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venerdì 11 novembre 2011

WE Italy: Innovatori d'Italia ... assieme si può cambiare!

La parola "magica" invocata da tutti per portare fuori dalle secche il paese è una sola: Innovazione. Innovare e cambiare sembrano diventati tra loro sinonimi e simboli della speranza di poter dare nuovo lustro al paese.

Da questa condivisa intuizione sono così nate associazioni, premi, eventi e persino corsi di formazione su come fare innovazione, affinché il verbo si potesse diffondere a tutti i livelli ed in tutti i luoghi. Ottimo lavoro di molti, grande dispiego di mezzi di tanti, tutti con un solo modello comune in testa: Silicon Valley.  

Da questa esplosione di eventi ed iniziative, forse però si sta rischiando di perdere di vista l'obbiettivo principale: l'innovazione. Infatti l'innovazione sembra diventata qualcosa di ben diverso: uno strumento di business per tutta una serie di soggetti e di promozione per altri, quasi una moda da mostrare, esporre o il gesto per evidenziare, sottolineare il proprio agire o cambiamento.

Da ciò qualche diffidenza sull'approccio fino ad ora seguito appare inevitabile se il tutto poi viene comparato al modello di riferimento della Silicon Valley, dove per contro ha poco senso cercare classifiche, contests, azioni promozionali dietro la nascita delle aziende che di fatto hanno da decenni cambiato la storia del mondo digitale (e non).

Probabilmente il termine che meglio definisce questo luogo, ormai ritenuto leggendario, sembra essere uno solo: giungla.

Nessuna traccia di classifiche, premi, tornei tra innovatori o altre amenità simili o meglio, gli incontri ci sono e continui, ma a finanziare tutto e sostenere il massimo sforzo sono gli stessi che il successo lo hanno già creato nei decenni, che si sono trasformati in mentori dei nuovi, in un continuo frenetico ciclo tra nuovo ed antico.

E sui mercati internazionali? Beh le aziende americane agiscono direttamente senza supporti governativi, temperate dai propri successi in madre patria e dalla giungla che caratterizza l'ambiente selettivo in cui sono nate.

Sono sempre propositive, trascinanti, forti grazie ad una visione da subito proiettata al mondo e per quanto sicuramente aiutate dall'essere nate (e selezionate) nella prima economia mondiale, sono comunque strutturate per competere e battere l'avversario. La domanda a questo punto appare inevitabile: innovatori si nasce o lo si diventa?

La Silicon Valley sembra dimostrare che lo si può diventare, basta nascere nell'ambiente giusto che possa stimolare, potenziare, supportare l'estro innovativo che è dentro ognuno di noi.  

Ma allora, per quanto riguarda il modello italiano fatto di premi e camps degli innovatori in costante movimento per la penisola, questo è veramente il modello giusto?  

Sul piano teorico si, anche perché è indubbio che sta sicuramente contribuendo a "muovere" le coscienze, qualcosa di importante che ha già contribuito a mettere sotto i riflettori migliaia di imprese e consentito di mostrare le proprie idee in contest pubblici e stimolanti.

Ma per quanto riguarda il problema paese ahimè non saranno queste aziende da sole a poterlo risolvere, perchè i veri problemi sono strutturali, in un paese dove le idee si scontrano con la convinzione che non c'è spazio per le intuizioni che non si prestino al sistema esistente e che ama poco chi lo vuole cambiare con nuovi (pericolosi) approcci.  

Da sole. Ma se invece tutte queste aziende diventassero una entità interconnessa, attiva, viva in grado di scambiarsi le competenze, capacità, le empatie, le logistiche, le infrastrutture, le energie, le forze, i prodotti e i servizi?

Beh allora si che possono veramente cambiare il destino di un paese e non importerebbe più scoprire la nuova Facebook o la nuova Google, una caccia un pò retrò dei cacciatori di ricchi ritorni finanziari.  

Così interconnesse, potrebbero addirittura condizionare la finanza e decidere autonomamente di attivare una economia non più solamente legata all'attuale modello connesse alle valute, dando vita ai modelli fino ad ora ridotti a casi sporadici ed esemplificativi di moneta digitale e WEmoney, per iniziare a creare una finanza realmente innovante per il paese.

Assieme quindi non più secondo l'assioma dell'IO partecipo, propongo e vinco.

Ma del noi ideiamo, proponiamo, cresciamo e vinciamo tutti assieme, sull'onda di quella WEconomy che sta dando le basi teoriche e le linee guida per un cambiamento vero che il paese può far proprie.

Per cui da queste considerazioni una proposta pratica: tutti gli innovatori o le aziende che sentono che questa sia la strada corretta, si mettano in contatto e inizino a coordinarsi in uno strumento comune operativo che possa accogliere nuove idee alle quali loro stessi possano offrire i propri servizi / prodotti in cambio di quote, in modo che gli investimenti finanziari delle nuove idee ed imprese possano essere drasticamente abbattuti, concentrando i pochi fondi esistenti solo su ciò che non è già stato sviluppato.  

Una logica di Cloud Enterprise Paese che possa fare da volano per amplificare la potenza delle idee, realizzarle, diffonderle e farle "penetrare" nelle diverse realtà coinvolte.  

Una massa critica che potrebbe essere in grado di attivare ricadute locali e globali, anche a livello internazionale e produrre una leva finanziaria importante in termini economici sui diversi progetti, così come attrarre anche nuove fonti in grado di alimentare un circolo virtuoso di ampie proporzioni e cosa importante, riproducibile.

Questa potrebbe essere la nostra Italia del futuro, la WE Italy che può contribuire ad un cambiamento reale, concreto, duraturo. Un piano di sviluppo serio e credibile che possa contagiare il paese dalle fondamenta.

Quindi Innovatori d'Italia uniamoci, diamo vita a WEItaly rispondendo all'unitario "l'Italia chiamò"!"..... Smettiamo di prendercela, arrabbiarci, incazzarci consumando energie importanti che invece si possono concentrare nel cambiamento, nella operatività.

