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sabato 13 novembre 2010

Una Immagine .... Cento parole (sul perchè i Cinesi non si fidano degli USA)

I Cinesi sono molto arrabbiati ( e con loro tutti i paesi in via di sviluppo Brasile in testa) per l'acquisto delle Federal Reserve USA di ben 600 Miliardi di Dollari di titoli americani, tanto che qualcusno a Beijing si è spinto a definire "catastrofici" gli effetti di questa azione, considerata, totalmente priva di senso". Le ragioni? Una immagine.... cento ragioni!!!

sabato 25 settembre 2010

venerdì 9 aprile 2010

Perchè la Cina NON rivaluterà lo Yuan

Ormai tutti i commentatori e gli economisti occidentali sono alla caccia del perché i Cinesi non rivalutano lo Yuan, come se lo facessero apposta per danneggiare le economie Occidentali, Usa in testa.


Le ragioni cinesi sono evidenti e "sotto gli occhi di tutti", ma difficilmente saranno comprese nelle asettiche sale delle borse, dei giornalisti finanziari e dei guru delle economie occidentali.

Il problema vero è che la prospettiva con la quale osservano il problema, valutano, giudicano è di stampo occidentale, favorevole ad un "bilanciamento" della situazione americana attraverso questa rivalutazione.

Ma invece di affannarsi ad accusare la Cina di presunte manipolazioni della propria valuta, per comprendere le ragioni di questa sorta di dissociazione cinese dalle problematiche mondiali di questi anni, basterebbe che questi commentatori venissero in Cina e andassero fuori dalle scintillanti Shanghai e Beijing.

Il paese NON è pronto, per quanto sia ormai la seconda economia al mondo, a competere con le economie reali dei paesi sviluppati e necessita ancora di tempo e di un ambiente favorevole dove "consolidare" la propria struttura e il proprio sviluppo.

Rivalutando lo Yuan sicuramente l'America ne trarrebbe giovamento, sopratutto sul piano commerciale, visto che ora la barriera del prezzo frena le esportazioni in Cina.

Ma la priorità del governo cinese non è di salvare il "Soldato Usa", bensì di garantirsi tassi di sviluppo interni stabili per i prossimi decenni, perchè continui il processo in corso che può continuare solo se le condizioni rimangono quelle attuali.

E se la competitività sui mercati esteri si acquisisce anche attraverso un mantenimento del controllo delle oscillazioni della propria valuta, gli investimenti in titoli di stato americani sono stati il loro modo di "restituire" questo vantaggio in maniera concreta, tangibile.

Ma esiste anche un secondo aspetto che guida le decisioni cinesi: stare lontani dalla speculazione.

Ai cinesi, fino ad ora sostanzialmente rimasti fuori dai giochi che hanno guidato parecchie crisi dei decenni passati, causate spesso da speculatori senza scrupoli, tutti intenti a guadagnare spesso nel crollo del valore più che nel suo apprezzamento di una valuta nazionale, temono di essere oggetto di azioni massicce che possono minare le basi stessa della propria economia.

Per cui il rimanere di fatto "sganciati" dalle regole di mercato che stanno dando parecchi grattacapi a quasi tutto il fronte occidentale, non è una scelta di chiusura, ma di tutela per garantirsi un futuro stabile.

Quindi difficilmente il Governo Cinese accetterà di portare a termine alcuna profonda modifica dello stato attuale di cose, che di fatto prima di tutto tutela i poveri del paese e che consente al paese di non trovarsi a dovere fare i conti di uno scenario ancora molto lontano dal suo realizzarsi.

Per comprendere la cosa, basti ricordarsi cosa è successo da noi con l'introduzione dell'Euro che se da un lato ha dato al paese una moneta forte ( forse troppo) e che ha reso molto convenienti gli acquisti fuori dall'area euro, per contro ha portato alla crescita di una povertà reale interna ed un raddoppio del costo della vita reale di cui ora sono in tanti a pentirsene.

I cinesi, che hanno studiato tutte le situazioni e gli accadimenti occidentali, sanno che il rafforzamento della propria valuta rischia di trascinare nel baratro quasi un miliardo di cinesi, non ancora in grado di competere con il resto del mondo sviluppato.

Per questo e solo per questa ragione, i cinesi NON toccheranno, se non solo di facciata, il valore dello Yuan nei prossimi decenni.

Ovviamente qualche apertura agli Usa sarà anche data, sicuramente in cambio di aperture su molti dei prodotti di fatto bannati sul mercato americano, ma non seguiranno il desiderio degli Usa di equilibrare le due economie e le due valute, considerando i Cinesi una economia già sviluppata e alla pari.

Una trappola ed una sirena che i cinesi non hanno intenzione di ascoltare. La loro visione guarda molto più lontano, tanto che oggi, nonostante gli impetuosi successi economici e finanziari, ancora si definiscono "un paese in via di sviluppo".

