giovedì 15 marzo 2007

China 2007: Quante Sfide. Italia 2007: quante sciocchezze!


Lunedì a Beijing si è aperta la sessione annuale del parlamento Cinese, il principale momento politico cinese che si svolge tradizionalmente in marzo.

Il sistema politico cinese è caratterizzato da queste due settimane, totalmente dedicate allo stabilire collegialmente le future linee guida sulle principali questioni nazionali.

In questo periodo veramente speciale della vita politica cinese, su qualsiasi tema è oggettivamente possibile fare qualsiasi proposta all’attenzione della Assemblea generale.

La caratteristica di questo “sistema” è che dopo queste due settimane di analisi e pianificazione collegiale, il resto dell’anno è dedicato ad applicare le decisioni prese.

Il funzionamento di questo sistema politico, nella sua apparenza statico, risulta essere stato in Cina, negli ultimi decenni molto efficiente.

In fatti una volta l’anno si discute dei macro problemi con l’obbligo di arrivare ad una decisione entro la fine della sessione stessa, le due settimane appunto.

Quindi i cinesi così facendo, finiscono realmente per prendere le decisioni importanti.

Suggerisco a chi legge di lasciare da parte la scontata osservazione sulla reale situazione presente in Cina, visto che parallelamente negli stessi anni il nostro sistema, sta facendo di tutto per non prendere ALCUNA decisione .

Quindi da noi, paradossalmente finiamo per impegnare le migliori risorse e incredibili sforzi in discussioni spesso minori (penso alla questione dei Dico) e nel contempo continuare a rimandare le decisioni veramente strategiche e di maggiore impatto reale (penso alla situazione Alitalia e Telecom ad esempio) dove veramente gli interessi nazionali e il benessere delle persone sono in gioco o peggio a rischio.

Di qualunque “tema strategico” in Italia si stia discutendo ora, qua in Cina lunedi, il discorso di apertura del premier Wen Jiabao alla sessione 2007 del al parlamento cinese, è stato totalmente concentrato sulla creazione della “società armonica”.

Immagino i sorrisini di chi sta leggendo!! Molti occidentali infatti a sentire questi termini, da noi ormai desueti, cominciano a fare le facce più strane.

Ma lunedì, il discorso fatto dal Premier cinese fin dalle sue premesse è stato terribilmente serio e concreto: candidamente ha affermato che è stato un successo portare 200 milioni di cinesi furori dalla povertà nel passato decennio. Adesso è prioritario proseguire nel cammino, estendendo tutto ciò anche a chi rimane ancora oggi in una condizione prossima all’indigenza.

Allora il termine "Società Armonica" diventa chiaro. Non è uno slogan da professionisti del Marketing e della Comunicazione, ma il chiaro desiderio di trovare in un equilibrio tra le diverse Società che costituiscono l’ossatura della Cina stessa di oggi..

Per capire la cosa, occorre ricordarsi che la Cina è una in termini politici ma in termini sociali è un raggruppamento di popoli tra loro molto diversi.

Definire una “società armonica” per i cinesi intende quindi trovare un bilanciamento tra le varie dinamiche, spesso tra loro in conflitto, proprio delle diverse nature sociali che la compongono.

Ed ecco che nella sessione di apertura del parlamento del paese forse più globale al mondo, il tema sia stato totalmente interno: togliere le frizioni sociali esistenti.

Bene! Questa è stata una lezione di stile di cosa vuole dire analizzare e pianificare le dinamiche di una nazione totalmente ancora in costruzione.

Ma si fa male a pensare che sia un discorso abilmente impostato per saltare / evitare altre priorità ben più gravi.

Per i cinesi questa pirandelliana questione, è veramente una questione fondamentale.

Chi siamo? Dove andiamo?

Perché quello che sta accadendo in China è un tale cambiamento epocale che non solo le città cambiano ma la stessa civiltà cinese sta cambiando alla velocità della luce.

Quindi tutte le certezze di un tempo spariscono e vengono sostituite con un nuovo che però spaventa anche perché così diverso dalle radici culturali originarie.

Quindi basta che un cinese si sposti dalla campagna ad una qualsiasi città cinese che il salto è realmente simile a quello di entrare in un diverso spazio/tempo, una diversa civiltà, spesso totalmente estranea...