Per poi non perdere tempo: e se nel prossimo Working Capital tutti i finalisti risultassero VINCITORI? Sarebbe un bel punto di partenza!

lunedì 2 agosto 2010

Ebook entrato nelle scuole Cinesi come "Libro di testo"!!

Il libro di testo nelle scuole cinesi diventa un E-Book!!

La prima esperienza in questa direzione non è però partita da Shanghai o da Beijing, ma da una piccola scuola Sanyuanqiao Elementary School in Yangzhou, Jiangsu province frequentata da figli di migranti.

Un primo grande passo che sicuramente, anche sostenuto da una industria cinese pronta a sfornare centinaia di milioni di Ebooks, potrebbe presto realmente rendere obsoleti i vecchi libri di testo e contiuare ad estendersi a partire dalle aree più povere del paese e propagarsi in altri paesi in via di sviluppo.

Per saperne di più QIAO LAB.

mercoledì 10 marzo 2010

Sfida tra titani a colpi d'innovazione.... (Usa - Cina - Russa)

La notizia arriva dalla Russia, viene rilanciata dai cinesi e arriva "forte e chiaro" agli Americani. (ovviamente ignorata dagli Italiani)


La sfida del futuro si giocherà sul saper Innovare realmente e come si vede le "potenze" stanno attrezzandosi in tal senso.

Dopo i Cinesi, ora anche la Russia ha lanciato la sfida a Silicon Valley, chiamando a se le "Migliori menti".

Gli Usa, che da tempo vedono tornare a casa molti dei propri geni Indiani, Cinesi e ora anche Russi, ora rischiano davvero nella supremazia di un area che è stata sicuramente il motore della ricerca e della innovazione degli Usa.

Stendiamo invece un "pietoso" velo sulla situazione italiana che a Genova intendeva sfidare addirittura il MIT centro che invece sembra che stia vivacchiando o meglio stia conformandosi alle regole del paese, in un lento ma inesorabile declino.

Triste presente e inesorabile futuro, per il paese che ha inventato tutto l'inventabile (Leonardo, Pila, Radio, Nucleare, PC .....)

Medvedev calls for Silicon-Valley-like research center
Russian President Dmitry Medvedev on Tuesday called for intensified efforts to establish a research and development center similar to the Silicon Valley in the United States.
"I do not know if we can manage to build a Silicon Valley of our own, but the idea is to set up an innovative center to do research and further commercialize its results," Medvedev was quoted by Russian news agencies as saying at a meeting on preparations for the center.
Medvedev instructed the government to choose the location of the prospective center and to define its sources of funding and functions.
"Officially, we will call it a research and development center. In fact, it will be a compound to facilitate the development of state-of-the-art technologies," he said.
Medvedev added the center would need to attract foreign experts to get the most out of it.
During an annual state-of-the-nation address last November, the president proposed setting up a research center similar to Silicon Valley in order to put Russia on the track to an innovative economy.

martedì 9 febbraio 2010

Previsioni per il futuro? In queste tabelle!!

Se si vuole sapere come il mondo, la società e l'economia evolverà veramente, al di là delle speranze e parole, contano i numeri, in particolare i "freddi numeri" della capacità di innovare e di innovarsi dei diversi paesi.

Innovazione e brevetti sono una costante dietro il successo o insuccesso di una nazione.

Bene allora guardate questi e vedrete che le dinamiche in prospettiva futura le ritroveremo anche a livello macroeconomico.

Da notare, quale anticipazione degli scenari macro economici sul futuri che vedono una "retrocessione" di molti paesi oggi ai vertici. L'Italia qua è già al 11° posto, così come tra le prime 11 aziende al mondo non esiste una azienda italiana in grado di "creare innovazione". (fonte Ompi)

giovedì 2 luglio 2009

Come Dire e (Non)Fare Innovazione

In Italia, dopo la parola Veline, ne esiste una seconda sulla bocca di tutti: Innovazione!

Bene, mentre la prima non genera ricchezza se non per giornali di gossip connessi, la seconda rappresenterebbe l’opportunità del paese per cercare di crearsi un possibile futuro, al momento compromesso da decenni di scelte errate e miopi, dei diversi Governi e gruppi di potere (lobby) che si sono succeduti.

Siccome non è “mai troppo tardi” per fare la cosa giusta, come del resto stanno facendo tutti i paesi occidentali, alla disperata ricerca di “correggere” l’errato approccio che ha provocato la crisi mondiale in atto, nei mesi scorsi, anche l’Italia aveva dichiarato di voler “riscrivere” il proprio futuro, partendo proprio da una sistematica Innovazione.

Bene, con ansia si aspettava quindi il varo, del “Decreto Anticrisi”, sbandierato per “mari e monti” da Berlusconi, come il “salvavita” per il paese, la pietra miliare per costruirne il futuro.

Leggendolo e rileggendolo sembra però più che un documento che delinea un futuro, qualcosa pensato per il suo passato, tanto che si potrebbe confondere come un atto redatto a fine anni ’60, in pieno boom economico, piuttosto che qualcosa pensato e scritto nel 2009 per gli anni a venire!

Il nocciolo della questione la si trova all’articolo 5, che prevede “uno sconto del 50% sulla tassazione degli utili delle imprese che investiranno per acquistare macchinari e apparecchiature compresi nella divisione 28 della tabella Ateco”.

Avete provato a vedere cosa dice la “mitica” divisione 28 della tabella Ateco?? (vedi Link)

Bene, sorprendentemente alla divisione 28, appartengono tra l’altro:

• Fabbricazione di altri rubinetti e valvole,
• Fabbricazione di altre pompe e compressori,
• Fabbricazione di organi di trasmissione,
• Fabbricazione di cuscinetti a sfere,
• Fabbricazione di forni, fornaci e bruciatori,
• Fabbricazione di ascensori, montacarichi e scale mobili,
• Fabbricazione di gru, argani, verricelli a mano e a motore,
• Fabbricazione di altre macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione,
• Fabbricazione di attrezzature di uso non domestico per la refrigerazione e la ventilazione,
• Fabbricazione di bilance e di macchine automatiche per la vendita e la distribuzione
• Fabbricazione di macchine e apparecchi per le industrie chimiche, petrolchimiche e petrolifere
• Fabbricazione di trattori agricoli
• Fabbricazione di altre macchine per l'agricoltura, la silvicoltura e la zootecnia
• Fabbricazione di macchine per la metallurgia
• Fabbricazione di macchine per l'industria alimentare, delle bevande e del tabacco
• Fabbricazione di macchine tessili, di macchine e di impianti per il trattamento ausiliario dei tessili, di macchine per cucire e per maglieria
• Fabbricazione di macchine e apparecchi per l'industria delle pelli, del cuoio e delle calzature
• Fabbricazione di apparecchiature e di macchine per lavanderie e stirerie
• Fabbricazione di macchine per l'industria della carta e del cartone
• Etc…..

