Italia(nata) Telecom:anello debole dello sviluppo nazionale
Nel cercare di “capire” le faccende Italiane nell’ottica del mondo che cambia, corre, avanza, si fa molta fatica a comprendere molte scelte, spesso più simili a dei Harakiri.
Telecom non fa eccezione.
Dopo una sciagurata privatizzazione e repentini passaggi di mano che l’hanno caricata di debiti miliardari (42 Miliardi), adesso rappresenta l’anello debole dello sviluppo Italiano.
L’empasse nel quale l’azienda è precipitata da qualche tempo, necessita non semplicemente di una ristrutturazione aziendale ma di una vera e propria “ristrutturazione paese”.
Infatti, appare decisamente insufficiente la soluzione proposta di recente da Telecom, che su sollecitazione dell’Antitrust ha creato Open Access, non altro che una divisione interna che di fatto non cambia i termini del problema.
Delle due una: o il paese intende provare a competere sull’innovazione tecnologica, seriamente e con convinzione o è meglio “alzare bandiera” bianca ed arrenderci definitivamente al futuro che incombe.
In particolare va evidenziato come Telecom sia decisamente più strategica di Alitalia, fatto dimostrato dal comportamento di altri Partner Europei (Germania e Spagna) che se da un lato hanno aperto le proprie compagnie aeree a partnership incrociate, per quanto riguarda le ICT, stiano agendo per tutelare prima di tutto gli interessi nazionali, ponendo in subordine quelli internazionali.
Impossibile fare diversamente, perché le infrastrutture per le telecomunicazioni sono da considerarsi alla stregua di “autostrade su concessione”, piuttosto che spazi di semplice e libera iniziativa privata.
Occorre quindi separare rete (infrastrutture) dai servizi, ridando i primi in gestione al pubblico, con la partecipazione di partner Privati e non come ora, dove lo stato è totalmente tagliato fuori da qualsiasi scelta in tale campo.
Solo dopo le imprese potranno realmente competere, utilizzando a pari condizioni l’infrastruttura esistente e non come ora, dove il concorrente è il gestore della rete stessa.
La politica italiana, che ha compreso gli errori del passato, ora sembra non sappia come tornare indietro senza “perdere la faccia”, perché molti dei protagonisti di allora sono ancora in prima linea.
A questo si aggiunge il problema Europeo e le sue regolamentazioni in merito.
Onestamente però, l’idea di Europa non ha alcun diritto di mettere fuori gioco l’intero paese su questa questione nei decenni a venire, visto che la rete non può essere considerata un prodotto ma una infrastruttura esattamente come lo sono le scuole, gli ospedali, le autostrade.
Esiste un motto cinese che dice “è stupido colui che non sa seguire il “vento” del cambiamento, preferendo “spezzarsi” sulle proprie certezze” che parafrasato, è come dire che occorre prendere decisioni storiche e popolari, anche se sgradite a livello di qualche concorrente a caccia della preda facile (Telefonica) e qualche banca impegnata sulla questione, a fini speculativi.
Aggiungiamo poi, che non bisogna vergognarsi a chiamare con il nome giusto tutto ciò: “nazionalizzazione” della fibra italiana.
Gli americani lo hanno fatto in questi giorni, senza mezzi termini, per quanto riguarda i mutui, gli inglesi nel sistema bancario.
Non si capisce quindi il perché l’Italia non possa farlo con le TLC, visto che in gioco c’è l’alfabetizzazione dell’intero paese, il futuro “intelligente” di tutti noi.
La ragione per cui occorre prendere questa decisione, non continuando a perdere altro tempo prezioso, l’ha spiegata il Presidente della Commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci: “per creare un network adeguato, il paese necessita di 15 miliardi e Telecom Italia, nelle condizioni in cui versa non li ha”.
Siccome è stato dimostrato un nesso tra investimenti nelle nuove tecnologie ICT e la crescita del PIL nazionale, non investire ora sulla Fibra Italiana, equivale a non voler investire sulla crescita reale futura del paese e sulla crescita del livello culturale dei suoi cittadini, relegandoli all’Analfabetismo Digitale.
Per fare un parallelo è come se nel dopo guerra il governo Italiano avesse deciso di affidare la formazione (scuola) ai privati fin da subito, vendendo ad essi le scuole esistenti. Quale lingua, quale storia, quali contenuti sarebbero ora insegnati?
Occorre quindi avere il coraggio di considerare lo scorporo della rete e il suo ritorno sotto il “cappello” statale, un atto dovuto e necessario, dopo il quale, ricominciare a “pianificare” meglio i prossimi passi ma in una forma più virtuosa di quella attuale, che ad oggi appare essere solo una discutibile “Italianata”.