Quindi i cinesi stanno cercando di capire come saranno i cinesi del futuro, come loro si stanno trasformando e quindi lasciano fuori temi di carattere economico e finanziario per cercare di trovare una idea comune sul contesto futuro di un popolo che altrimenti rischia di non poter apprezzare fino in fondo l’occasione che la storia sta dando loro.

Quindi sorridiamo un po’ meno sulla “Società Armonica” cinese e cerchiamo di coniare a nostra volta un analogo credibile “motto” per il nostro futuro, visto che ad oggi il motto di quanto sta accadendo in Italia appare più un titolo della commedia all’italiana. “ I soliti (Ig)noti!!”.

E anche se ora siamo una delle prime potenze economiche al mondo, basta vedere il finale del citato film per capire i rischi di questo approccio, a causa delle continue “non scelte” Italiane.

La domanda sorge spontanea: come mai, in Cina, 200 milioni di persone sono uscite dalla povertà e ci ha sorpassato come potenza economica mondiale, mentre un paese come il nostro, la situazione sta lentamente ma inesorabilmente peggiorando tanto che il 7% della popolazione italiana è considerabile povera??

Tutto è dovuto alla sola e semplice fortuna o congiunzioni astrali che ha favorito i cinesi o forse da parte nostra occorrerebbe onestamente prendere atto che il nostro sistema, così fatto non è al passo dei tempi presenti e tutto sbagliato, inadatto per quelli futuri??

Quindi date queste premesse mentre la Cina è appena entrata nell’anno del Maiale (d’oro) noi rischiamo di essere entrati, senza nemmeno essercene resi conto, nell’anno delle “Sciocchezze”.

mercoledì 7 marzo 2007

Made in Italy: pensare con i loro "occhi"


Quando si arriva in Cina, la prima apparentemente banale, sconvolgente sensazione che si prova, è il sentirsi circondati da questa selva di occhi, così diversi da quelli a cui siamo abituati a vedere.

Qui in Cina gli occhi ti guardano in maniera del tutto diversa, sanno incantarti, stupirti, disorientarti. Ti esplorano e puoi “sentire” il loro sforzo nel cercare di comprendere, di capirti.

Anche se non si apre bocca, da questi occhi, così diversi, si capisce che parlano una lingua sconosciuta.

Sanno sorridere, farsi sorprendere, avere paura, essere seri, ma in maniera molto diversa dai nostri.

Si dice sempre che gli occhi siano lo specchio del cuore e della mente. In Cina questa cosa appare quanto mai vera, concreta e reale.

Mai come in Cina gli occhi sono così importanti, anche perchè spesso la loro cultura millenaria suggerisce spesso il silenzio, alla parola.

Quindi spesso gli occhi sono il solo modo attraverso cui è possibile comunicare e la cosa appare ancora più vera quando si è stranieri.

Ma “occhio” a pensare che tutto ciò sia solo un modo di dire. Il mondo Cinese è prima di tutto un mondo interiore, spesso fatto di tempestosi silenzi e calde silenziose emozioni che vanno capite per non rimanere isolati da tutto ciò.

Il problema dei cinesi è che spesso alle loro emozioni interiori non trovano le giuste parole e spesso rimangono profonde sensazioni senza suoni. Il nostro problema in Cina è invece che rimaniamo spesso disorientati da questo apparente silenzio alle nostre orecchie, così abituate ai “caldi” suoni.

La Cina ti insegna una cosa fondamentale, il piacere del sapere ascoltare, “l’ascolto” degli occhi.

Ecco che allora questo mondo, inizialmente così oscuro, si trasforma e diventa pieno di suoni e colori che non si sa dove fossero nascosti, quasi fossimo diventati “sordi”, la stessa sensazione di quando si fa una immersione sotto l’acqua e tutto appare così diverso ai nostri sensi.

La Cina va rispettata per questo modo diverso di porsi e va capita prima che cambiata.

Bisogna anche ricordarsi sempre che le emozioni forti li spaventano sul serio. Non è una battuta!!.
Nell'incontro tra noi e loro, occorre tenere presente che è come se improvvisamente fossero posti di fronte ad una sconosciuta luce intensa, accecante.

Le sensazioni che per noi sono piacevoli, a loro possono provocare dolore.

Quindi bisogna stare attenti a credere che basti il nostro essere italiani ad appassionarli.
Tutt'altro, spesso il nostro essere “caldi” e stimolanti crea più problemi che vantaggi, siamo temuti per questo saper essere “accecanti”.

