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martedì 8 marzo 2011

Reincarnazione si, Reincarnazione no.... (Dilemma Tibetano)


Il Dalai Lama l'altro giorno, ha dichiarato che dopo la sua morte debba essere abolito l'istituto della reincarnazione, lo stesso per cui lui è divenuto Dalai Lama.

Un tema delicato, molto sensibile, di un istituto millenario che sicuramente ha caratterizzato il passato di un popolo ed influenzato molte menti nel mondo. 

Questa mossa, per così dire "estrema", più che sul piano strettamente spirituale, sembra però dettata da calcoli politici, una sorta di "indiretta" risposta al governo cinese sul futuro della leadership spirituale tibetana e letta con grande attenzione, una sorta di "estensione" del proprio ruolo anche dopo la propria morte dello stesso Dalai Lama.

La risposta cinese non si è fatta attendere. Di seguito la reazione su questa proposta del Dalai Lama, che non si fatica a pensarlo, rischia di divenire, in futuro, terreno per ulteriori prevedibili tensioni internazionli.

"THE Dalai Lama does not have right to abolish the institution of reincarnation to choose a successor, a high-ranking official said yesterday.

The 14th Dalai Lama, 76, has said the institution of reincarnation might be abolished after his death.

"What he said does not count," said Padma Choling, chairman of the Tibet autonomous regional government.

He said Tibetan Buddhism had a history of more than 1,000 years, and the reincarnation institutions of the Dalai Lama and Panchen Lama had been carried on for several hundred years.

"We must respect the historical institutions and religious rituals of Tibetan Buddhism. I am afraid it is not up to anyone to abolish the reincarnation institution or not," he said.

The death of the Dalai Lama will not have any impact on the overall situation of Tibet, said another senior official.

"Of course there will be a few repercussions due to religious factors, but we will take that into consideration and will surely guarantee the long-term political stability in Tibet," said Qiangba Puncog, chairman of the Standing Committee of the Tibet Autonomous Regional People's Congress.

"I dare not say that Tibet will not see any incidents, big or small, forever, but I dare say that the current situation in Tibet is on the whole stable, and the Tibetan people wish for stability and object to troublemaking," he said.

The Party chief of Tibet, Zhang Qingli, reiterated yesterday that the Dalai Lama was a "wolf in monk's robes" and again blamed the Dalai clique for separating China.

"I had described him in those words after the March 14 riot in Lhasa in 2008 because I think he himself is a living Buddha but had done things beneath his status," Zhang told reporters in Beijing.

He accused the Dalai Lama of instigating the riot three years ago which left 18 people dead and nearly 400 wounded.

Armed rebellion

He said that he had quoted the words of late Premier Zhou Enlai. Zhou referred to the Dalai Lama as a "wolf in monk's robes" after the central government foiled an armed rebellion staged by the Dalai Lama and his supporters in 1959.

Zhang also made comparisons between the Dalai Lama and Rebiya Kadeer, a Uygur separatist and leader of the World Uygur Congress.

"Rebiya is a housewife who has used her illegal fortune to conduct secessionist activities. She has no influence among the public," he said. "While Dalai is a secessionist chief who fools simple believers under the guise of religion."

He added: "The Tibetan people have been aware that unity and stability are a fortune, and separation and unrest are a disaster," he said."

martedì 2 febbraio 2010

Incontro inviati Dalai Lama e Governo Cinese

Cina: "la sovranità territoriale NON è negoziabile!!!". Gli emissari: "ma chi parla di indipendenza?".. Allora sorge spontanea una domanda: ma cosa vuole realmente il Dalai Lama??

China: No concessions on national sovereignty

CHINESE authorities said yesterday that the door for contacts and talks remains open to the Dalai Lama, but no concessions would be made on issues concerning national sovereignty.

Du Qinglin, head of the United Front Work Department of the Communist Party of China Central Committee, had met with Lodi Gyari and Kelsang Gyaltsen, private envoys of the Dalai Lama, in Beijing, said in a statement from the department yesterday.

No exact date was given in the statement.

During the meeting, Du pointed out that issues concerning China's territory and sovereignty were non-negotiable and no concessions would be made on those issues.

Du said the so-called "Greater Tibet" and "high-level autonomy" violated China's Constitution, and only if the Dalai Lama completely abandoned such claims could there be a foundation for contacts and talks.

"Tibetan people cherish peace and stability. It is no use to cheat them and act against their will. The activities of infiltration and provocation, which are doomed to fail, will only create barriers for talks and isolate the Dalai Lama and his followers," Du said.

If the Dalai Lama really hoped to make progress in contacts and talks and remedy relations with the central government, he should "respect history, conform with the times, clearly understand the reality, and cast aside illusions," Du said.

"It won't be a way out to seek 'Tibet independence' or 'independence in a disguised form' through violence or non-violence," he told the Dalai Lama's private envoys.

"Nor will it be a way out for them to seek internationalization of the so-called 'Tibet issue' or to give support to international anti-China forces," he said.

During the meeting, the official also outlined the achievements made by the Tibet Autonomous Region under the leadership of the CPC, according to the statement.

"There's no country or party in the world like our country and the CPC which, in more than a decade, pool the whole nation's strength to support the development of an ethnic region," Du said.

"It is the CPC, the central government and the local Tibetan government which can represent the fundamental interests of all Tibetan people, and can ensure them a happy life," he said.
(Shanghai Daily)

lunedì 23 marzo 2009

L'Acqua un diritto per pochi!!!

Tante volte non ci facciamo caso alle cose e che come la nostra vita sarebbe profondamente diversa (e peggiore) se alcune di queste venissero a mancare.

Nelle coscienze occidentali sembra crescere la sensibilità del necessario e del superfluo, ma sembra che manchi ancora la consapevolezza di cosa voglia dire veramente necessario.

L'ONU afferma che nel 2030 (domani) metà della popolazione sarà assetata.

Una cifra su tutte: 900 bambini al giorno muoiono per mancanza d'acqua!!


E' il caso di fare veramente qualcosa, visto che non serve andare in Africa per avere problemi di accesso all'acqua.

Ma non solo. Molta dell'acqua si inquina (trasformandola in un killer) per produrre beni e prodotti che fanno parte del superfluo di molti di noi e delle nostre economie.

Cosa fare? Sicuramente cercando di trovare soluzioni a problemi che oggi sembrano dall'altra parte del globo ma, visto il rapporto ONU, domani finiranno per essere alle nostre porte di casa.

Anche perchè la "stabilità" sociale dell'intero pianeta sarà messa in crisi da possibili conflitti militari, proprio per il controllo dell'acqua.

Un esempio? Beh Il Tibet. Dato che il suo altopiano produce TUTTA l'acqua potabile della Cina (e di molti altri paesi dell'area), difficile pensare che i Cinesi intentando cederne il controllo a chichessia, proprio perchè in gioco c'è, tra l'altro, il controllo dell'accesso all'"oro blu" e così garantire il futuro stesso del paese.

Vogliamo ancora parlare di Dalai Lama e di indipendenza del Tibet?? Bene, solo questo esempio dovrebbe "aprire gli occhi" e far comprendere come quella che si sta giocando non è una partita di Risiko e come le dinamiche del mondo e delle nazioni, sono e saranno guidate dalle necessità primarie. 

L'acqua prima di tutto.

Per cui, garantire il diritto a tutti di avere la propria acqua quotidiana è fondamentale ma ciò è tutt'altro che semplice e comporta uno sforzo tremendo che continuando a rimandare, un giorno o l'altro presenterà il suo terribile conto.  

venerdì 13 marzo 2009

Wen Jiabao: fiducia contro la crisi!!

In occasione della chiusura della sessione annuale del parlamento cinese, è appena terminata la conferenza stampa del Premier Cinese Wen Jiabao.

Una parola chiave è sembrata emergere dalle sue affermazioni: Fiducia!

Per vincere la crisi, bisogna recuperare la fiducia complessiva, a prescindere da quanti finanziamenti i piani di sostegno dispongano, che devono avere proprio nella fiducia la propria “leva”, essendo “più importante dell’oro e dei soldi” ed in grado di dare “il coraggio giusto e la forza di superare le difficoltà”

Alla fiducia, Wen Jiabao aggiunge però anche la parola “opportunità”. 

Per la Cina, la situazione attuale è infatti un’ottima opportunità per consentire un complessivo salto di qualità del paese e nel contempo è l’occasione per lavorare a fondo sulla parte più povera della nazione, fatta ancora di 900 milioni di persone, consolidando nel contempo anche la crescita realizzata negli ultimi 30 anni.

In questa direzione vanno quindi le precisazioni fatte oggi dal Premier cinese per quanto riguarda il pacchetto di stimoli all’economia cinese, dopo le voci e i malintesi dei giorni scorsi, con effetti anche sui corsi azionari delle diverse piazze internazionali, che come ha precisato Wen Jiabao, “ non sono stati completamente compresi”.

