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giovedì 16 ottobre 2014

L'Hub cinese in Italia cresce e la tua azienda è subito in Cina!

(By Taste of Italy - Qiao Lab Shanghai)

Bergamo, 9 Ottobre 2014 - Nell'ambito delle attività di sviluppo dell'Hub cinese con base a Bergamo (Link), ora le aziende italiane possono interagire con le sue funzioni e strutture attraverso il pannello all'indirizzo http://bedesk.biz e beneficiare dei seguenti vantaggi operativi:

  • hanno accesso diretto alla nuova Free Trade Zone di Shanghai (FTZ) e così possono beneficiare dei vantaggi vigenti in materia fiscale, extradonganale e di gestione semplificata della procedura doganale, per i propri prodotti, con completo supporto logistico.
  • possono gestire la commercializzazione / distribuzione multi-distributore / multi-canale dei propri prodotti con supporto diretto in Cina (B2B e B2C)
  • possono utilizzare i diversi canali e-Commerce Cinesi (Tmall, JD etc..) in maniera combinata tra loro, direttamente come azienda cinese e non come azienda straniera, ottimizzando i costi di gestione di startup ed operativi.
  • possono gestire l'importazione e l’esportazione dei prodotti da e per la Cina direttamente senza bisogno di terze parti / intermediari, con notevole vantaggio economico.
  • possono usufruire di una serie di utili servizi quali: gestione del magazzino, partecipazione a fiere, eventi ed esposizioni, traduzione, registrazione marchi e brevetti, assistenza di professionisti, tailored virtual office, ricerca di partners/finanziatori
  • possono creare proprie reti di negozi / insegne direttamente, senza la necessità di attivare alcuna società in Cina ed evitando i problemi burocratici di startup e gestione day by day
  • possono gestire la comunicazione, la promozione, l'adverstising sia tradizionali che digitali ( Web, Social, e-commerce) dei propri prodotti / marchi direttamente in Cina come azienda cinese, avendo vantaggi sia in termini di gestione dei costi e potendo integrare tali azioni direttamente all'azione distributiva e commerciale paese
  • possono usufruire del programma Alliance per la distribuzione sui canali e nei corners Taste of Italy (Link Alliance)
  • possono essere inserite sul eprocurement Taste of Italy (Link Taste of Italy)
Grazie al BE-HUB Cina-Italia di Bergamo, l'azienda italiana attiva un canale diretto con la Cina che le consente di abbattere drasticamente i costi e nel contempo, massimizzare i propri vantaggi operativi!

Per maggiori informazioni (Link Taste of Italy)
o scrivere alla email
Taste ot Italy è divisione della società cinese Qiao Lab Group con sede a Shanghai (http://qiaolab.com/ita)

lunedì 9 settembre 2013

Firmato accordo con secondo gruppo agroalimentare cinese per la distribuzione di prodotti Made in Italy in Cina

Dall'accordo in esclusiva tra le società cinesi Taste of Italy (Qiao Lab Group) e la Shanghai Haibo Group, società governativa logistico / distributiva del gruppo Bright Food, il secondo gruppo agroalimentare cinese, nasce Taste of Italy Alliance Buying Team.

Taste of Italy Alliance Buying Team è nella sostanza una piattaforma di acquisto (Buying platform) basata in Cina, un team misto tra le due società che ha come missione quella di selezionare le migliori eccellenze del Made in Italy agroalimentare per poterle distribuite sia sulla rete dei negozi del gruppo Bright (oltre 3.300 punti vendita) che nei supermercati ed e-commerce partner del progetto.

Le aziende italiane selezionate potranno così, da un lato disporre di un sistema logistico / distributivo dedicato di alto profilo su cui contare direttamente in Cina e contemporaneamente, accedere al programma di screening e promozione Alliance che in sinergia con i diversi punti vendita, possa supportarne i brand e i prodotti sul mercato e favorirne così la vendita.

Tre le fasi che caratterizzano il programma Taste of Italy Alliance Buying Team:

1) pre-selezione (accreditamento):
sulla base delle indicazioni e richieste emerse negli incontri programmatici con i canali distributivi e vendita partner del progetto, vengono selezionate le aziende che rispondono ai requisiti ritenuti vincolanti per poter essere inseriti nel catalogo Alliance.

2) test mercato (market screening):
le aziende che avranno superato la pre-selezione, saranno coinvolte in un primo test di mercato da effettuarsi in una selezione di punti vendita, così da poter verificare la risposta dei consumatori cinesi, raccogliere le indicazioni utili e valutare i punti di forza e/o gli eventuali interventi necessari sul prodotto / packaging.

3) distribuzione
Successivamente al test di mercato e sulla base delle valutazioni e richieste raccolte dai diversi canali e punti vendita, verrà concordata con il singolo produttore la strategia distributiva in termini di quantità che sarà acquistata da Taste of Italy Alliance Buying Team, le modalità operativa utilizzate, le condizioni finanziarie, pagamenti e tutti i dettagli logistici e contrattuali connessi.

Parecchie poi le novità in merito alle azioni sul mercato cinese che saranno sviluppate potendo fare leva sulle competenze, le infrastrutture logistiche e tecnologiche di cui dispongono i due partner cinesi, in un approccio combinato multicanale che possa favorire un sempre maggiore contatto tra i prodotti Made in Italy e il consumatore cinese, sia nei negozi reali che negli ambienti digitali, e-commerce e social.

Fondamentale sarà anche la sinergia tra le aziende italiane e l'Alliance Buying team, per così poter cooperare assieme nel trasferire il valore dei prodotti e delle aziende selezionate, sia nella fase commerciale che in quella promozionale e poter lavorare congiuntamente sulla definizione e preparazione dei packaging ed etichette più adatti al mercato, in una "costruzione prodotto" che è uno degli elementi caratterizzanti il progetto Taste of Italy Alliance.

Un gioco di squadra per aiutare concretamente le aziende del Made in Italy a competere direttamente sul mercato cinese, supportate e sostenute da partner cinesi affidabili e di alto livello, tagliando tutti i costi di infrastruttura e gestione operativa, in una azione di creazione e riconoscibilità del brand / prodotto da parte del mercato per così favorirne la crescita della domanda e quindi la vendita.

Le aziende interessate ad aderire al progetto Taste of Italy Alliance Buying Team possono farlo scrivendo al seguente indirizzo email: alliance@tasteitaly.biz.

Maggiori informazioni sul programma Taste of Italy Alliance si possono trovare all'indirizzo: http://tasteitaly.biz/alliance

giovedì 9 giugno 2011

Buon giorno Italia! La Cina sotto l'acqua, che vuole mangiare meglio, unirsi a Taiwan, e sostenere le PMI in crisi!!

(Pubblicato su Affari Italiani)

Buon giorno Italia,

per prima cosa il tempo: oggi la Cina si appresta ad entrare nella "stagione delle pioggie" (una buona notizia) ma precocemente al normale (una brutta notizia? altro effetto dei cambiamenti climatici?).

Comunque si spera sia qualcosa di salutare, visto che 1/3 del paese ed alcuni dei più grandi laghi e fiumi, non sanno più cosa sia un goccio d'acqua. I terribili effetti di una siccità che non si vedeva da decenni!

Oltre a questo, a tenere banco in queste ore sono ancora le questioni economiche globali, World bank annuncia una crescita del 9,3% del PIL Cinese ed alimentari.

