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martedì 19 gennaio 2010

Il fashion cinese avanza ... verso i mercati internazionali!

Le cose stanno cambiando profondamente. Questo sta accadendo anche per quanto riguarda il Fashion. Si sta assistendo infatti ad una "inversione di tendeza" che porterà sempre più Brand cinesi a diventare d'esportazione. http://ping.fm/1ocW7

sabato 12 luglio 2008

Il Made in Italy che ci invidia(va)no ..

Tempo fa, leggendo un libro sul Made in Italy, con tanto di prefazione del Presidente di Confindustria Montezemolo, ho avuto modo di conoscere da vicino la storia di alcuni dei nostri “campioni” del Made in Italy, mostrati quali esempi da imitare per aver successo nel futuro globalizzato che avanza.

Una di queste storie, riguardava il giovanissimo Matteo Cambi, che attorno ad una semplicissima margherita stampata su una T-Shirt, ha creato un impero ad altissimo tasso VIP: la famosissima GURU.

Nella descrizione che lui stesso faceva del suo successo, mi avevano colpito due cose:

la prima, il ruolo dei genitori, reali “deux ex machina” della società, con una competenza del settore reale, con il risultato che il ruolo del figlio, poteva essere al massimo considerato quello di un semplice Public Relation, di alto profilo.

La seconda, che poco realmente fosse prodotto in Italia, ma in altri paesi ben più a basso costo del lavoro, fatto che lo stesso Cambi sottolineava, una anomalia non secondaria, in un libro riguardante il Made in Italy, oltretutto sottoscritto dal Presidente di Confindustria

Il progetto di espansione internazionale descritto da Cambi era poi sicuramente affascinante, così come la sinergia con i mondi dei “lustrini e pailliettes” che lo rendeva uno dei simboli delle nuove generazioni imprenditoriali di successo e quindi parte del futuro luminoso del Made in Italy italiano nel mondo.

Bene, oggi leggo dell’arresto di Matteo Cambi, dopo che nei giorni scorsi, la richiesta di fallimento della Guru, era stata sostenuta incredibilmente anche dagli stessi creditori.

La notizia di oggi è connessa anche con il tentativo di salvataggio dei giorni scorsi, attraverso l’affitto del marchio Guru agli indiani della Bombay Rayons Fashions, per 33 Milioni di euro.

Questo “uno-due” che ha prima colpito e poi affondato uno degli esempi della riscossa del Fashion e del Made in Italy, va letto, con tutte le cautele del caso, come un ulteriore segnale che le radici di quello che crediamo essere il “motore del rilancio” dell’economia italiana, rischiamo di scoprirle totalmente “marce”.

Dico questo, perché il lusso e il fashion italiano, basano tutto il proprio potere economico sull’immagine che gli consente di moltiplicare enne volte, il valore reale delle cose, alcune volte semplicemente spacciate di lusso, quando di lusso ormai è spesso solo il marchio utilizzato.

Le recenti perplessità degli analisti finanziari per alcuni dei nostri campioni , alcuni dei quali già passati di mano, esausti e privi di contenuti industriali, dovrebbero poi far aprire gli occhi e le menti.

Negli anni 90 ci fu la crescita e la caduta della New Economy. Fenomeno che in Italia però ebbe un impatto reale molto limitato, vista la marginalità dell’innovazione nella società italiana.

Allora si gridò allo scandalo e molti dei protagonisti, furono bollati quasi fossero degli untori.

Quello che sfuggì ai più, è che il periodo della New Economy, fu una terribile occasione mancata per il paese, in quanto emerse per contro, l’incapacità di pensare in modo innovativo ed investire sul futuro, con il risultato che la Old Economy italiana fece credere di essere solida, scaricando su altri, i problemi strutturali che furono solo rimandati.

Ora la finanza mondiale è stata colpita dalla peggiore crisi economica proprio nel cuore Old della Economia che dovendosi curare le ferite, cerca di gettare le “zavorre”, come su una mongolfiera, per cercare di continuare a volare e il Fashion rischia di essere uno di queste.

La sensazione è avvalorata dal fatto che gli ultimi dati macro-economici, evidenziano una sempre crescente povertà delle famiglie in tutto il mondo, USA e Italia comprese, fatto che intacca la propensione all’acquisto dei proibitivi “griffati”originali, notoriamente sovraprezzati artificiosamente dal prezzo non sempre legato al valore reale dell’oggetto.