La Cina ha infatti annunciato un pacchetto di 4 trilioni di Yuan ( 585 miliardi di dollari) quale stimolo del mercato interno. Di questi, 1,18 trilioni di Yuan, precisa Wen, sono investimenti governativi che saranno usati su quattro direttrici principali: “finanziamenti governativi su larga scala, ristrutturazioni industriali e ricambio generazionale, ricerca scientifica e sicurezza sociale”.

Quindi sono fondi che saranno usati in progetti per Welfare, Innovazione tecnologica, protezione ambientale e nuove infrastrutture.

A questi si aggiungono anche i 600 Miliardi di Yuan di riduzioni fiscali, aumento delle pensioni d’anzianità, aumento retributivo per 12 milioni di insegnanti ed aumento dei sussidi per gli agricoltori. 

Tra le azioni previste con questi fondi, anche la costruzioni di 7,5 milioni di case popolari e una casa migliore ai 2.4 milioni di cinesi che vivono ancora in quelle cha Wen ha definito bidonvilles.


Nei prossimi tre anni, altri 850 Miliardi di Yuan saranno invece usati per migliorare il sistema sanitario, investimenti che precisa Wen, non sono inclusi nel precedente piano di 4 Trilioni di Yuan.

Questo piano di stimoli potrebbe comunque non essere l’ultimo. Il Premier cinese ha infatti confermato l’intenzione del governo di agire con ulteriori fondi se la situazione lo richiedesse.

Spiegando poi quali siano le differenze tra Cina, USA e Europa di fronte alla crisi,Wen ha sottolineato come USA ed Europa siano impegnati su due fronti, quello Internazionale e quello della crisi strutturale interna che sta pesantemente coinvolgendo anche il sistema finanziario e bancario, con i sostanziosi tagli ai finanziamenti alle imprese.

Al contrario in Cina, le banche stanno ampliando in maniera consistente i finanziamenti alle imprese per sostenerne la crescita, quasi triplicando i fondi messi a disposizione in questo periodo.

Detto questo, per riguarda i crediti cinesi pari a 681, 9 Miliardi di dollari di titoli di Stato USA, il Premier si è espresso dicendo che “onestamente sono un pelo preoccupato e si spera che gli USA facciano realmente tutto il possibile per preservare gli investimenti cinesi in essere”.

Per quanto poi riguarda il livello di cambio dello Yuan, il Premier Cinese rivendica come questo non possa essere in nessun modo condizionabile da influenze esterne alla Cina, anche se strettamente collegato con la stabilità dell’intero sistema finanziario internazionale, comunque a cuore del governo cinese.

Allo stato attuale, Wen ha quindi precisato come la richiesta di una svalutazione dello Yuan, non sia in linea con le attuali esigenze del paese.

La ragione che comunque consente alla Cina di affrontare la Crisi con questa “consapevolezza” dei propri mezzi, è legato al fatto che “i fondamentali finanziari ed economici, così come il debito del paese, risultano sostanzialmente stabili e sotto controllo”, come annunciato oggi da Wen.

Ciò consente al governo cinese di poter definire come e quando usare nuovi consistenti piani di sostegno e “iniettare” nuove fonti finanziarie per “aiutare” il paese a reggere alla tempesta creata dalla crisi finanziaria internazionale.

Ma il Primo Ministro, ha anche affermato come gli obbiettivi stabiliti in una crescita all’8% per il 2009 del PIL, risultano difficili da raggiungere e che occorrerà una grande e straordinaria concentrazione per cercare comunque di realizzare un tale livello di crescita del paese.

Alla domanda relativa alla crescente disoccupazione e la difficoltà d’impiego per milioni di neo laureati, Wen non ha avuto dubbi nell’affermare come la soluzione passi dal sostegno alla crescita delle PMI e il supporto attivo da parte delle banche che più di prima finanzino le loro attività.

Grande attenzione è stata posta anche per quanto riguarda i rapporti con Hong Kong.
 
A tal riguardo Wen ha annunciato oggi l’approvazione del progetto per la costruzione del ponte che collegherà Hong Kong, Macao e Zhuhai che con un investimento di 10 Miliardi di dollari, consentirà di contribuire allo sviluppo economico dell’area.

A questo ha aggiunto come sia in agenda del Governo la definizione degli accordi per il trading in Yuan, a cui ha aggiunto l’impegno ad integrare l’accordo CEPA esistente tra Hong Kong e Cina per continuare a favorire l’accesso in Cina alle aziende di servizi di Hong Kong.

Una battuta Wen se l’è poi concessa alla domanda che riguardava Taiwan, augurandosi entro il compimento dei suoi 67 anni (ora ne ha 66), di poter fare una lunga passeggiata sull’isola.

Ma la notizia del giorno nella parole di Wen è stata quella che la Cina “è disponibile a consultazioni per definire una possibile partecipazione di Taiwan nelle organizzazioni Internazionali”.

Secondo Wen Jiabao, la Cina intende essere “equa e ragionevole” nell’affrontare la questione della possibile partecipazione internazionale di quelli chiamati da Wen “compatrioti”. 

Sulla questione Nord Coreana, il Premier cinese ha invece annunciato come a Beijing, dal 17 al 21Marzo, su suo invito, avrà un incontro bilaterale con Kim Yong II, Premier della Nord Corea, prima visita dalla sua salita al potere nell’aprile del 2007.

In tale sede ci sarà modo di valutare, con quello che è stato definito “un amichevole vicino, legato alla Cina da una tradizionale amicizia”, tutte le problematiche in essere e cercare una costruttiva soluzione alle spinose questioni ancora aperte.  

Non poteva mancare la domanda, oltretutto posta da un giornalista francese, sul Dalai Lama e le relazioni tra Cina e Francia.

Su questa questione Wen ha ribadito la posizione cinese, secondo cui “il Tibet risulta essere parte inalienabile del paese e una questione interna, senza la possibilità di interferenze esterne”.

Ma Wen ha confermato come per il Dalai Lama rimanga aperto il canale per un dialogo con la Cina, ovviamente alle condizioni di quella che Wen ha definito “sincerità d’intenti, che tradotto significa l’abbandono delle ambizioni separatistiche.

Il problema vero, sottolineato ancora una volta da Wen, è che secondo i cinesi, il Dalai Lama sia a tutti gli effetti un politico che strumentalizzi la religione nella propria azione e che punti solo ad una indipendenza del Tibet.

Tornando poi ai rapporti tra Cina e Francia, al di là degli incontri avuti dal Dalai Lama che hanno generato le recenti frizioni, Wen ritiene che i rapporti possono rapidamente tornare ai livelli di prima, così come anche quelli tra Cina ed Europa.

Per finire, su una domanda del giornalista del Sud Africa, per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, Wen ha sottolineato come la Cina intenda continuare a contribuire attraverso consistenti investimenti a sostenere lo sviluppo di questi paesi, compreso il continuo taglio del debito a loro carico.

Altra via è quella dell’annullamento dei dazi doganali, per aiutare lo sviluppo del loro commercio, un modo concreto per aiutare realmente una crescita economica di questi paesi, a cui va aggiunta la costruzione d’infrastrutture, ospedali, scuole e strade, quale “dote” per aiutare la crescita e l’autosostegno di questi paesi.

Per quanto riguarda poi la possibilità di un’azione più efficace e sistemica a livello internazionale, Wen Jiabao ha affermato come si auspichi un aumento dei contributi dei diversi paesi al Fondo Monetario Internazionale, una posizione che dovrebbe essere ampiamente condivisa da tutte le nazioni sviluppate.

Complessivamente una “visione” quella di Wen, che conferma come la Cina stia giocando un ruolo “nuovo” ed innovativo nello scacchiere internazionale e negli equilibri globali e si senta responsabilmente chiamata a contribuire a sua volta nel cercare una positiva soluzione ai “cupi” scenari di questi mesi.

martedì 10 marzo 2009

Il Dalai Lama “Oscuro"

Temo il Dalai Lama che in questi giorni, con le ultime affermazioni, stia pericolosamente caricando una “molla” che potrebbe portare solo dolori alla propria gente e ai cinesi, con parole sempre più da leader politico che da guida spirituale buddista.

Le accuse dirette di queste ore che cercano, da un lato di ricevere il plauso dell’occidente, dall’altra possono solo accendere una miccia che potrebbe far esplodere disordini, che poi porterebbero solo ad una prevedibile soluzione: la repressione da parte cinese.

Sembra però che il Dalai Lama abbia scelto questa strada, quello dello scontro verbale dalle conseguenze imprevedibili, quale metodo che obblighi poi ad un intervento esterno da parte dei governi occidentali.

Ovviamente, come del resto detto dal Ministro degli Esteri cinese nella sua conferenza stampa della scorsa settimana, il Dalai Lama rivendica un’autonomia (indipendenza) per qualcosa come un quarto dell’attuale Cina.

Un richiesta ovviamente inaccettabile per qualunque governo cinese, visto che l’autonomia di cui parla il Dalai Lama, si tradurrebbe pericolosamente in una successiva richiesta di Indipendenza.