Il problema della sicurezza alimentare ormai è il tormentone che dimostra come il paese sia entrato in una nuova fase di sviluppo, quella del benessere e di chi è sempre più attento alla propria salute.

A questo va aggiunto come l'impatto dell'inflazione sui prezzi, contribuisca ad alimentare la crescita del già grande mercato del "sotto costo e di scarsa qualità, ma che ora rischia di diventare una emergenza sanitaria, visti i rischi sulla salute pubblica che può provocare.

Nel paese manca completamente una cultare in grado di distinguere il salubre dall'insalubre, visto che fino ad ora nella scelta di cosa mangiare, l'unico criterio tradizionalamente utilizzato è il prezzo. Questo atteggiamento è  connesso al fatto che il cinese medio considera aprioristicamnete tutti i prodotti sul mercato di pari livello, buoni e controllati.

Da qua la vera e propria battaglia che è stata ingaggiata agli additivi non a norma, ai criteri di conservazione e date di scadenza non rispettati e così via, di una lista lunghissima di irregolarità quotidiane, fatto di abitudini spesso ormai consolidate, tipiche del passato di povertà che la Cina si sta laciando alle spalle.

Altra notizia del giorno è nel campo turistico e la prossima liberalizzazione dei viaggi a Taiwan per turisti singoli in partenza da certe città (Beiing, Shanghai, Xiamen). Comunque un ulteriore passo verso una sempre più stretta relazione tra i due paesi e che nei prossimi decenni potrebbe portare alla tanto auspicata "soluzione", come è stato per esempio per Hong Kong e Macao.

Sul piano invece economico, crescente è l'attenzione alle PMI cinesi che a corto di capitali ( e spesso di clienti) ed ora anche sotto la spada di Damocle della crescente inflazione interna, fanno sempre più fatica a finanziare le proprie attività.

Da questa situazione di "crescente tensione", l'azione governativa a supporto, con alcuni interventi legislativi che intendono favorire una crescente disponibilità di liquidità per le PMI, interventi che passano attraverso una sostanziale ristrutturazione del settore del credito, con tanto di creazione di banche o branch specializzate sulle PM in tutto il paese.

"Ma i soldi non bastano" è il messaggio del Governo alle imprese : "occorre che vi innovate e concentrate i vostri capitali soprattutto per creare nuovi prodotti sempre più di alto profilo, altrimenti queste misure non basteranno!!"

Alla prossima da Shanghai!!

martedì 31 maggio 2011

Dal “Palazzo dei luoghi” al “Consorzio delle reti”

Dopo che negli ultimi 5 anni con le nostra attività (e faccia) abbiamo sostenuto quotidianamente la causa dell’ex Palazzo Lombardia di Shanghai, con il preciso obbiettivo di favorirne una sua significativa innovazione ed integrazione con il sistema italiano a supporto delle aziende italiane in Cina, terminato l’EXPO, abbiamo deciso che fosse giunto il momento di “girare pagina” e poterci liberamente creare un nuovo contesto più attuale ed innovativo a supporto del “Made in Italy”, una scelta riassumibile con la battuta “dal Palazzo dei luoghi al  Consorzio delle reti”.

Andando così oltre le motivazioni che ci avevano convinto per tutti questi anni a “mettere la faccia” (e i  progetti) sulle attività del Palazzo Lombardia ed abbandonata la “staticità” di un luogo che  troppo spesso si è dimostrato essere più un ostacolo che un valido supporto alla nostra azione, ci siamo potuti riconcentrare sugli obbiettivi originari definiti fin dal mio arrivo in Cina: l’idea che si potesse amplificare il business tradizionale delle aziende attraverso l’uso delle tecnologie della comunicazione digitale.

Detto, fatto, quale primo passo operativo, abbiamo quindi dato vita ad un nuovo e più attuale spazio d’azione che questa volta partisse dalle logiche di progetto ed attività e che non rappresentasse un luogo prima di tutto di interessi.
E’ così nato nei mesi scorsi il Consorzio Italian Center, progetto concentrato attorno ad una semplice ma chiara missione: essere “spazio” agile ed indipendente che interconnetta tra loro le reti delle professionalità, aziende ed associazioni, con l’unico focus di ideare, creare, innovare e realizzare piattaforme di business a concreto supporto delle aziende nella loro azione commerciale e di business internazionale.

Tre gli aspetti qualificanti del nuovo Consorzio: il primo riguarda l’utilizzo sistematico delle tecnologie e delle piattaforme digitali in tutti i progetti consortili. Il secondo l’utilizzo della“leva” del digitale per creare un’infrastruttura “distribuita” agile e leggera, attraverso la connessione tra loro dei diversi spazi fisici dei partner. Terzo, sfruttando questo diverso approccio e metodo organizzativo, agire non solo sul mercato Cinese ma anche in altri mercati internazionali, a partire dai “complementari a quello Cinese” quali India e Brasile.

Ed è così che in pochi mesi, siamo riusciti a dare forma ad un primo progetto fortemente innovativo nel Food & Beverage “Made in Italy”, denominato“Taste of Italy” che ha confermato la validità delle scelte fatte e del nuovo metodo utilizzato.
Infatti, attraverso la cooperazione attiva tra i partner coinvolti ma soprattutto attraverso l’uso di un innovativo approccio Cloud B2B, applicato per la prima volta in un settore abituato ad agire in maniera decisamente tradizionale,  “Taste of Italyconsente ora ai produttori del “Made in Italy” di vendere direttamente sul mercato  cinese  ed asiatico con un semplice Click!

Un approccio tipicamente utilizzato dalle multinazionali del Food & Beverage delle altre nazioni, ora a disposizione delle imprese italiane dell’agroalimentare nostrano, spesso troppo piccole per poter competere sui mercati internazionali.

Ma “Taste of Italy” non è solo tecnologia digitale, essendo a tutti gli effetti una piattaforma logistica / distributiva completa e dove si è posta grande attenzione nella gestione delle tecnologie della catena del freddo che rappresenta uno degli elementi fondamentali se non determinante, per il successo del prodotto di qualità Made in Italy sui mercati orientali che ancora non possiedono le competenze necessarie per una corretta conservazione e distribuzione.

La scelta di partire da questo mercato non è casuale, visto che oltre a consentirci di fare tesoro delle esperienze degli anni precedenti, è caratterizzato da una grande complessità ed un alto tasso tecnologico, una scelta che ci ha consentito di sviluppare una piattaforma logistico / distributiva ora declinabile su qualsiasi altro mercato ed Industry.

Progetti, innovazione e cooperazione sono quindi le basi fondanti del Consorzio Italian Center, lo spazio di cooperazione tra i diversi luoghi ( aziende, associazioni, organizzazioni …) totalmente proiettato al futuro, l’inizio di una sfida che sarà portata avanti con nuovi e sempre più innovativi strumenti, così da poter contribuire ad una sempre maggiore affermazione del “Made in Italy” sui mercati cinese ed asiatici.

Un progetto comunque aperto ai contributi ed ai supporti di chiunque crederà che questa possa essere la strada giusta per dare nuovo lustro al “Made in Italy” in Cina in Asia (e nel resto del mondo).

L’inizio di un percorso in discontinuità con il passato ma di continuità con quanto di buono è stato comunque da noi pensato e sviluppato  in questi anni e che possa contribuire a valorizzare le diverse componenti ed organizzazioni pubbliche e/o private che vorranno essere coinvolte ed alle quali offriamo fin d’ora il nostro totale supporto.

