ciò è stato approvato anche dal Governo Italiano, quale influenza potrà avere sulle “ricchezze” del Primo Ministro Berlusconi, depositate in alcuni di questi luoghi “immondi” (almeno da un mese a questa parte).

I politici fanno finta di non vedere che invece la questione che riguarda i paradisi fiscali, al di là della caccia agli untori di questi tempi, è chiaramente conseguente ad un fatto sistemico e non di pochi e “scorretti” soggetti, proprio visto il coinvolgimento di tutte le maggiori banche del mondo.

Le azioni di Obama e della EU rischiano così di rimanere sulla carta, pure intenzioni e vuoti proclami di un cambio di registro che però rimarrà utopico e privo di concretezza.

L’Italia ne è un chiaro ed evidente monito: oltre il 60% degli italiani confermano ancora oggi la propria preferenza a Berlusconi, sapendo tutto e il contrario di tutto sulla gestione della sua ricchezza, paradisi fiscali compresi.

La ragione di tutto ciò è semplice: che piaccia o no, i contenuti e l’esempio dello stesso Berlusconi trovano vasto consenso nella popolazione e non il contrario, come vorrebbe la “sterile” opposizione, perché la natura umana, signori miei, è questa.

Lo stesso vale per anche gli altri paesi occidentali, USA e Gran Bretagna in testa, che adesso sembrano volere fare i puritani, ma sembrano scordarsi che i paradisi fiscali sono stati una loro invenzione e localizzati in luoghi ad oggi ancora alcune volte sotto la loro bandiera nazionale e che beneficiano di statuti speciali.

Se l’Italia per i suoi monumenti e la storia è famosa in tutto il mondo quale meta turistica, isole belle ma insignificanti sul piano della storia, sono diventate mete turistiche che hanno attratto milioni di “turisti”, ricchi o aspiranti tali, che così hanno potuto beneficiare di questo nuova invenzione occidentale.

Addirittura, avere un conto in uno di questi luoghi è stato negli anni ruggenti uno status symbol molto ambito, alla stregua di barche, Yacht e belle donne.

Si pensi a Singapore, città stato, che ha fatto del suo emulare l’esempio della sempre decantata ed autorevole Svizzera, il proprio biglietto da visita che le ha consentito rapidamente di scalare le vette delle classifiche dei paesi più ricchi al mondo.

Quindi Obama, più che un nuovo Robin Hood, rischia di essere lo Sceriffo di Nottingham, così come la EU il Don Chisciotte della Mancia, visto che non colpiscono veramente chi ha contribuito a creare questa crisi, che di fatto escono impuniti da quanto sta accadendo, ma lanciano la caccia all’untore, scaricando tutto su altri soggetti ben lontani, genericamente chiamati “paradisi fiscali”, solo per recuperare nuove tasse e continuare come prima.

Meglio sarebbe stato agire sul sistema e le cause profonde, quali le strette relazioni tra politica e finanza, dove la prima è costretta a cercare fondi per farsi eleggere e gestire il proprio consenso e la seconda che finanzia, lecitamente o meno, per cercare di ottenere vantaggi nel proprio agire ed avere appoggi, coperture, su questa o quella situazione.

Da ciò è evidente che ora la situazione sia di profonda fibrillazione, visto che non solo gli imprenditori stanno subendo strette finanziarie delle banche, ma anche la politica è costretta a fare i conti con la difficile situazione in cui si trovano i propri finanziatori.

Quindi invece di ridurre, tagliare, modificare l’approccio della gestione in casa propria, si è pensato bene di fare guardare altrove, indicando nei paradisi fiscali le ragioni profonde di un cancro che invece è interno ai paesi occodentali, visto che le invenzioni di questi spazi, al di sopra delle leggi, ma possibili per legge, sono frutto della capacità ed inventiva di molti manager occidentali e non dei diversi paesi che alla fine, si sono solo prestati a questa “triangolazione”.

