mercoledì 28 ottobre 2009

Cina accusa Google di censura su Google Libri (e di copiare senza autorizzazione)

Sui Diritti d’Autore e il rispetto della Proprietà Intellettuale sembra che sia in corso una vera e propria guerra 2.0 globale, un nuovo tipo di conflittualità che sempre più spesso finisce per esondare ed interessare i rapporti tra Stati, come mai prima nella storia.

 

Così accade che Google sia stata prima accusata di aver copiato e pubblicato senza permesso nella propria libreria digitale Google Libri, migliaia di testi di scrittori cinesi e poi a stretto giro, sia stata accusata di censurare la stessa libreria digitale sul mercato cinese.

 

Una diatriba che si sta consumando da giorni sulle colonne del People’s Daily, il giornale governativo cinese, dove nei giorni scorsi era stata riportata la denuncia di Zhang Hongbo, direttore generale della CWWCS (China Written Works Copyright Society), secondo cui “le infrazioni compiute da Google, in materia di diritti d’autore, sono molto gravi.”

 

E alle accuse scritte erano immediatamente seguiti anche i fatti che sotto forma di pressioni da parte dei dipartimenti governativi cinesi sul governo Usa, tra cui il National Copyright  Administration, hanno portato alla ufficiale richiesta cinese di gestire adeguatamente la situazione che si era venuta a creare.

 

La questione apparentemente sembra ruotare attorno a qualcosa come 18.000 libri ed oltre 570 autori cinesi e la violazione dei diritti d’autore connessi con tali opere.

 

Ma per i cinesi il problema non sembra essere solo questo.

 

Infatti sono fortemente irritati dal comportamento fin qui tenuto da Google, di totale silenzio, in quella che sembra essere una precisa strategia che intende attendere la conclusione dell’accordo stragiudiziale in via di definizione tra Google e due organizzazioni americane per la tutele dei Copyright.

 

L’accordo è collegato ad una causa collettiva in discussione in un tribunale statunitense, proprio per violazione del copyright da parte di Google Libri.

 

A preoccupare i cinesi sembra essere proprio questo accordo che Google starebbe per sottoscrivere e che nella sostanza prevede che gli autori che accetteranno la scannerizzazione potrebbero ricevere 60 dollari per singolo titolo, quale compensazione, a cui si aggiungerebbe anche il 63% sugli introiti che saranno ricavati dai lettori che pagheranno per leggere questi testi, in un accesso a pagamento gestito da Google.

 

Il punto focale dell’accordo è che gli autori che non intenderanno dare a Google il diritto alla digitalizzazione dei propri libri, potranno fare appello entro il 5 gennaio 2010, mentre tutte le autorizzazioni a Google dovranno essere fornite dagli autori stessi entro il 5 giugno 2010.

 

Bene, quest’accordo, che nell’idea di Google di fatto consentirebbe anche agli scrittori cinesi di potersi associare, richiedendo così un risarcimento per le eventuali violazioni da loro subite, secondo Zhang della CWWCS, “non è assolutamente accettabile”.

 

"Prima di tutto perché Google ha violato il copyright degli scrittori cinesi. Così come non ha alcun senso fissare un termine per gli  scrittori cinesi entro il quale poter  proteggere i propri  interessi.”

 

"In secondo luogo, Google dovrebbe mostrare un atteggiamento più costruttivo ed oltre ad ammettere la violazione,  negoziare con gli autori cinesi in maniera più trasparente”.

 

Tutto ciò sembra assumere rilevanza anche nei rapporti tra Usa e Cina, visto che Zhang ha continuato affermando come “gli Stati Uniti spesso criticano l'inefficienza della Cina sul tema della tutela della proprietà intellettuale  Ma gli Stati Uniti vedono cosa sta facendo la loro azienda in Cina? Molti dei nostri scrittori sono infuriati",           

 

La protesta degli autori cinesi contro l’uso indiscriminato dei contenuti pubblicati su Google Libri sta quindi montando.

 

Anche Zhang Kangkang, un’importante scrittore ma soprattutto il vice-presidente dell'Associazione degli scrittori cinesi ed uno degli autori pubblicati da Google, si è infatti detto "sorpreso" ed "arrabbiato" per la violazione dei copyright da parte di Google..

 

"Quello che si sta definendo è un accordo a senso unico, per tentare di acquisire i diritti connessi, senza anche il permesso dell’autore. E’ infatti da considerarsi illegale che qualcuno possa sfruttare il lavoro degli scrittori, in nome della condivisione delle conoscenze", ha sottolineato Zhang.

 

Sulla eventuale proposta di “compensazione” che Google sta predisponendo con l’accordo in discussione negli Stati Uniti, Chen Cun, un altro noto scrittore cinese che vive a Shanghai, ha le idee chiare: "Google sogna ad occhi aperti se realmente intende comprare i miei diritti d'autore per 60 dollari”.

 

"Il prezzo dovrebbe essere fissato attraverso una negoziazione tra le parti. Non è possibile pensare che sia una trattativa seria se possano acquistare un oggetto dove esiste di fatto solo la loro offerta."

 

Quale ciliegina sulla torta della contestazione nei giorni scorsi è successo qualcosa che ha ulteriormente scaldato gli animi cinesi, in quella che è stata interpretata come una vera e propria deliberata provocazione da parte di Google.

 

Cercando infatti di fare ricerche su Google Libri, in Cina per tre giorni i risultati portavano tutti ad una pagina che avvisava gli utenti che il sito poteva contenere software dannoso. Le stesse ricerche effettuate con altri motori di ricerca, tra cui il notissimo Baidu, non arrivavano alle stesse “conclusioni”.

 

A stretto giro e sempre attraverso il Giornale Governativo People’s Daily è quindi arrivata l’accusa a Google, quella di averne “maliziosamente” bloccato l’accesso, attivando così una sorta di censura ai danni degli utenti cinesi, quale evidente ritorsione alle proteste sulla Proprietà intellettuali violate nei confronti degli autori cinesi pubblicati su Google Libri.

 

Google in questo caso ha immediatamente replicato, con una nota ufficiale nella quale ha dichiarato come “tutto ciò è  connesso ad una segnalazione automatica di un software che non prevede alcun intervento specifico da parte di Google.”

 

Sarà, comunque i cinesi, non sembrano proprio fidarsi di Google e temono al contrario di trovarsi con i giochi fatti dopo che la società americana avrà firmato l’accordo stragiudiziale che rischia di lasciare fuori i cinesi ma anche tutti gli autori in giro per il mondo che non rispetteranno gli stretti tempi previsti.

 

Una cosa è certa: Google rischia ora di aver trovato nei cinesi un ulteriore “nemico” che va ad aggiungersi agli agguerriti editori Europei, ed Americani, fatto che potrebbe complicare non poco la missione che si è prefissata di creare la “Biblioteca Mondiale Digitale”, progetto che al contrario, rischia in futuro di portarla sempre più  spesso a doversi difendere dai continui attacchi sulle diverse violazioni commesse nei diversi tribunali in giro per il mondo. 

 

Anche questo è Web 2.0.

martedì 20 ottobre 2009

FIAT accusata di sottrazione di segreti commerciali in Cina.

In Cina si prospetta per la FIAT una dura battaglia legale.

E’ il secondo round di un contenzioso iniziato nel 2007, quando fu invece la FIAT a citare in giudizio la società cinese Great Wall Motors, per aver copiato una della sue vetture di punta: la Panda.

Ora la situazione sembra essersi capovolta.

Il portavoce della Great Wall, Shang Yugui, ha infatti dichiarato ieri di come la casa automobilistica cinese abbia presentato presso il tribunale di Shijiazhuang, una causa contro la FIAT.

La Great Wall, con sede a Shijiazhuang nello Hebei, intende citare in giudizio la FIAT, per “sottrazione di segreti commerciali”.

Secondo i cinesi, l’azienda italiana avrebbe infatti inviato al suo centro di ingegneria, delle spie, che avrebbero sottratto in maniera illegale le immagini della PERI, l’utilitaria che era ancora in fase di sviluppo e comunque prima della sua uscita avvenuta nel 2007.

La querelle ha inizio due anni fa, quando un tribunale Italiano stabilì che la PERI della Great Wall, “assomigliasse” alla Fiat Panda, vietandone così la vendita in Europa.

La FIAT cercò l’anno successivo di presentare uguale istanza anche al tribunale cinese di Shijiazhuang, ma in questo caso tale richiesta fu respinta.

Ora per la FIAT la questione rischia di ingrossarsi, visto che uno degli avvocati della Great Wall, Liu Hongkai, ha affermato come nella denuncia ci siano anche le prove che dimostrano come “la Fiat abbia illegalmente visitato il centro di ingegneria della Great Wall nel 2007 e sottratto informazioni riservate sulla PERI.”

I legali della Great Wall si spingono oltre, affermando come "possono essere stati sottratti anche altre importanti ricerche e sviluppi segreti",facendo così balenare possibili ulteriori sviluppi della questione.

Fin d’ora la causa intentata appare del tutto originale, visto che Great Wall si accinge a richiedere dalla FIAT le “pubbliche scuse” oltre ad una simbolica richiesta danni di 100.000 yuan (US $ 14,649).

Nel frattempo la Fiat, in una dichiarazione ufficiale, ha ieri negato le accuse addebitate.

Ora si tratta di vedere come si svilupperà questa causa che comunque dimostra il cambiamento dell’approccio industriale cinese, oltre evidenziare l’esistenza di una crescente “guerra commerciale” tra i produttori automobilistici cinesi ed occidentali sui mercati internazionali.

La novità vera è che il nocciolo di questa nuova guerra commerciale non ruoterà sui dazi antidumping, come per alti mercati, ma bensì attorno al rispetto dei diritti di proprietà intellettuali.

Fino ad ora erano stati solo alcuni costruttori cinesi ad essere stati accusati per tutta una serie di violazioni, come l’ormai mitico caso della Shuanghuan Automobile Co, rea di aver creato il “clone” della BMW X5 SUV.

In questo caso e per la prima volta, è un’azienda occidentale che viene pubblicamente accusata dai cinesi di plagio ed appropriazione di segreti industriali.

La questione che si troverà ad affrontare il tribunale di Shijiazhuang non è quindi solo il torto subito dalla Great Wall, ma anche la volontà cinese, Great Wall in testa, di dimostrare come sia finita l’epoca della Cina quale nazione produttrice per conto terzi, mentre sia iniziata l’era della Cina che produce ed esporta proprie produzioni originali e che le protegge.

In questo mutato scenario, la causa intentata dalla Great Wall alla FIAT ha quindi un valore enorme e rischia di fare scuola.

I cinesi hanno infatti l’impressione che attraverso la questione dei diritti di proprietà intellettuale, i produttori occidentali cerchino di impedire l’ingresso dei modelli cinesi nei loro mercati interni, modelli caratterizzati tra l’altro dai prezzi fortemente competitivi.

Il caso della PERI e della sua invendibilità a livello Europeo ne sarebbe la prova lampante.

Quindi potrà far sorridere, ma la richiesta di “scuse pubbliche” richiesta dalla Great Wall ha un valore ben superiore a qualsiasi compensazione che si possa richiedere.

Una sentenza positiva per la Great Wall, potrebbe infatti essere l’anticamera per una successiva richiesta, in sede europea, di revisione del procedimento che ha impedito alla Great Wall di “attaccare” il mercato delle utilitarie europee, una fascia di mercato dalle potenzialità enormi, ma per contro, anche l’ancora di salvezza per molte case automobilistiche europee, FIAT in testa.

Comunque sia, è il segno evidente di come i tempi siano profondamente cambiati e di come d’ora in avanti il “Made in China” automobilistico intenda conquistarsi, anche attraverso le aule dei tribunali, nuove consistenti quote sui mercati occidentali.

giovedì 1 ottobre 2009

Happy Birthday Cina!!! (60 anni!)

Oggi la Cina si è fermata per assistere alla Grande Parata e festeggiare i 60 anni di quello che loro chiamano la “Nascita della Nuova Cina”, la nascita della la Repubblica Popolare Cinese il 1 Ottobre 1949.

Un evento nell’evento, che ha sancito, ricordato, ripercorso, evidenziato i passaggi fondamentali della storia recente di una nazione fortemente multietnica, che non bisogna dimenticarsi, caso unico sul pianeta, affonda le proprie origini direttamente e in maniera ininterrotta, in ben 4.000 anni di storia dell’uomo.