Una sfida italiana che parte dalla Cina, a partire dai contenuti e valori che il mondo ci riconosce ma che troppo spesso non sembrano essere stati in grado di ripagare a sufficienza in termini economici le competenze di cui dispongono molte delle nostre imprese italiane.

Un modo concreto per rispondere alla domanda: “cosa possiamo fare per contribuire attivamente ad un maggiore benessere e competitività delle imprese italiane nel mondo?

L’entusiastica adesione di queste settimane delle aziende italiane al progetto Taste of Italy”, appare un primo chiaro segnale che ci incoraggia a continuare con rinnovato entusiasmo ed aumentare il nostro impegno per un sempre più concreto supporto del “Made in italy” in Cina e nel mondo.

Detto questo, aderire al Consorzio Italian Center con la tua azienda / professionalità e così poter proporre / sviluppare assieme nuovi ed innovativi progetti sul “Made in Italy” è molto semplice: basta un click!
A presto a tutti voi…

giovedì 28 gennaio 2010

Vino, il “sentiment” delle cantine eccellenti per il 2010


Come lo vedono il 2010 le eccellenze Italiane vinicole? 

Mediamente meglio del 2009, ma da un sondaggio che ha coinvolto le più importanti.

Ecco i dati del sondaggio di Winenews: "SONDAGGIO WINENEWS - PER LE 25 AZIENDE VITI-VINICOLE PIÙ IMPORTANTI D’ITALIA (PER STORIA, VOLUME D’AFFARI, IMMAGINE) FATTURATO 2009 IN CALO, DAL 5% AL 10%. “SPACCATO” IN DUE IL “SENTIMENT” SUL 2010 (NEGATIVO/ABBASTANZA POSITIVO)

Il 2009 è all’insegna del calo nei fatturati tra il 5% e il 10%, ma con qualche azienda che ha registrato diminuzioni anche più rilevanti. Il “sentiment” generale sul 2010 del mondo del vino che spacca il campione in due tra chi lo percepisce come abbastanza positivo e chi, invece, come negativo. E’ il risultato del sondaggio che ha chiesto a 25 aziende viti-vinicole più importanti d’Italia per storia, volume d’affari, immagine di tracciare un possibile scenario previsionale.

Guardando “in casa” propria, le aziende scommettono decisamente sulle proprie potenzialità, evidenziando un “ottimismo della volontà” in grado di sconfiggere il “pessimismo della ragione”: il 63% si aspetta un 2010 abbastanza positivo e il 37% positivo. A sostenere questo ottimismo le previsioni sul fatturato 2010, che indicano, nel 75% delle risposte, un fatturato in crescita e nel 25% almeno una stabilità delle entrate. L’export continuerà a rappresentare un punto di riferimento anche per il 2010, con una medesima percentuale (75%) che lo stima in crescita, e un 25% che, invece, lo prevede stabile.

Il 2010 si presenta, dunque, come un anno che potrebbe sancire una ripresa, se non ai ritmi di crescita del 2007, almeno capace di compensare l’erosione dei margini avvenuta nel 2009. Le 25 cantine ritengono, però, che il 2010 sarà un anno da monitorare con particolare attenzione per comprendere fino in fondo l’entità della ripresa, anche se, da più parti, i primi sei mesi vengono valutati come durissimi, proprio perché rappresentano il momento più delicato del possibile assestamento.

Quello che preoccupa di più gli imprenditori del vino italiano è la perdurante sovrapproduzione che continua a non essere completamente assorbita (46%), la debolezza dei consumi, soprattutto interni (32%), l’incertezza sul futuro (15%), le incognite economiche e la perdita di competitività internazionale (4%), seguite dalla concorrenza degli altri Paesi produttori e dai problemi valutari (3%).

Ma le 25 aziende viti-vinicole più importanti d’Italia per storia, volume d’affari, immagine sondate hanno indicato anche una sorta di “ricetta”, “per affrontare con maggiore sicurezza il 2010, che, senz’altro, ha come parola d’ordine la sinergia. Ricercare coesione fra tutti gli operatori della filiera e unire le forze dei vari protagonisti del mondo del vino, dalle istituzioni ai produttori, dai comunicatori a chi il vino lo vende, perché finalmente il cosiddetto “sistema Italia” sviluppi azioni effettivamente concrete, sembra ormai un’esigenza non più procrastinabile”.

Di più, il campione analizzato da WineNews, quasi all’unanimità, indica necessaria addirittura “la costruzione di una strategia condivisa fra le stesse imprese, volta a determinare un peso specifico del comparto vitivinicolo del Bel Paese decisamente più importante e capace di rendere soprattutto la promozione sui mercati di tutto il mondo più incisiva e costante”.

sabato 23 gennaio 2010

Zaia: che Ministro!!


La visita ufficiale del Ministro Zaia è appena terminata ed è tempo di valutazioni e di bilanci.

Sicuramente ha lasciato due tracce importanti dietro di sè: un accordo quadro di concreta collaborazione a 360° sull’agro-alimentare tra Italia e Cina ed un metodo, un approccio condiviso per il futuro.

Per quanto riguarda gli accordi sottoscritti e le implicazioni connesse, questi sono stati riassunti dallo stesso Ministro nel suo incontro con gli operatori dell’agro-alimentare Italiana e Cinese di Shanghai, incontro organizzato dal Consolato Generale Italiano di Shanghai e alla presenza dell’Ambasciatore d’Italia Sessa.

Lasciati da parte i convenevoli, gli annunci e le promesse, in 10 dicasi 10 minuti, ha così riassunto la situazione di quelli che lui ha chiamato “ i nostri dossier con la Cina”:

  • quelli chiusi ( Kiwi, Prosciutto crudo), 
  • quelli da chiudere entro marzo ( importazione degli agrumi), 
  • quelli da risolvere al più presto ( Prosciutto cotto), 
  • attività da organizzare con il ministero cinese per i prossimi mesi
  • Campagna per la qualità del food,
  • Sicurezza e tutela alimentare,
  • Scambi scientifico-tecnologici per una agricoltura sostenibile, 
  • Forum agro-alimentare Italo – Cinese entro l’estate 2010,  
  • la definizione del progetto del centro sulla sicurezza alimentare Italo - Cinese.
   
Per quanto riguarda invece il metodo, le parole chiave condivise con le proprie controparti cinesi sono state: recupero, difesa e reciproco rispetto delle rispettive culture culinarie.

E per farsi comprendere, il Ministro ha preferito un approccio diretto e senza giri di parole: “basta mangiare le schifezze cinesi!”.

Detta così potrebbe apparire una frase colorita, arrogante e soprattutto scarsamente diplomatica. Vista invece dal lato cinese non lo è stato per nulla.

Non va infatti dimenticato come in Cina, il cibo ancora oggi rappresenti la priorità del paese che non si è scordato il passato di miseria che ha alle spalle, tanto che se vuoi fare un regalo veramente “prezioso”, basta presentarsi con un bel cesto di frutta e verdura, così come regalare latte per i bambini della casa che ti ospita.

Io stesso ho modo di verificare quotidianamente l’attenzione riposta dai cinesi nella scelta degli ingredienti e dei piatti da mangiare, tanto che quando mia moglie cinese è venuta in Italia e siamo andati a Chinatown a Milano, non c’è stato verso di farle comprare nulla di venduto nei negozi cinesi della zona, da lei ritenuti di qualità troppo scadente rispetto allo standard che ormai, soprattutto nella grandi città, si trova nella Cina contemporanea.