E se gli americani saranno costretti per colpa di questo loro agire a “tirare la cinghia”, beh da queste parti, pensano che non se la passeranno troppo male lo stesso.

Per questo lo Yuan non verrà toccato!!.

venerdì 19 febbraio 2010

Detto - fatto: ora i cinesi NON sono più i primi creditori degli USA

Nelle scorse settimane si è assistito ad un "botta e risposta" tra Usa e Cina che in qualche maniera ha intaccato lo spirito di grande sinergia ( e fiducia) che esisteva tra i due paesi e che aveva portato la Cina a divenire il primo creditore dei Titoli di Stato Usa.

Dopo quelle che i cinesi hanno ritenuto essere state autentiche "provocazioni" gratuite, come la fornitura di armi a Taiwan o il prossimo incontro tra Obama e il Dalai Lama ma soprattutto dopo non aver ricevuto le richieste garanzie a tutela del proprio imponente credito con gli Usa, sembra ora essere prevalsa a Beijing l'idea che l'America possa divenire un potenziale futuro problema, prima di tutto finanziario.

Per cui, detto - fatto, i cinesi nel dicembre 2009, hanno tagliato ben 34,2 Miliardi delle proprie partecipazioni sul debito Usa, lasciandosi così "superare" dal Giappone, che ora è diventato ufficialmente il primo creditore assoluto degli Stati Uniti.

Infatti nello stesso periodo, il Giappone ha aumentato la propria partecipazione di titoli del tesoro Usa di 11,5 Miliardi, arrivando alla quota di 768,8 Miliardi di dollari, superando la Cina ora attestata a 755,4 Miliardi di dollari. 

Una sorta di compensazione all'alleggerimento Cinese sembrano poi essere state le azioni di copertura della Gran Bretagna, che ha incrementato la propria quota di titoli Usa da 277,6 Miliardi di dollari di Novembre, a 302.5 Miliardi di dollari a Dicembre e del Brasile che ha aumentato da 157,1 a 160.6 miliardi di dollari la propria partecipazione al debito Usa.

Tra l'altro va segnalato come il Giappone, ora primo creditore degli Usa, esso stesso stia attraversando una fase di profonda crisi strutturale che potrebbe in futuro aggravarsi, tanto da rischiare un possibile Default paese.

Attorno al debito Usa si stanno giocando in queste settimane alcune partite prima di tutto di politica – internazionale, piuttosto che azioni puramente finanziarie ed economiche.

La prova sta nel fatto che mentre alcuni governi nazionali “amici degli Usa”, hanno aumentato la propria quota, nel frattempo gli investitori privati abbiano iniziato a ridurre la propria partecipazione al debito Usa (700 Milioni di dollari).

Va ricordato come nel 2008 gli investitori stranieri aumentarono le proprie partecipazioni sul debito americano di ben 456 Miliardi di dollari. 

Poi arrivò la crisi finanziaria e dopo una prima stagnazione, ora si sta profilando una "ritirata" di massa degli investitori stranieri, molto preoccupati anche dal fatto che il Governo Usa rischia ora di dover alzare i tassi di interesse per evitare l'emorragia dei propri investitori, a partire dalla Cina, ma questo però finirebbe per pesare in maniera significativa sul deficit federale,

Tra l'altro le ultime mosse del governo americano non tranquillizzano, visto che il primo febbraio è stato annunciato un deficit per l'anno 2010 che toccherà i 1,56 trilioni di dollari.

L'analisi cinese che sta dietro l'alleggerimento di dicembre, posizione del resto condivisa da molti analisti, sembra quindi essere di una generale sfiducia in questo piano che invece di risolvere, rischia di rinnescare una spirale simile a quella che portò alla precedente crisi finanziaria.

Per cui, di fronte alle "sterili" promesse di Obama che intende iniziare a risolvere il problema dell'enorme disavanzo attraverso la costituzione di una commissione che dovrà definirne le modalità di taglio, i cinesi, quale atto di sfiducia anche all’azione proposta da Obama, hanno preferito portarsi avanti, iniziando una sorta di disimpegno che potrebbe continuare nei prossimi mesi.

Qualcosa che potrebbe anche subire un’accelerata se le iniziative del governo americano, invece di attaccare il problema finanziario di cui soffrono e che potrebbe contagiare il mondo intero, continueranno a metter al centro della propria agenda "litigiosità" del tutto fuori luogo, in momenti delicati come quelli odierni e la non remota possibilità dell'aprirsi di nuovi fronti internazionali, quale per esempio quello medio orientale, che potrebbero portare gli Usa diritti alla bancarotta.

Qualcosa che preoccupa i Cinesi, per cui il disimpegno sul debito è stato sicuramente anche un "forte" messaggio inviato a Washington affinché si torni a discutere presto sulle priorità reali.