Una ipocrisia che lascia poco tranquilli, visto che appare evidente che si sta cercando solo di “giustificare” piuttosto che curare profondamente.

Il resto è solo il tentativo di far passare una “favola”, quella di quando “gli eroi occidentali che di fronte alla crisi, causata dalle proprie idee di liberalizzazione, circolazione delle merci e capitali, distrussero il drago della “speculazione” annidato nei paradisi fiscali!!

Speriamo non si debba aggiungere a ciò un tragico finale: “…perendo essi stessi in questa “eroica” azione, scoprendo con sconcerto, che il drago e gli eroi, alla fine erano la stessa persona”.

martedì 28 ottobre 2008

Il Ritorno del Dragone d’oro!

Premessa: "Il significato cinese di Cina è “paese di mezzo” appunto, Zhong Guo -中国."

Mentre il mondo occidentale piange e si dispera cercando di tamponare le “falle” del proprio sistema finanziario, sperando così di non affondare, nello stesso momento, in Cina si definiscono le nuove rotte per continuare a crescere, magari meno, ma continuare a crescere.

Un interessante paradosso di questi tempi.

Per capirci, da queste parti sono preoccupati per un rallentamento della crescita economica, passata dal 10% al 9%, quando noi faremmo salti mortali dalla gioia se riuscissimo a crescere anche solo dello 0,1%!

Comunque sia, dopo quanto sta accadendo in tutto il mondo e i rovinosi effetti causati soprattutto dal crollo del mercato immobiliare USA, i cinesi sono corsi subito ai ripari per arginare eventuali “contaminazioni”.

Mercato cresciuto nell’ultimo decennio in maniera esponenziale, negli ultimi periodi il mercato immobiliare cinese aveva iniziato a manifestare comunque pericolosi rallentamenti.

Da qui l’intervento di queste ore del governo cinese, con una serie di misure che entreranno in vigore dal 1° Novembre e che intendono favorire la stabilità del mercato della casa in Cina, che dopo il commercio estero, rappresenta il maggiore driver della crescita economica del paese.

In particolare le nuove misure introdotte interessano l’imposta di bollo sulla proprietà, passata dal 3-5 percento all’1% per le case più piccole di 90 metri quadri e il minimo da versare per l’acquisto della prima casa, che indipendentemente dalla dimensioni, scenderà al 20% dall’attuale 30%.

Quest’ultima misura autorizza quindi le banche a fornire prestiti garantiti fino all’80% sul valore dell’immobile da comprare.

Ma non solo, nel decreto governativo è stata rimossa anche l’imposta di bollo che era del 0,05% e la tassa sul valore aggiunto dei terreni, limando ulteriormente gli svantaggi fiscali per i proprietari di casa.

A queste misure si sono però aggiunti anche consistenti investimenti (1 trilione di Yuan) per sostenere la costruzioni di case a prezzi più accessibili, in grado quindi di favorire l’accesso alla prima casa anche alle fasce meno abbienti del paese.

La ragione di questo agire è evidente: 2 /3 della popolazione cinese si trova in questo periodo a dover effettuare il proprio “salto di qualità”, favorito dalla continua crescita economica del paese e la casa è il bene fondamentale a cui ogni famiglia cinese aspira.

La leva delle ricchezza dei cinesi sta proprio in questo bene primario e un mercato stabile in grado di favorire un concreto consolidamento per tutte le famiglie cinesi è, in questa fase, strategico per la Cina proiettata nel proprio futuro di potenza economica.

Le manovre di questi giorni sono comunque senza precedenti, di portata simile a quelle introdotte dall’ex primo ministro Zhou Rongji e che diede il via politica della privatizzazione delle case e la riduzione delle imposte per la edilizia abitativa.

Nel contempo, a Shanghai è stata elevata ad un quinto la quota di ipoteca massimale a carico del fondo per gli alloggi, fondo nel quale, impiegati e datori di lavoro, mensilmente versano denaro in cambio di tassi di interesse più bassi.