Un miliardo e 300 milioni di persone che come dei viaggiatori del tempo, sulla nave chiamata “motherland” hanno saputo attraversare il mare della storia ed affrontare tutte le tempeste: guerre, carestie, dolori, sofferenze ed ora, tutti assieme, si sono ritrovati per farsi questi auguri speciali, quali compagni di un’avventura che sembra essere solo all’inizio.

Il “racconto” di questa festa non a caso è partito da una parata militare, che solo uno stolto può pensare che sia solo una prova di “forza” che la Cina ha voluto dare al mondo.

Per i cinesi oggi è stato il momento che ha evidenziato la raggiunta maturità del paese.

Infatti tutte le tecnologie usate, carri armati, aerei, missili, veicoli, sono tutte rigorosamente Made in China.

Ciò significa che per la prima volta nella sua storia, la Cina potrà difendersi da sola, senza il bisogno di alcun aiuto esterno.

E’ un punto importante, decisivo, che sottolinea l’avvenuta realizzazione delle due priorità che assillavano tutti i cinesi: dare da mangiare a tutti, potersi difendere da chiunque.

Infatti la “Nascita della Nuova Cina” il 1° Ottobre 1949 avvenne dopo quasi 100 anni turbolenti, dove si sono succedute invasioni, conquiste, divisioni, spaccature, guerre civili, senza che i cinesi potessero realmente autodeterminare il proprio destino.

In particolare l’inizio del ‘900 era culminato con i massacri di Nanchino e il vero e proprio genocidio e riduzione in schiavitù di un intero popolo dopo l’invasione dei Giapponesi, che addirittura assoldarono l’Ultimo Imperatore Cinese ai propri voleri.

Immagini e ricordi che ancora toccano nel profondo il cuore e le menti di qualsiasi cinese.

Bene, oggi veder sfilare, per la prima volta in pubblico, l’ultima generazione di carri armati come il mitico Type 99, vedere sorvolare la piazza dagli aerei d’ultima generazione come il caccia multiruolo J-10 o veder sfilare le diverse generazioni di missili compresi gli ultimi missili nucleari tattici intercontinentali, è stato soprattutto un segnale di serenità per l’intero popolo: “in futuro non dovremo più temere le sofferenze del passato”.

Non solo, la presenza massiccia delle donne nei reparti, come le ormai celeberrime donne pilota dei caccia cinesi, un vanto per le forze armate cinesi, ha evidenziato come tutti, ma proprio tutti, siano coinvolti nelle nuova organizzazione militare del paese, che non va dimenticato, a differenza che da noi, hanno anche il ruolo di protezione civile in caso di calamità naturale..

In una Cina proiettata nel 3° millennio ma fortemente radicata sul proprio passato, questa cerimonia è stata lungamente attesa e preparata in tutti i suoi dettagli.

Da mesi i plotoni delle diverse armi si preparavano in maniera certosina, per quei pochi minuti di sfilata, preparazione che doveva portarli a sfilare “come fossero un corpo unico”.

Da giorni sulle televisioni cinesi veniva mostrato il percorso di formazione di questi privilegiati che per arrivare ad oggi si sono sottoposti ad un massacrante training fatto di marce infinite ed esercizi durissimi.

Basti pensare che, per sfilare poche centinaia di metri in piazza Tienanmen, ogni componente di questi plotoni ha fatto qualcosa come 10.000 Km. di marce, indossando spesso pesi alle gambe per fortificarne i muscoli o sottoponendosi a test con macchine speciali per misurare il sollevamento della gamba nel passo marziale che doveva ed è stato oggi perfetto.

La Cina si è quindi appassionata attorno a questi racconti e ai dettagli del “dietro le quinte” di una parata di questa importanza e portata storica. Così ora tutti sanno per esempio che un plotone in marcia, le linee che devono essere perfette non sono solo 2, frontale e laterale, ma anche la diagonale deve essere perfetta.

Una perfezione che fa parte del profondo della Cina millenaria. Qualcosa che in Cina è comunque cosa nota fin dalla elementari, visto che più o meno tutti hanno partecipato alle manifestazioni pubbliche dove tutti assieme sanno comporre immagini, parole, attraverso l’uso di diversi pannelli colorati che opportunamente mossi, consentono a centinaia di migliaia di persone di poter scrivere, disegnare qualsiasi cosa.

Quindi un vera arte, tutta cinese, che anche oggi ne hanno fatto sfoggio, così che centinaia di migliaia di persone hanno alternato scritte, messaggi ed immagini per tutte le 2 ore e mezza della parata, il tutto con il sottofondo della banda dell’esercito cinese composta da circa 2000 componenti.

A questi si sono poi aggiunte le voci di decine di migliaia di coristi, in un’atmosfera, dove praticamente tutti i presenti nella piazza, anche gli invitati sugli spalti, avevano un ruolo o comunque la volontà di partecipare, lasciare il segno in una giornata così memorabile.

Ed oggi è accaduto qualcosa segno dei tempi: durante la sfilata, alcuni degli ospiti sulla terrazza da dove Hu Jintao e i massimi esponenti del governo cinese assistevano alla cerimonia, una volta vistesi sui maxischermi che erano in piazza, si sono lasciati prendere e hanno lanciato qualche saluto alla telecamera.

Un gesto che chiarisce il senso di una festa di piazza, dove tutti erano protagonisti ovunque fossero e che potranno dire negli anni a venire: io c’ero.

E infatti in tanti hanno voluto esserci, visto che dopo la parte marziale in piazza è stato come se fosse arrivato il carnevale, tanto erano colorati, festanti i carri delle diverse città, province e gruppi di giovani che hanno monopolizzato la seconda parte della parata.

Quella dove, senza troppa nostalgia ma sincera lealtà storica, è arrivato in piazza anche un enorme ritratto di Mao, al quale è poi seguita la registrazione dello storico annuncio fatto dalla stessa piazza, quello che sanciva la nascita della Repubblica Popolare Cinese, oggi, 60 anni fa.

Così come fatto anche per DengXiaoPing, eroi del passato, a cui oggi è stato dato il tributo di piazza di una Cina che però va avanti e non si ferma radicalizzandosi nel loro ricordo, ma che non si scorda di come la Cina di oggi è comunque figlia di un proprio passato, fatto si di 4.000 anni ma che nel ‘900 e soprattutto negli ultimi 30 anni, ha incominciato a correre ad una velocità fino ad allora inimmaginabile.

Se volessimo quindi cercare una sintesi o meglio il significato di tutto ciò che si è visto oggi, questo lo si ritrova nella oramai tradizionale cerimonia della rivista delle truppe, fatta dal Presidente cinese in piedi su una macchina, così da percorrere in pochi minuti gli oltre 3 chilometri dove le truppe sono schierate pronte a sfilare.

La frase di rito usata prima da Deng Xiao Ping e poi da Jiang Zemin e oggi da Hu Jintao pronunciata ogni volta che si arrivava all’altezza di uno dei plotoni pronti a sfilare è: “Salve Compagni!. Compagni, si lavora duro!”.

In risposta ogni plotone risponde “Salve Leader! Noi serviamo il popolo”.

Un rito ripetuto oggi per ben 44 volte, quanti erano i plotoni in rappresentanza delle diverse armi e gruppi speciali presenti alla sfilata.

Una frase che da queste parti non è affatto retorica del passato ma ancora oggi è l’essenza del pensiero che ogni cinese condivide e che potremmo riassumere con il più occidentale: “Together is better!”

Si perché la Cina è e sarà sempre una squadra, un corpo che si muove all’unisono. Un valore di cui i cinesi vanno fieri e che oggi la “Grande Parata” ha ancora dimostrato essere il valore fondante anche della Cina contemporanea e futura.

Quindi non possiamo anche noi che fare i nostri e sentiti: “Tanti Auguri Cina!!”

giovedì 20 agosto 2009

Facciamo la Storia e pensiamo al futuro dell’Italia!

In queste giornate ferragostane, non posso che rimanere basito sui toni della polemica nata attorno all’organizzazione del 150° della Unità d’Italia.

Ovviamente, in una situazione economica difficile come quella attuale, ben vengano i risparmi suggeriti dalla Lega, ma appare eccessivo allargare la questione, finendo per addirittura mettere l’Unità d’Italia sul banco degli imputati, quale un vergognoso passato del paese.

Che l’Unità d’Italia sia stata vinta sui cambi di battaglia, lo sappiamo tutti, tra l’altro nato a Bergamo, sono della città del nord da cui partirono i famosi Mille che conquistarono / liberarono la Sicilia e larga parte del Sud, per poi “consegnarle” a Re Vittorio Emanuele II, nel famoso incontro di Teano.

Per capire quali fossero i tempi e le aspirazioni di allora, basti un’affermazione di Mazzini che scriveva: “non si tratta più di repubblica o monarchia: si tratta dell'unità nazionale ... d'essere o non essere”.

Parole, non va dimenticato, dette quando a governare la sua Genova c’erano i Francesi, a Milano gli Austriaci e a Napoli gli Spagnoli, momenti dove il “sogno” di una Italia Unita mosse le menti e le braccia di intere generazioni che tentarono a più riprese di realizzarlo, anche a sprezzo della propria vita.

Qualcosa di cui non dobbiamo superficialmente dimenticarcene oggi.

Per capirci, è come se ora gli Stati Uniti d’America, mettessero in dubbio il percorso che portò all’Unione dei 50 stati che la compongono e che passò prima dalla sanguinosa guerra di secessione americana, poi al massacro degli Indiani del periodo delle Guerre Indiane, passando dall’annessione armata delle terre Messicane che costituiscono il Sud del paese.

Tra l’altro, l’accusa che viene fatta all’Unità d’Italia, quello di aver creato un multiculturalismo forzato, come fosse qualcosa di negativo, sembra non tenere conto di quanto sta per esempio accadendo ancora negli Usa, il paese con la maggiore diversità etnica e multiculturalità al mondo, dove un “figlio” degli schiavi “importati forzosamente” negli anni della Unificazione, ora è diventato il leader mondiale e portatore di un messaggio di cambiamento per l’intero pianeta.

Ovvio, visto con gli occhi dei simpatizzanti del Ku Klux Klan, questa rappresenta la prova del “fallimento” del processo di crescita della società Americana e del “peccato originale” di quello che ancora molti da quelle parti pensano sia stato il “Pazzo Lincoln”, l’uomo che finì per aprire la strada affinché un Obama potesse arrivare alla Casa Bianca, un centinaio d’anni dopo.

Ma la storia ha insegnato che chi ha vissuto dei se e dei ma, ha sempre fatto una brutta fine (Roma compresa), perché da quando l’uomo si è alzato in piedi e ha cominciato a camminare, poi non ha più smesso di correre e cambiare, tanto che gli scienziati ora sono tutti concordi nell’affermare come nel futuro i capelli biondi saranno una rarità, i capelli rossi quasi introvabili, la pelle sarà più scura e gli occhi saranno sempre più a mandorla.

Detto questo appare quindi incredibile che ci sia qualcuno che pensi che l’Unità d’Italia sia il “problema” e l’origine di tutti i mali di cui è afflitta l’Italia di oggi, un paese che il Mondo intero ci invidia e che noi Italiani sembra ora non sappiamo più cosa farcene.

Forse il problema sta tutto qua: a non crederci siamo prima di tutto noi, troppo presi a cercare di regolare “beghe” di potere locale o di questo o quel campanile, dimenticandoci che per diventare un paese guida per se e per gli altri, occorre prima di tutto avere l’orgoglio di appartenere ad un progetto che vada oltre i nostri “piccole” ed egoistiche aspirazioni.

Semplicisticamente ci si scorda che per secoli l’Italia, quella post Roma per intenderci, è stata divisa tra città e comuni in costante guerra tra loro per pochi metri di terra o per semplici antipatie che tutelavano si le singole identità ma che finirono poi per essere troppo fragili di fronte alle potenze di allora, Francesi, Spagnole, Austriache che finirono per dominarci a lungo.

Solo attraverso il vituperato “progetto” dell’Unità d’Italia si riuscì a tornare a decidere del nostro passato e tornare a farci rispettare nel mondo.