Non potendo chiedere da subito l’Indipendenza, oggi il Dalai Lama chiede il “minimo”, sicuro poi di poter chiedere in seguito l’agognata indipendenza, con il placet dei paesi occidentali.

Un film che assomiglia troppo a qualcosa del passato ( guerra dei boxer) e “guerra fredda” che il Dalai Lama dovrebbe comprendere a fondo essere difficilmente percorribile, senza che ciò scateni una guerra globale (guerra mondiale).

Un’azione che risulta assai poco credibile anche sul piano dei “contenuti”, visto che si parla di sterminio di un popolo che di fatto, dati alla mano, sta aumentando di numero, in una Cina composta da ben 56 diversi popoli, di cui i tibetani ne rappresentano solo una parte.

Parlare poi oggi d’inferno, metafora non appartenente alla cultura cinese, ma ovviamente a quella Cattolica dei “veri” destinatari del recente messaggio, lascia ancora più sconcertati.

Un agire sempre più “oscuro” di un uomo che sta pericolosamente seminando “odio e zizzania”, a prescindere dalla realtà ormai decennale che ha cambiato la faccia del Tibet, modernizzandolo e facendolo crescere, da una situazione da medio evo come era prima, proprio ai tempi del Dalai Lama.

La posizione è ovviamente molto pericolosa ed appare del tutto fuori luogo in un’area, quella Asiatica, dove terrorismo e “vecchi” rancori (pensiamo alla Corea), rischiano di essere la causa per una guerra con tanto di ordigni nucleari, che rischia di trascinare veramente il mondo intero all’inferno.

L’invito è ora a non calcare troppo la mano, evitando di strumentalizzare troppo le date e le ricorrenze di marzo che potrebbero essere viste per qualcuno come il momento per iniziare un percorso violento ed armato, sotto la “mano benevola” del Leader della non violenza.

Una contraddizione di fondo dell’ambiguo messaggio del Dalai Lama, che per esempio non offre proposte ben più credibili, indicando per esempio in maniera più chiara quale autonomia realmente vuole, che comunque non potrebbe essere che quella di un Provincia della Cina, quale unico paese ed indivisibile.

Sorprende per esempio che non usi la strada alternativa di un percorso a ritroso già visto, stile Hong Kong, “due sistemi, un’unica nazione”, un approccio ben più percorribile, almeno per il fatto che ha dimostrato ai cinesi che non hanno nulla da temere da una simile soluzione, coerente e che garantisce per entrambi il meritato reciproco rispetto, evitando oltretutto qualsiasi ambiguità nella sua gestione.

Speriamo che si torni ad un dialogo, vero e costruttivo, ma soprattutto si lasci alla maggioranza dei Tibetani oggi “frastornati” da tanto clamore, il diritto di scegliere senza ricatti “morali” di un passato che è stato, quello che realmente sia meglio per il proprio futuro.

sabato 7 marzo 2009

Il “Lato umano” della diplomazia Cinese

Si è appena conclusa la conferenza stampa del Ministro degli Esteri Cinese, Yang Jeichi a margine dei lavori della sessione annuale del parlamento cinese in corso a Beijing.

La prima impressione è stata quella di un autentico profondo rinnovamento del fare Diplomatico cinese, due ore di conferenza stampa dove a tutte le domande, Yang Jeichi ha risposto con grande chiarezza ed in maniera incredibilmente approfondita.

Dalle risposte del Ministro degli Esteri cinese è emerso anche un lato umano che ha sicuramente molto impressionato, così come l’evidente volontà di disvelare le ragioni cinesi, senza alcuna reticenza o ambiguità.

In questo contesto, Yang Jeichi non ha avuto quindi problemi ad affermare “di aver perso recentemente a ping pong da uno giocatore più capace di lui” e a rivelare che lui “non è tipo che ama perdere facilmente”.

Questo è stato però il pretesto per sottolineare come quando si occupa della diplomazia del suo paese, vanno anteposte alle questioni personali, le ragioni di mutuo interesse e di cooperazione, di fatto “il cavallo di battaglia” e l’approccio di tutta la diplomazia cinese, su qualsiasi questione.

Un modo diretto ed originale, per poi spiegare come nelle relazioni tra Usa e Cina, la Cina sia pronta a sedersi al tavolo per stringere accordi ancora più stretti e per coordinare le proprie azioni con gli USA, elemento fondamentale in momenti così difficili come quelli attuali.

Yang Jeichi ha anche confermato l’incontro tra Obama e Hu Jintao, durante il vertice dei G20 del 2 Aprile a Londra, così come ha annunciato che, su invito del Segretario di Stato Hillary Clinton, lui stesso sarà a breve negli USA.

Entrando nel merito delle questioni ed in particolare sulla Crisi Finanziaria, ha evidenziato come la Cina conti molto sul prossimo vertice dei G20 di Londra, confermando l’attuale impegno della Cina offerto ai paesi in via di sviluppo e gli appalti in via definizione con l’Europa nell’ordine dei 15 miliardi di dollari.

Ora la Cina si aspetta un ruolo attivo anche degli altri paesi.

Rispondendo poi ad una domanda che evidenziava come la crisi stesse aiutando un cambio di equilibrio dei poteri, avvantaggiando la Cina, Yang Jeichi ha sottolineato come “la crisi finanziaria attuale ha contribuito a razionalizzare la situazione globale e legittimato le richieste provenienti da tutti i paesi del mondo”.

Quale sia poi la ricetta cinese per il prossimo G20, Yang Jeichi non ha dubbi: “anteporre gli interessi della gente e un approccio pragmatico che aiuti lo sviluppo economico e progresso sociale generalizzato”.

Un approccio molto diverso da quello che si sente in occidente, che sembra più interessato a salvare se stesso, prima che aiutare altri paesi a crescere, in questa situazione contingente.

Ma Yang Jeichi ha sottolineato come il crescente ruolo dei paesi BRIC ( Brasile, Russia, India e Cina) e la loro crescente influenza nelle principali questioni attuali, può profondamente incidere sulla definizione delle linee d’azione future.

Per esempio, spiegando l’accordo energetico di febbraio con la Russia, dove a fronte di 25 Miliardi di dollari, la Cina riceverà per 20 anni un totale di 300 milioni di tonnellate di petrolio, Yang Jichi ha anche evidenziato come Russia e Cina, quali membri permanenti alle Nazioni Unite, hanno la possibilità di agire per una sempre migliore multi-polarità a livello mondiale.

Dobbiamo dare maggiore contributo alla promozione della pace nel mondo, alla stabilità e allo sviluppo” ha affermato Yang Jeichi, quale chiaro messaggio di quale vuole essere il ruolo della Cina sulle principali questioni Internazionali presenti e future.

Per quanto riguarda poi la questione del cambiamento climatico, Yang Jeichi si augura nel
successo della prossima conferenza di Copenaghen, sottolineando che “tutti i paesi facciano la propria parte così come la Cina sta cercando di contribuirvi, onorando i propri impegni presi”.

In particolare ha esortato tutti i paesi a seguire urgentemente la roadmap stabilite nella conferenza di Bali del 2007, in quella da lui definita essere una “responsabilità comune ma differenziata”, dove un ruolo fondamentale e di guida è comunque a carico delle nazioni già sviluppate.

Per quanto riguarda invece il ruolo cinese in Asia, Yang Jichi ha evidenziato come gli scambi commerciali tra Cina, Giappone e Korea del Sud siano superiori a quelli tra Germania, Francia ed UK.

Ciò evidenzia il livello di “vicinanza”, anche culturale ed un asse sul quale una sempre più stretta cooperazione, può essere fondamentale per rispondere all’attuale crisi finanziaria che sta mettendo in seria difficoltà sia Giappone che Korea del Sud.

Per quanto riguarda poi la questione del lancio del satellite Nord Coreano, il Ministro degli Esteri cinese ha sottolineato come la Cina stia seguendo con “grande attenzione” quanto sta accadendo.

Rimane comunque prioritario per la Cina che la penisola coreana rimanga stabilmente in pace e “ si augura che anche le altre parti si adoperino più intensamente in questa direzione”.

La strada per una soluzione, rimane comunque quella dell’applicazione degli accordi sottoscritti il 19 settembre del 2005, dove in cambio dello smantellamento degli insediamenti nucleari nord coreani siano forniti aiuti economici e di energia, equivalenti  ad un milione di tonnellate di petrolio.

Yang Jichi, ha ammesso che di recente si sono riscontrare delle difficoltà, ma le ritiene “normali” nella gestione di una questione così complessa come quella Nord Coreana e quindi superabili in futuro.

Tornando ai fatti di cronaca, non poteva mancare la domanda sul recente caso dell’asta di Christie delle due sculture in bronzo trafugate dal Palazzo d’Estate dalle forze anglo – francesi  durante la seconda guerra dell’oppio del 1860.

Il Ministro degli Esteri cinese ha ribadito l’opposizione cinese affinché tale vendita abbia luogo e si è detto rattristato che, nonostante tutti gli sforzi fatti per spiegare a Christie ed al governo Francese il valore di tale oggetti archeologici, al momento non si sia arrivati ad alcun accordo.