Questa mossa di Shanghai, intende contribuire l’accesso garantito a prestiti più grandi di quelli attuali.

Se nelle città la leva della casa è quella che ha creato le basi dell’attuale classe media cinese, ora tutto ciò si potrà ripetere anche nelle campagne, alla luce della nuova “riforma nelle campagne” che consentirà anche ai contadini di divenire proprietari dei propri appezzamenti e cedere l’uso dei terreni.

Questo aspetto produrrà un doppio beneficio: da una parte consentirà ai contadini di ottenere un profitto dalla compravendita di suddetti diritti, con il quale potersi trasferire nelle Città, dall’altra i terreni potranno venire acquistati da imprese per essere lavorate su larga scale, così da aumentarne l’attuale produttività.

Ma non solo, di contorno sono stati abbassati i tassi di interesse sui prestiti, in modo da favorire le imprese in un momento difficile come questo e nel contempo sono cresciute le detrazioni fiscali per gli esportatori su 3486 prodotti, per ridurre gli impatti della crisi commerciale nei paesi occidentali.

L’impressione finale che se ne trae è che, mentre i paesi occidentali stanno facendo i conti con il proprio “artificioso” sovradimensionato economico, la Cina abbia invece ampi margini di manovra non solo per continuare a crescere, ma per consolidare la propria attuale crescita, potendo fare da traino e salvagente alle “scoppiate” economie “ occidentali.

E’ la storia che ritorna, di quando 150 anni fa la Cina era la prima potenza economica al mondo.

giovedì 23 ottobre 2008

Berlusconi finalmente a Beijing!

Visita delicata e tutt’altro che di circostanza per Berlusconi, arrivato oggi a Beijing per partecipare ai lavori dell’ASEM (Asia – Europa Meeting) il 24 e 25 Ottobre.

Assenti gli Stati Uniti, paese da cui è iniziata l’attuale crisi finanziaria mondiale, 27 leaders europei. Cina, Giappone, India e altri 13 paesi asiatici, stanno discutendo su come cercare di farne fronte.

La parola d’ordine sembra essere una sola: Cooperazione.

Che si sia in una fase molto delicata degli stessi equilibri mondiali, appare evidente dal fatto che la crisi finanziaria, di una gravità senza precedenti, rischia anche di aggravare e complicare ulteriormente la soluzione dell’altra priorità mondiale che mette a repentaglio l’intera umanità: il Cambiamento climatico.

La sensazione che infatti si trae è che, di fronte al malato Usa che rischia di contagiare tutti, la priorità dei paesi asiatici, sia ora solo quella di evitare che la pandemia finanziaria possa diffondersi oltre in tutto il pianeta.
Ma non solo, nella costruzione del futuro mondiale, i paesi asiatici sembrano volere dire la propria e pretendono ora di essere co-protagonisti nella necessaria ridefinizione delle nuove regole per i mercati finanziari.

A prescindere quindi dalle frasi di circostanza che precedono i prossimi lavori dell’ASEM di Beijing, questa appare essere la vera ed unica questione centrale che sta realmente a cuore di tutti i paesi asiatici presenti a questo meeting di Beijing.

Il richiamo ad una “pragmatica collaborazione per assicurare il ritorno all’ordine sui mercati internazionali” fatto ai paesi EU da parte dal Vice Premier Cinese Xi Jiaping alla cerimonia di apertura dell’11° Asia – Europa Business Forum che anticipa l’ASEM, appare quanto mai significativo e un chiaro distinguo tra cause e causatori.

Nessuna delega in bianco sarà quindi data in futuro ai paesi occidentali che dai paesi asiatici sono considerati, direttamente o indirettamente, tutti “corresponsabili” di quanto sta succedendo a livello mondiale.

La situazione causata dal caos finanziario di questi tempi è talmente grave che ha finito per provocare la modifica dell’agenda dei lavori dell’ASEM che doveva essere totalmente concentrata su “cambiamento climatico e sviluppo sostenibile”.