Ora il problema non è fare le “pulci” alla storia dei nostri nonni che fecero l’Impresa, ma rimboccarci le maniche per costruire il nostro futuro, lasciando da parte presunti errori di “gioventù” di un paese ancora tutto da costruire e cercare di diventare protagonisti di un cambiamento che prima di tutto guardi al futuro, l’unico modo che oggi ci è consentito, per poter sopravvivere e non essere spazzati via dalla storia che verrà.

Le cose che non funzionano sono molte anche e soprattutto per un altro errore nella nostra storia recente, di cui non vedo mai fare cenno: la NON-autodeterminazione di cui abbiamo goduto nel dopoguerra, a causa del “controllo” Americano che ha voluto che le cose andassero come poi sono andate, tanto che ora la nostra pessima classe politica è figlia di quelle scelte dei vincitori di allora.

La storia si può fare, basta avere un’idea chiara di quello che si vuole e non solo una lunga lista di lamentele che affondano nella notte dei tempi dei se e dei ma di una storia che, da quando mondo è mondo, la scrivono solo i vincitori.

Lasciamo stare quindi l’Unità d’Italia e guardiamo al futuro, affinché invece di tornare indietro, si riesca a riconquistare una vera centralità della nostra cultura a livello mondiale e dove oltre ai dialetti ci sia anche una profonda conoscenza dell’Inglese e del Cinese, le due lingue che segneranno i prossimi decenni del pianeta.

Ma soprattutto, in futuro, dobbiamo cercare che sempre più stranieri parlino la nostra lingua, l’Italiano, il messaggero, il tramite attraverso il quale la nostra cultura ha ancora ampi spazi per vivere anche nel futuro e non finire per diventare “lingua (cultura) morta” alla stregua del latino che fu.

Occorre quindi tornare a combattere una “guerra” e “sgomitare” per farci valere come Italiani, tutti assieme, per dare a quelli che verranno nuovi spazi per esprimersi e poter vivere meglio del nostro presente, non scegliendo invece il facile asserragliarsi nei nostri “castelli”, sperando che i barbari ci risparmino nel futuro.

Ricordiamocelo: la storia la scriveranno solo i vincitori, non i vinti!

mercoledì 29 luglio 2009

Obama “Yes you can!” Gli Usa, diano l’esempio!

Ieri, in occasione dell’apertura del 1° vertice Economico Strategico tra Cina e Usa, Obama ha lanciato un messaggio di cooperazione tra Cina ed Usa, affinché siano un “responsabile traino” per l’intera sviluppo mondiale.

Tutto ciò all’apertura del vertice tra il più grande paese in via di sviluppo e il più grande paese già sviluppato, un momento storico per un confronto diretto tra le “due facce del pianeta”, dove non si stanno semplicemente confrontando la 1° e la 3° economia mondiali, ma il passato e il futuro del mondo

Divertente lo scambio di citazioni tra i diversi leader presenti per “sciogliere il ghiaccio”, iniziato da Obama con quello che tutti i media occidentali, hanno subito definito “la diplomazia del Basket”, quando ha citato Yao Ming dal quale avrebbe imparato come “non importa se sei un giocatore esperto o sei agli inizi. Comunque hai bisogno di adattarti al gioco di squadra!”

Ma non solo, Obama, ha citato anche un altro grande della filosofia cinese Mencio, affermando “ Un percorso tra le montagne, se utilizzato, diventa un percorso veloce, ma se non viene utilizzato, verrà bloccato dall’erba in altrettanto breve tempo”.

Obama ha poi aggiunto: "Il nostro compito è quello di creare un percorso per il futuro che vogliamo per i nostri bambini - per evitare che le inevitabili diffidenze o differenze del momento, possano bloccare per sempre il percorso con l’erba, in un consapevole viaggio fatto insieme”.

Ma non solo Obama ha parlato per citazioni, visto che anche Hillary Clinton e Timothy Geithner, il Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, si sono esibiti in un altro aforisma cinese "quando ci si trova in una barca comune, è necessario attraversare il fiume pacificamente insieme“. A questo hanno poi aggiunto come “intendiamo unirci alla nostra controparte cinese, afferrando un remo ciascuno ed iniziare a remare".

In risposta a questa “cinesizzazione dei testi ufficiali americani”, il Segretario del Consiglio di Stato Cinese, Dai Bingguo, lo stesso che ha sostituito Hu Jintao al recente G8, ha risposto con un Obamiano : “Yes, We can”!

Ma a parte questo “divertente” gioco di citazioni in apertura dei lavori, appaiono evidenti le distanze tra Usa e Cina, così come le differenze di base. L’esempio è stato il “teatrale” appello di Obama alla Cina, per invitarla ad una collaborazione sul clima, quasi come se l’adesione della Cina sul tema fosse il problema.

Ma evidentemente Obama sembra “dimenticarsi” di come invece gli Usa, non solo non abbiano mai ratificato gli accordi di Kyoto, ma rispetto alla Cina che sta attuando da tempo un piano nazionale per un radicale abbassando del proprio impatto ambientale, gli Usa continuano a mantenersi recordman per emissioni procapite, con valori quasi 4 volte superiori a quelle della Cina o addirittura quasi 9 volte se paragonati all’India o Brasile.

A partire da questo scenario, la Cina si è da tempo fatta portatrice di un messaggio condiviso dai paesi in via di sviluppo, che ritengono ingiusta la politica energetica vista come un “semplice” confronto tra i diversi paesi, tutto ciò per due ordini di motivi.

Il primo demografico, visto che i paesi sviluppati, Usa in testa, con le regole fino ad ora proposte, continuerebbero ad avere il diritto di avere un “potere inquinante” procapite, decisamente superiore a quello dei paesi emergenti, decisamente più popolosi.

Il secondo economico, visto che il cambiamento delle regole del “gioco”, finirebbe per “penalizzare” gli ultimi arrivati, tra cui appunto Cina, India e Brasile, che si trovano in una fase delicata nel proprio sviluppo.

Non solo, l’idea di tassare le emissioni di CO2, così come la possibilità di poter pagare per acquistare i “diritti ad inquinare” da altri paesi meno inquinanti, risulta per i cinesi, un approccio sbagliato per risolvere il problema, perché è evidente che i paesi ricchi potranno avere maggiori benefici, proprio grazie alla maggiore ricchezza di cui già dispongono.

Quindi l’invito di Obama ad un accordo per una crescita sostenibile, finisce per apparire più “fumo negli occhi”, visto che fino ad ora gli Usa si sono guardati bene dal firmare qualsiasi tipo di accordo vincolate.

Tanto che anche quello sottoscritto nel 2006, denominato “Partnership Asia Pacific – Sviluppo Pulito e Clima”, a cui hanno aderito anche Australia, Cina, India, Canada, Giappone, Sud Corea, è stato definito dall’Economist, più la “foglia di fico” per giustificare il rifiuto di Usa ed Australia a non firmare gli accordi di Kyoto, che un reale impegno a trovare una soluzione.

Quindi le parole di Obama, assomigliano più ad una “teatralità delle intenzioni” che la definizione di un concreto percorso in grado di risolvere davvero i problemi del mondo.

Ben vengano le intenzioni, ma per favore lasciamo stare le “lezioni”, servono solo ad irrigidire l’altra parte del mondo che da troppo tempo se l’è sentita raccontare, non vedendo altro che il crescere del divario tra paesi ricchi e quelli poveri.

Paesi ricchi, Usa in testa, che invece di fare “ammenda”, ora intendono definire le nuove regole, le stesse che rischiano solo di “tarpare” le ali allo sviluppo di oltre 2 miliardi e mezzo di persone.

Da tempo, non usando alcun aforismo ma parole dirette e chiare, i Cinesi stanno oltrettutto cercando di ricordare agli Americani come il problema della loro cooperazione sia un falso problema, visto che di fatto sono il primo “azionista” degli Usa e quindi i primi ad essere interessati ad un finale positivo.

Ora ci si augura che le distanze trovino una qualche soluzione, altrimenti al G20 di Pittsburg in programma a settembre, così come la conferenza di Copenhagen sul clima, si assisterà ancora ad un prevedibile fallimento.

Quel giorno non si cerchi la soluzione nelle “citazioni di circostanza” o la solita “romanzina” ai paesi in via di sviluppo, Cina in testa, non comprendendo che è solo l’esempio che può portare a dei risultati concreti.

Esempio che la Cina e i paesi in via di sviluppo, si aspettano da tempo siano proprio gli USA a dare per primi, sintetizzabile dallObamiano: “Yes we Can”!

Ora si passi ai fatti, il mondo sta aspettando!

lunedì 27 luglio 2009

L’agroalimentare italiano “punta” sulla Cina.

Se chiedete ad un cinese, una parola che descriva l’Italia, la risposta banale ma sincera sarà: pasta!!

Per quanto Fiat, Generali o altri marchi industriali, anche quelli dei fashion, possano cercare di fare, nell’immaginario dei cinesi la pasta, sarà sempre al primo posto.

E c’è da credere che il Presidente cinese Hu Jintao non l’abbia fatto solo per “cortesia”, quando, una volta atterrato a Roma, dopo un bel giro al Colosseo, nel Forum Italia – Cina abbia lanciato un messaggio chiaro agli imprenditori presente: “I vostri prodotti ai cinesi piacciono!!”

Che non fosse poi una semplice cortesia, ma il segnale dell’inizio dei lavori, quelli serie, se ne sono accorti molti dei presenti al Forum che si sono trovati di fronte tra l’altro alla più grande missione agrolimentare cinese ma arrivata in Italia.

Un gruppo di lavoro composto dalla prima linea delle imprese cinesi del settore tra cui COFCO (conglomerata con un giro d’affari di circa 160 Miliardi di Euro), ZJCOF rappresentata dal Chairman of the Board, Tianjin Food Imp.& Exp. Co.Ltd., EEI Universe dello Zhejiang, Dalian Xinnuo dal Liaoning, Yi Xing Leather dal Guangdong che nei giorni precedenti al forum ha gettato le basi per creare una connessione diretta Italia – Cina per i prodotti agro-alimentari Italiani attraverso tutta una serie di accordi commerciali.

Guidata da Mr. Mr.Huo, della Camera di Commercio di Pechino e per l’Italia, dal Presidente della Agenza per la Cina, Armando Tschang, questa delegazione ha avuto una serie d’incontri con aziende italiane dell’alimentare lombarde ed emiliane.

Rientrata a Roma si è passati alla firma dell’intesa strategica sull’agroalimentare tra i due paesi, uno tra i 38 accordi sottoscritti alla presenza del Ministro per il commercio cinese Ministro Cinese Mr. Gao Huichen e del Vice Ministro Cinese Mme Qiu Hong, dal valore complessivo di 2 Miliardi di Dollari.

L’accordo sottoscritto tra la China Chamber of Commerce of Import & Export of Foodstuff, Native Produce and Animal by Products e l’Agenzia per la Cina, come sottolineato dal Presidente dell’Agenzia per la Cina Armando Tschang, “è un memorandum d’intesa con l’obiettivo di sviluppare la collaborazione, tra l’Italia e la Cina , nel settore Agro-alimentare e per sostenere investimenti e promozione dei prodotti tipici Italiani in Cina”.

“L’intesa sottoscritta oggi”, continua poi Armando Tschang, “ è un accordo importante, che getta le basi ad operazioni concrete, come il sostegno ad aziende italiane che vogliono entrare o crescere in Cina.”

Ai margini della cerimonia ufficiale, Mr. Hu e Armando Tschang, hanno anche annunciato come il primo appuntamento collegato all’accordo firmato, sarà quello di un Forum Economico che avrà luogo nel 2010 a Beijing e nel quale i Cinesi potranno entrare in contatto diretto con il patrimonio agro-alimentare Italiano, anche attraverso iniziative mirate, tutte per sostenere e caratterizzare le “eccellenze” del Made in Italy.

Quindi oltre agli accordi industriali più noti e pubblicizzati sui media, come quello di Fiat, Ansaldo – Breda, Generali e Mediobanca, a Roma sono state gettate le basi affinché l’Italia, in accordo con il Governo cinese, possa costruire una piattaforma per l’agro-alimentare che consenta di incrementare gli interscambi commerciali tra i due paesi.

Una sfida riassunta dallo stesso Presidente del Consiglio Italiano, Silvio Berlusconi, che ha chiesto alle aziende Italiane di credere nella Cina e nella possibilità di diventare, “entro tre anni”, il terzo paese per investimenti in Cina.