Connesse a questo ma anche e soprattutto alla questione del Tibet, sono state incentrate le domande relative al livello delle relazioni attuali con Francia ed Europa, dopo anche l’annullamento del summit Cina – Europa in programma lo scorso anno.

Yang Jichi ha confermato che da parte cinese non ci sono problemi affinché i rapporti tornino come prima, dicendosi sicuro che a breve si fisserà una data di un Summit Cina – Europa in sostituzione di quello annullato.

Ma sul tema Tibet e Dalai Lama, Yang Jichi è stato chiaro: “Il Dalai Lama non è una figura religiosa ma un soggetto politico che vuole l’indipendenza di quello il Dalai Lama chiama “il grande Tibet” che di fatto rappresenta un quarto dell’intero territorio cinese”.

A questo punto ha chiesto ai giornalisti presenti: “La Francia, la Germania o altri paesi accetterebbero la separazione di un quarto del proprio territorio?

Quale messaggio “storico” Yang Jichi ha anche sottolineato come la Cina si adoperò a suo tempo alla riunificazione della Germania, alla fine della guerra fredda.

Per cui le differenze tra Cina e Dalai Lama, “non hanno nulla a che fare con la religione, i diritti umani e le relazioni etniche. Da parte cinese si tratta solo di difendere l’unità del paese contro il tentativo di separare il Tibet dalla Cina”.

Per quanto poi riguarda la posizione della Cina nello scacchiere Africano, in particolare sulla questione Sahariana ad occidente e del Darfur in Oriente, Yang Jichi ha voluto ribadire che la Cina si adopera da tempo affinché il dialogo sia l’unica “arma” per arrivare ad una pacificazione in entrambe le aree.

Ha poi evidenziato come sia il Governo Cinese che le Imprese cinesi nell’area, abbiano già offerto ingenti aiuti concreti per aiutare lo sviluppo dell’area, un modo concreto per cercare di aiutare ad uscire dalla situazione di sottosviluppo in cui versano da decenni.

Per finire un’ulteriore annotazione di colore. Alla fine, fatto assolutamente inusuale per una conferenza stampa cinese, Yang Jichi ha fatto gli auguri a tutte le giornaliste in sala e a tutte le donne in generale, in vista della festa internazionale della donna di domani.

Un altro segno del lato umano che sempre più caratterizza la diplomazia cinese, ben rappresentata da Yang Jichi, che anche con le sue partite a Ping Pong dell’anno scorso con le diplomazie internazionali presenti a Beijing, continua ad aprire spazi di dialogo alternativi ed innovativi, in linea con lo sviluppo del paese e del profondo cambiamento in atto a tutti i livelli.

giovedì 26 febbraio 2009

Siamo alle solite!!! America vs. Cina

Una nuova puntata sulle “relazioni” Usa – Cina si è consumata in queste ore, terminata con la dura presa di posizione dei Cinesi rispetto all’ultimo rapporto del Dipartimento di Stato, contenente critiche sulla questione dei diritti umani in Cina.

La reazione cinese è stata molto sdegnata, soprattutto per due ragioni.

La prima deriva dal fatto che il rapporto sia stato divulgato a pochi giorni della partenza da Beijing del Segretario di Stato, Hillary Clinton, che per tutelare l’ingente credito cinese, aveva appena affermato come la questione sui diritti umani non “possa e non debba incidere nei buoni rapporti tra Usa e Cina”.

Quanto accaduto oggi appare quindi come una sorta di “pugnalata” alle spalle da parte degli Americani, che secondo i cinesi insistono nel ruolo di Sceriffi del mondo e cercano, attraverso queste questioni, di interferire negli affari interni Cinesi.

Ma non solo, gli espliciti riferimenti ad alcune situazioni regionali, sono apparse agli occhi cinesi molto “sospette”, visto che la pubblicazione avviene in un momento molto delicato come quello che del prossimo 50° della tentata rivoluzione Tibetana contro i Cinesi e durante lo stesso capodanno Tibetano, al centro di un dibattito a distanza tra Dalai Lama, Governo Cinese e media occidentali.

Tutto ciò è apparso quindi come una vera e propria provocazione.

Conseguentemente la reazione, più stizzita di altre volte, sembra anche sottolineare il timore cinese che ciò possa apparire un “segnale” che potrebbe generare problemi di “ordine pubblico”.

Ecco quindi il significato dato alla parola “irresponsabili” usato dai cinesi nella loro reazione, che stanno cercando di monitorare una situazioni di terrorismo interno, come quello che viene considerato il separatismo Tibetano e che vedono come “fumo negli occhi” quanto affermato dagli Americani e un pericoloso viatico per possibili facinorosi.

Oltretutto questo messaggio, nella sua sostanziale “vaghezza”, sembra anche la solita implicita “approvazione” da parte americana per certe ben note “aspirazioni”, fatto che potrebbe finire per ispirare azioni violente, che i cinesi stanno cercando in tutti i modi di scongiurare.

Da ciò l’invito cinese di non “scaricare” sul governo cinese le possibili conseguenze, di ciò che potrebbe succedere e che tragga la propria ispirazione nell’idea che gli americani siano “schierati” per una soluzione separatista e d’indipendenza.

Perché è questo che gli occidentali e i sostenitori della causa del Dalai Lama leggono tra le pieghe del rapporto Americano. E i cinesi lo sanno e quindi sono costretti a dire a chiare lettere, “smettetela di alimentare qualcosa del genere”.

Ovviamente, come del resto detto nei miei precedenti articoli, il continuare a mischiare Diritti Civili, Tibet e Religione, sta complicando enormemente la situazione, di per sé già difficile.

Il muro contro muro di questo tipo di comunicazioni, finisce solo per “irritare” i cinesi, incrementando il nazionalismo che di fatto ritiene “superarata” la fase per cui l’occidente e soprattutto l’America possano “insegnare” qualcosa ai paesi emergenti, Cina in testa.

Anche se ufficialmente la posizione del Governo Americano è quella di cercare un dialogo con la dirigenza Cinese, è chiaro che questi non sono i metodi e i modi giusti per ottenere risultati concreti e oltretutto, potrebbe veramente ispirare qualcuno ad “immolarsi”, pensando di essere “live” e sotto gli occhi del mondo!!

giovedì 13 novembre 2008

Tibet: tutto da rifare

Onestamente si sperava in qualcosa di diverso. Un pelo di delusione traspare per come sono finiti gli incontri tra i rappresentanti del Governo Cinese e rappresentanti del Dalai Lama.

Il muro contro muro, che ancora una volta ha portato alla rottura delle negoziazioni, appare qualcosa su cui però vale la pena di una riflessione.

Chi crede che il Tibet debba essere uno stato indipendente e cerca appoggi internazionali affinché si facciano pressioni sulla Cina in tal senso, sta compromettendo di fatto la buona riuscita di qualsiasi trattativa futura.

Come sottolineato da Zhu Weiqun, vice presidente della Regione Autonoma del Tibet e da Du Qinglin, vice presidente NCCPPC che hanno incontrato i rappresentanti del Dalai Lama, Lodi Gyari and Kelsang Gyaltsen, questo punto non è infatti negoziabile.

Errate si sono rivelate anche le valutazioni di una questione Tibet utilizzabile quale strumento di pressione sulla Cina, stile Guerra Fredda.

Al contrario, occorre tornare velocemente ad un dialogo costruttivo, senza i tendenziosi pregiudizi che hanno caratterizzato le negoziazioni in questi ultimi mesi.

Il Dalai Lama ha il diritto di affermare ciò che ritiene giusto, ma forse i suoi collaboratori dovrebbero aggiornare le proprie tecniche diplomatiche, visti anche i drammatici fatti che stanno sconvolgendo il mondo.

A causa della crisi di questi giorni, i diversi paesi del mondo hanno bisogno di sinergia e positiva collaborazione, per poter rispondere tutti assieme alla crisi finanziaria attuale che rischia di mettere in serio pericolo la stabilità stessa del pianeta.

E la Cina, a partire per gli stessi Usa, rappresenta un potenziale salvagente in grado di bilanciare la crisi, mettendo a disposizione della comunità internazionale, la sua enorme potenzialità economica e finanziaria.

La questione tibetana non può essere quindi usata tutti i giorni per gettare discredito sui cinesi, che poi, giorno dopo giorno, contribuisce alla creazione di un muro “razzista”, dove il cinese è il cattivo o peggio un massacratore di povera gente.

Tale approccio assomiglia troppo allo stereotipo che fu usato nella fine dell’800, per spiegare ai coloni americani che uccidere gli indiani e portargli via le terre per tutelare gli interessi delle grandi compagnie e del nascente stato americano, fosse un’azione giusta.

Chi non ricorda nei film l’“arrivo dei nostri”, intendendo per nostri, chi può uccidere quello che veniva considerato un mostro da eliminare.

La Cina non è un mostro, come troppe volte sui media occidentali si cerca di voler fare passare.