I cinesi infatti non sono più così sicuri che a Washington abbiano le idee chiare su come uscire dalla situazione attuale.

venerdì 3 aprile 2009

La "rivoluzione" cinese che fa paura a Obama

faccia a faccia Hu Jintao e Obama a Londra. L’inizio di un dialogo che può aiutare gli equilibri mondiali e premessa per il discorso che Hu farà al G20, dove proporrà la “ricetta” Cinese per cercare di cambiare il corso degli eventi mondiali.

La Cina si augura nel successo del G20 in corso, attribuendo grande importanza al fatto che sia giunto il momento che le grandi potenze mondiali inizino ad ascoltare veramente e comprendano a fondo i punti di vista allargati di tutta la comunità mondiale, smettendo di decidere e deliberare su particolarismi, ormai del tutto inapplicabili, vista l’interconnessione in tempo reale dell’intero sistema economico sociale.

Parafrasando il famoso principio fisico, “un battere d’ali di farfalla nei paesi sviluppati, può scatenare la tempesta dall’altra parte del mondo”!

E ora l’altra parte del mondo è preoccupata, perché la tempesta è nei paesi sviluppati!! (Leggi)

giovedì 2 aprile 2009

Hu Jintao- Obama: l'incontro!!

A Londra, a margine del G20, si è finalmente svolto l'atteso incontro tra il presidente Cinese Hu Jintao e quello Americano Obama.

Questa è stata l'occasione per ribadire l'intenzione di entrambe le amministrazioni, di continuare a cooperare in maniera sempre più stretta, sulle principali questioni mondiali.

Obama ha anche già accettato l'invito di Hu Jintao a visitare la Cina, entro la fine di quest'anno, segnale ed impegno affinchè le relazioni tra i due paesi continuino a migliorare ecome affermato da Hu, "contribuiscano alla pace, la stabilità e alla prosperità dell'area Asiatico- Pacifico e del mondo".

I due leader si sono poi trovati d'accordo per sempre più frequenti consultazioni reciproche, anche attraverso la creazione di un "Forum China - US Strategico ed Economico" che favorisca il coordinamento tra le due nazioni, non limitandosi però solo ad un dialogo di carattere commerciale ed economico, allargandolo anche a questioni sociali, militari e tecnologiche.

Ora c'è da attendere, come del resto annunciato dal Vice Ministro degli Affari Esteri Cinese, il discorso che Hu Jintao farà durante il proseguo dei lavori del G20, discorso nel quale verranno esposte le "ricette" cinesi per risolvere la crisi in corso, crisi come sottolineato dallo stesso Obama, "è risolvibile solo attraverso un comune lavoro di tutte le nazioni, senza protezionismi e altri errori che poi portarono alla Grande Depressione".

Una apertura mentale importante, buon viatico per poter "comprendere" ed ascoltare le proposte cinesi che Hu si accinge a fare che intendono proprio "rivoluzionare" il modo fin qui seguito nella gestione degli equilibri mondiali, fino ad ora strettamente connesso con le fortune e i destini di una sola nazione: gli USA.

La posizione di Hu, appare essere molto in linea con quella fin qui tenuta da Francia e Germania, che confermano sia giunto il momento per riscrivere le regole complessive della finanza mondiale e nel contempo evitare che gli USA esportino inflazione al solo scopo di ridurre il proprio debito, scaricando sulle altre nazioni l'onere di dover sostenere le sorti della prima potenza economica mondiale, causa stessa della crisi in corso.

mercoledì 1 aprile 2009

La Cina avrà il suo Nasdaq

Ormai è evidente come Usa e Cina stiano “marcandosi” strettamente su qualsiasi questione, così come la crisi finanziaria stia aprendo ampi spazi, nei quali i Cinesi si stanno inserendo con sempre maggiore frequenza.

Non sorprende quindi che ora, la Cina voglia replicare anche uno dei successi storici della finanza americana: il Nasdaq. 

GEM il NASDAQ CINESE - Si chiamerà GEM (Growth Enterprise Market), un nome che evoca l’approccio che i cinesi vogliono avere sulla questione, una piattaforma finanziaria dedicata a supportare start-up innovative e tecnologiche.

In realtà il progetto non è nuovo, visto che fu pensato ben già 10 anni fa, ma dopo l’esplosione nel 2000 della bolla finanziaria legata alla new economy e alle dot.com, il progetto della creazione del GEM cinese, fu temporaneamente sospeso, fino ad oggi.

Basata ovviamente a Shenzhen, l’area con il più alto tasso tecnologico della Cina, il GEM cinese sarà fortemente focalizzato sulle piccole imprese a grande potenziale di crescita, con l’obbiettivo di diventare lo spazio per trovare finanziamenti e supportarne la crescita.