Un netto ribaltamento dell’atteggiamento Europeo di questi giorni, la sintesi del diverso approccio sulle cose tra Ovest ed Est, la fotografia degli attuali equilibri (squilibri) mondiali e dei potenziali contrasti futuri tra paesi sviluppati e in via di sviluppo.

In una battuta è come se gli asiatici, oltre a sentirsi ingiustamente addittati quali inquinatori del mondo, con le fabbriche frutto della selvaggia delocalizzazione dei paesi sviluppati che ha creato rilevanti vantaggi finanziari ad occidente, ora sentano di rischiare gli sforzi e i sacrifici fatti fino ad ora, dall’irresponsabile approccio sociale e finanziario, attuato dai paesi sviluppati negli ultimi decenni.

Detto ciò, appare quindi evidente come Berlusconi, lo stesso che ha posto in queste ore un “freno” all’atteggiamento Europeo di risolvere prima la questione ambientale e poi “incrociare le dita” su quella finanziaria, troverà a Beijing una buona sponda proprio nei paesi asiatici e la Cina in primis, per poter continuare in Europa, nella propria pragmatica azione in risposta alle emergenze mondiali di questi giorni.


mercoledì 1 ottobre 2008

Mercati,Fiducia Sfiduciata!


I mercati finanziari, commerciali e tutte le relazioni d’affari si basano sulla certezza e “trasparenza” delle regole applicate.

Ma la vera ed unica protagonista che ha consentito ai diversi mercati di crescere in questi decenni di capitalismo, è la fiducia.

E’ stata la leva per cui si è finito per barattare tutto con tutto e qualsiasi cosa: semplici pezzi di carta, le intenzioni future, le prospettive future, le speranze future.

La “brochure della fiducia” ha così condiviso a livello planetario, l’idea che il mondo potesse essere proiettato verso una irresistibile continua “crescita”: dei PIL dei paesi, dei consumi interni, del mercato immobiliare, dei mercati finanziari, della ricchezza delle persone che si sono così trovate i portafoglio pieni di “fiducia”.

Ma in questa catena di Sant’Antonio, basata tutta sulla “fiducia”, alla fine si è arrivati a dover fare i conti con una realtà ben diversa: il payback (il saldo) .

In quel preciso momento, il valore del barattato, monetizzato, prestato, rateizzato, si è come “volatilizzato”, non essendo mai realmente esistito, sparito come la nebbia all’arrivo della prima brezza.

Tutto ciò ha scoperchiato e mostrato come aziende, banche, finanziari, imprenditori, realmente finanziassero la propria crescita, vendendo solo vuota “fiducia”, travestita d’affari e finanza: la “Crazy Economy”.

La leva della fiducia, che per molti economisti ed operatori finanziari si è trasformata in vera e propria fede, ha portato quasi tutti a confondere la realtà con un sogno, allontanandosi così definitivamente dal vecchio modo di creare valore, attraverso il baratto di beni primari con altrettanti beni primari.

La finanza ha così finito per condizionare l’economia, trasformando il debito, figlio della fiducia, in uno strumento finanziario fondamentale che ha permesso di acquisire beni basati essi stessi sulla fiducia, in un circolo vizioso che ora si scopre senza fine.

Comunque sia, la trasformazione del ruolo strategico della fiducia nelle economia è databile al 1974, il momento dello scollegamento tra valore del dollaro con quello dell’oro ed argento.

Recentemente poi la rete e la “Moneta elettronica”, dalla fine del ’90 ha dato alla “fiducia” l’infrastruttura necessaria per globalizzarsi e trasformarsi in moneta vera.

Ma ora l’economia si è accorta che di sola ”fiducia” non si mangia e quindi ha chiesto in cambio il controvalore reale, necessario per sostenere questa fase congiunturale.

Il problema è che la fiducia non ha alcun “concambio reale”, per cui ora occorre iniettare alla fonte valuta vera, per cercare di pagare il “castello di fiducia” che ora si scopre con orrore, non ha più alcun valore, essendo ora sfiduciata.