Per cui non stupisce che le intenzioni del Ministro Zaia, abbiamo trovato tanti e vasti consensi nei vertici governativi cinesi, visto che gli obbiettivi che si prefigge, protezione e lotta alla contraffazione e qualificazione del prodotto, rappresentano anche per i cinesi priorità assolute, connesse anche con il recupero della loro secolare cultura del mangiare sano.

La medicina tradizionale cinese definisce infatti una stretta correlazione tra quello che si mangia e la salute personale. E’ per questo motivo che il cinese, tradizionalmente, è attentissimo nella selezione di quello che mangia.

Gli accadimenti storici, la povertà e le restrizioni degli anni passati, hanno obbligato i cinesi ad abbandonare questi tradizionali canoni e sani consigli, ma ora, ritrovato un tenore di vita decoroso, in particolare nei quasi 300 Milioni di quella che è la nuova middle class cinese, c’è un diffuso ritorno al salutismo alimentare di storia millenaria.

Per cui il cavallo di battaglia proprio del Ministro Zaia, non può che trovare d’accordo anche i cinesi che oltretutto, stanno facendo i conti con gli effetti del boom economico nel paese.

Di recente il Governo cinese, attraverso un rapporto sullo stato di salute della popolazione, ha infatti preso coscienza come stiano crescendo molte gravi patologie, strettamente legate alla sostanziale povertà e sbilanciamento nutrizionale della dieta cinese attuale.

Contemporaneamente e connesso con il boom economico e la possibilità d’accesso alle abitudini alimentari occidentale, in pochi anni ha finito per trovarsi una generazione di giovani obesi, fatto del tutto nuovo ed anomalo nella storia cinese, causato dall’abuso della dieta alla “Mc Donald”, che per quanto fortemente calorica, appare tutt’altro che equilibrata.

Per cui, come spesso è accaduto su molte altre questioni, nel suo vorticoso processo di crescita, ora i cinesi sono alla ricerca della “dieta perfetta”, che riesca ad offrire un più bilanciato apporto nutrizionale e nel contempo possa preservare la salute nazionale, con un’evidente riduzione dei costi sanitari connessi.

La dieta mediterranea e la tradizionale cucina italiana, rappresentano perciò per i cinesi una “economica” e salutare alternativa da seguire.

Ancora oggi il paese è tutto da alfabetizzare, sul piano del gusto e delle sane abitudini alimentari, per cui le proposte del Ministro Zaia sono state viste sicuramente come un ottimo inizio, per un  duraturo cambiamento nazionale.

Stesso discorso anche per quanto riguarda la proposta della creazione della lista nera degli “importatori scorretti”, alla stregua di criminali che attentano alla salute pubblica, elemento accolto con trasporto dai Cinesi, che non vogliono diventare un’area di stoccaggio di prodotti scaduti o peggio adulterati e nel contempo non apprezzano che all’estero il cibo cinese sia considerato di bassa qualità.

La visita del Ministro ha lasciato però nella comunità Italiana anche un’altra immagine: risposte dirette e senza fronzoli, una squadra ministeriale affiatata guidata da un Ministro sicuramente competente sul tema e con idee molto chiare su come vadano fatte le cose.

Qualcosa che ha sorpreso non poco i presenti, così come la chiarezza dei ruoli e delle funzioni o l’onesta evidenziazione anche dei limiti della azione ministeriale e delle risorse disponibili, che però come ha dichiarato “non devono diventare alibi per fasciarsi la testa”.

Esemplare è stata infatti la risposta ad una questione definita da Zaia “una leggenda metropolitana” riassumibile nella domanda: “perché non vengono fatte Campagne Governative a supporto del Made in Italy agroalimentare, come fanno invece le altre nazioni?”.

Senza giri di parole, provocatoriamente, il Ministro Zaia ha chiesto ai presenti di Shanghai: “ditemi se qualcuno di voi ha visto una campagna istituzionale fatta dagli Americani, Francesi, Tedeschi …”.

Al silenzio che ne è seguito ha poi aggiunto: “Visto che ci riuniamo periodicamente in sede Europea, so quali sono i budget degli altri e quindi le affermazioni che gli altri investono e noi no, sono prive di qualsiasi fondamento”.

Il vero problema”, ha sottolineato il Ministro Zaia, “è che le altre nazioni possono beneficiare dell’effetto trascinamento delle proprie multinazionali dell’agro-alimentare, qualcosa di cui non possono trarre profitto gli Italiani. Questa evidenza ci ha portato a valutare accordi con alcune di queste Multinazionali per permettere anche alle aziende Italiane di entrare in gioco”.

Come è successo a Shanghai, dove “il Governo locale ci ha chiesto di partecipare nella piattaforma logistica in via di completamento che garantirà ben il 50% degli approvvigionamenti per l’intera città di oltre 20 milioni di abitanti.

Questo è quello che il Ministero può e deve fare. Il resto lo devono fare gli imprenditori”.

Il Ministero”- ha continuato Zaia – “con i suoi 20 milioni di Euro, deve sostenere la campagna di promozione a livello mondiale che a fronte dei quasi 4.500 prodotti tipici nazionali, sono solo una goccia nel mare”.

Una situazione ben diversa se paragonata per esempio con una Mc Donald, che deve promuovere  “solo due pezzi di pane con in mezzo una fetta di carne”.

Una “convincente” metafora, che però fa emergere quale sia la grande emergenza del sistema Italia agro-alimentare: creare nuove economie di scala per poter competere in giro per il mondo.

Ad oggi, ben 9 su 10 dei prodotti in commercio detti “italiani”, usano la bandiera italiana, un nome italiano o semplicemente si definiscono Ristorante Italiano, per attrarre i propri clienti, senza che a ciò corrisponda una italianità reale e tangibile.

Un danno per il paese, stimabile per i soli USA in 50 Miliardi di Euro, mentre per la Cina in 100 Miliardi di Euro.

Per recuperare a questo vero e proprio “scippo”, il Ministro è convinto dell’importanza e la centralità di un’azione di qualificazione dei prodotti attraverso anche la creazione di un marchio di certificazione nazionale che sia in grado di attestarne l’autenticità, andando ben oltre la semplice attuale tracciabilità.

Il Ministro Zaia ha infatti sottolineato come questo marchio di qualità “dovrebbe anche contenere le informazioni sulla proprietà aziendale” e che quindi per ottenerlo, i prodotti e i ristoranti Italiani che vogliano chiamarsi tali, “devono essere a maggioranza Italiana”.

Questo per le basi culturali che un piatto ed un prodotto alimentare si porta inevitabilmente con sè.

A margine dell’incontro di Shanghai, abbiamo allora chiesto al Ministro se questo voglia dire che un “ristorante Italiano” gestito ad esempio da non italiani, potrà in futuro aspirare a ricevere questo marchio di certificazione di qualità.

La sua risposta è stata emblematica: “direi di no, esattamente come appare poco credibile che un ristorante Cinese sia gestito da Italiani”. Questa proposta sembra quindi potrà diventare in futuro il “metodo Zaia” per valorizzare e difendere il “Made in Italy” a tavola nel mondo

Un punto condiviso anche con le controparti cinesi ed in linea con l’accordo firmato con i cinesi, di reciproco riconoscimento e tutela delle proprie peculiarità culturali.