I REQUISITI PER LA QUOTAZIONE - Le potenziali aspiranti di questo nuovo listino tecnologico cinese, dovranno però rispettare rigorosamente alcuni parametri, quali:
  • un capitale sociale superiore ai 30 Milioni di Yuan (oltre 3 Milioni di Euro)
  • avere avuto utili per due anni consecutivi e redditività combinata di almeno 10 Milioni di Yuan (oltre 1 Milione di Euro), 
  • fatturato di almeno 50 Milioni di Yuan (oltre 5 milioni di Euro);
  • utili di almeno 5 milioni di Yuan (oltre 500.000 Euro) nell’ultimo anno fiscale, 
LA TRASPARENZA DEI DATI - Ma l’aspetto fondamentale che sta a cuore ai cinesi, è la trasparenza nella diffusione dei dati e dei risultati aziendali da parte delle imprese, così come l’efficienza dei controlli e la vigilanza che la piattaforma GEM dovrà garantire, così da evitare criticità simili a quelle di questi mesi, su quasi tutti i mercati finanziari.

Questa iniziativa, intende essere un concreto supporto alle imprese innovative cinesi ma anche il punto di partenza per la crescita di un mercato di capitali cinesi, in grado di finanziare in maniera sistematica una nuova generazione d’imprese ad alto potenziale di crescita e tecnologiche.

UN'INDICE DI BORSA CONTRO IL CREDIT CRUNCH è anche una risposta alla situazione che si è venuta a creare a causa della crisi finanziaria, dove gli istituti bancari sono diventati sempre più prudenti a concedere prestiti alle start-up, situazione che finisce anche per colpire le piccole imprese che in Cina di fatto rappresentano il 99% delle imprese e danno lavoro al 75% degli occupati del paese.

Il progetto della GEM appare anche del tutto in controtendenza rispetto a quanto sta accadendo agli altri mercati finanziari mondiali, che di fatto stanno subendo tutti forti ridimensionamenti ed accorpamenti.

La Cina sembra dimostrare, ancora una volta, come solo attraverso l’agire e la creazione di nuove innovative iniziative, si potrà sperare di superare la crisi attuale, per creare un futuro fatto si di grandi multinazionali, ma soprattutto da milioni di “invisibili” aziende che, dati alla mano, rappresentano però l’asse vero di tutte le nazioni.

L'ATTENZIONE ALLE PMI - Quello delle piccole imprese è il vero asset che il governo cinese intende salvaguardare attraverso anche questa iniziativa, cercando nel contempo, di lanciare nuove imprese in grado di diventare i leader del futuro, trainando così la crescita sia economica del paese che di competenze tecnologiche necessarie per rinnovare l’industria cinese.

Un messaggio sul quale riflettere, visto che lo scenario cinese assomiglia incredibilmente a quello italiano che anche nei suoi massimi splendori degli anni scorsi, è stato sempre strettamente collegato al successo, spesso planetario, delle proprie “multinazionali tascabili” del Made in Italy.

Le stesse che ora la Cina spera possano trovare nel GEM il proprio terreno fertile per poter diventare le solide protagoniste del crescente “Made in China” futuro.

lunedì 2 marzo 2009

Obama Robin Hoodf o Sceriffo di Nottingham??

In questi giorni, su tutti i media occidentali, vengono rilanciati i proclami di “guerra” che Obama sembra aver lanciato al “lato oscuro” della finanza, oltretutto appena fuori i confini americani: i paradisi fiscali dei Caraibi.

Sorge però un dubbio: Obama è a conoscenza che il suo 4° finanziatore e che consente agli Stati Uniti interi di non essere già falliti, è rappresentato proprio dal sistema bancario dell’area caraibica e quindi dagli speculatori tanto “odiati” di queste ore??

Dichiarazioni analoghe sono state fatte dai leaders della EU che intendono ora stroncare il “traffico di denaro” che passa costantemente dai paradisi fiscali di tutto il mondo.

Usa e EU, di fronte alla crisi che le attanaglia, sembrano ora unite da un solo obbiettivo: intercettare i miliardi di tasse evase che per solo gli USA sarebbero stimati in 1600 Miliardi di dollari.

Alleluia. Ma poi ci si riflette un attimo e tutto ciò finisce per apparire più qualcosa di schizofrenico, visto che gli stessi “eroi” odierni, spesso sono proprietari o controllori degli enti e delle banche nazionali, che di fatto sono stati gli strumenti attraverso i quali i grandi evasori spostano denaro da un paradiso all’altro.

Adesso, con una “faccia di tolla” che ha dell’incredibile, i potenti occidentali, scoprono con “terrore” che le maggiori banche da loro controllate, hanno filiali in questo o quel paradiso fiscale, divenendo così parte del sistema di import / export di capitali, alla stregua di quanto accade nella vendita di petrolio dove è noto, la petroliera cambia bandiera e regime fiscale nel bel mezzo dell’oceano!.

Alle banche, coscienti o meglio incoscienti responsabili di tutto quello che sta accadendo, però sembra sia stata garantita l’impunità. In cambio sembrano ora diventati tanti “pentiti” che collaborano con la giustizia, denunciando senza remore i propri clienti, da loro stessi profumatamente consulenziati, come già successo per 250 americani dell’UBS.