I tempi necessari per abituarsi a assaporare il nostro “sole”, non sono rapidi ne immediati. Occorre dare loro gli "adeguati occhiali da sole" e fargli provare solo piacevoli emozioni quelle che a noi appartengono da sempre, senza che questo provochi un dolore, una ferita interiore che finisca per tenerli lontani in futuro..

Sono come i bambini che aprono gli occhi ad un nuovo mondo. Non dobbiamo tempestarli, assediarli ma farli sentire poco alla volta a proprio agio.

Come? “Parlando” ai loro occhi, con il rispetto del pari. Non sono un popolo da colonizzare o inferiore, sono un mondo, un altro mondo che si è aperto rapidamente a noi e che vuole capirci, ma con la stessa velocità sa chiudersi in sé, per non aprirsi più in futuro.

La Cina va creata, sviluppata con maggiore umanità di oggi, dando agli affari uno spessore che renda la nostra offerta più convincente, prima di tutto sul piano della qualità della vita presente e futura.

Questo è il nostro Made in Italy, un percorso, una esplorazione che va proposta quotidianamente, con passione e attenzione ma soprattutto il profondo rispetto di questi occhi.

Spesso tutto questo in Cina noi Italiani non ce lo ricordiamo e molti sbottano perchè si dice “non sanno capirci”, come se gli stupidi fossero loro.

La notizia è che gli stupidi siamo noi, che pensiamo che il nostro mondo sia il solo possibile, il solo esistente, l’unica proposta: nulla di più errato.

Quindi, guardiamoli negli occhi e cerchiamo di sorridere loro. E’ quello che si aspettano da noi, basta ricordarselo anche se lontani dalla nostra Italia.

mercoledì 28 febbraio 2007

Made in Italy: Insegnare l'Italia delle emozioni (2): O' Sole "Nostro"



(scritto e pubblicato su CorriereAsia - 26 Febbraio 2007 con Marzia De Giuli)


Negli ultimi anni in Cina si sono succeduti molti tipi di missioni italiane per cercare di veicolare l'Italia, i suoi luoghi, i suoi valori: un paese amico e un partner per i cinesi.

Ma dove le varie missioni governative, confindustriali e regionali avevano fino ad allora fallito, l'Orchestra Italiana di Renzo Arbore è invece riuscita appieno.

La tournée, patrocinata dalla Regione Campania e dal gruppo Cis Interporto Campano, svoltasi negli scorsi giorni a Pechino, Tianjin, Nanchino e Hangzhou, si è conclusa in bellezza conquistando anche la più "fredda e commerciale" Shanghai.

Presentatasi al Grand Theatre come uno scanzonato gruppo di professionisti e consumati saltimbanchi, l'Orchestra Italiana, capitanata da Renzo Arbore, esattamente come il pifferaio magico, ha realizzato un autentico miracolo: "squagliare" i cinesi.

L'artista, missionario della musica popolare napoletana ma in particolare di quel modo tutto napoletano (italiano) di porsi, è stato in grado, meglio di tante parole, di fare sentire cosa vuole dire "essere italiani", oltre le cartoline di facciata.

Gli spettatori cinesi conoscevano già O' Sole Mio e Santa Lucia, ma sono usciti dal teatro con un'idea diversa e autentica di che cosa è la canzone napoletana. "Commovente e raffinato": così hanno definito il concerto.
In un'intervista all'apertura del tour, Renzo Arbore aveva dichiarato: "E' stato davvero un pubblico generoso". Troppo modesto: l'artista non ha conquistato i cinesi perché conoscevano già O' Sole Mio e hanno ascoltato gentilmente il resto, ma perché ha svelato loro il vero volto della canzone napoletana. La fama di cui alcuni brani godono in Cina è stata un trampolino di lancio per "educare" il pubblico alla vera qualità.

Per esempio, presentando un'insolita versione di O' Sole Mio, riferita al tramonto, più malinconica e difficile rispetto a quella diffusa in Cina, giocosa e in un certo senso "banalizzata".

Per realizzare tutto ciò, il buon Arbore, mastro saltimbanco, ha usato un semplicissimo trucco, ha trasformato i cinesi da spettatori in partecipanti al concerto, e nel momento in cui il tenore cinese ha intonato la versione cinese di "O sole mio" e il soprano cinese la versione tradotta di "Santa Lucia", lo ha trasformato nel "loro" concerto.