Bene, per finire un’osservazione: dopo averlo sentito parlare e visti anche i risultati ottenuti in questa missione in Cina, ma siamo proprio sicuri che sia un bene per il paese che diventi il prossimo Governatore del Veneto?

Forse l’Italia come Ministro ne ha ben più bisogno!.

mercoledì 13 gennaio 2010

ZAIA, STORICA INTESA ITALIA-CINA (Update)


"Quella di oggi e' una giornata straordinaria per i contadini di tutto il mondo. Due grandi potenze agricole quali la Cina e l'Italia hanno stabilito una modalita' di relazione e di intesa su punti che riguardano da un lato la modernita', dall'altro il mantenimento caparbio delle reciproche identita'. Questa e' la strada giusta da seguire".
Cosi' il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Luca Zaia ha commentato l'incontro con l'omologo cinese Han Changfu, al termine del quale i due hanno firmato una nota conclusiva per rafforzare la collaborazione tra Italia e Cina in diversi ambiti dell'agricoltura e dell'agroalimentare. http://ping.fm/cpSCn

sabato 28 novembre 2009

Food in Cina: l’Italia c’è!!

Guidata sul campo da Maurizio Forte dell’ICE di Shanghai ed ispirata dallo spirito di Matteo Ricci, “l’Italiano più amato dai cinesi”, l’Italia del Food risponde alla crisi mondiale con una presenza con la P maiuscola all’FHC 2009 di Shanghai, la fiera del Food ed Hospitality. Come del resto affermato dallo stesso Forte, “il 2009 è stato un anno di sofferenza e transizione, ma dai primi segnali che riceviamo, sembra proprio che il 2010 sarà ben diverso e caratterizzato da una decisa inversione di tendenza per il prodotto agro-alimentare Made in Italy in Cina”.

Tra l’altro Forte sottolinea come, “l’EXPO di Shanghai 2010 ci vedrà protagonisti. Infatti lo stile e il gusto italiano potrà essere apprezzato non solo nel ristorante del padiglione nazionale, ma anche nei tre ristoranti che hanno vinto le rispettive gare per l’utilizzo dei 150.000 metri quadri di aree comuni e che così consentiranno alle decine di milioni di visitatori, di fare “un salto in Italia” nella loro visita tra un padiglione nazionale e l’altro”.

Ma tornando alla presenza italiana alla FHC 2009, nei circa 1000 mq. del padiglione comune, di grande rilievo da segnalare la scelta logistica, di fatto all’ingresso della fiera, elemento che così ha obbligato tutte le migliaia di visitatori a dover prima passare a far una visita alle aziende tricolori e poi entrare un contatto con il resto del mondo. Una posizione in linea con il prestigio connesso, visto che numeri alla mano, il mercato del food italiano è il 4° al mondo, ma indubbiamente il 1° per quanto riguarda l’indiscutibile apprezzamento che lo contraddistingue e il continuo tentativo di “copiarlo” all’estero.


Regione Lombardia

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Proprio per poter aiutare ad imparare come “diffidare dalla imitazioni”, l’azione del padiglione italiano è stata quindi focalizzata nell’insegnare, dimostrare e far entrare in contatto i cinesi e i professionisti in visita, con il vero gusto Italiano. Ciò attraverso una continua serie di dimostrazioni e sessioni, che anche attraverso il supporto delle diverse aziende espositrici, lasciando da parte i luoghi comuni, ha offerto in presa diretta le basi necessarie per poter apprezzare a fondo l’esperienza del “mangiare italiano”.

Il mercato cinese è comunque ancora tutto da creare, perché di fatto il gusto a tavola dei cinesi è in continua mutazione ed evoluzione. Per cui occorre, con tanta sana pazienza, far vivere loro l’emozione del mangiare italiano, affiancandoli, in quella che per molti di loro è una vera e propria “cerimonia d’iniziazione”. Quindi la presenza italiana in questi giorni, sta svolgendo la propria funzione di catechesi al gusto italiano, con un’area attrezzata più che doppia rispetto all’anno scorso.

Dietro la presenza istituzionale che fa da driver, esistono comunque le presenze Regionali e d’impresa che raccontano tutte storie di una evidente rinvigorita volontà di voler portare il Made in Italy sul più grande mercato al mondo, quale e quello della Cina. Parlando con i diversi operatori presenti, emerge la coscienza delle non poche difficoltà esistenti per conquistare il mercato cinese, soprattutto per quelle imprese che per le loro dimensioni, fanno fatica ad imporre il proprio discorso di qualità, di fronte all’agguerrita concorrenza dei gruppi alimentari Francesi ed Americani, fatti di grandi imprese e sperimentate multinazionali, che oltre tutto possono sfruttare la leva delle proprie reti distributive esistenti in Cina, come nel caso dei Francesi con la propria Carrefour.

Gli italiani non hanno nulla di tutto questo e con il “coltello tra i denti”, sono costretti come i salmoni, a dover risalire il fiume, giocando su terreni spesso impervi, dovendo per prima cosa sconfiggere l’ingenerosa, ma da queste parti normale, competizione basata sul prezzo, più che sulla qualità. Questo scenario rende tutto più difficile alla singola azienda, che sicuramente necessita di un gioco di squadra e di sistema, che consenta di mettere a fattor comune i punti di forza dei nostri prodotti e che nel contempo minimizzi il problema dei costi e della trattativa con i sistemi distributivi cinesi.

Quindi i sistemi territoriali presenti alla FHC 2009, come concentrato delle eccellenze locali dei diversi territori italiani, in un confronto diretto tra Puglia, Marche, Sicilia, Sardegna, Toscana e Lombardia, si sono trovati così gli uni vicini agli altri, “armati” dei propri prodotti, nel comune obbiettivo di trasferire l’esperienza Italiana fatta di sapori e piaceri e di una qualità a tavola, numero uno nel mondo.

Continuando il dialogo con gli espositori, emergono alcune storie esemplari e spunti interessanti. Per cui parlando con Silvia Molinas della Camera di Commercio di Firenze, emerge come la Toscana intenda “riempire” i propri prodotti anche della storia del territorio da cui provengono, concentrandosi sul trasferimento, prima di tutto, delle competenze che stanno dietro ai prodotti,  necessarie per poter comprendere il prodotto e la qualità che contiene, conoscenze che in Cina sono del tutto inesistenti. Chi meglio degli inventori della bruschetta può quindi far comprendere ai cinesi il valore dell’uso dell’olio a freddo, che non appartiene alla storia e cucina cinese, che come affermato dalla Molinas “dopo una prima diffidenza, finiscono per apprezzare moltissimo”.

Auspicandosi un sempre maggiore gioco di squadra che vada “oltre i particolarismi” ragionali è anche l’elemento caratterizzante della significativa presenza Siciliana, una terra ricca di prodotti, letteralmente sconosciuti ai cinesi. Sicilia che può diventare anche un’interessante destinazione turistica, fino ad ora lasciata fuori dalle rotte del turismo cinese, ma che meriterebbe una sua riscoperta e il suo inserimento nei pacchetti dei Tour Operators cinesi, che fino ad ora considerano solo Roma, Milano, Venezia con una puntata a sud fino a Napoli, per visitare Pompei. Guidata da Enzo Milisenna, lo stand siciliano ha inteso esaltare i colori della terra e delle tradizioni, ma si è caratterizzato anche dalla volontà di entrare in un contatto profondo, attraverso un team misto che potesse tradurre al visitatore cinese il “dietro alle quinte” dei sapori di una terra speciale come quella siciliana, intraducibili con le sole parole occidentali.


