Dalai Lama un Gandhi mancato.
Proprio il Dalai Lama non lo capisco.
Prima si prodiga a fare di tutto affinché l’opinione pubblica mondiale veda nei Cinesi le “bestie di satana” da colpire, poi in prossimità delle Olimpiadi, invita tutti a far si che nulla possa turbarle.
Ora, in questi giorni nella sua visita in Francia, davanti a migliaia di francesi e sui media internazionali, accusa i Cinesi di torturare, fino alla morte, un eufemismo per dire ammazzano i Tibetani, finendo con lo scoop della notizia delle uccisioni di massa il 18 agosto.
Premesso che le sue ultime affermazioni sono tutte da verificare, visto che al momento non esistono prove a supporto di quanto detto dal Dalai Lama, questo agire, prima dell’incontro con la “Presidentessa” Carla Bruni, non può che preoccupare.
Le accuse di queste ore lanciate al governo cinese, alla faccia dell’incontro religioso che avrebbe dovuto essere in questi giorni in Francia, rappresentano una grave provocazione, la reiterata volontà di voler seminare “zizzania”, un comportamento che non aiuta ad una concreta ricomposizione della questione Tibetana.
Ma soprattutto è grave che dopo la crisi Georgiana, che sta rischiando di portare il mondo sul precipizio di una Guerra Fredda di antica memoria, il Dalai Lama, sembri voler mantenere al centro dell’attenzione mondiale la questione Tibetana, infischiandosene se poi questo possa creare ulteriori scontri, con chissà quali conseguenze, data la chiara posizione cinese sulla questione: il Tibet è parte integrante della Cina.
Oltretutto il suo comportamento non trova alcun supporto del cittadino medio cinese, visto che lo lascia non poco disorientato perchè si voglia fare tornare indietro la storia ai tempi passati, quando il Tibet era uno dei paesi più poveri al mondo, situazione ben diversa dalla quotidiana attualità.
Comunque sia, continuare a legare le questione del Tibet alla sola indipendenza territoriale, appare perdente in partenza.
Recente è la notizia del ritrovamento dell’audio originale del “Messaggio d’amore” di Gandhi.
Le due figure non possono non essere confrontate, perché entrambe predicano la “lotta non violenta”.
Solo che mentre il Gandhi ha sfidato la Gran Bretagna Imperiale, sul terreno di un confronto non violento, direttamente in India e non per “interposta persona”, il Dalai Lama, sta provandole proprio tutte per continuare a non affrontare la questione direttamente.
Gandhi può essere quindi un ottimo esempio anche per il Dalai Lama di queste ore, per l’intelligenza delle parole e dei messaggi mai frantesi che lanciò in momenti difficili come quelli di allora e per come fu in grado di andare oltre la causa stessa, trasformandola in un valore comune e positivo, evitando così di radicare ulteriormente odi e rancori tra le etnie e i popoli.
Di sicuro, quanto accaduto in queste ore non aiuta nessuno, occupando inutilmente le prime pagine dei quotidiani occidentali, contribuendo a continuare a creare un muro di incomprensione che difficilmente potrà consentire di fare alcun reale passo in avanti.
Prima si prodiga a fare di tutto affinché l’opinione pubblica mondiale veda nei Cinesi le “bestie di satana” da colpire, poi in prossimità delle Olimpiadi, invita tutti a far si che nulla possa turbarle.
Ora, in questi giorni nella sua visita in Francia, davanti a migliaia di francesi e sui media internazionali, accusa i Cinesi di torturare, fino alla morte, un eufemismo per dire ammazzano i Tibetani, finendo con lo scoop della notizia delle uccisioni di massa il 18 agosto.
Premesso che le sue ultime affermazioni sono tutte da verificare, visto che al momento non esistono prove a supporto di quanto detto dal Dalai Lama, questo agire, prima dell’incontro con la “Presidentessa” Carla Bruni, non può che preoccupare.
Le accuse di queste ore lanciate al governo cinese, alla faccia dell’incontro religioso che avrebbe dovuto essere in questi giorni in Francia, rappresentano una grave provocazione, la reiterata volontà di voler seminare “zizzania”, un comportamento che non aiuta ad una concreta ricomposizione della questione Tibetana.
Ma soprattutto è grave che dopo la crisi Georgiana, che sta rischiando di portare il mondo sul precipizio di una Guerra Fredda di antica memoria, il Dalai Lama, sembri voler mantenere al centro dell’attenzione mondiale la questione Tibetana, infischiandosene se poi questo possa creare ulteriori scontri, con chissà quali conseguenze, data la chiara posizione cinese sulla questione: il Tibet è parte integrante della Cina.
Oltretutto il suo comportamento non trova alcun supporto del cittadino medio cinese, visto che lo lascia non poco disorientato perchè si voglia fare tornare indietro la storia ai tempi passati, quando il Tibet era uno dei paesi più poveri al mondo, situazione ben diversa dalla quotidiana attualità.
Comunque sia, continuare a legare le questione del Tibet alla sola indipendenza territoriale, appare perdente in partenza.
Recente è la notizia del ritrovamento dell’audio originale del “Messaggio d’amore” di Gandhi.
Le due figure non possono non essere confrontate, perché entrambe predicano la “lotta non violenta”.
Solo che mentre il Gandhi ha sfidato la Gran Bretagna Imperiale, sul terreno di un confronto non violento, direttamente in India e non per “interposta persona”, il Dalai Lama, sta provandole proprio tutte per continuare a non affrontare la questione direttamente.
Gandhi può essere quindi un ottimo esempio anche per il Dalai Lama di queste ore, per l’intelligenza delle parole e dei messaggi mai frantesi che lanciò in momenti difficili come quelli di allora e per come fu in grado di andare oltre la causa stessa, trasformandola in un valore comune e positivo, evitando così di radicare ulteriormente odi e rancori tra le etnie e i popoli.
Di sicuro, quanto accaduto in queste ore non aiuta nessuno, occupando inutilmente le prime pagine dei quotidiani occidentali, contribuendo a continuare a creare un muro di incomprensione che difficilmente potrà consentire di fare alcun reale passo in avanti.