Ma nel frattempo, si permetta ai cinesi di poter finalmente avere in presa diretta, il meglio della produzione italiana, che il mondo intero ci invidia e che i cinesi, dalle parole del loro Presidente, sono in trepidante attesa di avere sulle proprie tavole.

giovedì 23 luglio 2009

Corrotti da morire! La lezione Cinese contro l'emergenza Corruzione!

In Cina la corruzione è una cosa seria.

Sia perché è un serio problema, ma soprattutto, perché quando scoperti, non esistono “sconti”!.

L’altro giorno, la Beijing No 2 Intermediate People's Court, ha condannato a morte, con una sospensione della pena per due anni, Chen Tonghai, l’ex presidente delle SINOPEC, la più grande azienda petrolifera del paese, al 9° posto nella Fortune Global 500 delle principali aziende mondiali.

I reati che gli sono stati contestati sono di corruzione e l’appropriazione di 193 Milion di Yuan ( oltre 29 Milioni di dollari).

Come previsto dalla procedure cinesi, ora Chen ha tempo 10 giorni per ricorrere in appello.

La storia di Chen Tonghai è comunque esemplare, per comprendere come in Cina, l’eterna guerra alla corruzione nel paese, non risparmi nessuno.

Prima di tutto colpisce proprio la sentenza, che cita testualmente “la corte è stata indulgente, nonostante l'enorme quantità di denaro che Chen ha preso, perché ha avuto un "buon comportamento" nel confessare i propri crimini.”

In sostanza, Chen, oltre a restituire i soldi ricevuti dagli atti di corruzione, ha anche fornito i nomi dei funzionari corrotti.

Qualcosa che, almeno in parte, riabilita Chen e gli apre le porte alla possibilità, durante i due anni di sospensione della pena di morte, di commutarla in carcere a vita o trasformarsi in 20 anni o meno di carcere, se la corte riterrà che si sia realmente pentito.

Nato nel 1948 a Shanghai, figlio di Chen Weida, un rivoluzionario e funzionario di Stato d’alto profilo, laureatosi nel 1976 alla Northeast Petroleum University, ha poi passato i suoi successivi 10 anni sui campi petroliferi di Daqing.

Successivamente, la carriera di Chen Tonghai è stato un continuo crescendo, prima sindaco della città di Ningbo, nella provincia dello Zhejiang, poi nel 1994, Commissario nella Commissione di Stato per la Pianificazione, fino al suo ingresso nella Sinopec nel 1998.

Nel 2006 Chen diventa Presidente della Sinopec, incarico dal quale però, nel Giugno del 2007, si dimette per “motivi personali”. Successivamente, nell’ottobre dello stesso anno, viene incarcerato per i crimini per cui è stato condannato.

Una sporca storia, alla quale i vari media cinesi stanno aggiungendo continui particolari, anche piccanti, visto che Chen Tonghai, non solo ha preso un sacco di soldi attraverso diversi atti corruttivi, ma ha anche consentito alla propria amante, di ottenere rilevanti vantaggi, utilizzando in maniera impropria il proprio potere acquisito.

Infatti la sua amante, una certa Li Wei, avrebbe beneficiato di un enorme progetto di una raffineria in costruzione nello Shandong, per poter comprare a costi ribassati, terreni per la sua società immobiliare con sede in Qingdao

Ma non solo. I media cinesi, sottolineano anche il fatto di come Chen abbia anche “condiviso” la propria amante, il termine usato è proprio questo, con l’ex Segretario di Partito di Qingdao Du Shicheng, con il quale aveva di fatto creato un’alleanza politica e di protezione ai propri affari.

Ad aggravare la posizione di Chen, sia agli occhi dei cinesi che a quelli dei giudici, il fatto che fosse un politico e che quindi “abbia agito in contrasto con le regole morali del partito”, qualcosa che per i cinesi risulta al quanto ripugnante.

Insomma uno sporco affare di sesso e corruzione, in una guerra senza quartiere per quella che i cinesi non esitano a definire una “piaga nazionale”.

Dal 2003 ad oggi oltre 68.000 ufficiali governativi, sono stati giudicati per atti di corruzione e la polizia cinese ha calcolato che i reati economici più gravi di solo 500 di essi, hanno sottratto qualcosa come 70 Miliardi di Yuan ( Circa 9 Miliardi di Dollari).

Il Governo di continuo ha “aggiornato” le procedure e le leggi per combatterla, tanto che ora è illegale ricevere qualsivoglia regalo o favoritismi, anche di pochi dollari, sia per chi ricopra qualunque tipo di incarico pubblico, così come anche ai componenti della sua famiglia o parenti.

Una questione morale, una guerra dichiarata, tanto che la corte che giudicava Chen, nella sentenza, ha dichiarato di “augurarsi che le attese riforme statali siano approvate rapidamente, così da consentire ancora una migliore supervisione e”, continua la corte,” di poter estirpare la corruzione dalla sue radici!”

Li Shuguang, esperto in materia di questioni Statali, della Università degli Studi di Scienze Politiche e Legge, ha dichiarato come “le leggi vigenti debbano essere modificate per consentire severa punizione e prevenire il ripetersi di attività criminose a danno dei beni di Stato”.

Ma non solo, “quanto accaduto nel caso di Madoff negli USA, di multiple punizioni per i reati economici, dovrebbe essere recepito nelle future modifiche di legge”.

Un discorso di grande attualità, anche alla luce di quanto sottolineato dai leaders del G8 a l’Aquila, che hanno indicato nella lotta alla corruzione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, la strada per la loro naturale e rigogliosa crescita futura.

In questa guerra, la Cina sta cercando di fare la propria parte e si è messa in prima linea, tanto che dal 2007, nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC), ha promosso la creazione dell’Associazione Internazionale delle Autorità anti-corruzione (IAACA), strumento operativo proprio per combattere la corruzione nel mondo e a cui hanno aderito 137 paesi e 12 organizzazioni internazionali.

Quindi mentre gli Americani hanno insistito sotto la Presidenza Bush nel definire la guerra al terrorismo la madre di tutte le guerre, da tempo i cinesi pensano che per vedere un crescente benessere generalizzato, occorre sconfiggere la corruzione in ogni dove essa si annidi.

Questo approccio appare molto credibile, quando si analizzano le cause principali che mantengono all’attuale livello di povertà le popolazioni dell’Africa, Asia e del Sud America.

La corruzione governativa in quei paesi, impedisce che la ricchezza presente, spesso sotto forma di materie prime e risorse naturali, rappresenti realmente un bene comune.

Detto questo, la corruzione ha quindi sicuramente un impatto quotidiano ben superiore a quello legato al terrorismo mondiale, quando ogni 5 secondi una persona muore di fame e quando più di 1 miliardo di persone non hanno accesso diretto all’acqua.

Quindi forse è giunto il momento di soffermarsi a riflettere sulla pragmatica proposta contenuta nel messaggio cinese di “lotta alla corruzione senza oltranza”.

Una proposta che nasce dall’esperienza e che ha consentito alla Cina (ricordiamoci di 1 miliardo e 300 milioni di persone!!) di passare da una situazione di indigenza, alla ben diversa situazione attuale, dove ad ogni cinese è garantito acqua e cibo.

E noi in Italia, quanti Miliardi di Euro risparmieremmo se affrontassimo seriamente la questione della corruzione, trasformandola in una vera e propria emergenza nazionale con la stessa determinazione dimostrata fin qui dai Cinesi?

martedì 21 luglio 2009

Eclissi: Il sole domani “viene mangiato”.

Dog eat sun

Domani tutta la Cina e gran parte dell’Asia è in trepida attesa della Eclissi del Secolo.

Un fenomeno naturale che unirà idealmente tutta l’Asia, visto avrà il suo inizio in India a nord di Mumbai, per poi “muoversi” attraverso il Nepal, Myanmar, Bangladesh, per poi arrivare in Cina e finire nell’Oceano Pacifico in prossimità del Giappone.

Un evento incredibile sia per la durata prevista: 6 minuti e 39 secondi di totale oscuramento del sole che per la sua rarità, visto che il prossimo con queste caratteristiche potrà ripetersi solo nel 2309!

Milioni i turisti e migliaia gli scienziati arrivati da ogni parte del mondo, tanto che la stessa NASA osserverà il fenomeno in Cina, quale momento unico ed irripetibile, per cercare di comprendere meglio il funzionamento del sole, da cui dipende la vita sul pianeta.

Quindi domani mattina a Shanghai, uno dei luoghi migliori per osservare questa eclissi, a partire dalle 8.23, fino alle 11.30, tutti gli occhi saranno puntati al cielo, così come anche le macchine fotografiche del nostro famoso astro-fotografo Massimiliano Lattanzi, giunto in città per l’evento.

Ma incredibilmente, esiste il concreto rischio che a poco serviranno occhiali speciali o altri accorgimenti protettivi, visto che dovrebbe essere tutto coperto o addirittura sono previsti temporali.

Così probabilmente ci si dovrà “accontentare” della diretta TV, per assistere al “ritorno della notte”, in una Città che comunque ha deciso di non accendere le luci si servizio, per non “rovinare” l’evento.

Comunque sia, in queste ore la situazione ha sicuramente aguzzato l’ingegno di molti cinesi, tanto che pur di attirare nuovi visitatori o gli astronomi amatoriali alla caccia della postazione migliore, molti piccoli centri sullo Yangzi river, si sono auto proclamati, “luogo privilegiato per assistere all’eclissi”.

Contemporaneamente è un proliferare di gadget dedicati all’evento, un Merchandising che ha pervaso tutta la Cina, qualcosa di simile a quanto accaduto con le Olimpiadi, in un trasporto che probabilmente trova la sua ragione dal proprio millenario passato, contenuto nel nome stesso datogli: Eclissi, in cinese si dice infatti Ri Shi, che letteralmente significa “il sole che viene mangiato”.

Una etimologia che esprime l’antitesi di pensiero che esiste tra la nostra cultura (solare), dove eclissi significa che il Sole “momentaneamente è privo di luce” e quella cinese (lunare), dove si pensava che il fenomeno fosse causato dal dio del male, il cane divino che viveva sulla luna, che si “mangiava” il sole.

Tutto ciò, in un paese dove ancora oggi le maggiori festività sono scandite dalle fasi lunari, qualcosa che domani farà emergere la mitologia e il simbolismo ancora profondamente radicati in Cina.

La lettura degli eventi naturali ed in particolare la capacità di predire le eclissi, è stato infatti da sempre qualcosa attorno cui ruotavano spesso anche i destini terreni, così come quelli politici, religiosi e gli imperi.

La Cina ancora oggi, per quanto il paese sia ormai al vertice tra i paesi industriali, rimane un paese ancora fortemente radicato al proprio passato e presente contadino, per cui un evento del genere non può che suscitare ammirazione, stupore, ma anche timori.

Per secoli, la capacità di predire questi fenomeni, dava a chi ne era capace, il potere di gestire anche le cose terrene, tanto che nelle corti cinesi, l’astronomo era più potente di qualsiasi altro ministro, in quanto era in grado di “condizionare il corso degli eventi”.

In una cultura, dove tutti i tempi di vita (e morte) erano scanditi da eventi celesti, la previsione diventava così azione mentre l’errata previsione o il non esserne stato in grado di predire, veniva interpretato come “segno si sventura”, qualcosa che finiva per segnare il destino del potente di turno al potere.

Come consuetudine, anche questo evento è ricco di ulteriori segnali o premonizioni catastrofiche che giungono da varie parti del mondo.

Forse la più “originale” è quella che un programmatore americano di giochi, che utilizzando un “simulatore” da lui programmato, segnala come possa essere prevedibile un forte terremoto in Giappone, a cui seguirà uno Tsunami, tutto ciò a causa della contemporanea azione gravitazionale del sole e della luna sulla superficie terrestre.

A prova della sua teoria porta un rapporto, dove si evidenzia come ad ogni passata eclissi, ci siano stati importanti terremoti in Giappone.

Una previsione che lo stesso autore sottolinea “arriva da chi non ha competenza ed autorevolezza”, ma che dimostra come eventi come quello di domani, travalichino i secoli e le culture.

Pur utilizzando attrezzature diverse e moderne, tutto ciò non è infatti molto diverso dai quanto fatto dai passati “astronomi di corte” per secoli.

Ora non ci resta che attendere domani mattina ed essere testimoni di qualcosa che per ancora una volta dimostrerà la grandezza della natura e la “piccolezza” dell’uomo, un momento che può anche suggerire una profonda riflessione sulle “artificiali” frontiere terrene, che domani per 6 minuti e 39 secondi non avranno più alcun senso, durante l’evento che rimarrà sicuramente nella storia di questo pianeta.