Anche la Sardegna ha avuto una presenza importante al FHC 2009, introducendo un territorio che per i cinesi appare ancora misterioso, vista la sua distanza dal classico modello italiano fatto di pasta - pizza e caratterizzato da gusti spesso ben più forti che in altre parti d’Italia. Oltrettutto l’isola sta puntando ad intercettare un turismo cinese di tipo marinaro, più che da spiaggia, qualcosa che in Cina è ancora agli inizi ma in grande crescita, visto il crescente numero delle marine nel paese, opportunità che però deve fare i conti con i retaggi culturali, tanto che ancora oggi per le donne cinesi, prendere la tintarella, è considerato segnale di povertà e basso lignaggio. Vallo a dire a quelli della Costa Smeralda!.

Ma è soprattutto da un ripensamento e riposizionamento dei marchi storici italiani, divenuti negli anni multinazionali di primissimo piano sui mercati occidentali, che può passare la conquista del gusto cinese. Per esempio, alla ormai consolidata presenza di marchi come acqua San Pellegrino che a livello mondiale è riuscita a costruirsi un “marchio di bontà”, ora altri marchi storici stanno cercando il proprio spazio sul mercato cinese.

Addirittura per la Negroni, la Cina sembra “scritta” nel proprio marchio, riportando alla mente lo storico Jingle che lo ha caratterizzato negli anno 80, che visto alla luce delle stelle presenti nella bandiera cinese, sembra quasi un segno del destino.

Ma dietro i marchi, i cinesi in questi giorni stanno anche scoprendo che gli italiani non distribuiscono ciò che madre terra offre loro, ripetendo da centinaia d’anni le medesime procedure, ma che in una continua evoluzione, hanno saputo trasformare in tecnologia la competenza accumulata. Esemplare è proprio il caso della Negroni che può spiegare il profondo Gap che ancora esiste tra l’industria alimentare cinese e la nostra, visto che ancora oggi ai loro occhi appare incredibile che un prosciutto possa avere tempi così lunghi di conservazione, senza che sia necessario aggiungere alcun surrogato chimico e che come detto da Fausto Vecchi della Negroni “sia fatto solo di carne di maiale e sale di mare”. Qualcosa che ai cinesi colpisce e li lascia increduli, un problema di tecnologie, che non consente ai prosciutti “Made in China” di essere mangiati a freddo ma devono essere prima cotti, nelle zuppe o in qualsiasi altro modo.

Per cui esiste il problema di trasmettere la competenza, affinché sappiano comprendere come la differenza tra qualcosa chiamato caffé e un “buon caffè”, non lo fa il network di negozi che te lo vende, ma una miscela sapiente di aromi che sono poi in grado di creare, se opportunamente preparati, l’esperienza comunemente nota di caffé espresso o caffé italiano. Parlando infatti con alcuni dei produttori di caffé presenti al FHC 209 come Massimo Remonti della omonima azienda lombarda, non hanno nascosto la delusione di sentirsi “pesati non per la unicità delle nostre miscele innovative ma per il prezzo, considerato troppo alto se comparato con le altre offerte sul mercato, spesso fatte però con miscele di bassa qualità”.

Per comprendere il problema che sta assillando le aziende italiane, è un po’ come stimare il prezzo di un lingotto d’oro, dove la percentuale d’oro decreta il prezzo giusto sulla base di una quotazione universalmente riconosciuta. Bene il caffé, come un lingotto d’oro subisce variazioni di prezzo a seconda della sua diversa miscela ed è evidentemente del tutto fuori luogo il confrontato con chi spesso si limita a “placcare d’oro” il proprio lingotto. L’attuale incapacità cinese di saper comprendere se si è in presenza di un lingotto realmente d’oro o di uno semplicemente placcato, crea non pochi problemi agli italiani e una difficoltà nel dialogo con i propri interlocutori cinesi, che si limitano a trattare il prodotto solo come una questione di prezzo, come se tutti i prodotti fossero tra loro gli stessi.

In questo scenario, emerge però un elemento interessante che potrebbe caratterizzare la prossima fase della presenza dell’industria agro-alimentare italiana in Cina: la produzione in loco. A questa affermazione ed idea, molti “puristi” nostrani rimangono letteralmente scandalizzati, ritenendola una ipotesi irrealizzabile, pura eresia. Bene, l’FHC 2009 sembra dimostrare proprio il contrario, come nel caso di Masciulli Domenico che ha deciso di trasferire la propria decennale competenza nel produrre formaggi all’industria cinese, affiancando una azienda del nord della Cina che produceva latte, creando una prima esperienza di industria casearia Made in Italy, direttamente in Cina. Alla domanda se ci siano differenze tra il prodotto puro italiano e quello fatto qua in Cina, Masciulli, dopo un sorriso, ammette: “sicuramente a causa dell’acqua, molto più dura della nostra e l’ambiente diverso, il gusto finale è leggermente diverso”. “Ma onestamente è una questione marginale, tanto che la caciotta o la mozzarella come gli altri nostri prodotti, quando anche i professionisti del settore gli assaggiano, stentano poi a credere che siano prodotti qua in Cina”. Ed infatti “tra i nostri clienti ci sono parecchi ristoranti italiani, così come hotel a 5 stelle internazionali” che apprezzano il fatto di avere un prodotto che mantiene tutte le caratteristiche di un prodotto artigianale italiano, disponibile secondo le regole di un mercato cinese, “molto diverso dal nostro,” continua Masciulli, “con esigenze spesso incompatibili per le strutture e le capacità industriali delle aziende italiane”.

Quanto fatto da Masciulli nel caseario, sembra essere la strada di una risposta concreta, un messaggio anche per le altre aziende italiane, ad avere il coraggio di fare scelte che consentano non solo di arrivare sul mercato cinese, ma di garantirsi di restarvi anche in futuro, per non rimanere schiacciati dalla competizione portata in Cina dalle industrie internazionali, come i francesi.

Emblematico quanto accaduto con il vino, dove anni fa i francesi hanno addirittura finito per passare la tecnologia per produrlo ad una Join Venture mista Sino – Francese, che ora di fatto fa la parte del leone sul mercato interno, scalzando anche molte delle produzioni francesi, obbligandoli così a concentrarsi sul medio alto livello.

E’ una riflessione che a voce alta ha fatto nella nostra chiacchierata anche Fausto Vecchi della Negroni, una strada ed una sfida, quella di venire a produrre in Cina, da una parte intrigante ma dall’altra piena d’incognite, visto che “nel nostro caso, necessiterebbe di “riscrivere” il futuro della nostra azienda, fatto di un passato partito dalla capacità di creare mangimi di alto livello per i nostri maiali, che poi si evoluto nel saperli macellare meglio degli altri e che solo dopo, quasi fosse stato un incidente di percorso, ci ha portato a produrre salumi”, gli stessi per cui ora è famosa in Europa e in America e che la rendono una delle eccellenze italiane.