Non è poi casuale, che Guru abbia avuto i propri problemi negli ultimi due anni, proprio gli anni di questa inversione di tendenza mondiale e l’inizio della internazionalizzazione dei marchi Cinesi ed Indiani che fanno del prezzo una delle loro leve competitive, in grado di mettere alle corde, le ambizioni di successo di molti dei nostri attuali campioni del lusso.

Il rischio è che ora, molte altre aziende del fashion italiano corrano il rischio di finire come la Guru oppure, nel migliore dei casi, dovranno cercare una via di uscita “morbida”, per almeno cercare di salvare la faccia ( oltre ai conti).

Ma è tutto così nero?

No, nel senso che ora occorre dare veramente spazio ai nomi nuovi, ai giovani di un fashion che “puzza” di antico, per competere con nuovo e ritrovato entusiasmo, ma questa volta con piani Industriali seri e concreti, per continuare ad insegnare lo stile e la classe che tutto il mondo comunque ci invidia.

Come?

Innovando per non morire, alleandosi, sinergizzando e investendo nella ricerca e sviluppo, in maniera convinta e concreta, ma soprattutto creando per il mondo (più povero) che arriverà, adeguandosi a questa tendenza e non continuare a pensare ai lussi e gli eccessi di un passato che difficilmente tornerà ancora.

lunedì 22 gennaio 2007

Fashion Made in Italy & China : inizia la caccia del “vero” mercato cinese?

Chiedendo ai cinesi il loro punto di vista sull’attivismo occidentale in materia di cooperazione e di creazione dei nuovi business con la Cina, dopo un beffardo sorrisino, ti può venire citato un detto cinese che dice: “esistano persone non in grado di comprendere nel suo complesso alcun problema che gli si presenta davanti, semplicemente perché sono come un cieco che cerca di immaginarsi come è fatto un elefante, tastandolo centimetro per centimetro”.

Ohibò, in un paese che è riuscito a fare arrivare nell’ultimo anno qualcosa come 54 Miliardi di dollari di investimenti stranieri (l’India solo 5 Mld!!!), appare quanto meno beffarda l’idea che tutti questi capitali non abbiano chiaro un loro perché.

Invece, sembra proprio che e la capacità di comprensione attuale degli occidentali sul tema Cina, sia pari al citato cieco. Volendo parafrasare il detto cinese, esso appare del tutto simile al nostro topolino alla ricerca del formaggio, nel famoso labirinto.

Non stupisce quindi che il Made in Italy, sul piano promozionale e nel suo diffondersi in Cina, soffra di questa pericolosa,oramai conclamata cecità, tutta occidentale.

Agli occhi cinesi, le azioni fino ad ora fatte dagli occidentali (istituzioni, associazioni ed imprenditori), appaiono tutti “tentativi di immaginare” come entrare in contatto con la realtà e le opportunità cinesi, per cercare di radicarsi nel crescente mercato interno.”.

Ma ahimè, la metafora del cieco appare centrata in pieno, fin ad ora dell’elefante, nessuna traccia!!.

Cercando un po’ di cambiare l’approccio fino ad ora seguito, in particolare nel mercato Fashion, il 18 e 19 gennaio a Shanghai, presso il Palazzo Lombardia di Pudong, si svolto MarediModa, mostra mercato del beachwear, underware e lingerie italiano in China.

Organizzata da MarediModa e IntimodiModa, parte del “Sistema Moda Italia”, questa originale formula itinerante è partita il 15 gennaio u.s. da HK e poi si è trasferita a Shanghai. L’obbiettivo è stato quello di mettere in diretto contatto il meglio del Made in Italy del tessile specializzato, con gli operatori cinesi.

Questo evento, è un chiaro primo passo per cercare di creare una discontinuità con le azioni fino ad ora realizzate dagli operatori del fashion italiano che normalmente agiscono solo su HK ritenendola a tutti gli effetti Cina.

Ad oggi le nostre griffe ed imprenditori di settore, ritengono possibile creare il mercato Cinese realizzando attività promozionali e di business su Hong Kong (investendovi anche molti capitali).
Ma la vera Cina non è Hong Konk. Per il crescente mercato interno cinese, la vera porta di ingresso è invece Shanghai. I Cinesi lo hanno detto a più riprese. Forse oltre che ciechi, siamo anche sordi!

Gli operatori italiani quindi, prima di agire, ed investire il proprio tempo e denaro, è il caso che tengano ben presente questa distinzione tra il ruolo REALE presente e futuro di Hong Kong (finanziario e fiscale una sorta di duty free) e quello di Shanghai (Business e guida del mercato interno cinese), distinzione che ai più non appare così evidente.