Osservarli nelle prime file è stato fantastico: da un nervoso muovere delle gambe dell'inizio, si è passati ad un "timidissimo" uso delle mani, per finire nella apoteosi delle braccia alzate, spellamento delle mani e canto connesso.

A seguire le magistrali evoluzioni jazzistiche di Gegè Telesforo, pure senza alcuna necessaria traduzione, hanno trascinato i cinesi che si sono immedesimati, immersi nei suoni e colori che arrivavano dal palco.

Tutto poteva andare come da canovaccio, visto che molti dei brani sono conosciuti su scala planetaria. Ma alla fine i cinesi hanno cantato "Ma la notte no", ovviamente non uno dei classici della musica napoletana, tradotta in cinese nel suo ritornello così bene da apparire credibile.

L'intelligenza di Arbore è stata nel creare un mix perfetto di scontato e non. La conclusione, Funicolì Funicolà, animata dal pubblico italiano in visibilio, ha letteralmente conquistato anche i più composti. Il tutto con grande eleganza e raffinatezza, da dieci e lode.

E le premesse erano tutt'altro che rosee: una partenza (troppo) commerciale nello stile dei marketing manager che stavano dietro l'organizzazione.

Il triste rito della traduzione che se da una parte consentiva ai cinesi di capire, dall'altra contribuiva ad annoiarli non poco.
Ad un certo punto, la domanda dei cinesi accanto è stata: ma scusa, quando arriva qualcosa di diverso dai soliti eventi di presentazione che vediamo tutti i giorni? E la risposta non ha tardato ad arrivare.

Finalmente, quando i Marketing Manager hanno consentito ad Arbore di fare l'Artista che è e alla sua orchestra di spiccare il volo, la metamoforsi ha avuto inizio.

Unica "nota" negativa, tutti i palchi erano vuoti. "Siamo alla conclusione del Capodanno cinese e molta gente è ancora in vacanza", è la spiegazione diffusa. Ma il teatro tiene meno di duemila persone e si trova nella People's Square, nel pieno centro di Shanghai.

Da notare che i biglietti erano a distribuzione gratuita. Non sarebbe stato il caso di invitare "calorosamente" più persone, riempiendo così i tanti posti andati sprecati? Ma si sa che spesso le autorità italiane trascurano certi "particolari", quindi, commenta una signora appena uscita dal teatro, "per fortuna c'è la cultura a recuperarci".

L'evento di ieri sera ha dimostrato come portando la cultura italiana direttamente a contatto con i cinesi, possa essere non solo accettata ma realmente vissuta con trasporto. Il successo delle iniziative che si sono susseguite in Cina negli ultimi mesi -- come l'arlecchino di Strehler e la recente rassegna di cinema italiano -- conducono a un'importante conclusione: il popolo cinese sa riconoscere il valore delle cose belle.

Alla fine anche gli italiani presenti non hanno potuto che constatare che nemmeno dieci missioni di Confindustria potrebbero realizzare quanto un "semplice saltimbanco" è stato in grado di fare: convincere che andando in Italia i suoni e le passioni sono quelli sentiti ieri sera sul palco del Teatro di Shanghai.

A emergere ieri sera è stata l'autenticità del marchio "O' Sole Mio". Alcuni italiani non hanno partecipato al concerto di Arbore perché convinti che la canzone napoletana in Cina, cantata nei Karaoke, sia diventata un "falso". E' lo stesso atteggiamento che molti hanno nel campo commerciale: o l'autentica pasta De Cecco, o niente.

O Armani, o niente. Ma sono necessarie pazienza ed elasticità: prima di vendere l'autentico made in Italy, vendiamone l'immagine, nell'attesa che i cinesi raggiungano il livello economico e culturale per apprezzare la vera qualità. Lo ha dimostrato Renzo Arbore.

Fino a poco tempo fa, 'O Sole Mio era una canzoncina suonata nei karaoke, uno stereotipo che a detta di molti sviliva la cultura italiana. Ieri l'Orchestra Italiana ha mostrato ai cinesi la sublimità artistica di questo pezzo d'arte. Gli spettatori sono rimasti entusiasmati.

Ma sarebbero andati al concerto se non avessero mai ascoltato O' Sole Mio nei karaoke? Molti di loro no. L'immagine distorta di un marchio italiano ha creato i presupposti per apprezzarne l'autenticità. Dobbiamo seguire lo stesso percorso anche con gli alimenti, con le automobili, con l'abbigliamento.