Ma questo è un fatto ed una scelta che appare inevitabile, perché in assenza di un approccio diretto ci si ritroverà come già gli Usa ci stanno insegnando, dove solo il 20% dei prodotti “Italians Like” sono realmente provenienti dall’Italia. Ben l’80% di ciò che sulle tavole americane è venduto come italiano è infatti prodotto in America, con nuovi marchi di proprietà non italiana che magari, solo sommariamente, utilizzano le procedure e gli ingredienti italiani, offrendo prodotti che sono simili a quelli italiani solo nel nome. Un esempio palpabile già ora lo abbiamo in tutte le principali catene di Pizza presenti in Cina (e nel mondo), che di fatto non usano ingredienti italiani, a partire dalla mozzarella come da noi considerata tale. Qua in Cina quella che loro chiamano mozzarella, oltre ad essere prodotta in Nuova Zelanda, si presenta con un colore giallognolo da formaggio fuso a quadretti, ben diverso dal candido bianco e gusto della vera mozzarella che da noi tutte le pizzerie usano e che fanno l’unicità anche di una semplice margherita sia a Milano che a Napoli.

La questione è da considerare seriamente, visto che poi, quando i Cinesi arrivano in Italia e vogliono finalmente provare la vera pizza italiana, finiscono per rimanerne delusi, visto che non ha nulla in comune con l’esperienza provata in Cina, tante sono le differenze negli ingredienti e nei metodi di preparazione.

Poi arrivano i casi limite come quello Australiano, dove il Parmesan, la copia del nostro Parmigiano, in assenza di una presenza italiana, ha finito per crearsi nel tempo una solida credibilità locale, tanto che in una pubblicità televisiva era arrivata addirittura ad affermare “diffidate dalle imitazioni!!”. Paradossalmente, per gli australiani un autentico “Parmigiano Reggiano”, da noi addirittura strumento finanziario alla base della Banca del Parmigiano, è ora considerabile copia del loro Parmesan, una situazione incredibile, che però si sta rischiando su una scala ancora più ampia qua in Cina.

Gli esempi si sprecano, come nel caso del vino, dove esistono sul mercato cinesi produzioni industriali che poco hanno a spartire con il vino prodotto come tale. Ma come nel caso del caffé, anche in questo caso il prodotto è affrontato e gestito solo sulla base del prezzo e non sulle capacità di saperne riconoscere la qualità reale, che inevitabilmente si ripercuote sul prezzo e che finisce spesso per mettere fuori mercato il prodotto italiano.

Quindi al FHC 2009 il messaggio lanciato dalla presenza italiana sembra essere riassumibile in: “alfabetizzare per competere” (e vincere).Un’azione sul campo fatta con atti di persuasione, per cercare non solo di trasmettere i nostri brands e prodotti italiani, ma soprattutto la profonda conoscenza del “dietro le quinte” della storia che ogni nostro prodotto contiene e la cultura che trasmette.

Qualcosa che una volta spiegato bene ai cinesi, li appassiona, perché apre loro un mondo completamente nuovo, di quello che noi chiamiamo Slow Food, prima di tutto uno stile di vita oltretutto in grado di avere effetti positivi sulla salute di chi lo segue, qualcosa a cui gli stessi cinesi sono attentissimi, tanto che anche per i loro prodotti, prima di tutto vengono valutati gli effetti alla salute che il loro gusto.

Nella nostra dieta e nei nostri prodotti le due questioni coesistono, sta quindi a noi saperlo spiegare in maniera convincente, accettando la sfida anche di farlo direttamente in Cina. E in questo ci viene incontro proprio l’esempio di Matteo Ricci di 400 anni fa, il testimonial dello stand delle Marche e ancora oggi il portatore di quello che Augusto Bordini, il responsabile dello stand, non esita a definire “il modo corretto per entrare nei cuori dei cinesi, attraverso una profonda e rispettosa comprensione reciproca, per una reale integrazione non realizzata attraverso la presunzione di volere a tutti costi esportare i nostri desideri, con la sola smania di “conquistare”.

Un messaggio tutto Italiano, che travalica l’altrettanto famoso Marco Polo, che però si limitò a portare merci dalla Cina a Venezia, non lasciando il segno che invece Matteo Ricci lasciò dietro la sua esistenza, tanto che se ancora oggi la Cina si chiama “il paese di mezzo” lo si deve all’opera di questo singolo gesuita italiano che fece del motto “farsi cinese con i cinesi” la base della sua opera, che finì per essere tanto apprezzata dai cinesi stessi, che ancora oggi la sua tomba è tra quelle delle celebrità che hanno fatto la storia millenaria della Cina. Ora sta a noi, quali “nuovi missionari del gusto” attualizzarne gli insegnamenti e provare a costruire la nuove dimensione del gusto che convinca anche i cinesi ad adottarne i nostri secolari principi ed ingredienti, per un reciproco scambio culturale duraturo nel tempo.

lunedì 27 luglio 2009

L’agroalimentare italiano “punta” sulla Cina.

Se chiedete ad un cinese, una parola che descriva l’Italia, la risposta banale ma sincera sarà: pasta!!

Per quanto Fiat, Generali o altri marchi industriali, anche quelli dei fashion, possano cercare di fare, nell’immaginario dei cinesi la pasta, sarà sempre al primo posto.

E c’è da credere che il Presidente cinese Hu Jintao non l’abbia fatto solo per “cortesia”, quando, una volta atterrato a Roma, dopo un bel giro al Colosseo, nel Forum Italia – Cina abbia lanciato un messaggio chiaro agli imprenditori presente: “I vostri prodotti ai cinesi piacciono!!”

Che non fosse poi una semplice cortesia, ma il segnale dell’inizio dei lavori, quelli serie, se ne sono accorti molti dei presenti al Forum che si sono trovati di fronte tra l’altro alla più grande missione agrolimentare cinese ma arrivata in Italia.

Un gruppo di lavoro composto dalla prima linea delle imprese cinesi del settore tra cui COFCO (conglomerata con un giro d’affari di circa 160 Miliardi di Euro), ZJCOF rappresentata dal Chairman of the Board, Tianjin Food Imp.& Exp. Co.Ltd., EEI Universe dello Zhejiang, Dalian Xinnuo dal Liaoning, Yi Xing Leather dal Guangdong che nei giorni precedenti al forum ha gettato le basi per creare una connessione diretta Italia – Cina per i prodotti agro-alimentari Italiani attraverso tutta una serie di accordi commerciali.

Guidata da Mr. Mr.Huo, della Camera di Commercio di Pechino e per l’Italia, dal Presidente della Agenza per la Cina, Armando Tschang, questa delegazione ha avuto una serie d’incontri con aziende italiane dell’alimentare lombarde ed emiliane.

Rientrata a Roma si è passati alla firma dell’intesa strategica sull’agroalimentare tra i due paesi, uno tra i 38 accordi sottoscritti alla presenza del Ministro per il commercio cinese Ministro Cinese Mr. Gao Huichen e del Vice Ministro Cinese Mme Qiu Hong, dal valore complessivo di 2 Miliardi di Dollari.

L’accordo sottoscritto tra la China Chamber of Commerce of Import & Export of Foodstuff, Native Produce and Animal by Products e l’Agenzia per la Cina, come sottolineato dal Presidente dell’Agenzia per la Cina Armando Tschang, “è un memorandum d’intesa con l’obiettivo di sviluppare la collaborazione, tra l’Italia e la Cina , nel settore Agro-alimentare e per sostenere investimenti e promozione dei prodotti tipici Italiani in Cina”.

“L’intesa sottoscritta oggi”, continua poi Armando Tschang, “ è un accordo importante, che getta le basi ad operazioni concrete, come il sostegno ad aziende italiane che vogliono entrare o crescere in Cina.”