Ma non solo. In tutti i paesi del mondo, Religione e Stato stanno seguendo due strade diverse, per cui, a parte alcune situazioni fondamentaliste islamiche, la laicità dello stato risulta essere il carattere predominante di tutti i paesi, siano essi occidentali che orientali.

Appare quindi del tutto fuori luogo ed antistorico il fatto che la questione Tibetana venga gestita dallo stesso Dalai Lama, di fatto il capo spirituale di una religione, quando tale questione è essenzialmente di carattere politico.

Infatti, relativamente alla questione religiosa, come riaffermato dai cinesi anche nei recenti incontri, non ci sono particolari problemi, tanto che al capo spirituale del buddismo è stato più volte offerto di rientrare in patria per esercitare la propria religiosità.

Ciò che invece non funziona ed è il punto che i cinesi ritengono non trattabile, è che lo stesso capo spirituale di una religione, intenda anche perseguire una logica politica, sintetizzabile in una “indipendenza del Tibet”.

Parlando con molti occidentali, questa distinzione tra Religione e Politica sulla questione Tibetana, appare di difficile comprensione, visto che i media occidentali tendono a farla passare come un fatto unitario.

E’ un po’ come confermare l’idea fondamentalistica che stanno perseguendo alcuni stati Islamici, idea ritenuta dai più pericolosa sul piano dei confronti tra nazioni, ma soprattutto poco funzionale allo sviluppo reale del paese.

Le prove di questi dubbi, sono riscontrabili nello stesso Tibet a gestione religiosa, come era prima dell’arrivo dei cinesi e dove la povertà era terribilmente diffusa e a livelli incredibili, nonostante il tutto fosse sotto la totale sovranità dei predecessori del Dalai Lama.

Questo fatto, provabile storicamente in maniera oggettiva, non depone a favore di una restaurazione dello stato Tibetano, visto anche dalla parte degli stessi Tibetani che, oltre che cercare di trasformare il proprio paese in semplice attrazione turistica, poco possono sul piano industriale, vista anche la conformazione stessa del paese.

L’aspetto religioso è però l’elemento che ha fatto “breccia” nelle menti di molti benpensanti occidentali, come nel caso di molti divi di Hollywood, che però paradossalmente, mentre a casa propria non tollerano l’ingerenza della religione nelle questione di stato, pensano che ciò invece sia giusto per i “poveri” tibetani.

Per cercare una soluzione al problema Tibetano, occorre quindi che la questione Religiosa e Politica si muovano su due terreni negoziali distinti.

Se seguita con coerenza, la questione Religiosa appare di semplice soluzione, visto che già in diverse sedi, i cinesi hanno ribadito la loro disponibilità ad accogliere il Dalai Lama senza pregiudizio alcuno.

La questione politica necessita invece di trovare un accordo ben diverso, più simile ad altre questioni come Hong Kong, Macao, dove di fatto, salvando il principio di integrità dello stato Cinese ( non trattabile), si possono introdurre nuove modalità di autonomia, migliori di quelle attuali ed offrire maggiore autodeterminazione alla minoranza etnica presente nel paese.

A dimostrazione di ciò, le negoziazioni con gli intermediari del Dalai Lama si sono infatti interrotte quando i cinesi hanno compreso che essi, non avessero alcuna intenzione di risolvere la questione inerente il Dalai Lama, ma al contrario, volessero porre sul tavolo anche la questione politica dell’Indipendenza del Tibet.
Nella sostanza, porre contemporaneamente sul piano negoziale le due questioni, si è dimostrato ancora una volta una cattiva idea e visti i risultati, ciò dovrebbe far riflettere lo stesso Dalai Lama, per cercare in futuro di fare dei passi più costruttivi di quelli fatti fino ad ora.

Soprattutto, evitare di continuare ad usare la strumentalizzazione della questione religiosa come leva in grado di “forzare” una soluzione politica contro gli interessi strategici nazionali cinesi.

Questo approccio continuerà anche in futuro ad indisporre i cinesi, impedendo di fatto qualsiasi ulteriore passo di avvicinamento che possa ricomporre una questione che si sta trascinando da oltre 50 anni.

venerdì 22 agosto 2008

Dalai Lama un Gandhi mancato.

Proprio il Dalai Lama non lo capisco.

Prima si prodiga a fare di tutto affinché l’opinione pubblica mondiale veda nei Cinesi le “bestie di satana” da colpire, poi in prossimità delle Olimpiadi, invita tutti a far si che nulla possa turbarle.

Ora, in questi giorni nella sua visita in Francia, davanti a migliaia di francesi e sui media internazionali, accusa i Cinesi di torturare, fino alla morte, un eufemismo per dire ammazzano i Tibetani, finendo con lo scoop della notizia delle uccisioni di massa il 18 agosto.

Premesso che le sue ultime affermazioni sono tutte da verificare, visto che al momento non esistono prove a supporto di quanto detto dal Dalai Lama, questo agire, prima dell’incontro con la “Presidentessa” Carla Bruni, non può che preoccupare.

Le accuse di queste ore lanciate al governo cinese, alla faccia dell’incontro religioso che avrebbe dovuto essere in questi giorni in Francia, rappresentano una grave provocazione, la reiterata volontà di voler seminare “zizzania”, un comportamento che non aiuta ad una concreta ricomposizione della questione Tibetana.

Ma soprattutto è grave che dopo la crisi Georgiana, che sta rischiando di portare il mondo sul precipizio di una Guerra Fredda di antica memoria, il Dalai Lama, sembri voler mantenere al centro dell’attenzione mondiale la questione Tibetana, infischiandosene se poi questo possa creare ulteriori scontri, con chissà quali conseguenze, data la chiara posizione cinese sulla questione: il Tibet è parte integrante della Cina.

Oltretutto il suo comportamento non trova alcun supporto del cittadino medio cinese, visto che lo lascia non poco disorientato perchè si voglia fare tornare indietro la storia ai tempi passati, quando il Tibet era uno dei paesi più poveri al mondo, situazione ben diversa dalla quotidiana attualità.

Comunque sia, continuare a legare le questione del Tibet alla sola indipendenza territoriale, appare perdente in partenza.

Recente è la notizia del ritrovamento dell’audio originale del “Messaggio d’amore” di Gandhi.

Le due figure non possono non essere confrontate, perché entrambe predicano la “lotta non violenta”.

Solo che mentre il Gandhi ha sfidato la Gran Bretagna Imperiale, sul terreno di un confronto non violento, direttamente in India e non per “interposta persona”, il Dalai Lama, sta provandole proprio tutte per continuare a non affrontare la questione direttamente.

Gandhi può essere quindi un ottimo esempio anche per il Dalai Lama di queste ore, per l’intelligenza delle parole e dei messaggi mai frantesi che lanciò in momenti difficili come quelli di allora e per come fu in grado di andare oltre la causa stessa, trasformandola in un valore comune e positivo, evitando così di radicare ulteriormente odi e rancori tra le etnie e i popoli.

Di sicuro, quanto accaduto in queste ore non aiuta nessuno, occupando inutilmente le prime pagine dei quotidiani occidentali, contribuendo a continuare a creare un muro di incomprensione che difficilmente potrà consentire di fare alcun reale passo in avanti.

giovedì 8 maggio 2008

Lo “Spirito Olimpico” è arrivato sul tetto del mondo.

Oggi la torcia Olimpica, messaggera dello “spirito olimpico”, nel suo viaggiare per il pianeta, è arrivata per la prima volta sul tetto del mondo in Tibet.

Sugli 8848 metri del monte Qomolangma, il nome originale Tibetano di quello che noi chiamiamo Everest e che letteralmente significa “la dea madre della terra”, si è svolta una tappa epica della storia sportiva umana, viste le difficoltà ambientali in cui si è svolta, un momento condiviso in diretta sui canali nazionali cinesi e sui circuiti televisivi internazionali olimpici.

Alla storia, quale ultimo tedoforo, passerà l’alpinista tibetana Cering Wangmo, la più giovane tedofora di questa impresa sul tetto del mondo, così come il gruppo interetnico cinese protagonista dell’impresa, dove ben 22 dei 31 componenti erano di etnia tibetana.

L’ascensione alla vetta della torcia è iniziata alle 3 di mattina (le 21 ora italiana) attraverso il versante tibetano dello Qomolangma ( Everest), per concludersi senza problemi in vetta alle 9,18 (le 3 Italiane).

La scienza, lo sport e l’alpinismo, quello vero, fatto di abnegazione e sacrificio, si sono fusi per realizzare quello che poteva apparire per molti quasi un sogno irrealizzabile.

Da un paio di giorni le televisioni cinesi preparavano l’evento odierno e nell’attesa delle condizioni meteorologiche adatte, erano già partite le dirette dal Tibet al campo base della spedizione olimpica, dirette nelle quali, non con qualche difficoltà per i giornalisti, vista l’altitudine alla quale operavano, venivano illustrati gli elementi e le insidie di questa autentica sfida, ai limiti delle capacità umane.