Costruiamo l'interesse, l'idea, prepariamo il terreno per portare noi "l'originale", prima siano i cinesi stessi a scoprirne il valore e ad appropriarsene.

Lasciamo per il momento che si creino un'immagine anche superficiale dei nostri prodotti, ma trasmettiamone la cultura. Perché, fra non molto, i cinesi saranno in grado di riconoscere la bellezza, quella vera, e guarderanno al vero made in Italy con lo stesso sguardo estasiato di ieri sera.

mercoledì 14 febbraio 2007

Made in Italy: Insegnare l'Italia delle emozioni



Negli scorsi interventi ho parlato molto di cercare di ritrovare una identità nazionale attorno alla quale cooperare per tornare a competere sui mercati internazionali.

Per capire quanto possa valere e cosa significhi tutto ciò, bastava andare venerdì scorso alla prima della Turandot di Puccini qua a Shanghai.

Esattamente come un emigrante di altri tempi, dopo 8 mesi di immersione nel quotidiano cinese di questi mesi, ho deciso di tornare in contatto con qualcosa di Italiano.

E' stato come rivedere la luce: questa esperienza ti fa capire come i nostri contenuti, stile ed emozioni siano veramente di un altro pianeta (e sono Italiano!!).

Contemporaneamente si può comprendere quanto possa essere difficile da parte dei cinesi "entrare" in contatto con il nostro mondo, fatto di emozioni, spesso a loro totalmente sconosciute o peggio, prive degli stessi stimoli e valori.

Ad esempio la Turandot ruota tutta attorno alla forza dell'amore e di come questo possa cambiare profondamente le persone, rendendo "la gelida" Turandot (non a caso cinese), la più passionale delle donne. Questa storia, che a noi fa quasi sorridere, qua in Cina è molto più vicina alla realtà di quanto noi si possa credere.

Questa relazione tra passione e azione in Cina è spesso totalmente scollegata, al punto che sembra non avere senso agire per una passione o con qualche trasporto nel fare le cose, tanta è la razionalità messa dai cinesi nel loro agire quotidiano.

Mentre noi italiani le emozioni e le pulsioni passionali le esprimiamo apertamente senza timori e in maniera esplicita, spesso anche in forma estrema, qua in Cina è buona norma mantenere un contegno in pubblico che noi definiremmo di formale freddezza.

Questo fatto inevitabilmente si riflette pesantemente anche nel privato e nelle relazioni interpersonali.

Per quanto noi italiani ci sforziamo di essere dei "calcolatori", mai potremo esserlo come lo sono normalmente i cinesi. Infatti ogni cosa che noi facciamo o pensiamo, "trasuda" di calore e trasporto.

Quindi mentre noi tendiamo a dare un valore totalmente positivo al saper esprimere e vivere le emozioni, i Cinesi al contrario assolutamente no, finendone per essere contemporaneamente attratti e spaventati.

Il problema quindi del nostro “Made in Italy” non è se siamo bravi o meno, se qualcosa è bella o meno, ma se riusciamo ad emozionare i nostri interlocutori e trasmettere ciò che per noi è del tutto naturale, mentre per loro assolutamente no o peggio sconveniente.

Ai cinesi occorre quindi non solo far vedere le cose ma fargli "provare le emozioni" che possono procurare, altrimenti quello che per noi ha un valore (anche economico) rischia di essere considerato alla pari di altri e rimanere a livello superficiale.

Bisogna però essere molto cauti, visto che noi sul piano delle emozioni siamo percepiti come degli extraterrestri.

Occorre quindi perdersi la responsabilità di diventare loro affettuosi tutur e/o mentori, per accompagnarli a "capire" il mondo delle emozioni che loro chiamano "Italia".

I cinesi hanno intuito che solo noi possediamo questo tesoro interiore, occorre però dimostrare che vogliamo condividerlo e insegnarglielo, trasformandolo in un patrimonio comune.

Ma da bravi insegnanti, occorre comprendere che ad oggi si deve partire dall'alfabeto base delle emozioni.

Un giorno, Yibu Yibu appunto, potranno anche loro esprimersi correttamente su un piano simile al nostro. Ma ad oggi, non dimentichiamoci che sono solo in grado di ripetere diligentemente la lezione.

