lunedì 23 febbraio 2009

Hillary spera nel "fidanzamento"... La Cina non "conferma" e apre all'EU (e Italia)!!

Caro Angelo, ho letto con attenzione l’articolo di Paniccia sulla visita di Hillary Clinton in Cina.

Non condivido le tesi esposte da Paniccia, che forse, volendo soprattutto “stressare” la tesi, del resto già esposta in altri articoli, di una sostanziale difficoltà dei futuri rapporti tra USA ed EUROPA, ha finito per confondere politica con commercio internazionale, una distinzione invece molto ben radicata nelle menti dei cinesi.

Infatti la Cina ha nell’Europa il maggior partner commerciale ed intende nel futuro sviluppare questa relazione che la tiene oltretutto lontana dalla ingerenze politiche Americane, poco gradite dal governo cinese.

Appaiono inoltre evidenti le “vere” ragioni per cui Hillary Clinton, nella sua prima visita all’estero non a caso sia passata dall’Asia e non dall’Europa: è da queste parti che sono i due più grandi creditori degli Stati Uniti e precisamente Cina e Giappone.

Per quanto riguarda in particolare per il Giappone, sul punto di “crollare” sotto i colpi della recessione, Hillary è dovuta correre rapidamente al “capezzale” di questo moribondo creditore, per cercare di capire la reale situazione e i rischi connessi.

Al contrario, per quanto riguarda i Cinesi, essi intendono invece tutelare il proprio ingente credito e quindi stanno facendo tutto ciò che possa limitarne i rischi di perderlo.

Ma per quanto ingenti, capitali sicuramente non sufficienti per poter assecondare la volontà americana di creare ora un assetto mondiale a due (G2), come appare chiaro dalle ultime dichiarazioni fatte dalla stessa Hillary.

Agli occhi dei cinesi, questo nuovo “equilibrio” come descritto dalla Hillary, rischierebbe di legare a filo doppio i destini della Cina con quelli degli USA, in un momento in cui lo stato di “prognosi”  degli americani, non consente alcun “pronostico  futuro” su possibili ed ulteriori pericolose ricadute.

Proprio per evitare questo “abbraccio”, la Cina sta continuando ad allargare la propria sfera di influenza ad altre aree, privilegiando prima di tutto gli aspetti commerciali e poi quelli politici, cercando proprio nell’Europa una sponda politica nell’occidente, come dimostrato dal recente viaggio del Premier Wen Jiabao in Europa e le aperture ad una sempre maggiore cooperazione tra Cina ed Europa..

Gli USA semmai ora temono che, sotto i colpi dell’attuale crisi finanziaria, l’Europa possa “preferire” una sempre maggiore alleanza con i Cinesi, che sul “piatto” possono mettere la propria forza commerciale, la possibilità di assorbire ingenti merci europee, oltre di disporre d’ingenti capitali che potrebbero essere utilizzati proprio in Europa.

Da qui anche il tentativo della nuova Amministrazione Americana di riallacciare le relazioni con la Cina, proprio per cercare di non essere guardati con sospetto, come solo un enorme investimento andato male da non ripetere in futuro e nel contempo cercare di rimarcare il ruolo di guida dell’occidente che gli USA ritengono gli appartenga.

L’articolo di Paniccia, non sembra tenere conto di tutti questi aspetti ed oltre tutto, sembra ignorare il recente accordo politico proprio tra Italia e Cina che indica la volontà di raddoppiare l’interscambio tra i due paesi nel medio termine, un aspetto fondamentale che dimostra l’esatto contrario delle tesi da Paniccia, accordo oltretutto promosso proprio dai Cinesi e non dalla “poco credibile” politica italiana.

Non solo, affermando che le produzioni cinesi del mercato interno sono passate dal 48% al 70%, l’articolo dimostra la volontà di continuare a descrivere uno scenario non veritiero, visto che non cita i valori assoluti e gli enormi spazi che si sono creati in questi anni per le aziende che hanno localizzato le proprie produzioni, come del resto hanno fatto quasi tutte le multinazionali occidentali.

Ad esempio, come da me citato per quanto riguarda il mercato dell’elettronica, ben l’80% della produzione cinese è fatta utilizzando materiali (o brevetti) di provenienza occidentale e non cinese!

Per cui è vero che il Made in Cina è cresciuto, ma “inside” questi prodotti parlano ancora occidentale.

Esistono poi anche casi di Multinazionali Tascabili italiane che hanno avuto il coraggio di non solo esportare ma di produrre direttamente in Cina, ottenendo incredibili performance di crescita, la prova degli spazi a disposizione per un’avveduta intraprendenza ed innovazione d’impresa.

Non solo, i Cinesi offrono la possibilità di produrre in Cina e poi esportare in ogni altro paese, offrendo ingenti capitali e il “traino” commerciale di cui possono disporre, consentendo alle imprese italiane, a corto di finanziamenti e sempre sotto patrimonializzate, di trovare così un Partner in grado di realizzare la crescita auspicata.

Ovviamente la composizione del paniere commerciale sul mercato cinese è cambiata, ma questo è connesso al fatto che la Cina, ormai divenuta seconda potenza economica e politica del mondo, sta percorrendo gli stessi passi di sviluppo che furono del Giappone e degli Usa e dove sempre maggiore sarà il peso del mercato interno di sempre più alto livello e non più la fabbrica del mondo come lo è stato fino ad ora.

L’Italia ha le competenze giuste da “gettare” in questa sfida e partnership con i cinesi, ma occorre cambiare l’approccio del “mordi e fuggi” fino ad ora utilizzato, per passare ad una presenza reale e permanente sul territorio, dalla quale costruire un mercato che da solo, vale quanto quello dell’intero pianeta!