Non solo, sarebbe a questo punto interessante sapere, visto che tutto ciò è stato approvato anche dal Governo Italiano, quale influenza potrà avere sulle “ricchezze” del Primo Ministro Berlusconi, depositate in alcuni di questi luoghi “immondi” (almeno da un mese a questa parte).

I politici fanno finta di non vedere che invece la questione che riguarda i paradisi fiscali, al di là della caccia agli untori di questi tempi, è chiaramente conseguente ad un fatto sistemico e non di pochi e “scorretti” soggetti, proprio visto il coinvolgimento di tutte le maggiori banche del mondo.

Le azioni di Obama e della EU rischiano così di rimanere sulla carta, pure intenzioni e vuoti proclami di un cambio di registro che però rimarrà utopico e privo di concretezza.

L’Italia ne è un chiaro ed evidente monito: oltre il 60% degli italiani confermano ancora oggi la propria preferenza a Berlusconi, sapendo tutto e il contrario di tutto sulla gestione della sua ricchezza, paradisi fiscali compresi.

La ragione di tutto ciò è semplice: che piaccia o no, i contenuti e l’esempio dello stesso Berlusconi trovano vasto consenso nella popolazione e non il contrario, come vorrebbe la “sterile” opposizione, perché la natura umana, signori miei, è questa.

Lo stesso vale per anche gli altri paesi occidentali, USA e Gran Bretagna in testa, che adesso sembrano volere fare i puritani, ma sembrano scordarsi che i paradisi fiscali sono stati una loro invenzione e localizzati in luoghi ad oggi ancora alcune volte sotto la loro bandiera nazionale e che beneficiano di statuti speciali.

Se l’Italia per i suoi monumenti e la storia è famosa in tutto il mondo quale meta turistica, isole belle ma insignificanti sul piano della storia, sono diventate mete turistiche che hanno attratto milioni di “turisti”, ricchi o aspiranti tali, che così hanno potuto beneficiare di questo nuova invenzione occidentale.

Addirittura, avere un conto in uno di questi luoghi è stato negli anni ruggenti uno status symbol molto ambito, alla stregua di barche, Yacht e belle donne.

Si pensi a Singapore, città stato, che ha fatto del suo emulare l’esempio della sempre decantata ed autorevole Svizzera, il proprio biglietto da visita che le ha consentito rapidamente di scalare le vette delle classifiche dei paesi più ricchi al mondo.

Quindi Obama, più che un nuovo Robin Hood, rischia di essere lo Sceriffo di Nottingham, così come la EU il Don Chisciotte della Mancia, visto che non colpiscono veramente chi ha contribuito a creare questa crisi, che di fatto escono impuniti da quanto sta accadendo, ma lanciano la caccia all’untore, scaricando tutto su altri soggetti ben lontani, genericamente chiamati “paradisi fiscali”, solo per recuperare nuove tasse e continuare come prima.

Meglio sarebbe stato agire sul sistema e le cause profonde, quali le strette relazioni tra politica e finanza, dove la prima è costretta a cercare fondi per farsi eleggere e gestire il proprio consenso e la seconda che finanzia, lecitamente o meno, per cercare di ottenere vantaggi nel proprio agire ed avere appoggi, coperture, su questa o quella situazione.

Da ciò è evidente che ora la situazione sia di profonda fibrillazione, visto che non solo gli imprenditori stanno subendo strette finanziarie delle banche, ma anche la politica è costretta a fare i conti con la difficile situazione in cui si trovano i propri finanziatori.

Quindi invece di ridurre, tagliare, modificare l’approccio della gestione in casa propria, si è pensato bene di fare guardare altrove, indicando nei paradisi fiscali le ragioni profonde di un cancro che invece è interno ai paesi occodentali, visto che le invenzioni di questi spazi, al di sopra delle leggi, ma possibili per legge, sono frutto della capacità ed inventiva di molti manager occidentali e non dei diversi paesi che alla fine, si sono solo prestati a questa “triangolazione”.

Una ipocrisia che lascia poco tranquilli, visto che appare evidente che si sta cercando solo di “giustificare” piuttosto che curare profondamente.

Il resto è solo il tentativo di far passare una “favola”, quella di quando “gli eroi occidentali che di fronte alla crisi, causata dalle proprie idee di liberalizzazione, circolazione delle merci e capitali, distrussero il drago della “speculazione” annidato nei paradisi fiscali!!

Speriamo non si debba aggiungere a ciò un tragico finale: “…perendo essi stessi in questa “eroica” azione, scoprendo con sconcerto, che il drago e gli eroi, alla fine erano la stessa persona”.

martedì 28 ottobre 2008

Il Ritorno del Dragone d’oro!

Premessa: "Il significato cinese di Cina è “paese di mezzo” appunto, Zhong Guo -中国."

Mentre il mondo occidentale piange e si dispera cercando di tamponare le “falle” del proprio sistema finanziario, sperando così di non affondare, nello stesso momento, in Cina si definiscono le nuove rotte per continuare a crescere, magari meno, ma continuare a crescere.