Per il successo futuro del "Made in Italy", visto che la scelta e l'acquisto di un prodotto ha una preponderante motivazione emozionale, occorre trasformarci in "Missionari del Gusto e della qualità della vita" che ci contraddistingue.

I cinesi ne hanno veramente bisogno. Ora che loro condizione economica è cambiata, hanno anche cominciato ad accorgersi come spesso non sappiano cosa farsene di questa nuova ricchezza economica.

Sono alla ricerca dei modelli e stili di vita cui rifarsi che possano dare loro una serenità interiore e siano trasmettibili alle loro generazioni future, come dicono loro: in pace e armonia.

mercoledì 24 gennaio 2007

Made in Italy: giocare la partita dei fatti

(pubblicato su AffariItaliani - 22 Gennaio 2007 e su CorriereAsia - 25 Gennaio 2007)

Egregio De Battisti, ho letto con attenzione quanto da lei pubblicato su Affari Italiani il 20 gennaio u.s.

Non posso che essere d’accordo con lei, come del resto avrà avuto modo di leggere nei miei contributi sul tema pubblicati negli stessi spazi, nei giorni scorsi.

Detto questo, le faccio una proposta: visto che noi italiani siamo bravi a parole, ma poi nei fatti siamo “guelfi e ghibellini” o peggio scaricabarile, le propongo, visto che condividiamo le basi e i possibili rimedi, di dare inizio ad un primo limpido, concreto esempio di cooperazione, che vada oltre le semplici opinioni e suggerimenti, belli ma spesso sterili o fine a se stessi.

In particolare ho apprezzato l’invito alla azione che qua in Cina, da dove le scrivo, appare quanto mai urgente e all’ordine del giorno.

La Cina è possibile vederla come una “palestra” nella quale fare gli esercizi e le sperimentazioni necessarie (laboratorio), per poi applicare i risultati ottenuti in tutte le altre presenze internazionali: creare qua un modello di azione da esportare, lontano dal “chiacchiericcio” italiano.

Vedo che fa parte di un gruppo di studio e formazione che fa esplicito riferimento all’attuale Ministro dei Beni Culturali e Turismo.

Per quanto mi riguarda, personalmente faccio invece esplicito riferimento al Palazzo Lombardia di Shanghai, per il quale mi occupo di Innovazione e Sviluppo.

Ma prima di tutto sono un imprenditore italiano in Cina.

Per dare concretezza alle nostre parole, le propongo quindi di dare inizio alla sana “politica del fare”, dando esempi concreti, molto contagiosi per poter cambiare le cose, ai quali magari seguiranno realmente altri e i personaggi da lei citati.

Le chiedo pertanto di cooperare affinché il Ministero Beni Culturali, il Governo Italiano e l’ICE diano in tempi rapidi inizio ad una serie di concrete cooperazioni con il Palazzo Lombardia, ad oggi la più grande presenza italiana in tutta la Cina (6 piani e 10.000 metri quadri, tutto rigorosamente di proprietà italiana).

Suggerisca al Ministro, di attivare rapidamente una presenza (Desk) al Palazzo sul tema Turismo e Beni Culturali. Mi rendo fin d’ora disponibile personalmente anche per ridurre al minimo gli impatti connessi ed evitare le sterili discussioni frequenti su queste tematiche, quali quella dei funzionari, i costi di trasferta etc.. visto che in questo caso (in gioco ci sono i valori nazionali) i costi non sono e non possono essere il problema.

Palazzo Lombardia esiste da 10 anni ed è stato ristrutturato di recente, creando una bellissima hall per eventi e manifestazioni (ultimo evento realizzato il 18 e 19 Gennaio u.s.).

Il personale lo abbiamo già e i contatti con gli apparati governativi nazionali e locali cinesi sono già attivati da tempo, oltre che essere già riconosciuti dal governo cinese in maniera esplicita, come spazio ove realizzare concrete cooperazioni tra i due paesi.

Serve solo la volontà italiana, tra gli italiani, di voler cooperare in questi spazi italiani, applicando il suo “tutti per uno”, slogan che vado ripetendo quotidianamente nelle mie relazioni ed incontri qua in Cina (“Together is Better”).

Questa nostra azione potrebbe ad esempio da subito aiutare ad incrementare le sinergie e le cooperazioni con i Tour Operators cinesi, con i quali abbiamo GIA’ attivato partnership per attività azioni di Outgoing verso l’Italia.

