Il Dalai Lama “Oscuro"
Temo il Dalai Lama che in questi giorni, con le ultime affermazioni, stia pericolosamente caricando una “molla” che potrebbe portare solo dolori alla propria gente e ai cinesi, con parole sempre più da leader politico che da guida spirituale buddista.
Le accuse dirette di queste ore che cercano, da un lato di ricevere il plauso dell’occidente, dall’altra possono solo accendere una miccia che potrebbe far esplodere disordini, che poi porterebbero solo ad una prevedibile soluzione: la repressione da parte cinese.
Sembra però che il Dalai Lama abbia scelto questa strada, quello dello scontro verbale dalle conseguenze imprevedibili, quale metodo che obblighi poi ad un intervento esterno da parte dei governi occidentali.
Ovviamente, come del resto detto dal Ministro degli Esteri cinese nella sua conferenza stampa della scorsa settimana, il Dalai Lama rivendica un’autonomia (indipendenza) per qualcosa come un quarto dell’attuale Cina.
Un richiesta ovviamente inaccettabile per qualunque governo cinese, visto che l’autonomia di cui parla il Dalai Lama, si tradurrebbe pericolosamente in una successiva richiesta di Indipendenza.
Non potendo chiedere da subito l’Indipendenza, oggi il Dalai Lama chiede il “minimo”, sicuro poi di poter chiedere in seguito l’agognata indipendenza, con il placet dei paesi occidentali.
Un film che assomiglia troppo a qualcosa del passato ( guerra dei boxer) e “guerra fredda” che il Dalai Lama dovrebbe comprendere a fondo essere difficilmente percorribile, senza che ciò scateni una guerra globale (guerra mondiale).
Un’azione che risulta assai poco credibile anche sul piano dei “contenuti”, visto che si parla di sterminio di un popolo che di fatto, dati alla mano, sta aumentando di numero, in una Cina composta da ben 56 diversi popoli, di cui i tibetani ne rappresentano solo una parte.
Parlare poi oggi d’inferno, metafora non appartenente alla cultura cinese, ma ovviamente a quella Cattolica dei “veri” destinatari del recente messaggio, lascia ancora più sconcertati.
Un agire sempre più “oscuro” di un uomo che sta pericolosamente seminando “odio e zizzania”, a prescindere dalla realtà ormai decennale che ha cambiato la faccia del Tibet, modernizzandolo e facendolo crescere, da una situazione da medio evo come era prima, proprio ai tempi del Dalai Lama.
La posizione è ovviamente molto pericolosa ed appare del tutto fuori luogo in un’area, quella Asiatica, dove terrorismo e “vecchi” rancori (pensiamo alla Corea), rischiano di essere la causa per una guerra con tanto di ordigni nucleari, che rischia di trascinare veramente il mondo intero all’inferno.
L’invito è ora a non calcare troppo la mano, evitando di strumentalizzare troppo le date e le ricorrenze di marzo che potrebbero essere viste per qualcuno come il momento per iniziare un percorso violento ed armato, sotto la “mano benevola” del Leader della non violenza.
Una contraddizione di fondo dell’ambiguo messaggio del Dalai Lama, che per esempio non offre proposte ben più credibili, indicando per esempio in maniera più chiara quale autonomia realmente vuole, che comunque non potrebbe essere che quella di un Provincia della Cina, quale unico paese ed indivisibile.
Sorprende per esempio che non usi la strada alternativa di un percorso a ritroso già visto, stile Hong Kong, “due sistemi, un’unica nazione”, un approccio ben più percorribile, almeno per il fatto che ha dimostrato ai cinesi che non hanno nulla da temere da una simile soluzione, coerente e che garantisce per entrambi il meritato reciproco rispetto, evitando oltretutto qualsiasi ambiguità nella sua gestione.
Speriamo che si torni ad un dialogo, vero e costruttivo, ma soprattutto si lasci alla maggioranza dei Tibetani oggi “frastornati” da tanto clamore, il diritto di scegliere senza ricatti “morali” di un passato che è stato, quello che realmente sia meglio per il proprio futuro.