Un interessante paradosso di questi tempi.

Per capirci, da queste parti sono preoccupati per un rallentamento della crescita economica, passata dal 10% al 9%, quando noi faremmo salti mortali dalla gioia se riuscissimo a crescere anche solo dello 0,1%!

Comunque sia, dopo quanto sta accadendo in tutto il mondo e i rovinosi effetti causati soprattutto dal crollo del mercato immobiliare USA, i cinesi sono corsi subito ai ripari per arginare eventuali “contaminazioni”.

Mercato cresciuto nell’ultimo decennio in maniera esponenziale, negli ultimi periodi il mercato immobiliare cinese aveva iniziato a manifestare comunque pericolosi rallentamenti.

Da qui l’intervento di queste ore del governo cinese, con una serie di misure che entreranno in vigore dal 1° Novembre e che intendono favorire la stabilità del mercato della casa in Cina, che dopo il commercio estero, rappresenta il maggiore driver della crescita economica del paese.

In particolare le nuove misure introdotte interessano l’imposta di bollo sulla proprietà, passata dal 3-5 percento all’1% per le case più piccole di 90 metri quadri e il minimo da versare per l’acquisto della prima casa, che indipendentemente dalla dimensioni, scenderà al 20% dall’attuale 30%.

Quest’ultima misura autorizza quindi le banche a fornire prestiti garantiti fino all’80% sul valore dell’immobile da comprare.

Ma non solo, nel decreto governativo è stata rimossa anche l’imposta di bollo che era del 0,05% e la tassa sul valore aggiunto dei terreni, limando ulteriormente gli svantaggi fiscali per i proprietari di casa.

A queste misure si sono però aggiunti anche consistenti investimenti (1 trilione di Yuan) per sostenere la costruzioni di case a prezzi più accessibili, in grado quindi di favorire l’accesso alla prima casa anche alle fasce meno abbienti del paese.

La ragione di questo agire è evidente: 2 /3 della popolazione cinese si trova in questo periodo a dover effettuare il proprio “salto di qualità”, favorito dalla continua crescita economica del paese e la casa è il bene fondamentale a cui ogni famiglia cinese aspira.

La leva delle ricchezza dei cinesi sta proprio in questo bene primario e un mercato stabile in grado di favorire un concreto consolidamento per tutte le famiglie cinesi è, in questa fase, strategico per la Cina proiettata nel proprio futuro di potenza economica.

Le manovre di questi giorni sono comunque senza precedenti, di portata simile a quelle introdotte dall’ex primo ministro Zhou Rongji e che diede il via politica della privatizzazione delle case e la riduzione delle imposte per la edilizia abitativa.

Nel contempo, a Shanghai è stata elevata ad un quinto la quota di ipoteca massimale a carico del fondo per gli alloggi, fondo nel quale, impiegati e datori di lavoro, mensilmente versano denaro in cambio di tassi di interesse più bassi.

Questa mossa di Shanghai, intende contribuire l’accesso garantito a prestiti più grandi di quelli attuali.

Se nelle città la leva della casa è quella che ha creato le basi dell’attuale classe media cinese, ora tutto ciò si potrà ripetere anche nelle campagne, alla luce della nuova “riforma nelle campagne” che consentirà anche ai contadini di divenire proprietari dei propri appezzamenti e cedere l’uso dei terreni.

Questo aspetto produrrà un doppio beneficio: da una parte consentirà ai contadini di ottenere un profitto dalla compravendita di suddetti diritti, con il quale potersi trasferire nelle Città, dall’altra i terreni potranno venire acquistati da imprese per essere lavorate su larga scale, così da aumentarne l’attuale produttività.

Ma non solo, di contorno sono stati abbassati i tassi di interesse sui prestiti, in modo da favorire le imprese in un momento difficile come questo e nel contempo sono cresciute le detrazioni fiscali per gli esportatori su 3486 prodotti, per ridurre gli impatti della crisi commerciale nei paesi occidentali.

L’impressione finale che se ne trae è che, mentre i paesi occidentali stanno facendo i conti con il proprio “artificioso” sovradimensionato economico, la Cina abbia invece ampi margini di manovra non solo per continuare a crescere, ma per consolidare la propria attuale crescita, potendo fare da traino e salvagente alle “scoppiate” economie “ occidentali.

E’ la storia che ritorna, di quando 150 anni fa la Cina era la prima potenza economica al mondo.

giovedì 23 ottobre 2008

Berlusconi finalmente a Beijing!

Visita delicata e tutt’altro che di circostanza per Berlusconi, arrivato oggi a Beijing per partecipare ai lavori dell’ASEM (Asia – Europa Meeting) il 24 e 25 Ottobre.

Assenti gli Stati Uniti, paese da cui è iniziata l’attuale crisi finanziaria mondiale, 27 leaders europei. Cina, Giappone, India e altri 13 paesi asiatici, stanno discutendo su come cercare di farne fronte.