In sostanza pompe, forni, macchine ed utensili ad uso industriale, mentre del tutto assente è qualsiasi investimento in Hardware e Software o innovazione delle tecnologie digitali per le imprese italiane.

Questo “Decreto Anticrisi”, sottovaluta quindi la leva e le potenzialità ricavabili da una sistematica politica nazionale di Innovazione Digitale nelle imprese Italiane, quale azione di contrasto diretta alla crisi in atto, un investimento strategico che come è noto, offrirebbe ritorni 7 volte maggiori rispetto agli investimenti tradizionali.

Ma non solo, non offrendo alcun incentivo alle imprese per “passare al digitale”, si compromette seriamente qualunque possibile recupero della competitività e conquista di nuovi mercati da parte delle PMI Italiane, in un contesto internazionale dove tutti, ma proprio tutti, stanno investendo nel digitale, quale piattaforma sulla quale costruire le future politiche nazionali.

Non è comunque mai troppo tardi!

Ora è il momento di far sentire la voce che “chiede Innovazione”, affinché nei prossimi passaggi del decreto, nella sua trasformazione in legge, possa essere modificato, estendendo gli incentivi anche alle tecnologie digitali.

Sarebbe un atto concreto, immediato, per provare ad uscire dalla “spirale negativa” in cui è precipitata l’economia e l’industria nazionale che oltre frontiera, sempre più fatica a tenere il passo delle altre nazioni, molto più attente al proprio rilancio digitale, di quello che appare essere l’approccio strategico tratteggiato nel decreto appena varato dal Governo.

“Fare innovazione” dovrebbe essere un must e non un’opzione secondaria per un paese moderno che vuole sperare in un concreto futuro.

E questo futuro parte proprio dal definire strategico il “passare al digitale” per le milioni di piccole imprese che invece, giorno dopo giorno, sono costrette ad abbassare la saracinesca, a causa della selezione Darwiniana di un futuro che avanza, ma verso il quale non possiedono gli strumenti adatti per potere sopravvivere, venendo così condannate alla loro estinzione.

Il paese non può attendere oltre: si cominci con il cambiare questo decreto.

Basta poco che c’è vò? PER FIRMARE LA PETIZIONE AL GOVERNO

lunedì 23 marzo 2009

Wen Jiabao - INNOVARE per battere la crisi!

L'Innovazione quale arma anti crisi. 

Queste le parole usate dal Premier Cinese che dimostrano un'approccio ben diverso rispetto a quello Occidentale TROPPO finanziario.

Ma il passaggio fondamentale è quello che ritiene la proprietà intellettuale il cuore della competizione nell'Economia moderna.

"PREMIER Wen Jiabao has called on enterprises and officials to place priority on industrial upgrading and innovation, urging them to move "early rather than late" to ride through the global financial crisis.

Chinese companies should focus on adjusting product structure, improving quality and upgrading technology in the face of economic woes, said Wen during a visit to enterprises in the northeastern Liaoning Province over the weekend. The three-day visit ended yesterday.

Efforts should be especially stepped up to develop new products and foster intellectual property rights, while the government must cut burdens for enterprises and provide an easy environment for their innovation, said Wen.

"Intellectual property rights are at the heart of economic competition in modern times," Wen said, adding that the government must combine scientific and technological innovation with the bid to boost economic growth."

lunedì 2 marzo 2009

E’ il momento d’Innovare! Il sogno Cinese in action...

Innovare non è una parola, ma un metodo.

Oggi parlando con amici cinesi, mi facevano notare che la resistenza all’innovazione è direttamente proporzionale al tempo che uno ha speso in un ruolo di prestigio (tradotto: sulla poltrona).

Quindi la loro ricetta per innovare è riassumibile in: rinnovare i ruoli!

Banale ma allo stesso tempo pratica. La resistenza a voler cambiare e fare diversamente le cose sta proprio nel fatto che se uno è arrivato ad un certo livello, teme di abbandonare la strada vecchia per imboccare una nuova.

Il cambiamento è visto con timore quanto più il successo è stato raggiunto.

Il ragionamento dei miei amici cinesi quindi non fa una grinza.

Vediamo di farne un’applicazione pratica in Italia, dove appare evidente a chiunque che prima del fare c’è il posto occupato.

Quindi l’età ha sicuramente un peso, ma a sorpresa non quella anagrafica, bensì dell’incarico occupato.

Analizzando con questa chiave di lettura le aziende italiane si nota come siano vecchie, vecchissime, perché le proprietà sono tra le più stabili al mondo, mentre negli altri paesi il cambiamento fa molta meno paura e senza tanti grilli, tanto che mediamente le aziende hanno turnover molto superiori a quelli italiani.

Un esempio per capirci? Beh Shao Xiaofeng, il vice presidente di Alibaba è stato per 20 anni un poliziotto in prima linea, alla Serpico per capirci, un duro, uno che ha inseguito i criminali su per le montagne.

Bene, ora è alla testa di uno dei maggiori gruppi al mondo che d’innovazione ne sanno qualcosa.

Non è un personaggio accademico, ne tanto meno esperto di settore. Eppure il suo posto se lo è guadagnato sia per la fiducia in lui riposta dal suo amico, il fondatore di Alibaba, ma anche perché ha saputo occuparsi con successo di Alipay, il braccio economico di Alibaba.