Telecom non fa eccezione.
Dopo una sciagurata privatizzazione e repentini passaggi di mano che l’hanno caricata di debiti miliardari (42 Miliardi), adesso rappresenta l’anello debole dello sviluppo Italiano.
L’empasse nel quale l’azienda è precipitata da qualche tempo, necessita non semplicemente di una ristrutturazione aziendale ma di una vera e propria “ristrutturazione paese”.
Infatti, appare decisamente insufficiente la soluzione proposta di recente da Telecom, che su sollecitazione dell’Antitrust ha creato Open Access, non altro che una divisione interna che di fatto non cambia i termini del problema.
Delle due una: o il paese intende provare a competere sull’innovazione tecnologica, seriamente e con convinzione o è meglio “alzare bandiera” bianca ed arrenderci definitivamente al futuro che incombe.
In particolare va evidenziato come Telecom sia decisamente più strategica di Alitalia, fatto dimostrato dal comportamento di altri Partner Europei (Germania e Spagna) che se da un lato hanno aperto le proprie compagnie aeree a partnership incrociate, per quanto riguarda le ICT, stiano agendo per tutelare prima di tutto gli interessi nazionali, ponendo in subordine quelli internazionali.
Impossibile fare diversamente, perché le infrastrutture per le telecomunicazioni sono da considerarsi alla stregua di “autostrade su concessione”, piuttosto che spazi di semplice e libera iniziativa privata.
Occorre quindi separare rete (infrastrutture) dai servizi, ridando i primi in gestione al pubblico, con la partecipazione di partner Privati e non come ora, dove lo stato è totalmente tagliato fuori da qualsiasi scelta in tale campo.
Solo dopo le imprese potranno realmente competere, utilizzando a pari condizioni l’infrastruttura esistente e non come ora, dove il concorrente è il gestore della rete stessa.
La politica italiana, che ha compreso gli errori del passato, ora sembra non sappia come tornare indietro senza “perdere la faccia”, perché molti dei protagonisti di allora sono ancora in prima linea.
A questo si aggiunge il problema Europeo e le sue regolamentazioni in merito.
Onestamente però, l’idea di Europa non ha alcun diritto di mettere fuori gioco l’intero paese su questa questione nei decenni a venire, visto che la rete non può essere considerata un prodotto ma una infrastruttura esattamente come lo sono le scuole, gli ospedali, le autostrade.
Esiste un motto cinese che dice “è stupido colui che non sa seguire il “vento” del cambiamento, preferendo “spezzarsi” sulle proprie certezze” che parafrasato, è come dire che occorre prendere decisioni storiche e popolari, anche se sgradite a livello di qualche concorrente a caccia della preda facile (Telefonica) e qualche banca impegnata sulla questione, a fini speculativi.
Aggiungiamo poi, che non bisogna vergognarsi a chiamare con il nome giusto tutto ciò: “nazionalizzazione” della fibra italiana.
Gli americani lo hanno fatto in questi giorni, senza mezzi termini, per quanto riguarda i mutui, gli inglesi nel sistema bancario.
Non si capisce quindi il perché l’Italia non possa farlo con le TLC, visto che in gioco c’è l’alfabetizzazione dell’intero paese, il futuro “intelligente” di tutti noi.
La ragione per cui occorre prendere questa decisione, non continuando a perdere altro tempo prezioso, l’ha spiegata il Presidente della Commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci: “per creare un network adeguato, il paese necessita di 15 miliardi e Telecom Italia, nelle condizioni in cui versa non li ha”.
Siccome è stato dimostrato un nesso tra investimenti nelle nuove tecnologie ICT e la crescita del PIL nazionale, non investire ora sulla Fibra Italiana, equivale a non voler investire sulla crescita reale futura del paese e sulla crescita del livello culturale dei suoi cittadini, relegandoli all’Analfabetismo Digitale.
Per fare un parallelo è come se nel dopo guerra il governo Italiano avesse deciso di affidare la formazione (scuola) ai privati fin da subito, vendendo ad essi le scuole esistenti. Quale lingua, quale storia, quali contenuti sarebbero ora insegnati?
Occorre quindi avere il coraggio di considerare lo scorporo della rete e il suo ritorno sotto il “cappello” statale, un atto dovuto e necessario, dopo il quale, ricominciare a “pianificare” meglio i prossimi passi ma in una forma più virtuosa di quella attuale, che ad oggi appare essere solo una discutibile “Italianata”.