Che poi questo evento accada proprio in prossimità del 40° della arrivo dell’uomo sulla luna, appare un incredibile “segno del destino” e una sorta di rivincita della luna, che obbligherà ancora una volta miliardi di persone con gli occhi al cielo, per vedere ancora una volta “il cane divino mangiare il sole”!!

venerdì 17 luglio 2009

Xinjiang: Morti diversi!!

(Pubblicato su Affari Italiani il 14 Luglio 2009)
In queste ore, nello Xinjiang è in corso una “cinica” guerra delle cifre: il conteggio dei morti nelle giornate di scontri.

Alle autorità cinesi, che hanno ufficialmente aggiornato il bollettino a 184 vittime, risponde da Washington Rebiya Kadeer, leader del World Uyghur Congress, affermando che le vittime “sono mille o forse di più”.

Fin qua tutto secondo “copione”, ma dietro questa “guerra delle cifre”, cominciano anche ad emergere delle “incongruenze” che meritano un’analisi.

Su 184 morti, ben 137 sono infatti di etnia Han, cioè l’etnia prevalente in Cina (di cui 111 uomini e 26 donne), mentre 46 (di cui solo una donna), sono quelli di etnia Uigura, cioè la minoranza etnica scesa in piazza per protestare.

Qualcosa quindi non torna nella storia raccontata su tutti i media occidentali, secondo cui “la polizia avrebbe massacrato inermi manifestanti della etnia Uigura”.

Oltretutto, se come in queste ora viene affermato dai leader secessionisti Uiguri, ci fossero stati migliaia di morti, carri armati o camionette che passavano sui cadaveri dei manifestanti, appare incredibile che non esista una sola foto, un’immagine di queste atrocità e di quello che il mondo intero ha immediatamente bollato, come un “massacro”.

O meglio, esistono moltissime immagini delle televisioni cinesi, immagini anche molto crude, violente, di gente che viene pestata a sangue da altri comuni cittadini, immagini che raccontano comunque una storia ben diversa.

Ovviamente, molti commentatori occidentali, pur di non dover dire di essersi “sbagliati”, hanno finito per mettere subito in dubbio queste immagini, definite addirittura “abili tagli governativi”, visto che invece di vedere Uiguri ammazzati dalla polizia, mostravano proprio gli Uiguri che pestavano uomini e donne della etnia Han.

Ora di fronte a queste cifre e dove ben il 75% dei morti sono cittadini cinesi della etnia Han, le stesse “penne” tacciono.

Per giorni però, il bombardamento mediatico di quelle ore, fece passare la notizia, mai smentita, che la polizia cinese stesse ammazzando, a sangue freddo, cittadini inermi della etnia Uigura, durante una manifestazioni pacifica.

Ma c’è dell’altro: nelle corrispondenze occidentali, i morti sono “diversi” e quindi si parla di cinesi quando si fa riferimento ai morti di etnia Han, mentre semplicemente di Uiguri, quando si fa riferimento ai morti della etnia mussulmana, turcofona.

Con ciò, si tende ad avvalorare l’idea che i morti appartengano a due nazioni diverse, dimenticandosi che per quanto di etnia diverse, i morti sono TUTTI e solo Cinesi.

Comunque sia, quanto accaduto nello Xinjiang, non convince del tutto le autorità cinesi, anche alla luce dei continui appelli dall’estero da parte dei movimenti secessionistici, che continuano a “sparare” numeri di morti a spanne, con il chiaro intento di “intercettare” il supporto dalla comunità internazionale sulle loro aspirazioni secessionistiche.

Ma chi sono veramente gli Uiguri?

Basta però fare un passo indietro nella storia della regione, per scoprire anche in questo caso, una verità un po’ diversa da quella apparsa sui media occidentali.

Sul piano territoriale, l’attuale Xinjiang fu conquistato dai cinesi nel 1755, diventando nel 1884 provincia regolare dell’impero cinese.

Ma è sulla “millenaria” identità uigura che rivendica ora la propria indipendenza che si hanno le maggiori sorprese.

Incredibilmente, infatti non esistono notizie di alcuna identità Uigura, fino agli anni ‘30, identità che trae invece ispirazione dai movimenti nazionalistici e socialisti della neonata Unione sovietica e della Terza Internazionale.

Il nome a cui si ispirarono, fu preso dall’impero uiguro dell’8°, 9° secolo che effettivamente occupava una parte dell’attuale Xinjiang, ma le due popolazioni non hanno nulla a che fare l’una con l’altra.

Infatti, mentre gli antichi uiguri erano mongoli e buddisti, gli attuali uiguri sono turcofoni e musulmani.

Quindi quanto sta accadendo in questi giorni nello Xinjiang, sembra effettivamente strettamente collegato ad un ritorno del “nazionalismo” uiguro degli inizi del ‘900, che portò ad una temporanea indipendenza tra il 1944 al 1949, in quello che fu allora chiamato Turkestan Orientale.

Lette sotto la lente della “storia”, appaiono quindi del tutto esagerate, le accuse di “genocidio” che da molte parti del mondo, si stanno alzando contro la Cina.

Contemporaneamente, appaiono decisamente esagerate, le pretese degli stessi Uiguri, che stanno cercando di farsi passare per i millenari abitanti di quelle terre, fatto che non appare dimostrabile su base storica.

Ma a parte una lettura storica della vicenda, esistono anche riscontri sul piano investigativo, che sembrano confermare l’esistenza di una regia esterna ai fatti accaduti la settimana scorsa.

Un ruolo determinante lo hanno le telefonate proprio della Rebiya Kadeer, al fratello che vive in Urumqi, telefonate antecedenti ai fatti e nelle quali avvisava il fratello di come fosse a conoscenza che ci sarebbero stati degli scontri nella città.

Detto questo, a far paura ai cinesi, non è di per sè il “ritorno di fiamma” del nazionalismo Uiguro, bensì il fatto che possa portarsi dietro una minaccia “islamica” che coinvolga la Cina nel terrorismo internazionale.

Nei mesi scorsi, sono stati catturati in Afghanistan guerriglieri Uiguri che combattevano nelle file talebane, la prova di una connessione esistente tra le diverse anime Islamiche che ora potrebbero volersi inserire nella questione Uigura, attraverso azioni violente.

Ma esiste un altro aspetto, legato alla tradizione, che rende i cinesi ancora più diffidenti.

L’importanza dei cicli nella storia Cinese

Il prossimo 1° ottobre, si festeggia il 60° della nascita della Repubblica Popolare Cinese.

Quest’anno avrà però un significato simbolico particolare che si perde nella notte dei tempi della millenaria storia cinese.

Infatti il numero 60, nella cultura cinese, rappresenta nel calendario Cinese il completamento di un ciclo completo, composto da 5 sottocicli di 12 anni ciascuno.

Quindi, scaramanticamente, per i cinesi è importante che non accada nulla fino al termine di questo ciclo, un grande valore simbolico anche sulla continuità dell’attuale equilibrio politico.

I “nemici” della Cina, per contro, cercheranno di “offuscare” questa data, proprio per cercare di lanciare un “segno” contro tale continuità.

La “provocazione” di Taiwan

Da queste parti queste cose hanno ancora un grande importanza, basti pensare alla ferita ancora aperta di Taiwan.

A parte la questione strettamente territoriale, esiste infatti un’altra ragione, per così dire di “legittimità”, che per lungo tempo ha realmente fatto rischiare la guerra nello stretto.

Infatti, quando Chiang Kai-shek decise di fuggire sull’Isola di Formosa, l’attuale Taiwan, si portò dietro anche qualcosa di molto, molto importante: i 25 sigilli imperiali dell’epoca dei Qing, che simboleggiano il potere imperiale, ora esposti al museo di Taipei.

Nella cultura cinese, quando un contendente viene sconfitto, viene anche eliminato tutto quello che possa fare riferimento al perdente, che viene quindi letteralmente “cancellato”.

E’ stato sempre così, nel susseguirsi delle diverse dinastie che hanno dominato l’Impero Cinese.

Questi sigilli sono quindi una sorta di “provocazione”, la prova di qualcosa di lasciato “incompiuto”, oltre che una rivincita degli sconfitti, che così possono ancora cercare di dimostrare al popolo cinese, la presunta illegittimità della nuova dirigenza.

L’unità della nazione come “valore supremo”

Ma tornando ai fatti nello Xinjiang, bisogna ricordarsi come esista un “valore supremo” che i cinesi contemporanei intendono preservare ad ogni costo: l’unità della nazione.

Valore attorno al quale tutti i cinesi si riconoscono e che li lega in maniera indissolubile al partito, garante di questa unità ritrovata, dopo un lungo periodo di rovinose guerre civili e fratricide.

Qualcosa che non è trattabile, fortificato dalle umiliazioni subite di fine ‘800 e inizi ‘900, da parte degli occidentali, eventi scolpiti nelle menti di tutti i cinesi, non più disposti a riviverle.

La violenza distruttiva degli Uiguri e il fatto che abbiano ammazzato così tanti cittadini, è stata quindi interpretata come un attacco all’unità del paese e ciò spiega perché tutti i cinesi, senza esitazioni, abbiano chiesto al governo il ripristino dell’ordine.

L’aver rotto il “sottile” legame che teneva in equilibrio le due etnie in questa regione, ha vanificato il tentativo di una qualche integrazione perseguita negli anni.

Per questo occorre stare attenti, sui media occidentali, ad “accreditare” storie “scritte a tavolino” da gruppi secessionisti, in questo caso di matrice islamica, che totalmente sconnessi dai fatti storici, possono però accendere pericolose micce che possono diventare una grande incognita per il futuro.

Ma ancora prima di qualsiasi considerazione politica, occorre smettere di continuare a distinguere tra loro i morti di questi giorni, tutti cinesi, a prescindere dalla loro etnia o credo religioso.

Sarebbe un primo concreto passo per aiutare a cercare di ricomporre le “distanze” di queste ore.

giovedì 16 luglio 2009

PD: Ipocrisia delirante

Grillo, genialmente, ha chiesto di voler partecipare alle primarie del Partito Democratico.

Questo gesto ha “svelato” come i richiami politici del gruppo dirigente all’apertura, all’allargamento, all’essere un servizio e non solo una occupazione di poltrone e potere, fossero vuote parole.

Dopo l’atto tanto spiazzante, per quanto sorprendente, sono partite risposte fatte di cavilli giuridici, certezze formali, di un partito che nelle dichiarazioni dei giorni scorsi veniva definito “liquido” e che ora invece sembra essere un Menhir inattaccabile.

Arrampicandosi sui vetri, i diversi leaders stanno cercando di evitare che l’assalto alla diligenza, il vero mezzo di trasporto che descrive la situazione attuale, possa avere successo.

La ragione è semplice: sanno di perdere, sanno che la piazza finirebbe per votare per Grillo, sanno che i giorni per continuare il teatrino di questi mesi e ora questo circo di queste ore, sarebbero finiti.

Ma la mossa geniale di Grillo non è quello di voler partecipare alle primarie e diventare leader di un movimento come quello del PD, ma il fatto che quanto sta succedendo porterà inevitabilmente alla rottura del partito, che sta dimostrando oltre ogni dubbio, una debolezza di fondo ed una blindatura dei vertici, tanto che parole quali “rinnovamento”, “apertura”, “novità” hanno già perso qualsiasi appeal futuro.

Grillo, sta dimostrando in queste ore che erano tutte solo Parole, a cui non segue alcun atto, se non il fuoco incrociato, in un gioco delle tre carte, dove cambia la faccia, ma il gruppo al vertice rimane sempre lo stesso.

In una sorta di rotazione “concordata”, ora nel gioco delle parti, un Franceschini, vice di Veltroni (dimessosi), rischia il posto per un Bersani, dello stesso gruppo dirigente che ha perso le elezioni che hanno portato alle dimissioni di Veltroni, che tutto può essere, meno che una novità per il futuro del partito e per il paese.

La prova? In questi giorni, molti cittadini nella compilazione del modulo delle tasse, si sono trovati a dover fare i conti con una tassa chiamata guarda caso “Tassa Bersani”, una tassa alquanto indigesta e che farà preferire, fino alla morte, una soluzione Berlusconi, a qualsiasi ritorno di un Bersani di Tassata memoria.