Gli USA stanno cercando di iniettare 700 Miliardi a copertura dell’eccessiva fiducia venduta fino ad ora, così come le banche mondiali continuano ad iniettare miliardi ogni giorno sui mercati finanziari.

Ma il vero problema è che ora si scopre che nessuno sappia realmente quanta “fiducia” sia stata usata nello sviluppo di molte economie occidentali.

E questo è il vero dramma, la consapevolezza di scoprire che tutta questa “economia” sia solo un “disegno finanziario”, una illusione a cui tutti hanno creduto ciecamente, abbagliati come erano da tanta circolante fiducia.

Lo stesso Bush, l’uomo più potente della terra, ha capito solo ora quanta sfiducia lo circonda, dopo aver contribuito a vendere al mondo intero vagonate di “fiducia” per un futuro migliore per tutti.

That’s reality!

martedì 23 settembre 2008

Crac Lehman Brothers: 40.000 investitori a rischio

Leggo oggi sul Corriere che anche in Italia esiste il concreto rischio per 40.000 investitori:

«...A preoccupare non è solo l'esposizione diretta di banche e assicurazioni italiane che hanno acquistato azioni e obbligazioni del colosso americano - spiega l'associazione dei consumatori -, ma è soprattutto il numero dei clienti che hanno nei portafogli bond, prodotti strutturati e polizze index linked legati alla banca americana. Quarantamila cittadini che rischiano di veder bruciati oltre 1 miliardo di euro investiti...».

Ben diverso scenario dalle precedenti valutazioni di molti banchieri sul "basso (quasi nullo) impatto di questo Crac anche in Italia"....

E l'onda lunga ancora non è finita .... "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio!"
Ma non solo:
"LEHMAN: DAGLI UFFICI EUROPEI SPARITI 8 MILIARDI PRIMA DEL CRAC…
Hugo Dixon per “La Stampa”
Che cosa è successo agli 8 miliardi di dollari di Lehman Europe? I banchieri europei del broker sono indignati per il trasferimento di 8 miliardi alla casa madre effettuato pochi giorni prima del crac.
Sono inoltre seccati dal fatto che i grandi capi di New York, tutt'altro che estranei alla gestione della banca prima del fallimento, stiano ricevendo generosi bonus come incentivo per passare a Barclays.
L'impatto di questo trasferimento di liquidità è stato pesante per la società europea, che lunedì scorso non ha potuto aprire i battenti perché completamente a secco di denaro liquido. Le sue prospettive di sopravvivenza non sarebbero cambiate di molto, ma alcuni clienti potrebbero subire una perdita finanziaria.
In più, i dipendenti rischiano di non ricevere un trattamento pensionistico decente se l'interessamento di Nomura non dovesse concretizzarsi.
Le domande chiave sono due: chi ha operato il trasferimento, e perché?
Una prima linea di indagine cercherà presumibilmente di appurare se la casa madre abbia saccheggiato la consociata europea perché stava esaurendo completamente i fondi. Secondo fonti ben informate, una grande banca americana avrebbe congelato un deposito di Lehman per 13 miliardi di dollari in titoli e contanti a metà settimana, poco prima del crac. Le stesse fonti sostengono che giovedì sera, alla vigilia del fallimento, la stessa grande banca avrebbe richiesto altri 5 miliardi di dollari entro il giorno successivo, presumibilmente come una sorta di margin call, e che li avrebbe puntualmente ricevuti.
I banchieri europei sono inoltre infuriati per i bonus che i vertici più anziani del quartier generale Usa stanno ricevendo come incentivo per entrare in Barclays.
È naturale che Barclays desideri mantenere alcuni membri chiave del management, ma è difficile accettare che le stesse persone che fino al giorno del crac sono state responsabili della gestione dell'istituto debbano ora godere di ulteriori benefici. se le notizie fossero vere, si aprirebbe un nuovo capitolo nero in questa crisi."
Alla faccia dell'etica negli affari!!!