Una storia che ha dell’incredibile da noi. Meno da queste parti, dove spesso casi di successo incredibili nascono attorno personaggi che hanno solo creduto nella propria idea.

Ora molti di loro sono proprietari di autentici colossi come Feng Jun, il presidente della AIGO, ora sponsor della McLaren, multinazionale cinese dell’elettronica presente in tutti i continenti, ma partito nel ‘93 con la sola idea e 250 Yuan (poco meno di 25 Euro).

La lista potrebbe essere lunghissima, ma come dicevo è il metodo non la parola che conta.

E da questa parti quando dicono innovazione la praticano davvero.

Ora tocca noi, “vecchio continente”, dare segni di risveglio o meglio “ritorno al futuro”.

A meno che siamo troppo “vecchi” o troppo arroganti per pensare di competere con il nuovo che avanza.

Update: Per chi crede che ancora una idea possa cambiare il mondo, una lieta novella: l’Italian Center di Shanghai, la più grande struttura italiana in Cina, apre le sue porte all’innovazione ( e agli innovatori!). mailto:innovationdesk@chinamedialab.biz

sabato 21 febbraio 2009

Italian Center Shanghai "apre" all'Innovazione ... Stay Tuned!!!


NEW YORK - 5/6 Maggio 2009 - World Innovation Forum

L'Innovazione e l'editoria Italiana ...: Affonda!!

Venerdí 20.02.2009 18:51
 var. sedutavar. ultimi 6 mesivar. ultimo anno
MIBTEL-4.92%-41,08%-50,78%
Buongiorno+ 2.56%-36,86%-72,38%
Cairo Communication-0.11%-25,17%-41,61%
Caltagirone Editore-2.91%-53,85%-57,96%
Class Editori0.00%-31,87%-49,22%
Espresso-1.90%-57,78%-72,37%
Il Sole 24Ore-1.99%-40,62%-50,04%
Mediaset-2.18%-27,06%-41,78%
Mondadori-4.23%-29,54%-50,63%
Monrif0.00%-27,20%-37,27%
Poligrafici Edit.0.00%-39,83%-55,90%
Rcs Mediagroup-3.87%-60,81%-76,64%
Seat Pagine Gialle+ 0.72%
Telecom Italia Media-3.17%-46,15%-62,86%
Tiscali-6.52%-76,18%-82,69%

Di fronte a questi dati appare evidente che le Società della Società dell'Informazione sono affondate da tempo.

Caso clamoroso quello di Seat Pagine Gialle,  con un debito di oltre 3 Miliardi di Euro, circa 5 volte il proprio margine operativo lordo che la ingessa per il futuro, tanto che molti analisti nutrono seri dubbi sul futuro stesso della società.

Il resto è il nulla che rischia di "sparire" sotto i colpi della recessione finanziaria. La questione è che innovare significa, fare qualcosa in maniera diversa o originale. Il problema è che in Italia "diversamente" ed "originale" sembrano essere ancora due temuti tabù. 

Cosa si può fare?? Beh per iniziare un pò di letterale Turnaround:

"un processo di passaggio da un periodo di perdite o di scarsa redditività in un fase più redditizia. Una tendenza può essere innescato da una serie di fattori, tra cui un migliore utilizzo dei beni o lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi"

Da questa definizione si comprende come la soluzione sia INNOVARE veramente.

Esempio: perchè è ancora un Tabù che Telecom scorpori la propria rete (facendo cassa e creando valore per la nazione) e poi si fonda con Mediaset??

Quale ragione "plausibile" che non sia il potere che questa società rappresenta, tanto da scatenare azioni stampa strumentali contro qualsiasi "scorporo", può ancora giustificare il continuare su questa strada, visto che così come è la società è destinata ad una probabile estinzione??

venerdì 20 febbraio 2009

La Cina Finanzia la crescita dell’industria elettronica e noi??

Il governo cinese ieri ha approvato un piano per promuovere l’industria elettronica e dell’informazione, aggiungendo nuovi investimenti per promuovere l'espansione delle comunicazioni mobili 3G e degli altri servizi High-Tech.

L’intenzione di questa azione è quella di promuovere nei prossimi tre anni l'innovazione nel paese, aumentando i finanziamenti connessi e nel contempo promuovere l'uso delle tecnologie in molti settori del paese.

Il Consiglio di Stato, presieduto dal Premier Wen Jiabao, ha affermato come il piano intende sia incrementare il consumo interno, cercando così di compensare all’indebolimento della domanda globale e la conseguente riduzione delle esportazioni tecnologiche cinesi.

Gli investimenti si concentreranno inizialmente nella promozione dell'uso della telefonia 3G di comunicazione mobile digitale e per l’incremento dei servizi di  Digital TV.

Questa azione intende contribuire a sviluppare la conoscenza scientifica nazionale e tecnologica del paese e nel contempo migliorare le piattaforme tecnologiche dei servizi pubblici.

Il governo ha anche deciso di promuovere l’outsourcing, incoraggiando le imprese dell’industria elettronica e dell’Informazione del paese ad espandersi anche all’estero, costruendo centri di ricerca e di sviluppo, produzione e reti distributive per la commercializzazione dei prodotti High-Tech “Made in China” anche al di fuori del paese.

Tra le azioni a sostegno sono previste tra l’altro forti riduzioni fiscali per l’esportazione di prodotti per l'elettronica e dell’Informazione.

Questa azione, segue a stretto giro le misure varate nei giorni scorsi a supporto dei mercati dell'auto, acciaio, costruzioni navali, settore tessile e la produzione di macchinari per l’industria.

In Cina l’import / export del settore dell’elettronica e dell’informazione ha raggiunto gli 885,4 miliardi di dollari, con una crescita del 10 per cento rispetto all'anno precedente.

Ma analizzando meglio i dati, si scopre come le esportazioni siano cresciute del 13,6% raggiungendo i 521,8 miliardi di dollari, più del doppio di quanto rappresentato dalle importazioni (il 5,,4% - 363 miliardi di dollari).