Quindi l’atteggiamento ipocrita del PD in queste ore, sarà un vittoria di Pirro, visto che svelato il “piano” dei soliti noti, il leader che ne uscirà, continuerà a perpetuare negli errori passati, quello di essere solo un partner secondario nello scenario politico, esistente solo perché si possa ancora parlare di sistema bipolare in Italia.

Tra l’altro tutti i leader del PD dicono di ispirarsi ad un campione come Obama, tanto da “attendere” la venuta dell’Obama Italiano, al punto da aver “frettolosamente” glorificato la povera Giovanna D’Arco Debora Seracchiani, che invece di essere diventata a quel punto il nuovo leader, è stata “sventolata” dai leader esistenti, come la prova di un cambiamento, finendo inevitabilmente per essere risucchiata nella vita sociale di un partito che parla ma non fa!

Di fronte alla ipotesi di una sfida “politica” vera , la prospettiva di una discussione dura, passionale, con la quale convincere a votare una linea politica che nasca dalla base e che delineasse un vero cambiamento, almeno nei metodi, è invece arrivato questo rifiuto, una chiusura prima mentale che statutaria, un pessimo segnale ma l’evidenza che mai il PD potrà in futuro rappresentare l’altra parte del bipolare italiano, che anche il centro destra spera di vedere prima o poi emergere, come in tutti i paesi democratici del mondo.

mercoledì 15 luglio 2009

Al Qaida per la prima volta minaccia la Cina

Quello che si segnalava negli articoli precedenti è avvenuto: ieri dalla cellula Algerina di Al Qaida è partita la minaccia di ritorsione sugli interessi cinesi nell’area, connessa ai fatti dello Xinjiang e che hanno portato alla morte di 184 cinesi.

L’Ambasciata cinese in Algeria, ha quindi ora invitato tutti i circa 50.000 cittadini cinesi presenti nell’area, ad alzare i livelli d’attenzione e di non sottovalutare le minaccie di queste ore.

Tale appello, è stato lanciato anche alla luce dell’agguato teso tre settimane fa alle forze di sicurezza algerine che scortavano un gruppo di ingegneri cinesi.

Nello scontro, 24 agenti algerini rimasero uccisi.

Da tempo i cinesi segnalavano infiltrazioni di Al Qaida nella comunità Uiguri nello Xinjiang, ma questa è la prima volta che l’organizzazione terroristica minaccia direttamente la Cina e i suoi interessi nel mondo.

Un segnale di un possibile mutamento in corso nella geografia e delle priorità del Terrorismo Internazionale, che sembra ora voler prendere di mira anche la Cina, che fino ad ora non era stata mai coinvolta, esportando in Africa nuove pericolose tensioni.

Qualcosa che però si è già visto anche in Afghanistan, dove guerriglieri Uiguri sono stati catturati assieme ai Telebani, un ulteriore segnale che non consente di abbassare la guardia, di fronte ad una escalation dagli imprevedibili sviluppi e che possa coinvolgere ora anche la Cina.

Un EXPO 2010 da Record: anche USA e EU presenti!!

E’ stata ufficializzata venerdi, con la cerimonia della firma, la partecipazione anche degli USA al prossimo Expo 2010, partecipazione che fino a ieri sembrava a rischio.

“Noi siamo giusto in tempo!”, ha affermato Jose Villarreal, il nuovo commissario per US EXPO, al momento della firma con Hong Hao, direttore generale dell’ufficio di coordinamento dello Shanghai World Expo, per stigmatizzare il ritardo accumulato dalla partecipazione USA.

Era 3 anni, da quando Wen Jiabao aveva inviato l’invito agli USA, che i Cinesi attendevano un chiarimento ufficiale sulla posizione degli Stati Uniti rispetto l’EXPO, una partecipazione messa a rischio dai vincoli legislativi Americani, che non permettono di utilizzare fondi governativi e quindi necessitava di trovare sponsor privati in grado di sostenere i costi necessari.

Evidente la soddisfazione di entrambe le diplomazie, tanto che il Console Generale Americano in Shanghai, Beatrice Camp, ha affermato “Finalmente possiamo affrontare la sfida da partecipanti!”, anticipando così il tema del padiglione americano: “La sfida”.

Le sfide che gli Usa cercheranno di interpretare in questo EXPO sono connesse alla creazione di comunità sostenibili sotto il profilo ambientale, una salutare qualità della vita e l’uso della tecnologia per migliorare la vita di tutti.

5.600 metri quadri di presenza, una delle più grandi tra quelle presenti al prossimo Expo, attraverso la quale si cercherà di dare la fotografia di come potrebbero essere le città americane nel 2030.

Ora, “possono partire le attività di costruzione del Padiglione”, ha affermato Ellen Eliasoph, co-Presidente della Shanghai World Expo 2010 Inc, la società non-profit che gestirà tutta le attività, raccolta fondi, design, costruzione ed attività operative durante l’EXPO, attività che seguiranno strettamente la raccolta fondi per arrivare ai 61 milioni necessari, di cui un gruppo di finanziatori ha già offerto metà di questa cifra,

Ma come destineranno gli Usa questi fondi per l’EXPO? 20 Milioni di dollari saranno per la costruzione del padiglione, 20 Milioni per gli eventi e la promozione, il resto per qualsiasi tipo di operazione durante i 6 mesi dell’EXPO.

Con la conferma di ieri degli USA, la lista dei paesi partecipanti sale a 240, il doppio dei partecipanti all’ultimo EXPO del 2005 in Aichi in Giappone, con un’ulteriore sorpresa “pesante”: la partecipazione degli EU.

Infatti solo 3 ore dopo la firma degli USA, per la prima volta nella storia dell’EXPO, anche l’Unione Europea ha firmato per la propria partecipazione, fatto da mettere in relazione con gli ottimi risultati e profonda intesa scaturita dall’ultimo vertice Sino – Europeo.

Gli obbiettivi della presenza EU saranno concentrati sulla protezione ambientale, risparmio energetico, trasporti e sicurezza dei prodotti, il tutto sintetizzato dal tema scelto: “Europa Intelligente”.

A differenza degli altri partecipanti, la EU non costruirà però un proprio padiglione, ma occuperà 1000 metri quadri al primo piano del padiglione del Belgio, con il quale condividerà anche i costi, connesso al fatto che proprio al Belgio sarà affidata la Presidenza di turno nel periodo dell’EXPO di Shanghai.

Come sottolineato dagli organizzatori cinesi, anche tutti gli altri 27 paesi partner della EU hanno già confermato la propria partecipazione all’evento che avrà inizio il prossimo 1 Maggio 2010 e che si può ora proprio affermare, sarà un evento da record.

lunedì 13 luglio 2009

Io No! (No allo sciopero il 14 Luglio ne dopo).

non ritengo questo tipo di azione abbia alcun senso pratico: “una carezza con una piuma” del tutto inutile.

Non vedo inoltre positivamente una protesta di tipo “corporativo” o la nascita di “antistoriche” corporazioni attorno o all’interno della rete, visto che da sempre le corporazioni avevano “il compito primario di difendere il monopolio dell’esercizio del proprio mestiere” (v. Wikipedia).

Non a caso, questo “presunto” sciopero, era stato promosso da giornalisti, addirittura in contemporanea nel giorno dello sciopero nazionale dei giornalisti, una corporazione che poco ha da spartire con le nuove evoluzioni digitali in materia, anzi ne sta subendo pesantemente un “radicale ridimensionamento”, fatto che sembra evidenziare più una strumentalizzazione della rete su questioni ed interessi ben diversi, che altro.

La libertà dei cittadini è sacrosanta, così come il diritto alle autorità giudiziarie di proteggere gli interessi dei cittadini attraverso i metodi investigativi appropriati.

Un tema centrale nel sistema giuridico e legislativo di qualsiasi paese, che non può però essere “risolto” attraverso una “protesta di tipo corporativa”, ma attraverso una continua e puntuale informazione per diffondere, anche non solo sui canali Internet, una condivisa cultura di civile convivenza, affinché sul tema, l’Italia possa diventare un esempio anche per gli altri paesi.

I blogger, o meglio chi scrive utilizzando la rete, è per definizione un “libero pensatore” che attraverso la rete può beneficiare di mezzi e strumenti come mai nella storia dell’umanità.

Strumenti che però non devono permettere a nessuno di offendere, dileggiare o imbarazzare qualcuno, o comunque di sentirsi “al di sopra della legge”, l’unica regola affinché una società possa cercare una civile convivenza.

Solo “facendo pressione” diretta sui singoli “rappresentanti” eletti dai cittadini ad avere il compito di legiferare, si può cercare di ottenere risultati concreti.

La rete consente ora un contatto diretto tra elettori ed eletti, prima impensabile, lo spazio di un nuovo modo per gestire la “cosa pubblica”, in una diretta partecipazione di tutti i cittadini, nessuno escluso.

Quindi, in alternativa ad una “protesta del silenzio”, più significativo sarebbe l’utilizzo di questo canale verso i nostri rappresentanti eletti, chiedendo loro, direttamente, una presa di posizione pubblica sul decreto in questione, con relativa pubblicazione delle loro "dichiarazioni di voto" sulla questione.

Il Ministro Alfano non legifera da solo, ma ha bisogno di ricevere l’approvazione degli eletti in Parlamento.

Quindi sarebbe interessante conoscere la posizione di chi si appresta a votare e decidere, non scaricando la responsabile sulle “solite persone”; che oggettivamente hanno espresso le proprie ragioni, condivisibili o meno, dell’opportunità di un decreto del genere.

La rete può dare “trasparenza” ai pensieri degli eletti in materia, un fatto importante, decisivo, condizionante anche sul futuro voto in parlamento.

Non si comprende quindi, perché si chieda di “tacere”, quale momento di lotta, affinché il paese possa migliorare e migliorarsi.

Azione che avrebbe come unico effetto quello di annullare la vera “potenza” della rete e continuare a perpetuare pericolosi approcci corporativi, del tutto fuori luogo, che continuano a tenere “ancorata” l’Italia nel tentativo di spiccare il volo, verso un futuro diverso.

domenica 12 luglio 2009

Abrogato emendamento D’Alia: Buone notizie dall’Italia digitale!

Nella nottata italiana, mattinata cinese, è giunta la notizia che è stato ABROGATO il vituperato articolo 60 quale emendamento al DDl 2180 o più comunemente conosciuto come “Emendamento D’Alia”.

Una buona notizia, sia per quanto riguarda questo singolo caso, ma soprattutto per la sensazione che stia maturando un gruppo di lavoro interno al Parlamento stesso, che sotto il nome di Gruppo Interparlamentare e formato da parecchi parlamentari, possa rappresentare una buona piattaforma di discussione per tenere “aggiornato” i nostri legislatori, sui cambiamenti del mondo che li circonda.

Complimenti quindi agli On. Cassinelli, Palmieri e Mannucci, gli artefici di questo piccolo, ma comunque importante passo verso una nuova “era digitale”.

Comunque lasciamo raccontare proprio all’On. Cassinelli come si sono svolti i fatti di questa “lunga notte per il digitale italiano”. (leggi)

Per quanto riguarda invece il Decreto Anticrisi e la mancanza di incentivi per le Tecnologie Digitali per sostenere l'Innovazione, la strada per un adegutamento e modifica è ancora lunga, ma rimaniamo fiduciosi per un futuro Italiano all'insegna della Innovazione e al Digitale. Pensare POSITIVO è comunque importante, nonostante tutto!

Per firmare la petizione sul Decreto Anticrisi e le Tecnologie Digitali

sabato 11 luglio 2009

G8: Un vertice andato bene, per colpa dell’ONU!

Sarà il benessere o sarà per altro, ma esistono troppe persone che per partito preso, sono contro, sempre.

In una sorta di guerra continua, non facendo alcuna proposta, molti sembrano pensare che partecipare alla vita politica e sociale di questo mondo, si possa realizzare essendo sempre contro.

Questo atteggiamento, tutto occidentale, sta complicando non poco l’evolversi e la crescita di un mondo che, forse questi signori non sembrano ricordare, è sempre sull’orlo dell’esplosione, tante sono le “grane” che quotidianamente esistono e che se affrontate in maniera non accorta, rischiano di portare l’uomo ben indietro al proprio attuale sviluppo.