La parola d’ordine sembra essere una sola: Cooperazione.

Che si sia in una fase molto delicata degli stessi equilibri mondiali, appare evidente dal fatto che la crisi finanziaria, di una gravità senza precedenti, rischia anche di aggravare e complicare ulteriormente la soluzione dell’altra priorità mondiale che mette a repentaglio l’intera umanità: il Cambiamento climatico.

La sensazione che infatti si trae è che, di fronte al malato Usa che rischia di contagiare tutti, la priorità dei paesi asiatici, sia ora solo quella di evitare che la pandemia finanziaria possa diffondersi oltre in tutto il pianeta.
Ma non solo, nella costruzione del futuro mondiale, i paesi asiatici sembrano volere dire la propria e pretendono ora di essere co-protagonisti nella necessaria ridefinizione delle nuove regole per i mercati finanziari.

A prescindere quindi dalle frasi di circostanza che precedono i prossimi lavori dell’ASEM di Beijing, questa appare essere la vera ed unica questione centrale che sta realmente a cuore di tutti i paesi asiatici presenti a questo meeting di Beijing.

Il richiamo ad una “pragmatica collaborazione per assicurare il ritorno all’ordine sui mercati internazionali” fatto ai paesi EU da parte dal Vice Premier Cinese Xi Jiaping alla cerimonia di apertura dell’11° Asia – Europa Business Forum che anticipa l’ASEM, appare quanto mai significativo e un chiaro distinguo tra cause e causatori.

Nessuna delega in bianco sarà quindi data in futuro ai paesi occidentali che dai paesi asiatici sono considerati, direttamente o indirettamente, tutti “corresponsabili” di quanto sta succedendo a livello mondiale.

La situazione causata dal caos finanziario di questi tempi è talmente grave che ha finito per provocare la modifica dell’agenda dei lavori dell’ASEM che doveva essere totalmente concentrata su “cambiamento climatico e sviluppo sostenibile”.

Un netto ribaltamento dell’atteggiamento Europeo di questi giorni, la sintesi del diverso approccio sulle cose tra Ovest ed Est, la fotografia degli attuali equilibri (squilibri) mondiali e dei potenziali contrasti futuri tra paesi sviluppati e in via di sviluppo.

In una battuta è come se gli asiatici, oltre a sentirsi ingiustamente addittati quali inquinatori del mondo, con le fabbriche frutto della selvaggia delocalizzazione dei paesi sviluppati che ha creato rilevanti vantaggi finanziari ad occidente, ora sentano di rischiare gli sforzi e i sacrifici fatti fino ad ora, dall’irresponsabile approccio sociale e finanziario, attuato dai paesi sviluppati negli ultimi decenni.

Detto ciò, appare quindi evidente come Berlusconi, lo stesso che ha posto in queste ore un “freno” all’atteggiamento Europeo di risolvere prima la questione ambientale e poi “incrociare le dita” su quella finanziaria, troverà a Beijing una buona sponda proprio nei paesi asiatici e la Cina in primis, per poter continuare in Europa, nella propria pragmatica azione in risposta alle emergenze mondiali di questi giorni.


mercoledì 1 ottobre 2008

Mercati,Fiducia Sfiduciata!


I mercati finanziari, commerciali e tutte le relazioni d’affari si basano sulla certezza e “trasparenza” delle regole applicate.

Ma la vera ed unica protagonista che ha consentito ai diversi mercati di crescere in questi decenni di capitalismo, è la fiducia.

E’ stata la leva per cui si è finito per barattare tutto con tutto e qualsiasi cosa: semplici pezzi di carta, le intenzioni future, le prospettive future, le speranze future.

La “brochure della fiducia” ha così condiviso a livello planetario, l’idea che il mondo potesse essere proiettato verso una irresistibile continua “crescita”: dei PIL dei paesi, dei consumi interni, del mercato immobiliare, dei mercati finanziari, della ricchezza delle persone che si sono così trovate i portafoglio pieni di “fiducia”.

Ma in questa catena di Sant’Antonio, basata tutta sulla “fiducia”, alla fine si è arrivati a dover fare i conti con una realtà ben diversa: il payback (il saldo) .

In quel preciso momento, il valore del barattato, monetizzato, prestato, rateizzato, si è come “volatilizzato”, non essendo mai realmente esistito, sparito come la nebbia all’arrivo della prima brezza.

Tutto ciò ha scoperchiato e mostrato come aziende, banche, finanziari, imprenditori, realmente finanziassero la propria crescita, vendendo solo vuota “fiducia”, travestita d’affari e finanza: la “Crazy Economy”.

La leva della fiducia, che per molti economisti ed operatori finanziari si è trasformata in vera e propria fede, ha portato quasi tutti a confondere la realtà con un sogno, allontanandosi così definitivamente dal vecchio modo di creare valore, attraverso il baratto di beni primari con altrettanti beni primari.