Banalmente Hong Kong è considerata dalle nostre griffe Cina a tutti gli effetti, tanto che sugli articoli di giornali italiani, le griffe annunciano il loro ingresso sul mercato cinese quando agiscono su Hong Kong.

Ma Hong Kong non è il mercato Cinese, ma solo uno strumento finanziario e fiscale alla pari delle isole caraibiche e altri paradisi fiscali. I cinesi non a caso vi hanno anche aperto DisneyWorld. Ricordiamoci dell’elefante!!.

Il fashion italiano, per entrare materialmente sul “vero” territorio cinese, deve agire direttamente in quello che i cinesi definiscono Mainland (Hong Kong non ne fa parte!!). Per fare ciò chi agisce da Hong Kong deve passare da un importatore cinese (chiamato erroneamente distributore!!), con evidente ricarico sui costi per i compratori finali cinesi.

Tutto questo crea problemi non di poco conto per permettere al Made in Italy una reale penetrazione sul mercato cinese a prezzi concorrenziali, con un passaggio di troppo del tutto inutile.

Pertanto, agire direttamente in Cina e sulla piazza di Shanghai, appare oramai tappa irrinunciabile affinché si possa realizzare una efficace distribuzione e penetrazione sul mercato interno cinese.

Maredimoda sembra aver capito tutto ciò e ha scelto Palazzo Lombardia di Shanghai come lo spazio logistico a Shanghai, di incontro con gli operatori cinesi, potendo nel contempo realizzare un evento innovativo che potesse andare oltre il semplice Business to Business o un semplice evento fieristico limitato nel tempo.

La poliedricità del Palazzo Lombardia, ha offerto infatti una significativa leva organizzativa con la quale è stato possibile creare sia gli show rooms delle aziende italiane espositrici, che mettere a disposizione anche la riconosciuta credibilità di Palazzo Lombardia, presso gli operatori cinesi.

Tutto ciò, ha consentito di dare inizio ad una azione che potrà proseguire anche dopo l’evento stesso di questi giorni, facendo leva sul Palazzo Lombardia, attivo tutti i giorni dell’anno e permettere di proseguire nel proporre il meglio della nostra creatività in tale settore agli operatori cinesi, quotidianamente.

E’ incredibile scoprire come l’Italia disponga di uno spazio per eventi fieristici e Business to Business come questo e che per logiche di campanile, non lo utilizzi come giusto che sia, tutti i giorni dell’anno.

Palazzo Lombardia, con la recente ristrutturazione, è ad oggi a tutti gli effetti equiparabile ad uno spazio espositivo permanente di vaste proporzioni e di ottima fattura, a disposizione delle imprese italiane. Ciò che più conta, tutto questo è a Shanghai, il vero crocevia degli affari cinesi che contano del presente e del prossimo futuro.

L’evento di MarediModa ha dimostrato tutte le potenzialità e la modularità di cui il palazzo dispone.

Ci si augura a questo punto che eventi di questo tipo, siano prodotti con maggiore frequenza di quella attuale dai diversi operatori italiani, anche da parte delle altre regioni italiane che onestamente ad oggi in Cina e Asia, non dispongono di alcuno spazio analogo per alcuna simile possibile azione promozionale.

Per capire come il campanilismo italiano sia il vero drive nelle scelte sul suolo cinese, basti pensare come l’ente Fiera Milano ad esempio, si ostini ad avere un semplice ufficio di rappresentanza, quando potrebbe da subito cooperare con il Palazzo Lombardia che oltretutto è già strettamente collegato allo stesso sistema lombardo.

Stesso discorso vale anche per gli altri enti fieristici italiani. Si preferisce competere (cannibalizzarsi) per cercare di organizzare questa o quella singola fiere ogni tanto durante l’anno, piuttosto che stabilmente avere un punto comune che attiri l’interesse degli operatori cinesi durante TUTTO l’anno!!

Quindi ora ci vuole un pelo di coraggio da parte dei nostri amministratori pubblici e privati: girate pagina, lasciate dietro di voi vecchie dicerie e stupide rivalità ed iniziate a cooperare veramente, replicando, ideando, progettando eventi di Business a tema e per mercati, in grado di veicolare con maggiore continuità il Made in Italy tutto l’anno!!.

Stesso discorso va fatto alle associazione e le federazioni d’impresa: ottimizzate i già pochi fondi di cui disponete, cercate di concentrarli nello sviluppo di iniziative e non per sostenere consulenti che “mangiano” sulle vostre missioni, utilizzando gli spazi che già ci sono, per non rischiare di venire schiacciati dal famoso elefante perché non avete visto che la zampa era sulla vostra testa!!.