Quindi di fronte ad ogni problema, questione, meeting, lo sport di “sparare” sul potente, perché fa cool, rappresenta una costante di tutte le faticose tappe ed incontri per cercare un equilibrio mondiale vero.

All’ultimo G8, sarà perché ormai questo “movimento”, gli ex “no-global”, soffre di evidenti segni di stanchezza, o altro, le annunciate proteste, non sono state un reale problema per lo svolgimento degli incontri.

Forse il gesto più originale è venuto proprio da uno dei Leader presenti al vertice, il sempre sorprendente Gheddafi, che nel suo trasferimento da Roma a l’Aquila, ha camminato per 15 minuti sulla autostrada dopo essersi fermato all’autogrill.

Un gesto che visto con occhi attenti, appare addirittura di un ormai perduto romanticismo, che ci riporta al passato, quando l’uomo veniva prima delle macchine, che erano ancora tutte da ideare.

Comunque sia, il vertice dell’Aquila, come definito da Berlusconi, nella formazione G8, G13, G14, G25, usando così una metafora calcistica, è sicuramente andato bene.

In 3 giorni sono state decise cose importanti, come gli aiuti ai paesi africani (20 Miliardi di dollari) ma soprattutto l’abbattimento dei protezionismi nei commerci, fatto che aiuterà non poco i paesi in via di sviluppo a crescere e rendersi autonomi.

Ma, c’è un però. Le decisioni che di volta in volta sono state ratificate a questo G a “formazione variabile”, sono state prese “sopperendo” al grande malato di questi decenni: l’ONU.

I leader riuniti a l’Aquila, hanno cominciato a comprendere che i problemi di un mondo, sempre più complesso come quello globalizzato di oggi, non si possono più risolvere con meeting periodici che stanno diventando sempre più frequenti, a settembre il prossimo G20 di Pittesburg.

Si sono resi conto che non possono più sopperire alle negligenze, debolezze, incapacità dell’ONU.

Anche perché, come dichiarato da Obama in conferenza stampa, “tutti vogliono gruppi di lavoro piccoli, con se stessi compresi”. Come dire, trovare la “formazione ideale” in grado di decidere i destini del mondo, con sufficiente autorevolezza, senza scontentare nessuno, appare quasi un lavoro impossibile.

Per cui non sorprende che Obama e Berlusconi, abbiano finito per indicare nella riforma dell’ONU il prossimo passo per cercare di normalizzare il consesso che deve prendere le decisioni che contano e soprattutto che le applichi e le faccia rispettare.

In questo G “ a formazione variabile”, non a caso, la persona più “isolata” è apparsa proprio il Segretario dell’ONU Ban Ki-Moon che dichiarando come “sul clima si poteva fare dia più”, si è preso i “fischi” dei leader presenti, tanto che ai margini dei lavori, faceva quasi tenerezza vedere il Segretario Onu ripetere con sguardo perso nel vuoto che “è la scienza che dice che si doveva fare più”, come dire, se non credete a me, credete almeno alla Scienza, quella non si può discutere.

Una vera tristezza!!!

Ma che questi mega vertici G “a formazione variabile”, devono tornare a lasciare il posto ad una organizzazione mondiale vera, di un ONU riformato e attualizzato, è stato testimoniato dalla commuovente storia raccontata da Gordon Brown ai presenti e ripresa sia da Berlusconi che da Obama in conferenza stampa.

Brown, giunto in Ruanda, nel visitare una mostra con le immagini dei tanti morti sacrificati all’odio razziale di quel paese e che segnano anche la storia di molti paesi in via di sviluppo, ha trovato una foto di un ragazzo morto tra le braccia della propria madre.

Ormai è una foto che in Occidente non scuote le coscienze più di nessuno, nemmeno dei “sempre contro”, se non fosse, che nel raccontare la storia di questo ragazzo, veniva sottolineato come sognasse di diventare un giocatore di calcio.

La fame fini per uccidere tutti i suoi sogni. Ma nonostante tutto, prima di morire, per rassicurare la madre disperata le disse “non ti preoccupare, mamma, vedrai che presto arriverà l’ONU”.

La cosa ancora più triste è che l’ONU non arrivò mai!!!

Questo episodio che dimostra come nel mondo, anche per persone più umili, che non hanno nulla, anche in punto di morte, sognano comunque un mondo migliore, è sembrato un messaggio chiaro per tutti i leader presenti, di che cosa il mondo ha realmente bisogno.

L’ONU nel quale i popoli possano partecipare a costruire le basi di un mondo diverso, l’ONU nel quale discutere, confrontarsi, l’ONU che possa intervenire in soccorso di chi lo necessita e che non si dispera,perché sa che il mondo sarà comunque migliore.

Ecco quale sembra essere il “vero” messaggio del G “a formazione mista” a l’Aquila.

E’finito il periodo dei gruppi d’elite, sulla basi di classifiche economiche. Si deve tornare all’Assemblea dei popoli della Terra.

Un’intuizione che nel dopo guerra consentì di passare decenni di pace e contribuire non poco al benessere diffuso di cui oggi godiamo, ma che si è un po’ persa per strada e che ora deve trovare una nuova vita, rinascere, per tornare a rappresentare “l’assemblea” dove tutte le voci di tutti i popoli del mondo, a prescindere del proprio reddito pro-capite o nazionale, abbiano il diritto alla parola, senza la necessità di essere invitate.

Deve tornare la “casa comune”, autorevole e credibile dove poter decidere, tutti assieme, i destini del mondo e di ciascuno di noi.

E così anche i “sempre contro”, i professionisti degli Happening del contro, la smetteranno di sprecare energie ( e danneggiare ) in giro per il mondo alla caccia del prossimo G “a formazione variabile”, un rituale che ormai è tutto, tranne che “cool”, tanto è diventato prevedibile ed obsoleto.

Lo dobbiamo a quel ragazzo che sognava di giocare a calcio e che l’egoismo sia di chi era al potere e di chi era contro, glielo ha impedito.

Sono state le sue ultime volontà e che chissà quanti come lui hanno detto, pensato la stessa cosa, prima che il mondo si scordasse di loro e passasse al successivo vertice a “formazione variabile”.

10, 20, 30 , anche 100 Miliardi non basteranno, per ridare il sogno di una reale uguaglianza a chiunque, se ancora esisteranno meeting ad inviti comprati a “peso d’oro”!

mercoledì 8 luglio 2009

G8: Hu Jintao preferisce rientrare in Cina!!

L’avrebbe fatto qualsiasi leader Occidentale in una situazione simile. Lo ha fatto oggi anche Hu Jintao.

Stamattina, il Presidente Cinese Hu Jintao, ha deciso di tornare in Cina, per monitorare in patria gli sviluppi della situazione nella Regione Autonoma dello Xinjiang Uygur.

La Cina sarà comunque presente agli incontri fissati per il G8 e il Presidente Hu Jintao sarà sostituito dal membro del Consiglio di Stato, Dai Bingguo.

E’ stato anche comunicato che verrà rischedulata in seguito, la prevista visita di Stato del Presidente Hu Jintao in Portogallo, programmata dopo il G8 a l’Aquila.

Per quanto riguarda il ritorno in patria del Presidente Cinese, dimostra l’attenzione che i vertici nazionali stanno ponendo sulla questione, anche perchè non appaiono del tutto convinti sul fatto che quanto accaduto, sia nato solo quale scontro etnico in seguito all’omicidio di due Uiguri nel Guandong.

Secondo i cinesi, quanto accaduto nel Guandong è infatti servito come pretesto per una mossa secessionista, preparata da tempo.

Comunque sia, il Governo locale, nei giorni scorsi non aveva mai dichiarato la etnia dei morti dei fatti di domenica scorsa.

Ma inaspettatamente, in queste ore, sarebbe in atto una sorta di contro-ribellione, questa volta della maggioranza di etnia Han, una sorta di risposta “implicita” sulla etnia a cui appartenevano i morti di domenica e che ora, sono scesi in piazza alla caccia degli Uiguri, per vendicare quanto accaduto nei giorni scorsi.

La polizia sta cercando in tutti i modi, di evitare qualsiasi tipo di contatto tra i diversi gruppi etnici e lo svolgersi di qualsiasi sommaria vendetta.

Per cercare di contenere tutto ciò, nella regione sono state quindi decretate dal Governo locale, 11 ore di coprifuoco, per consentire un ritorno alla normalità.

Ma il Governo Cinese, attraverso il portavoce degli Affari Esteri, ha sottolineato in conferenza stampa, come esistono seri elementi secondo cui, quanto accaduto nello Xinjiang, possa avere una “mente ispiratrice ed istigatrice esterna”, indicata in Rebiya Kadeer, una donna d’affari cinese di etnia Uigura, leader del World Uyghur Congress, movimento con aspirazioni separatistiche.

Rebiya Kadeer, arrestata nel 1999, era stata rilasciata nel 2005, per poter avere trattamenti medici in Usa, con la promessa di non agire contro gli interessi nazionali cinesi.

Ma in queste ore, secondo i cinesi, Rebiya Kadeer sta svolgendo un’azione di coordinamento delle attività nella regione dello Xinjiang, utilizzando Internet quale strumento per tenere i contatti sul campo.

Quale prova di questo suo coinvolgimento, il Governo locale possiede delle intercettazioni telefoniche nelle quali la Rebiya, telefonando al fratello a Urumqi, nei giorni precedenti ai fatti di domenica, quale commento a quanto accaduto nello Guangdong, affermerebbe “Qualcosa accadrà in Urumqi. Noi siamo a conoscenza che stanno accadendo molte cose!”.

Per questa ragione, nello Xinjiang, Internet è stato momentaneamente sospeso.

Una decisione che è stata comunicata attraverso una conferenza stampa, nella quale dalle autorità locali hanno spiegato le ragioni di tale azione, chiedendo la comprensione dei cittadini ed augurandosi che possa essere una misura assolutamente temporanea, comunque connessa con l’evolversi della situazione.

Connesso a questa decisione, non sorprende che in molte parti della Cina, da ieri non funzionino anche Twitter e Facebook.

La sensazione è che ai cinesi interessi evitare il perdurare degli scontri etnici, evitando soprattutto l’inizio di un’escalation, di quella che appare ormai una sorta di “occhio per occhio”, ma che viste le implicazioni religiose, connesse al fatto che gli Uiguri sono Mussulmani, possa “esporre” la Cina anche sul fronte del Terrorismo Internazionale di matrice islamica, che fino ad ora era stato abilmente tenuto lontano dai confini del paese, ma sempre temuto.

Tutto ciò sembra quindi aver consigliato il ritorno in patria di Hu Jintao, anche perché si può presumere che quanto prima, possa fare un invito pubblico televisivo, per contribuire a riportare la calma e una civile convivenza nello Xinjiang, ora fortemente compromessa dai fatti di questi giorni e che spiega anche la “durezza” con la quale i cinesi si stanno comportando nei confronti di qualsiasi “suggeritore” all’estero.

Non va infatti dimenticato che l’area dove sono scoppiati gli scontri, è una delle più povere del paese o quantomeno, non è stata del tutto toccata dal crescente benessere di cui invece vivono le aree dell’Est cinese.

Quindi l’esplosione della rabbia della maggioranza di etnia Han di queste ore, una novità, anche rispetto ai fatti accaduti in Tibet, dove la comunità Han non agì, sono una cartina di tornasole di una potenziale situazione esplosiva che va rapidamente riportata alla normalità.

Nel resto della Cina, i fatti dello Xinjiang stanno suscitando “profonda commozione”, visto che non sembra esserci alcun filtro alle notizie, immagini e video diffusi sui diversi media, ma nel contempo, nella stragrande maggioranza dei cinesi, è forte e prevalente la richiesta al Governo di riportare rapidamente l’ordine nella regione.

Una ragione di più per evitare di fornire “alibi”, soprattutto all’estero, per strumentalizzare quanto sta accadendo nello Xinjiang, sentimenti che poi finiscono per ispirare eventi altrettanto pericolosi, come quanto quello accaduto in Olanda, dove è stata presa di mira l’Ambasciata Cinese e che rischiano solo di complicare la ricomposizione della situazione nello Xinjiang o peggio di fomentare atteggiamenti xenofobi nei confronti dei cinesi.

martedì 7 luglio 2009

La Cina pensa G13!!

Hu Jintao è arrivato in Italia alla guida di una delegazione politico – commerciale in vista del prossimo G8 a L’Aquila.