Il 75 per cento delle esportazioni lo scorso anno è rappresentato dai prodotti per le telecomunicazioni, computer e prodotti audio / video per il mercato consumer.

La ragione di tanto interesse da parte del governo cinese ad una crescita della conoscenza interna è spiegabile da un altro dato fondamentale: oltre l’80 per cento delle esportazioni è rappresentato da prodotti assemblati in Cina ma utilizzando materiali forniti dai clienti stranieri.

Il mercato interno cinese per quanto riguarda l’elettronica e i media  ha raggiunto 6,3 trillioni di Yuan ( 950 miliardi di dollari) con una crescita attorno il 12.5  negli scorsi anni, livello di crescita atteso anche per il 2009, da ciò l’intenzione di favorire l’arrivo sul mercato di prodotti realmente pensate e prodotti in Cina, per poter beneficiare di questo trend che non sembra si arresterà nemmeno in periodi di crisi come quelli odierni.

Ovviamente ci vorrà tempo, ma sicuramente il fatto che la oramai prima economia mondiale abbia deciso di far crescere la propria industria elettronica, è un messaggio che dovremmo recepire anche in Italia, dove invece per contro, a fronte di conoscenze molto profonde e di altissimo livello, il governo non sembra dello stesso avviso, lasciando così che questo patrimonio nazionale continui, giorno dopo giorno, a dissolversi.

Una visione miope che occorre rapidamente cambiare, perché il futuro dell’intero paese ruoterà attorno alla capacità di trasformare queste conoscenze in prodotti e mercati, consentendo nel contempo di innovare profondamente il sistema produttivo ed informativo del paese, in modo di competere al meglio nelle difficili sfide future che ci attendono.

giovedì 19 febbraio 2009

Wired Italia: la copertina specchio della realtà!

Devo proprio fare i miei complimenti a Riccardo Luna per il primo numero di Wired Italia.

La copertina in particolare: l’impietosa fotografia della situazione italiana vista con gli occhi NON italiani come di fatto è Wired Italia.

La dimostrazione che questa edizione Italiana sia tutt’altro che italiana è dimostrato dal fatto che l’edizione on line, il cuore pulsante in un mondo 2.0 come quello attuale, sia tutta gestita a Londra, da una redazione editoriale che nulla centra con la redazione del cartaceo.

Scelta quantomeno originale ma che la dice lunga sulla capacità italiana di rappresentare l’innovazione o meglio di trasferire innovazione nel resto del mondo.

Per cui, gli americani, che per quanto buoni amici, non intendono “sperperare” i propri capitali, hanno ragionevolmente deciso di non usare “facce” italiane per un prodotto pensato e prodotto di fatto da tutt’altra parte.

Per cui la scelta della Montalcini, è come in molti altri settori, prima di tutto una scelta fatta con occhi esterni alla nostra cultura e al nostro mondo dell’innovazione ma che la dice lunga di quale possa essere il nostro futuro se non la smettiamo di essere così terribilmente provinciali.

I risultati di vendita o meglio di abbonamenti sembrano lusinghieri, ma oggettivamente al di là di questi, mi auguro che in un futuro non troppo lontano, si assista ad una inversione del processo di trasferimento tecnologico, dall’Italia al resto del mondo e che un giorno un Wired Italiano “sbarchi” nella Silicon Valley stupendo e coinvolgendo gli americani.

Un sogno?

Non credo, come anche lo stesso Wired (“americano”) fa intuire, i geni italiani esistono e sono di prima grandezza.

Si tratta di far si che l’Italia non continui a disperderli in rivoli di ricerche altrui ma riesca finalmente ad avere una propria politica sull’Innovazione che prima innovi l’Italia e poi “contagi” il resto del mondo.

E’ possibile, per il paese dei Da Vinci, Fermi, Marconi, Mattei che “inventarono” le basi stesse del mondo tecnologico che tutti noi, cinesi compresi, oggi utilizziamo.

Per cui “forza e coraggio”, cerchiamo di tornare a credere che se un inventore non ha un nome Inglese o Cinese, possa ancora cambiare il mondo!

martedì 28 ottobre 2008

Per evitare “l’Innovazione di Importazione”:

Una frase chiave sembra mettere tutti d’accordo quando si parla del Made in Italy :“bisogna innovare”.

Ma forse sulla parola, innovazione, ci sono ambiguità che la parola stessa contiene.

La mia riflessione sul tema è quotidiana ma in particolare si è materializzata in questo post, leggendo un post del Blog del Direttore del Cefriel Fuggetta, sul tema.

Con acutezza, veniva segnalato che tanti dicono, molti suggeriscono, ma pochi alla fine fanno e io aggiungerei SBAGLIANO.

Infatti le più grandi innovazioni spesso non sono frutto di ricerche pianificate e andate a buon fine, ma sono frutto di errori, spesso grossolani, spesso anche incredibili.

Si va da un formaggio andato a male diventato negli anni un prodotto DOC, per finire con gli SMS “inventati per sbaglio” dagli operatori telefonici. Se qualcuno si ricorda i Business Plan degli operatori di allora, la voce “SMS” non esisteva, in quanto ritenuto SOLO un sistema di backup della rete.

Alla fine di quale “innovazione” si parla??

Di innovazioni ce ne sono tante e di diversi tipi, ma vivendo in diretta l’attuale momento della Cina si nota che tutte hanno in comune un punto fondamentale: cercare di innovare anche a costo di sbagliare.

Sulle Tv Cinesi questo aspetto è tanto chiaro, lo sbagliare, che viene illustrato ogni giorno quando vengono proposti i casi di successo di imprenditori cinesi.

Infatti ogni presentazione non parte dal fondo (il successo), ma parte nell’illustrare le difficoltà, gli insuccessi che l’imprenditore ha avuto.

Il fallimento, spesso anche ripetuto, gli stati d’animo dei momenti dove, ammettono candidamente, pensavano di non farcela a risolvere la questione. La componente di rischio economico, umano e delle pressioni sulle persone attorno.

E questo approccio nel presentare i successi imprenditoriali, i cinesi lo mettono sia nel parlare di high tech che nella innovazione della “coltivazione” dei pesci o del turismo locale.