La finanza ha così finito per condizionare l’economia, trasformando il debito, figlio della fiducia, in uno strumento finanziario fondamentale che ha permesso di acquisire beni basati essi stessi sulla fiducia, in un circolo vizioso che ora si scopre senza fine.

Comunque sia, la trasformazione del ruolo strategico della fiducia nelle economia è databile al 1974, il momento dello scollegamento tra valore del dollaro con quello dell’oro ed argento.

Recentemente poi la rete e la “Moneta elettronica”, dalla fine del ’90 ha dato alla “fiducia” l’infrastruttura necessaria per globalizzarsi e trasformarsi in moneta vera.

Ma ora l’economia si è accorta che di sola ”fiducia” non si mangia e quindi ha chiesto in cambio il controvalore reale, necessario per sostenere questa fase congiunturale.

Il problema è che la fiducia non ha alcun “concambio reale”, per cui ora occorre iniettare alla fonte valuta vera, per cercare di pagare il “castello di fiducia” che ora si scopre con orrore, non ha più alcun valore, essendo ora sfiduciata.

Gli USA stanno cercando di iniettare 700 Miliardi a copertura dell’eccessiva fiducia venduta fino ad ora, così come le banche mondiali continuano ad iniettare miliardi ogni giorno sui mercati finanziari.

Ma il vero problema è che ora si scopre che nessuno sappia realmente quanta “fiducia” sia stata usata nello sviluppo di molte economie occidentali.

E questo è il vero dramma, la consapevolezza di scoprire che tutta questa “economia” sia solo un “disegno finanziario”, una illusione a cui tutti hanno creduto ciecamente, abbagliati come erano da tanta circolante fiducia.

Lo stesso Bush, l’uomo più potente della terra, ha capito solo ora quanta sfiducia lo circonda, dopo aver contribuito a vendere al mondo intero vagonate di “fiducia” per un futuro migliore per tutti.

That’s reality!

martedì 23 settembre 2008

Crac Lehman Brothers: 40.000 investitori a rischio

Leggo oggi sul Corriere che anche in Italia esiste il concreto rischio per 40.000 investitori:

«...A preoccupare non è solo l'esposizione diretta di banche e assicurazioni italiane che hanno acquistato azioni e obbligazioni del colosso americano - spiega l'associazione dei consumatori -, ma è soprattutto il numero dei clienti che hanno nei portafogli bond, prodotti strutturati e polizze index linked legati alla banca americana. Quarantamila cittadini che rischiano di veder bruciati oltre 1 miliardo di euro investiti...».

Ben diverso scenario dalle precedenti valutazioni di molti banchieri sul "basso (quasi nullo) impatto di questo Crac anche in Italia"....

E l'onda lunga ancora non è finita .... "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio!"
Ma non solo:
"LEHMAN: DAGLI UFFICI EUROPEI SPARITI 8 MILIARDI PRIMA DEL CRAC…
Hugo Dixon per “La Stampa”
Che cosa è successo agli 8 miliardi di dollari di Lehman Europe? I banchieri europei del broker sono indignati per il trasferimento di 8 miliardi alla casa madre effettuato pochi giorni prima del crac.
Sono inoltre seccati dal fatto che i grandi capi di New York, tutt'altro che estranei alla gestione della banca prima del fallimento, stiano ricevendo generosi bonus come incentivo per passare a Barclays.
L'impatto di questo trasferimento di liquidità è stato pesante per la società europea, che lunedì scorso non ha potuto aprire i battenti perché completamente a secco di denaro liquido. Le sue prospettive di sopravvivenza non sarebbero cambiate di molto, ma alcuni clienti potrebbero subire una perdita finanziaria.
In più, i dipendenti rischiano di non ricevere un trattamento pensionistico decente se l'interessamento di Nomura non dovesse concretizzarsi.
Le domande chiave sono due: chi ha operato il trasferimento, e perché?
Una prima linea di indagine cercherà presumibilmente di appurare se la casa madre abbia saccheggiato la consociata europea perché stava esaurendo completamente i fondi. Secondo fonti ben informate, una grande banca americana avrebbe congelato un deposito di Lehman per 13 miliardi di dollari in titoli e contanti a metà settimana, poco prima del crac. Le stesse fonti sostengono che giovedì sera, alla vigilia del fallimento, la stessa grande banca avrebbe richiesto altri 5 miliardi di dollari entro il giorno successivo, presumibilmente come una sorta di margin call, e che li avrebbe puntualmente ricevuti.
I banchieri europei sono inoltre infuriati per i bonus che i vertici più anziani del quartier generale Usa stanno ricevendo come incentivo per entrare in Barclays.
È naturale che Barclays desideri mantenere alcuni membri chiave del management, ma è difficile accettare che le stesse persone che fino al giorno del crac sono state responsabili della gestione dell'istituto debbano ora godere di ulteriori benefici. se le notizie fossero vere, si aprirebbe un nuovo capitolo nero in questa crisi."
Alla faccia dell'etica negli affari!!!