Ma cosa è venuto a fare realmente il Presidente Cinese al G8?

Beh, sicuramente qualcosa di molto diverso da quello si aspettano molti Leaders occidentali.

I Cinesi si attendono infatti di essere stati invitati a quello che loro chiamano G8 + 5, un dialogo alla pari tra nazioni sviluppate e la prima linea di quelle che, ancora per poco, si potranno considerare paesi in via di sviluppo, per affrontare i punti cardini ancora scoperti: Finanza, Ambiente, Energia, Cibo.

Sorprendentemente, diversamente da quanto dichiarato nelle scorse settimane, a l’Aquila i Cinesi non chiederanno di abbandonare il dollaro come moneta di riserva, proposta concordata di recente con la Russia e che aveva trovato l’appoggio anche dell’India, ma si concentreranno su un punto focale strategico: abbattere tutte le barriere protezionistiche negli scambi commerciali e nella tutela ambientale.

Il pragmatismo cinese infatti, concedendo agli Americani il “beneficio del dubbio” su una questione spinosa e complessa come quella della nuova valuta di riserva, intende ottenere in cambio un risultato decisamente più concreto sul breve periodo e che di riflesso impatterebbe anche su tutti i paesi in via di sviluppo: la fine dei protezionismi occidentali!

Questo sarà il punto strategico della presenza Cinese a l’Aquila, un “must” con il quale offrire anche agli altri paesi con costi della manodopera inferiori a quelli dei paesi sviluppati, un’occasione di crescita attraverso una seria applicazione dei trattati del WTO, che di fatto non prevedono barriere agli scambi commerciali tra nazioni.

Stesso discorso per quanto riguarda gli interventi in materia ambientale, dove alla richiesta di un “gioco di squadra” tra tutte le nazioni e non solo alcune, seguirà un secco “no” cinese alla carbon tax, una tassa sulla CO2 prodotta, che evidentemente penalizza maggiormente i paesi in via di sviluppo, ancora nella loro prima fase industriale, piuttosto che quelli già sviluppati.

Ecco quindi il senso del +5 di questo Summit: stabilire fin dal principio che i paesi del G8 non possono più pensare di essere i decisori unici del futuro del mondo, gestendo le regole a proprio piacimento per tutelare le proprie certezze e scarso rispetto di quelle altrui.

Soprattutto il +5 intende fare valere il proprio “peso” sulle due questioni più delicate: energia e sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, in particolare per i paesi Africani.

Il “diritto al proprio sviluppo” è la chiave della posizione che a L’Aquila la Cina si augura non venga disattesa, un approccio a suo modo “rivoluzionario”, perché rappresenterebbe un cambiamento fondamentale delle prospettive che fino ad ora hanno guidato l’ultimo secolo industriale e post-industriale.

La Cina intende essere il portavoce di un cambiamento che vada oltre le apparenze e gli ipocriti convenevoli dei paesi occidentali che se da un lato dicono di sostenere lo sviluppo dei paesi più poveri, dall’altro poi definiscono regole o le modificano, affinché ciò risulti sostanzialmente impraticabile, per così mantenere il proprio predominio economico.

La mutua cooperazione tra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, sintetizzata da questo G8 + 5, appare quindi essere l’unico modo per definire le nuove regole che devono guidare una crescita più equilibrata del mondo, ma che soprattutto mettano al centro “la crescita dei paesi più poveri” e rivedano il sostanziale “egoismo” dei paesi sviluppati, senza ulteriori protezionismi ideologici o commerciali, affinché a tutti, ma proprio tutti, sia data l’opportunità di un futuro migliore.

Quindi anche per il valore scaramantico che in Cina è attribuito al numero 8 (portafortuna), i cinesi, pur continuando a chiamarlo G8 + 5, pensano G13.

Gli altri leaders presenti sono “avvisati”.

giovedì 2 luglio 2009

Come Dire e (Non)Fare Innovazione

In Italia, dopo la parola Veline, ne esiste una seconda sulla bocca di tutti: Innovazione!

Bene, mentre la prima non genera ricchezza se non per giornali di gossip connessi, la seconda rappresenterebbe l’opportunità del paese per cercare di crearsi un possibile futuro, al momento compromesso da decenni di scelte errate e miopi, dei diversi Governi e gruppi di potere (lobby) che si sono succeduti.

Siccome non è “mai troppo tardi” per fare la cosa giusta, come del resto stanno facendo tutti i paesi occidentali, alla disperata ricerca di “correggere” l’errato approccio che ha provocato la crisi mondiale in atto, nei mesi scorsi, anche l’Italia aveva dichiarato di voler “riscrivere” il proprio futuro, partendo proprio da una sistematica Innovazione.

Bene, con ansia si aspettava quindi il varo, del “Decreto Anticrisi”, sbandierato per “mari e monti” da Berlusconi, come il “salvavita” per il paese, la pietra miliare per costruirne il futuro.

Leggendolo e rileggendolo sembra però più che un documento che delinea un futuro, qualcosa pensato per il suo passato, tanto che si potrebbe confondere come un atto redatto a fine anni ’60, in pieno boom economico, piuttosto che qualcosa pensato e scritto nel 2009 per gli anni a venire!

Il nocciolo della questione la si trova all’articolo 5, che prevede “uno sconto del 50% sulla tassazione degli utili delle imprese che investiranno per acquistare macchinari e apparecchiature compresi nella divisione 28 della tabella Ateco”.

Avete provato a vedere cosa dice la “mitica” divisione 28 della tabella Ateco?? (vedi Link)

Bene, sorprendentemente alla divisione 28, appartengono tra l’altro:

• Fabbricazione di altri rubinetti e valvole,
• Fabbricazione di altre pompe e compressori,
• Fabbricazione di organi di trasmissione,
• Fabbricazione di cuscinetti a sfere,
• Fabbricazione di forni, fornaci e bruciatori,
• Fabbricazione di ascensori, montacarichi e scale mobili,
• Fabbricazione di gru, argani, verricelli a mano e a motore,
• Fabbricazione di altre macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione,
• Fabbricazione di attrezzature di uso non domestico per la refrigerazione e la ventilazione,
• Fabbricazione di bilance e di macchine automatiche per la vendita e la distribuzione
• Fabbricazione di macchine e apparecchi per le industrie chimiche, petrolchimiche e petrolifere
• Fabbricazione di trattori agricoli
• Fabbricazione di altre macchine per l'agricoltura, la silvicoltura e la zootecnia
• Fabbricazione di macchine per la metallurgia
• Fabbricazione di macchine per l'industria alimentare, delle bevande e del tabacco
• Fabbricazione di macchine tessili, di macchine e di impianti per il trattamento ausiliario dei tessili, di macchine per cucire e per maglieria
• Fabbricazione di macchine e apparecchi per l'industria delle pelli, del cuoio e delle calzature
• Fabbricazione di apparecchiature e di macchine per lavanderie e stirerie
• Fabbricazione di macchine per l'industria della carta e del cartone
• Etc…..

In sostanza pompe, forni, macchine ed utensili ad uso industriale, mentre del tutto assente è qualsiasi investimento in Hardware e Software o innovazione delle tecnologie digitali per le imprese italiane.

Questo “Decreto Anticrisi”, sottovaluta quindi la leva e le potenzialità ricavabili da una sistematica politica nazionale di Innovazione Digitale nelle imprese Italiane, quale azione di contrasto diretta alla crisi in atto, un investimento strategico che come è noto, offrirebbe ritorni 7 volte maggiori rispetto agli investimenti tradizionali.

Ma non solo, non offrendo alcun incentivo alle imprese per “passare al digitale”, si compromette seriamente qualunque possibile recupero della competitività e conquista di nuovi mercati da parte delle PMI Italiane, in un contesto internazionale dove tutti, ma proprio tutti, stanno investendo nel digitale, quale piattaforma sulla quale costruire le future politiche nazionali.

Non è comunque mai troppo tardi!

Ora è il momento di far sentire la voce che “chiede Innovazione”, affinché nei prossimi passaggi del decreto, nella sua trasformazione in legge, possa essere modificato, estendendo gli incentivi anche alle tecnologie digitali.

Sarebbe un atto concreto, immediato, per provare ad uscire dalla “spirale negativa” in cui è precipitata l’economia e l’industria nazionale che oltre frontiera, sempre più fatica a tenere il passo delle altre nazioni, molto più attente al proprio rilancio digitale, di quello che appare essere l’approccio strategico tratteggiato nel decreto appena varato dal Governo.

“Fare innovazione” dovrebbe essere un must e non un’opzione secondaria per un paese moderno che vuole sperare in un concreto futuro.

E questo futuro parte proprio dal definire strategico il “passare al digitale” per le milioni di piccole imprese che invece, giorno dopo giorno, sono costrette ad abbassare la saracinesca, a causa della selezione Darwiniana di un futuro che avanza, ma verso il quale non possiedono gli strumenti adatti per potere sopravvivere, venendo così condannate alla loro estinzione.

Il paese non può attendere oltre: si cominci con il cambiare questo decreto.

Basta poco che c’è vò? PER FIRMARE LA PETIZIONE AL GOVERNO

mercoledì 1 luglio 2009

Cina: “problemi tecnici” per la Diga Verde!

E alla fine il “Green Dam” (Diga verde), dai cinesi sottotitolato “Youth Escort”, non sarà da oggi obbligatorio pre-installarlo su tutti i Pc venduti in Cina.

Un sospiro di sollievo per molti navigatori Internet cinesi, ma soprattutto, per le aziende produttrici di PC, che in questi giorni si sono ritrovate a dover gestire la “critica” situazione venutasi a creare, in questa sorta di “braccio di ferro” con le disposizioni Governative cinesi.

Alla fine sembra aver prevalso il buonsenso.

Salomonicamente, la ragione di questo improvviso dietro-front cinese, è stato causato da alcuni seri “problemi tecnici” riscontrati dalle prime installazioni del “Green Dam”.

Infatti, dopo i primi test, sarebbe emerso che la “Diga Verde”, tutto fosse tranne che un “Diga”, visto che oltre creare molti problemi di funzionamento e compatibilità con diversi dei Software installati, rischiava di creare seri problemi di Security, tanto da consentire accessi dall’esterno e ancora peggio, il possibile tele-controllo del PC stesso.

Questi comportamenti, evidenziati anche negli appelli dei principali produttori di Pc mondiali, ha finito per consigliare il Ministero dell’Industria e della Comunicazione cinese di sospendere tutto, a data da destinarsi.

Di sicuro c’è che da oggi il Green Dam è considerata dal Governo Cinese solo una semplice utility gratuita per le scuole e per le famiglie che vorranno installarlo, scaricandolo liberamente dal sito.

Il portavoce del Ministero per le l’Industria e le Comunicazioni comunque ha ribadito oggi come, “l’attivazione del Green Dam, era e rimane un facoltà del singolo utente e non un obbligo”, così come appare semplice anche la sua disinstallazione.

Sui diversi media cinesi si era comunque posto l’accenno su due “problemi” che rischiavano d’intaccare il valore stesso del mercato dei PC, dove la Cina la fa da padrona.

Infatti, i primi produttori che avevano accettato di Pre-Installare il Green Dam come loro richiesto, quali ad esempio la Sony-Vaio, avevano predisposto delle schermate, nelle quali avvertivano l’utente che “non potendo garantire possibili mal funzionamenti connessi all’installazione di questa applicazione, non potevano essere considerati responsabili degli stessi e, soprattutto, non sarebbe stato garantito alcun tipo di assistenza post-vendita per questo tipo di problematica”.

A questo in Cina, si è anche aggiunta la polemica per presunte violazioni della Privacy da parte del Green Dam, tanto che fonti Ministeriali cinesi, si sono dovute affrettare a dichiarare sui diversi media come “non vengano raccolti dati sulla navigazione degli utenti che avessero deciso l’attivazione del Green Dam sul proprio PC”.

Comunque sia, ad oggi il Green Dam è stato scaricato in pochi giorni ben oltre 7 milioni di volte, con punte di 400.000 registrazioni in un solo giorno, numeri incredibili che fanno comprendere come la Cina stesse realmente predisponendosi ad un’adozione sistematica dell’ormai leggendario Green Dam.

Ora c’è da vedere se, dopo aver predisposto nuove release che possano risolvano i diversi problemi riscontrati fino ad ora, possa esistere un Se o un Quando per il ritorno del “Green Dam 2”.