Insomma per innovare, occorre VOLER innovare. Averne un reale bisogno.

Ma per innovare occorre essere pronti a sbagliare, anche molte volte. A fallire.

Per innovare, occorre avere capitali per sostenere l’innovazione nella sua fase di sviluppo. Ma il sistema finanziario è attualmente strutturato per finanziare chi ha un “track record” vincente. Ma chi sta innovando, difficilmente lo possiede o può possederlo anche per una fatto fondamentale: l’innovazione vincente è unica, irriproducibile.

Quindi anche se hai avuto successo, per il prossimo devi ripartire da capo, senza alcuna memoria dei tuoi successi precedenti, forte solo della tua allenata capacità ad affrontare gli errori e le difficoltà che si incontreranno e dovranno risolvere.

Quindi non esiste nessuno consulente perfetto per innovare, visto che se non è coinvolto esso stesso nel processo, difficilmente riuscirà realmente ad essere innovativo e come diceva Fuggetta, solo chi ha fatto “FORSE” potrà raccontare una storia credibile!.

Detto questo, il livello di innovazione italiano è talmente basso che in certi settori è scomparso, basti pensare all’elettronica, il grande cruccio del mio mentore il Prof. Degli Antoni..

L’impressione è che abbiamo paura di Innovare.

Ma come mai? Semplice. Per paura di sbagliare si sono utilizzati negli anni modelli e tecnologie che già avevano dato un qualche risultato in termini economici.

Questo negli anni, ha atrofizzato la capacità di innovare realmente, visto che le tecnologie e le esperienze erano spesso americane, favorendo l'apparentemente più semplice “Innovazione di Importazione” alla ben più ardua “Proposta di innovazione”.

Quindi uno degli obbiettivi che ci proponiamo con il China Media Lab qua in China, è quello di finalmente provare ad innovare, tutti assieme, osare veramente, unendo gli sforzi delle diverse competenze, per cercare di realizzare, affiancare le imprese e il Made in Italy, in un mercato interno in potente crescita, come quello cinese ma dal quale poi è possibile agire anche a livello internazionale, magari assieme agli stessi cinesi.

Quindi non aspettiamo che le innovazioni ci vengano vendute al prezzo “di saldo”, continuando così ad alimentare la nostra perdurante “pigrizia innovativa”.

L’Italia e noi italiani, possiamo giocare un ruolo di rilievo in Cina e dalla Cina nel mondo, solo se ci ricordiamo come i vari Fermi, Volta, Meucci e Leonardo lavoravano e …. sbagliavano!

Google


domenica 21 settembre 2008

Blogsfera Italiana: il “vecchio” che avanza

Sono tornato recentemente in Italia dopo circa 2 anni e mezzo di Cina. Cosa più lontana dalla quotidianità italiana non potevo fare.

Appena tornato, sono stato però assalito da una strana sensazione: tutto uguale!.

Tutte le stesse problematiche politiche (e politici), stessi o peggiorati problemi sociali, stesse facce in tutti i diversi posti e poltrone, tutti che si lamentano di questo o quello, tutto incredibilmente “frizzato”.

Ma quello che mi ha più lasciato di stucco è stata l’Immobilità della “rete”.

Dall’altra parte del globo le cose avanzano alla velocità della luce e ogni cosa oggi è nuova, un mese dopo è storia.

La rete è lo spazio che “anticipa” ciò che sta arrivando, lo profetizza, lo descrive, anche nella “censurata” Cina, dove i Blog riescono a raccontare spaccati di vita, di sfide, di conquiste incredibili, utilizzando la rete per sincronizzarsi nell’agire.
Quindi nei blog cinesi si parla di lavoro, di novità, di soluzioni, di ricerca, di cooperazioni … di soldi, di nuova ricchezza, di come aiutare questa o quella situazione ( vedi terremoti, tifoni) !

Il blog cinese è un sistema di persone interconnesse che come un’onda sincronizzata sui fatti, reagisce decidendo “azioni concrete”.

Qua invece leggo interminabili discussioni su cose che si dovrebbero fare, che nel resto del mondo sono GIA’ state fatte e rimango esterrefatto o si parla di gossip e classifiche di “bassa lega”: sembrano tanti “vecchi bacucchi” che se la raccontano al bar della bocciofila.

Passi la politica, passi la grande impresa, ma nei luoghi dove l’innovazione dovrebbe essere la regola, lo stantio che ho “ritrovato”, rafforza l’idea che l’intero sistema è ingessato, spiralizzato su se stesso.

Ci sono cari amici che stimo moltissimo, che però finiscono troppo spesso per citare propri vecchi riferimenti di cose dette a suo tempo, datate anni indietro, la prova che ormai da tempo abbiamo “abdicato”, perso il coraggio di fronte alla richiesta di un cambiamento vero, reale, come negli altri paesi.

Nel “meta mondo” dei blog Italiani le discussioni sono terribilmente provinciali, prive di reali concrete provocazioni o peggio proposte, solo una interminabile “passa parola” e scambio di opinioni provenienti da questo o quel giornale on line, video. (O cattiverie su questo o quello!)

La sindrome del “guardone” sembra essersi appropriata della Blogsfera italiana, più attenta a “marcarsi” a vicenda, piuttosto che collaborare per definire proposte, divenire spazi d’azione e reazione, in grado di fare cambiare le cose.

In altri paesi i blogger (e giornalisti) finiscono in galera perché non solo hanno cercato di dire cose fuori dal coro, ma perché queste cose possono incidere in qualche maniera, provocare cambiamenti reali e quindi sono percepite come “pericolose”.

Da queste parti invece si sente il timore di dire qualcosa fuori dal coro, visto che il “circolo” è ristretto, controllato, copia perfetta del mondo politico e sociale che si vorrebbe abbattere.

Per molti scrivere sembra più un esercizio per “contare” ( anche nel senso numerico) piuttosto che cercare di offrire vere riflessioni, spunti agli altri o raccontarsela nel ristretto gruppo di amici che si legge e commenta senza pausa.