Si sono così succeduti alpinisti, scienziati e giornalisti per spiegare come ci si era preparati, quali difficoltà si erano incontrate e quali soluzioni erano state trovate per quella che, in certi momenti, è assomigliata quasi una missione spaziale su un altro pianeta.

Va sottolineato come nulla è stato lasciato al caso, tanto che sia la torcia che il carburante utilizzati, sono stati infatti sviluppati specificatamente per poter funzionare alle alte quote e alle condizioni climatiche estreme, quali quelle incontrate in questa sfida.

Ma l’evento di oggi è stato “affascinante” anche per un altro motivo: il muoversi lento e cadenzato che avevano questi uomini e donne nell’arrivare in vetta, protetti dalle speciali tute e sotto le maschere per l’ossigeno, ha dato al gesto realizzato oggi, un senso realmente unico, universale.

Agli oltre 8800 metri dove la torcia olimpica è stata portata, non esiste alcuna differenza, nessuna barriera razziale, etnica o di pensiero, lassù, di fronte alla natura e alla sua incredibile forza, si è tutti uguali, qualcosa di cui bisognerebbe ricordarsi più spesso, per poter vedere con occhi diversi le ragioni e le motivazioni alla base dei molti, troppi “conflitti umani” in corso.

lunedì 21 aprile 2008

Picture of the day


giovedì 17 aprile 2008

MSN LOVE CHINA

Oggi, collegandosi al proprio Messanger, non può passare inosservato il fatto che lista dei contatti cinesi ( ma non solo) abbiano ora tutti con lo stesso Nickname: (L) LOVE CHINA.

Attraverso un passaparola partito lunedì dal sito 5Sai.com, nato come una delle proposte in votazione tra le iniziative suggerite per supportare le prossime Olimpiadi, come era inevitabile, si è poi diffuso attraverso tutta una serie di mailing list su tutta la rete cinese.
Il risultato è che in queste ore gli internauti cinesi si passano il seguente messaggio:

“Add "(L) China" in front of your MSN name. The (L) will appear on screen as a red heart”.

Questa “protesta” simbolica, un segnale di “pace” condiviso dal popolo della rete cinese è in reazione ai molti, troppi attacchi subiti dal proprio paese attraverso i media occidentali e ai “ventilati” boicottaggi di molte nazione in vista delle prossime Olimpiadi,.

Oggi, poco più di 4 milioni di cinesi ( e non solo), hanno ora questo messaggio come proprio Nick Name, un messaggio che travalica il comprensibile patriottismo del momento, cercando di essere un concreto invito affinché la si smetta nel continuare a rappresentare la Cina come fino ad ora fatto dai diversi media occidentali.

In particolare nel mirino della critica degli internauti vi è CNN, accusata con tanto di prove filmate, di “storpiare” la verità su quanto realmente accaduto.

Quello che sta succedendo nel inter-mondo cinese è interessante anche per un altro aspetto. I cinesi anche grazie a questo passa parola, si stanno informando e stanno prendendo coscienza di quanto accaduto in Tibet, anche perché la linea stessa del governo cinese sembra essere, in queste ore, quella di dare ampio spazio ai fatti tibetani, cercando di fornire tutte le informazioni in loro possesso, rispondendo punto su punto alle dichiarazioni / affermazioni che appaiono sui media occidentali.

Ma il fatto che in massa stiano ora rispondendo con un cuore chiamato “Love China” fa capire quale sia la propria posizione ANCHE DOPO aver appreso quello che molti media occidentali ancora vogliono fare credere sia tenuto segretamente nascosto dalle autorità cinesi.

Da tempo infatti non è più così. Da tempo i cinesi sanno quanto noi stessi sappiamo sulla questione tibetana.

Il problema sembra ora essere la continua ostinata convinzione occidentale, che tutto il torto stia dalla parte cinese, basata sul sensazionalismo e le manifestazioni mediatiche, oltretutto spesso realizzate con clamorosi “falsi”, dimostratisi ampiamente tali.

Forse questi “cuori cinesi” dovrebbero aiutarci a comprendere la “reale posizione” del cinese medio in questo particolare periodo storico, farci “aprire” gli occhi a noi occidentali, su un mondo globalizzato che spesso travalica le nostre “utopie”.

Aiutarci a comprendere come forse sarebbe più costruttivo evitare facili semplicistici approcci e sommari giudizi, cercando invece di guardare le cose con una prospettiva più realistica e concreta di quella troppo spesso utilizzata in questi mesi sui media e dai movimenti di opinione occidentali, affinché si contribuisca realmente a trovare una soluzione ad un problema complesso come quello Tibetano e non trasformarlo nella causa di problemi ancora peggiori.

giovedì 10 aprile 2008

Il “trappolone” olimpico

Vedendo come i fatti del Tibet si stanno sviluppando e gli “attacchi” preparati al passaggio della fiaccola olimpica, non ultimo l’incredibile “spegnimento” di Parigi, appare sempre più plausibile che i cinesi, nell’accettare di organizzare i Giochi Olimpici del 2008, senza volerlo, siano finiti in un “trappolone” delle proporzioni ancora tutte da valutare.

Nell’assumersi tale responsabilità nel 2001, oltre all’onore connesso alla manifestazione, i cinesi hanno accettato anche il rischio di vedere strumentalizzato o peggio “politicizzato” il grande spazio mediatico che le Olimpiadi offrono a chiunque, così come la possibilità di subire “attacchi alla propria immagine” politica e sociale, faticosamente costruita in questi decenni di apertura alla comunità internazionale.

Ma forse i cinesi, in sede di approvazione CIO, non compresero fino in fondo a quale gioco si sarebbero potuti “prestare” per una candidatura fatta passare nonostante, già allora, avesse un “apparente” parere generalizzato di segno contrario. Ora forse questa “azione” trova una sua spiegazione e una sua logica: tendere una trappola alla Cina!

E’ evidente che la ricorrenza tibetana, che sembra aver scatenato i disordini dei giorni scorsi, fosse da tempo nel calendario di molte, troppe persone ed organizzazioni internazionali di vario genere e colore, per non rappresentare un “appuntamento annunciato”.

Basti solo ricordare come nei giorni che l’hanno preceduta alcuni fatti appaiono ora segnali “premonitori” tra loro strettamente connessi: il vorticoso “tour de force” del Dalai Lama in giro per il mondo, con incontri politici a vari livelli, compresi quelli con il Presidente Bush e la Cancelliera Merkel; il blocco navale cinese che ha impedito l’ingresso di una squadra navale militare americana nelle acque di Hong Kong, lasciando così a “bocca asciutta” le migliaia di parenti in attesa da ore, nonostante la stessa squadra navale avesse precedentemente ricevute tutte le necessarie autorizzazioni dalle autorità cinesi.

All’esterrefatto ammiraglio americano che credeva in un “errore” di comunicazione e chiedeva lumi ai vertici cinesi, fu rimarcato come tale azione fosse esplicitamente da collegare agli incontri del Presidente Bush con il Dalai Lama e quindi un “segnale diretto” alla amministrazione Americana.

Tutto quello che sta accadendo sembra però uscire dal copione di un film, con una serie di azioni spesso prevedibili, copione che però sembra scritto ben lontano dallo stesso Tibet e dalle stesse strade dove la fiaccola olimpica è passata e passerà nei prossimi giorni.

Dispiace assistere a questo “linciaggio” morale quotidiano ai danni della Cina e del suo popolo, così come vedere i media occidentali tutti “pollice verso” e diventati strumenti / vetrina, di un oramai evidente tentativo occidentale di voler dare una “spallata” all’attuale assetto politico cinese, utilizzando le Olimpiadi quale strumento e grimaldello decisivo, una euforia ed aggressività ormai spesso “fuori dalle righe”, una esaltazione di piazza quasi si volesse assistere alla replica del “muro di Berlino”.

Peccato veramente, anche perché la Cina da tempo ha iniziato la strada verso un futuro diverso e ha già attivato profondi e radicali cambiamenti interni che però necessitano di tempo per svilupparsi.

Il Tibet poi, sembra essere più una buona “scusa” che il reale problema da risolvere.

Forse queste Olimpiadi sono arrivate “troppo presto” per essere un momento di condivisione con il mondo intero di una rinascita, pacifica e condivisa del “paese di mezzo”.

Speriamo solo che questo astio non degeneri in ulteriori e più gravi azioni e si apra quel dialogo necessario ed auspicabile tra le parti affinché si trovi una soluzione, dialogo che non passa dal “muro contro muro” o dalle dichiarazioni di boicottaggio di alcuni politici di queste ore che sembrano più un arma elettorale interna che un reale tentativo di contribuire ad una costruttiva soluzione.