Ai margini della cerimonia ufficiale, Mr. Hu e Armando Tschang, hanno anche annunciato come il primo appuntamento collegato all’accordo firmato, sarà quello di un Forum Economico che avrà luogo nel 2010 a Beijing e nel quale i Cinesi potranno entrare in contatto diretto con il patrimonio agro-alimentare Italiano, anche attraverso iniziative mirate, tutte per sostenere e caratterizzare le “eccellenze” del Made in Italy.

Quindi oltre agli accordi industriali più noti e pubblicizzati sui media, come quello di Fiat, Ansaldo – Breda, Generali e Mediobanca, a Roma sono state gettate le basi affinché l’Italia, in accordo con il Governo cinese, possa costruire una piattaforma per l’agro-alimentare che consenta di incrementare gli interscambi commerciali tra i due paesi.

Una sfida riassunta dallo stesso Presidente del Consiglio Italiano, Silvio Berlusconi, che ha chiesto alle aziende Italiane di credere nella Cina e nella possibilità di diventare, “entro tre anni”, il terzo paese per investimenti in Cina.

Ma nel frattempo, si permetta ai cinesi di poter finalmente avere in presa diretta, il meglio della produzione italiana, che il mondo intero ci invidia e che i cinesi, dalle parole del loro Presidente, sono in trepidante attesa di avere sulle proprie tavole.

lunedì 18 dicembre 2006

Agroalimentare/ Flop delle fiere italiane in Cina. Servono nuove strategie

(pubblicato su Affari Italiani il 8 Dicembre 2006 e su Agenzia per la Cina)
Dal 23 al 25 Novembre scorso, a Shanghai si è tenuta l’8° edizione del Vinitaly – Cibus, manifestazione presentata come la più grande fiera Italiana sul tema in Cina.

Come è andata? Un totale fallimento.

In uno paese dove le fiere si pesano per le migliaia operatori presenti a ciascuna di esse, il Vinitaly di Shanghai potrà essere ricordata per la sostanziale assenza degli operatori di settore e dei responsabili dei ristoranti o wine-shop cinesi, non certo compensabili dalla presenza di alcuni intenditori cinesi a caccia del vino pregiato o dai gruppi di semplici curiosi, in veste del tutto personale e a scrocco (abitudine molto cinese in tema culinario!!), che passavano da un assaggio all’altro nei diversi stands.

Presenze ridotte a poche centinaia di persone in tutto, ben poca cosa per una fiera che intendeva essere la punta di diamante per penetrare il mercato cinese fatto da 1 miliardo 300 milioni di persone!!!.

Le ragioni di questo ulteriore passo falso della nostra diplomazia commerciale sono da ricercarsi nel perseverare negli errori di base, nel continuare ad organizzare fiere di questo tipo, che anche se organizzate per i prossimi 100 anni, continueranno ad avere lo scarso riscontro attuale sia in termini di visibilità che di ricadute commerciali.

Chi ha organizzato Vinitaly si comporta come se il mercato cinese fosse come gli altri mercati, dove la cultura del vino è comunque da tempo presente e radicata (Giappone e Corea ad esempio).

La Cina non ha una reale cultura in tal senso e va educata dalla base, ma per farlo non basta un evento espositivo.

Servono tutta una serie di eventi sul territorio per portare il piacere del gusto, del bere il vino italiano, direttamente nelle case dei cinesi e non sperare, come ora, che i cinesi vengano a cercare il gusto e il vino italiano.

Qui emerge tutta la fragilità della nostra diplomazia commerciale, incapace di andare oltre eventi spot e di facciata, senza poi dare seguito ad essi nei mesi successivi con azioni tangibili sul piano commerciale e di business.

La buona volontà NON basta, occorrono capitali economici ed umani per entrare in contatto con i cinesi quotidianamente, per fare conquistare all’agro-alimentare italiano lo spazio che merita nelle preferenze del cinese medio.

Occorre pianificare azioni di comunicazione più profonde e quotidiane, usando tutti i mezzi di informazione possibili, in modo da presentare il “sistema” del nostro gusto non come una serie di marchi, ma come un vero e proprio stile di vita; organizzare campagne di diverso stampo, visto che il modello fieristico / espositivo tradizionale non rappresenta da solo il modo migliore per entrare, penetrare e preparare i cinesi a diventare fan sfegatati del nostro gusto, dei nostri prodotti tradizionali, della nostra cultura.

E’ importante lavorare sul piano dell’integrazione dei gusti, facendo “evolvere” la nostra cucina e i nostri prodotti in leccornie ricercate dal cinese medio.

Un elemento fondamentale è rendersi conto che il prezzo rappresenta il parametro determinante che oggi guida un cinese nello scegliere cosa mangiare e bere. Occorre farsene una ragione, pena l’esclusione dal mercato in quanto “fuori range”, a vantaggio di altri concorrenti più flessibili ed adattivi (Francesi, Australiani, Americani …)

Quindi basta con queste fiere vetrina, autocelebrative e missioni di politica nazionale. Usciamo dal castello di argilla della nostra convinzione che essere italiani rappresenta di per se garanzia di successo e iniziamo a diventare “missionari” dei nostri valori per le strade della Cina, quella vera.

Ricordiamoci di come il Made in Italy ha conquistato il mondo: i nostri emigranti, questi milioni di “disperati” sono stati in grado di esportare concretamente il nostro “made in italy” e radicarlo in ogni dove, trasformando una drammatica emergenza, in uno dei più grandi successi commerciale di tutti i tempi.

Ora bisogna ricominciare anche noi la nostra lunga marcia che affascini, conquisti, emozioni i cinesi.

Gli strumenti e le materie prime per farlo le abbiamo. Ora serve la volontà di crederci fino in fondo e utilizzare meglio e con maggiore intelligenza, i pochi soldi e le risorse a disposizione.

Fiere di questo tipo sono solo delle deprimenti dimostrazioni che la strategia fino ad ora seguita, nel caso della Cina, è totalmente fallimentare.

Un esempio pratico? Mentre noi organizziamo questo tipo di inutili fiere, aspettando l’anno prossimo, i francesi continuano a firmare accordi commerciali e creano aziende miste Sino-Francesi per insegnare ai cinesi a produrre essi stessi il vino per il mercato interno, sostenendo tutto questo con la loro “grande distribuzione” presente in Cina (Carrefour).

I Francesi non vendono direttamente ma creano squadre di cinesi che vendano per loro. Questa è la chiave per capire la Cina, in una fase come questa, di crescente nazionalismo di una nazione che orgogliosamente intende costruirsi da sola la strada della propria identità e del benessere futuro.

Se analizziamo analogamente la situazione nel caso del caffè, c’è da rimanere sconcertati. Anche in questo caso dimostriamo che pur possedendo i migliori talenti a livello mondiale, stiamo rifiutando di giocare la partita commerciale e culturale, lasciando a giocatori modesti, quali ad esempio Starbucks, il vantaggio di far pagare fino a 5 Euro (una enormità in Cina, un vero furto!!) una tazza di acqua sporca!!!

Occorre riflettere velocemente e svegliarsi dal torpore della autoreferenza oramai storicamente datata, prima che del gusto italiano non ne siano pieni i resoconti storici, come quelli che esaltano il gusto dei greci e dei romani.

Ganbei a tutti. (Cin cin in Cinese)