Non solo, molti blog sono spesso più attività promozionali, commercializzazioni della propria professionalità, dove le “perle offerte” sono solo estratti dalle brochure o preview d’aggancio dei potenziali clienti.

Una bella differenza con i blog americani e cinesi, dove questi si sono ritagliati uno spazio, una economia, un nuovo ruolo determinante nella società, tanto che nelle elezioni presidenziali americane sono spazi di lotta politica all’ultimo sangue, dove le bugie sono sbugiardate, dove chi scrive non fa sconti a nessuno e la Tv segue a ruota!

Ma soprattutto i blog sono passa parola culturali, momenti di discussione per cercare di trasmettere sogni, pensieri proiettati al futuro, costruttivi.

Il politichese o le banalità dei diari italiani (faccio, vado, torno …), l’idea che rendere pubblici anche gli “sbadigli” siano stati confusi quale segno d’innovazione e modernità, quando invece nascondono il fatto che non si ha il coraggio di esprimere veramente le proprie idee, quelle vere, cercando invece di propinare un “identità costruita”, quale strumento di PR, mostrando agli altri solo ciò che vogliamo che gli altri devono vedere.

In Italia il vecchio avanza, puzza, tanto che in un paese come il nostro, non esiste una seria opposizione al governo in carica, un serio confronto sulle priorità del paese, un serio piano che descriva il futuro di tutti noi, quasi avessimo abdicato all’idea di un’identità nazionale.

Si aspetta che l’Europa, gli USA, il mondo decida per noi!

Non è quindi casuale la continua crescita di movimenti politici quali quello della Lega Nord, che esprimono in maniera diretta pensieri, azioni e fatti concreti.

La Cina e la Lega sono paradossalmente vicini: voglio i fatti e vivono di fatti. Non accettano discussioni attorno ai fatti!

Se solo la Blogosfera “Made in Italy” si svegliasse smentendo il detto “paese che vai blogosfera che trovi”!

martedì 9 settembre 2008

Italia(nata) Telecom:anello debole dello sviluppo nazionale

Nel cercare di “capire” le faccende Italiane nell’ottica del mondo che cambia, corre, avanza, si fa molta fatica a comprendere molte scelte, spesso più simili a dei Harakiri.

Telecom non fa eccezione.

Dopo una sciagurata privatizzazione e repentini passaggi di mano che l’hanno caricata di debiti miliardari (42 Miliardi), adesso rappresenta l’anello debole dello sviluppo Italiano.

L’empasse nel quale l’azienda è precipitata da qualche tempo, necessita non semplicemente di una ristrutturazione aziendale ma di una vera e propria “ristrutturazione paese”.

Infatti, appare decisamente insufficiente la soluzione proposta di recente da Telecom, che su sollecitazione dell’Antitrust ha creato Open Access, non altro che una divisione interna che di fatto non cambia i termini del problema.

Delle due una: o il paese intende provare a competere sull’innovazione tecnologica, seriamente e con convinzione o è meglio “alzare bandiera” bianca ed arrenderci definitivamente al futuro che incombe.

In particolare va evidenziato come Telecom sia decisamente più strategica di Alitalia, fatto dimostrato dal comportamento di altri Partner Europei (Germania e Spagna) che se da un lato hanno aperto le proprie compagnie aeree a partnership incrociate, per quanto riguarda le ICT, stiano agendo per tutelare prima di tutto gli interessi nazionali, ponendo in subordine quelli internazionali.

Impossibile fare diversamente, perché le infrastrutture per le telecomunicazioni sono da considerarsi alla stregua di “autostrade su concessione”, piuttosto che spazi di semplice e libera iniziativa privata.

Occorre quindi separare rete (infrastrutture) dai servizi, ridando i primi in gestione al pubblico, con la partecipazione di partner Privati e non come ora, dove lo stato è totalmente tagliato fuori da qualsiasi scelta in tale campo.

Solo dopo le imprese potranno realmente competere, utilizzando a pari condizioni l’infrastruttura esistente e non come ora, dove il concorrente è il gestore della rete stessa.

La politica italiana, che ha compreso gli errori del passato, ora sembra non sappia come tornare indietro senza “perdere la faccia”, perché molti dei protagonisti di allora sono ancora in prima linea.

A questo si aggiunge il problema Europeo e le sue regolamentazioni in merito.

Onestamente però, l’idea di Europa non ha alcun diritto di mettere fuori gioco l’intero paese su questa questione nei decenni a venire, visto che la rete non può essere considerata un prodotto ma una infrastruttura esattamente come lo sono le scuole, gli ospedali, le autostrade.

Esiste un motto cinese che dice “è stupido colui che non sa seguire il “vento” del cambiamento, preferendo “spezzarsi” sulle proprie certezze” che parafrasato, è come dire che occorre prendere decisioni storiche e popolari, anche se sgradite a livello di qualche concorrente a caccia della preda facile (Telefonica) e qualche banca impegnata sulla questione, a fini speculativi.

Aggiungiamo poi, che non bisogna vergognarsi a chiamare con il nome giusto tutto ciò: “nazionalizzazione” della fibra italiana.

Gli americani lo hanno fatto in questi giorni, senza mezzi termini, per quanto riguarda i mutui, gli inglesi nel sistema bancario.

Non si capisce quindi il perché l’Italia non possa farlo con le TLC, visto che in gioco c’è l’alfabetizzazione dell’intero paese, il futuro “intelligente” di tutti noi.

La ragione per cui occorre prendere questa decisione, non continuando a perdere altro tempo prezioso, l’ha spiegata il Presidente della Commissione Trasporti della Camera, Mario Valducci: “per creare un network adeguato, il paese necessita di 15 miliardi e Telecom Italia, nelle condizioni in cui versa non li ha”.

Siccome è stato dimostrato un nesso tra investimenti nelle nuove tecnologie ICT e la crescita del PIL nazionale, non investire ora sulla Fibra Italiana, equivale a non voler investire sulla crescita reale futura del paese e sulla crescita del livello culturale dei suoi cittadini, relegandoli all’Analfabetismo Digitale.