Ma soprattutto, per favore, lasciamo fuori qualunque tipo di violenza. Non è la soluzione per nessun tipo di problema, soprattutto in questa delicata situazione internazionale.

sabato 5 aprile 2008

Tibet: qualche riferimento storico ... per cercare di capire

TIBET: La storia dal Medioevo ai giorni nostri
Rimangono poche testimonianze delle origini del Tibet, si sa però che inizialmente era popolato solamente da pastori nomadi provenienti dall'Asia centrale.
La storia del Tibet come nazione inizia con la nascita del Re Tho-tho-ri-Nyantsen nel 173 a.C. In quel periodo la religione praticata era di tipo sciamanico, detta anche Bön.
Del periodo si può ancora ammirare il castello-monastero di Yumbulakhang, nei pressi di Tsedang. Colui che venne considerato come il vero fondatore del Tibet è "Re Songsten Gampo XXXIII" della dinastia di Yarlung. Nato nel 608 d.C., il Re decise di fare diventare Lhasa la capitale del Tibet, fece costruire lo Jhorkang e introdusse per primo la religione buddista nel regno.

IL TIBET FINO AL VII SECOLO
L’origine della storia tibetana si confonde nel mito e nella leggenda. Secondo la tradizione tramandata oralmente, il popolo tibetano discende da Avalokiteshvara (Cenresig in tibetano), un essere illuminato la cui qualità principale è la compassione, e dalla dea Tara, che nella tradizione buddista rappresenta l’attività illuminata di tutti i Buddha.
Avalokiteshvara si manifestò come uno scimmione disceso dal cielo e si unì, nella valle di Yarlung, con la dea Tara che era risalita dalle viscere della terra assumendo in quell’occasione l’aspetto di un’orchessa.
Da loro discese la stirpe dei tibetani, un popolo originariamente rozzo e selvaggio costituito da tante tribù e senza un sovrano.
127 a.C. il re indiano Rupati, sconfitto in una della furiose battaglie descritte nel poema epico indiano, la Mahabarata, fuggì dall’India rifugiandosi nella valle di Yarlung. I tibetani lo considerarono un essere divino e lo proclamarono re; lo chiamarono Nyatri Tsenpo e la sua discendenza governò il Tibet per quaranta generazioni.

La dinastia che ebbe inizio nella valle di Yarlung, prescindendo da quali siano state le sue esatte origini, formò un vasto regno arrivando a confrontarsi e conquistando vasti territori ai danni dei regni dell’Asia centrale e dell’impero cinese.
L’indole di questo popolo era decisamente selvaggia, mancava di cultura scritta e prediligeva tra ogni valore la forza e l’indomabilità in guerra.
Erano combattenti temutissimi, chiamati dai cinesi “musi rossi” perché per rendere più tremendo il loro aspetto usavano colorarsi il volto con della terra rossa.
La loro strategia militare era semplice, attaccavano a ondate: finché l’ultimo loro uomo della prima linea non era morto la seconda linea aspettava, e così via.
Nelle tribù tibetane di quei tempi era considerato un disonore diventare vecchi, poiché era visto come un segno di codardia, e quando moriva un re venivano seppelliti con lui le sue donne e tutti gli amici più cari.
La religione diffusa nel territorio era il Bön che si basava sulla convinzione di una stretta interdipendenza tra l’uomo e la natura.
Parte della cultura Bön, sebbene profondamente trasformata dal contatto successivo col buddismo, è ancora presente fra i tibetani.

La tradizione orale tramanda che verso il IV secolo cadde dal cielo uno scrigno prezioso contenente dei testi buddisti, un piccolo stupa (reliquiario) e il mantra Om Mani Padme Hum. Il sovrano Lhathothori sarebbe stato dunque il primo tibetano a venire a contatto con l’insegnamento buddista; non comprese il senso dei testi, né degli oggetti, ma si narra che provò una grande devozione verso quelle reliquie.

INTRODUZIONE DEL BUDDISMO IN TIBET
La storia propriamente conosciuta e documentabile del Tibet inizia con il re Songtsen Gampo, che regnò dal 618 al 649.
Egli unì molte tribù tibetane perennemente in guerra tra loro, accrebbe ulteriormente le sue conquiste territoriali e la sua potenza militare gli fece guadagnare matrimoni di alleanza.
Oltre alle sue mogli tibetane Songtsen Gampo infatti sposò due principesse di religione buddista: una nepalese, la principessa Bhrkuti, e una cinese, la principessa Wengchen, che ebbero grande influenza su di lui.
Il nome Bhrkuti in lingua nepalese significa “dalle sopracciglia aggrottate”: voleva forse indicare il disappunto della principessa ad abbandonare la fiorente vallata di Katmandu per andare in sposa ad un rozzo barbaro.
Si dice che anche l’imperatore cinese fosse assai restio ad imparentarsi con un re tibetano, ma di fronte alla minaccia di un’invasione si convinse ad offrire a Songtsen Ganpo una principessa di sangue reale.
Nelle saghe e teatro tibetani ancora oggi si riscontrano storie e leggende che narrano di come il re tibetano, grazie ad alcuni stratagemmi, riuscì ad ottenere la mano di Wengchen.
Secondo le cronache tibetane la principessa cinese introdusse nel paese il baco da seta, il mulino da macina, il vetro, l’alcool di riso, la carta e l’inchiostro. Le due spose di Songtsen Ganpo sono tuttora venerate come coloro che per prime introdussero il buddismo in Tibet e per i devoti tibetani esse furono una manifestazione terrena di Tara verde e Tara bianca, divinità protettrici del paese.
Nella storiografia buddista anche il sovrano viene ricordato come un grande essere illuminato; ma ai tempi di Songtsen Ganpo la religione autoctona bönpo aveva molti convinti seguaci sia tra i nobili che tra il popolo e l’introduzione del buddismo non fu priva di conflittualità.
Nella storiografia bön infatti i grandi sovrani tibetani di questo periodo sono presentati con un pessimo volto: Songtsen Ganpo è ricordato come l’assassino del re Ligmirhya, che era sovrano di Shang Shung, la patria del Bön nel Tibet occidentale; e Tritsong Detsen come il persecutore della religione Bön.
Tramite le due regine dal Nepal e dalla Cina vennero portate le prime immagini di Buddha, tra cui la famosissima statua di Jowo Rimpoce, tuttora custodita e venerata nel tempio del Jokhang a Lhasa.
Il sovrano divenne buddista e decise di introdurre questa religione in Tibet. Fece costruire diversi templi a Lhasa e in altri luoghi ed inviò in India il suo consigliere Thonmi Sambota a studiare la lingua sanscrita.
Per desiderio del sovrano furono codificati l’alfabeto e la grammatica tibetana utilizzando come modello il sanscrito: nasceva così la lingua tibetana scritta, caso unico nella storia del mondo di una lingua scritta formulata da eruditi e creata specificamente per poter trascrivere nella fonetica tibetana i sottili significati espressi nei grandi trattati di filosofia buddista che erano conservati dalle grandi università monastiche indiane.
In India si scriveva sulla scorza di betulla o su foglie di palma, ma poiché i tibetani conoscevano l’arte della fabbricazione della carta, appresa dai cinesi, pur restando fedeli alla presentazione tradizionale dei testi racchiusi tra due tavolette di legno, al posto delle foglie adottarono i fogli di carta.
Il sovrano del Tibet fece tradurre i primi testi buddisti e cominciò la costruzione del Potala a Lhasa; ma le attuali maestose dimensioni del palazzo risalgono ai lavori di ampliamento eseguiti nel XVII secolo dal V Dalai Lama.
Il re Tritson Detsen (765 – 804), discendente di Songtsen Ganpo, decise di dare ulteriore impulso alla diffusione degli insegnamenti buddisti nel Paese delle Nevi. Invitò i più eminenti maestri indiani dell'epoca (Upadhyaya, Santaraksita, Vimalamitra, Santigarbha, Dharmakirti, Buddhaguhya, Kamalashila, Vibuddhasiddha ed altri) per lavorare in collaborazione con i maestri tibetani nella traduzione dei testi e nella diffusione della religione.
I Pandit (eruditi) dell’India ed i Lotsawa (traduttori) tibetani trasposero fedelmente i testi sacri dal sanscrito in tibetano e grazie a questo sforzo le tre suddivisioni principali del Tripitaka, o Canone buddista (formato da Vinaya, Sutra e Abhidharma), che costituiscono l'intero corpo degli insegnamenti di Gautama Buddha, iniziarono a divenire accessibili nella lingua tibetana.
In questo periodo nel monastero di Samye si svolse un celebre dibattito dove venne deciso l’indirizzo filosofico che avrebbe preso il buddismo tibetano, quando si incontrarono per un confronto i monaci cinesi rappresentanti del Chan guidati da Heshang Mahayana e i monaci indiani guidati dal maestro Kamalashila, discepolo di Santaraksita, rappresentanti della visione Madyamika (la via di mezzo).
La scuola indiana fu quella prescelta, e da quel momento gli insegnamenti della Madyamika sono diventati la fonte d’ispirazione che ha plasmato la cultura del Tibet fino ad essere così profondamente assimilati da diventarne la vera essenza.
In questa fase ebbe un ruolo importante Santarakshita, abate della rinomata Università monastica indiana di Nalanda, uno dei maestri buddisti più eruditi, che consigliò al re di invitare dall’India un maestro dalle doti particolari, molto adatte a convincere i tibetani. Si trattava di un colto maestro tantrico celebre per le capacità taumaturgiche, gli eccezionali poteri psichici e rinomato per i suoi esorcismi: Guru Padmasambhava, il cui nome significa "nato dal loto".
Si racconta infatti che nacque miracolosamente da un fiore di loto sulla superficie del lago Danakosa in Uddyana, mitica terra di maestri tantrici e Dakini (le "Danzatrici del cielo”), un luogo che è stato identificato nell’attuale regione dello Swat in Pakistan. Ma è pressoché impossibile distinguere il personaggio storico (o i personaggi storici) dalle innumerevoli leggende che lo circondano. Padmasambhava introdusse il buddismo tantrico (Vajrayana) in Tibet; venne chiamato Guru Rinpoce ("Maestro prezioso") e la sua effigie è rappresentata in quasi tutti i monasteri.
Padmasambhava riunì una squadra di traduttori sotto la direzione del suo discepolo tibetano Pagor Vairocana ed ebbe venticinque discepoli principali, tra cui lo stesso re Tritson Detsen, che ottennero alte realizzazioni spirituali e dettero inizio ai “lignaggi di trasmissione” ovvero alla trasmissione orale diretta maestro-discepolo, caratteristica delle scuole buddiste Vajrayana.
Il periodo dei re Songtsen Gampo, Tritson Detsen e poi di suo nipote Tri Ralpa Chen è noto come l'epoca della "Prima diffusione della Dottrina", o “Periodo d’oro dei sovrani religiosi” di cui il momento emblematico fu la costruzione del primo monastero tibetano di Samye (767), che divenne il modello di riferimento per le successive architetture monastiche.
Alla edificazione di Samye sembra abbia partecipato lo stesso Padmasambhava eseguendo personalmente i riti di purificazione del sito, con una danza che per i tibetani fu il seme da cui trae origine la grande tradizione dei Cham, i celebri festival eseguiti con costumi, maschere e musiche rituali.
La rapida diffusione del buddismo in Tibet trovò delle resistenze soprattutto da parte della nobiltà e del clero Bön, la religione preesistente. Il successore di Trisong Detsen, Ralpa Chen (817 – 863), volle continuare l’opera di diffusione del buddismo iniziata dal padre: stabilì che le famiglie nobili dovessero occuparsi del mantenimento dei monaci, fece costruire molti monasteri e proseguì l’opera di traduzione dei testi indiani.
Ralpa Chen fu fatto uccidere nell’ 863 dal fratello Langdarma che gli succedette e si oppose alla diffusione degli insegnamenti buddisti.
Fu ristabilito il culto Bön e cominciò una crudele persecuzione che rese Langdarma sinonimo di tutto ciò che per i tibetani è malvagio.
Soprattutto nel Tibet centrale molti monaci vennero uccisi e i monasteri distrutti o confiscati. La successione della trasmissione orale diretta degli insegnamenti (lignaggio) di Padmasambhava fu mantenuta in vita da alcuni meditatori che, nei loro eremi sperduti tra i monti, praticarono e trasmisero ai loro discepoli l’insegnamento tantrico e conservarono scrupolosamente tutti i testi tradotti. Molti adepti si rifugiarono nelle regioni del Kham e dell'Amdo, altri si recarono in India.
Langdarma fu ucciso a Lhasa da un monaco buddista travestito da sacerdote Bön; seguì una guerra civile per la successione al trono che non ebbe un esito preciso ed il Tibet rimase per più di tre secoli privo di un re legittimo che fosse riconosciuto da tutte le famiglie feudali.
L’impero si disintegrò in tanti piccoli staterelli autonomi e la cultura tibetana ebbe un periodo oscuro. Il punto focale della cultura buddista tibetana si spostò verso le regioni più occidentali del Tibet, in Ladakh, Zanskar e Spiti.
Sotto il regno di Trisong Detsen, col arrivo di Padmasambhava, il buddismo diventa religione di stato per prima volta.
1042: assieme al grande maestro indiano Atisha, arrivano il Tibet una serie di maestri e saggi che diffondono di nuovo il buddismo nel paese.
1072: nacque il grande monastero di Sakya, sede della omonima setta "Sakya-pa", che avrà un ruolo importante nella storia del Tibet.
1239: in seguito all'invasione delle truppe mongole giudate da Kulblai Khan il potere centrale passa da Lhasa a Sakya.
1391, nasce Gedun Khapa, il I Dalai Lama.
1624-63 Missionari Gesuiti arrivano nel Tibet occidentale.