Per fare un parallelo è come se nel dopo guerra il governo Italiano avesse deciso di affidare la formazione (scuola) ai privati fin da subito, vendendo ad essi le scuole esistenti. Quale lingua, quale storia, quali contenuti sarebbero ora insegnati?

Occorre quindi avere il coraggio di considerare lo scorporo della rete e il suo ritorno sotto il “cappello” statale, un atto dovuto e necessario, dopo il quale, ricominciare a “pianificare” meglio i prossimi passi ma in una forma più virtuosa di quella attuale, che ad oggi appare essere solo una discutibile “Italianata”.

venerdì 5 settembre 2008

Internet Italiano: “Anatra zoppa” dello sviluppo

Ieri è partita l’iniziativa Codice Internet – “Divulgare Internet in Italia!”

“Buona la prima” anche se va sottolineato con forza, come occorra velocemente fare molto di più, sul piano strutturale, culturale e soprattutto politico.

Internet in Italia, dovrebbe essere già da tempo un reale asset strategico per tutto il paese, il “netbrain” sul quale costruire la nuova fase di crescita del paese e soprattutto, dovrebbe esistere un’infrastruttura nazionale adeguata (Fibra), sulla quale possa realmente svilupparsi una nuova società digitale ed industriale.

Ora invece disponiamo di una bella “anatra zoppa”, folkloristica perché anatra, ma non strategica perché zoppa!.

Occorrerebbe invece uno sforzo collettivo, simile a quello del periodo postbellico, quando si dichiarò guerra all’analfabetismo, in questo caso Digitale.

Fa però riflettere come Codice Internet parta “nel silenzio tombale” delle istituzioni italiane nazionali, quasi fosse una “sagra comunale”, dimostrazione di come in Italia, la questione Internet soffra di una sorta di ormai patologica “Schizofrenia”.

A parte infatti i discorsi di circostanza, la Politica italiana sta di fatto sottovalutando e minimizzando l’analfabetismo digitale del paese, oltre che continuare a “fiancheggiare” le ultime campagne mediatiche “contro”.

Il comportamento sociale che si sta infatti pericolosamente diffondendo, attraverso gli opinion makers e molti quotidiani nazionali, assomiglia troppo a quello utilizzato nella campagna contro il fumo e dove sul pacchetto di sigarette, si è finito per scrivere “nuoce gravemente alla salute”.

Al contrario, invece di terrorizzare, occorrerebbe lanciare un messaggio che sottolinei come Internet sia per tutte le età, per tutte le tasche e per tutte le culture, cercando al contrario di favorirne un uso comune in oltre il 95% della popolazione, esattamente come il telefono e la TV attuali (infrastruttura permettendo!)

Per realizzare ciò occorre quindi che Internet faccia parte integrante dei programmi di governo e non venga semplicemente relegato alla voce” iniziative di marketing”, attivandosi con lo stesso dinamismo dimostrato per risolvere l’emergenza rifiuti nel napoletano.

Lasciare che “l’alfabetizzazione digitale” si autoalimenti su base volontaria o peggio casuale, senza alcuna pianificazione a livello nazionale, mette il paese in una pericolosa posizione che rischia di farlo affondare, sotto i colpi delle tempeste dei cambiamenti sociali in corso.

Andate a farvi raccontare come la “piccola” Finlandia ha programmato a livello statale il suo passaggio ad una società digitale, base stessa dell’innovazione dell’intero sistema industriale del paese, ora di livello mondiale.

Fatevi raccontare di Corea del Sud, Giappone o Cina e di come Internet sia parte integrante dello sviluppo sociale ed economico che sta rivoluzionando l’Asia e il mondo intero.

La parola d’ordine che accomuna tutti loro è: “pianificazione”.

Da noi la parola è ritenuta inutile, superflua, oltre che continuare a pensare Internet come una nicchia, una moda, secondaria, atteggiamento che evidenzia il vero problema: è questione oscura per i nostri Decision Makers.

Occorre invece chiamare con il proprio nome quella che è una vera e propria patologia nazionale, ponendo così fine ai “deprimenti outing” di intere schiere d’intellettuali che si sono precipitati a dire che internet deve essere una scelta, esattamente come il ragazzo per preferisce lavorare piuttosto che andare a scuola, rimanendo così analfabeta.

Leggere, scrivere, far di conto e sapere usare internet sono le basi necessarie per il futuro di tutti, non solo di qualcuno come ora.

Non solo, Internet non va considerata miopicamente solo come la semplice evoluzione della stampa o della TV, ma una vera e propria infrastruttura industriale che consente al sistema paese di crescere, grazie ad una virtuosa integrazione tra tecnologia e produzione

Lo stato dell’arte è invece che l’Italia sembra non temere l’Analfabetismo Digitale e conseguentemente la classe politica non lo considera una patologia sociale da dover curare, alla stregua della sicurezza, immigrazione, spazzatura, Alitalia …, finendo per perpetuare il diffondersi di una cultura retrograda e perdente.

Detto questo BLOGGANDO e EMAILANDO, ELEGGENDO, occorre far si che qualcosa cambi, non accontentandosi delle parvenze e delle “parole”.

Occorre inserite nelle finanziarie del Governo Italiano, seri investimenti alle voci “FIBRA PUBBLICA”, “SERVIZI INTERATTIVI”, “ALFABETIZZAZIONE DIGITALE”, “INDUSTRIALIZZAZIONE DIGITALE”, affidati ad un ministero CON Portafoglio, in grado di essere parte attiva del futuro del paese.

Oggi infatti il Ministro per l’Innovazione o facente funzione, fa sempre la parte “dell’ultimo della classe” nel Consiglio dei Ministri e non integrato nel processo produttivo del paese.

Agli “architetti” dell’Italia un messaggio: presi come siete da spazzatura, sicurezza, costo della vita, non dimenticatevi di inserire, nello sviluppo industriale del paese, anche “il cervello”, altrimenti a forza di, correggi qua, cambia là, rischieremo di assomigliare sempre più ad un nuovo terribile, ma elegante, Frankenstein.