IL GOVERNO DEL DALAI LAMA
Il V Dalai Lama, Lobsang Gyatso (1617 –1682), conosciuto come "Il Grande quinto", unificò le fazioni feudali e cercò di raggiungere un equilibrio tra le scuole limitando i privilegi dei Ghelugpa. Diffuse nel paese cure mediche ed istruzione, viaggiò, insegnò molto e diede una costituzione all’organizzazione religiosa.
Il grandioso palazzo del Potala fu costruito durante il suo regno ed è il simbolo della potenza del Tibet di allora, quando Lhasa era il fulcro della civiltà del buddismo Mahayana Vajrayana ed i monaci di tutte le regioni aspiravano ad essere ammessi alle sue tre famose università.
1652: il V Dalai Lama fu accolto a Pechino su invito dell’imperatore della Cina che lo accolse come suo pari.

Il V Dalai Lama era così venerato dai tibetani che i reggenti ne tennero nascosta la morte per 15 anni temendo un ritorno alle guerre civili.
Così il VI Dalai Lama era già un adolescente quando salì al trono. Tra la sorpresa generale, il VI Dalai Lama rifiutò l’ordinazione monastica ed insegnò seduto tra la gente.
Di animo estremamente sensibile fu autore di numerose poesie d’amore che appartengono alla letteratura poetica del Tibet. I suoi scritti possono essere interpretati sia come sonetti dedicati all’amata che come esperienze di estasi spirituale.
Tuttavia, senza un abile capo politico, Lhasa divenne preda contesa tra Cina e Mongolia.
1670-1750: l'impero Cinese conquista il Tibet orientale e Lhasa ed instaurò il suo protettorato sul Tibet.

Il VII (1708-1757) e l’VIII (1758 –1804) Dalai Lama furono eminenti eruditi ed autori di testi filosofici di grande valore, ma si dedicarono esclusivamente alle pratiche spirituali lasciando l’amministrazione politica nelle mani dei politici laici.
I loro successori dal IX al XII vissero pochissimo, non più di 21 anni, e la figura del reggente assunse un ruolo di sempre maggior rilievo.
1716:con l'arrivo del Gesuita Ippolito Desideri a Lhasa, iniziano i primi contatti con l'occidente.

1774:la prima missione britannica entra in Tibet, seguita dalla invasione Nepalese, che viene fermata grazie all'aiuto delle truppe cinesi chiamate in aiuto dai tibetani.

Quando nacque il XIII Dalai Lama, nel 1876, il Tibet era un paese a rischio; da una parte gli amministratori britannici, coinvolti negli intrighi di potere in tutta l’Asia centrale, cercavano di assumere il controllo anche del mercato tibetano, dall’altra i cinesi esercitavano una politica espansionistica.

1904: una spedizione militare di truppe del Regno Unito invade il Tibet arrivando fino a Lhasa e costringendo il Dalai Lama a fuggire in Mongolia (alleato del Tibet) e poi si recò in Cina dove assistette all’incoronazione dell’ultimo imperatore.
Dopo cinque anni di occupazione militare, gli inglesi giunsero ad un accordo con i tibetani ed abbandonarono Lhasa.
1910: truppe del impero Cinese occupano parte orientale del Tibet conquistando anche Lhasa.
1912: il Dalai Lama riprende il pieno potere in Tibet senza alcun influenza estera.

1933: alla morte del XIII Dalai Lama, Tensing Gyatso diventa il XIV Dalai Lama. A soli 18 anni di età nel 1940, all'attuale Dalai Lama, vennero conferiti i poteri spirituali di capo della comunità buddista del Tibet.

1949, Mao Tsedong a Pechino, proclamò la fondazione della Repubblica Popolare della Cina.
1950 il Dalai Lama fugge in esilio verso il Sikkim, ma poco dopo ritorna a Lhasa in seguito agli aco.
1951:La Cina che nel corso della storia da sempre aveva considerato il Tibet parte del Impero invade il Tibet e a Lhasa su richiesta di rappresentanti governativi tibetani.
Le autorità Cinesi inizialmente non interferivano nella politica interna del paese, lasciando il governo tibetano ad esercitare il suo potere.
Ma successivamente la situazione deteriora.
1959: il Dalai Lama decide di fuggire in India seguito dall'elite feudale e i monaci temendo l'aria di rivoluzione che spirava dalla Cina. Gli unici che rimasero nel paese furono i poveri.
1964: la Cina dichiara formalmente il Tibet "Provincia Autonoma del Tibet" della Cina.