Dirò di più, i Tour Operators cinesi si sono resi anche disponibili per mettere una propria presenza all’interno del palazzo stesso e cooperare quotidianamente nel realizzare attività di promozione, producendole assieme, del Made in Italy italiano.

La cosa appare fondamentale e strategica, visto che ad oggi il mercato turistico cinese è interdetto (chiuso) alla aziende italiane dalle attuali regolamentazioni cinesi. Per cui solo un tour operator cinese può offrire direttamente ad un cinese una qualsiasi destinazione italiana (tralascio poi i noti problemi relativamente al rilascio dei visti e alla deprecabile situazione in cui versa attualmente il consolato italiano a Shanghai….).

Mi fermerei qua, ma le anticipo che sono da subito attivabili anche altre iniziative e di promozione del Made in Italy (Agroalimentare, Fashion, Trasferimento tecnologico …), che possano beneficiare degli spazi che il Palazzo Lombardia in Cina può rendere disponibili DA SUBITO (Fiere e B2B organizzabili quotidianamente!!).

Chiudo con una provocazione: perché non cooperare affinché si rinomini il Palazzo Lombardia in Palazzo Italia e vedere finalmente le regioni italiane cooperare assieme, marcando stretto (con metafora calcistica) il palazzo Germania a soli pochi chilometri di distanza, nel quotidiano derby Europeo??

Costa poco, è fattibile e soprattutto si può fare subito.

“Ci vuol poco, che c’è vò??”.

Nel ringraziarla della attenzione, le auguro da Shanghai. il meglio da questo anno appena iniziato e mi rendo disponibile per qualsiasi ulteriore cooperazione che sia in grado di realizzare quello che in tanti, in Italia e all’estero, si auspicano da tempo: recuperare l’orgoglio di essere italiani!!!

Prima di salutarla le invio il “segreto” della Cina delle meraviglie (la crescita attuale) che inspiro quotidianamente:
“Non importa pensare i grandi cambiamenti, ma ricordarsi sempre che anche i piccoli passi, tutti nella stessa direzione, portano sempre da qualche parte. Solo dopo, si scopre di avere realizzato un grande cambiamento.”

Tradotto per la situazione italiana: forse in Italia stiamo pensano troppo senza fare realmente nulla.

Memori della nostra storia passata, mentre Roma discute (le questioni dei “bilancini” politici locali italiani cui fa cenno), Sagunto (il nostro Made in Italy in giro per il mondo) viene espugnata!!

Cordialmente
Alberto Fattori

lunedì 22 gennaio 2007

Fashion Made in Italy & China : inizia la caccia del “vero” mercato cinese?

Chiedendo ai cinesi il loro punto di vista sull’attivismo occidentale in materia di cooperazione e di creazione dei nuovi business con la Cina, dopo un beffardo sorrisino, ti può venire citato un detto cinese che dice: “esistano persone non in grado di comprendere nel suo complesso alcun problema che gli si presenta davanti, semplicemente perché sono come un cieco che cerca di immaginarsi come è fatto un elefante, tastandolo centimetro per centimetro”.

Ohibò, in un paese che è riuscito a fare arrivare nell’ultimo anno qualcosa come 54 Miliardi di dollari di investimenti stranieri (l’India solo 5 Mld!!!), appare quanto meno beffarda l’idea che tutti questi capitali non abbiano chiaro un loro perché.

Invece, sembra proprio che e la capacità di comprensione attuale degli occidentali sul tema Cina, sia pari al citato cieco. Volendo parafrasare il detto cinese, esso appare del tutto simile al nostro topolino alla ricerca del formaggio, nel famoso labirinto.

Non stupisce quindi che il Made in Italy, sul piano promozionale e nel suo diffondersi in Cina, soffra di questa pericolosa,oramai conclamata cecità, tutta occidentale.

Agli occhi cinesi, le azioni fino ad ora fatte dagli occidentali (istituzioni, associazioni ed imprenditori), appaiono tutti “tentativi di immaginare” come entrare in contatto con la realtà e le opportunità cinesi, per cercare di radicarsi nel crescente mercato interno.”.

Ma ahimè, la metafora del cieco appare centrata in pieno, fin ad ora dell’elefante, nessuna traccia!!.

Cercando un po’ di cambiare l’approccio fino ad ora seguito, in particolare nel mercato Fashion, il 18 e 19 gennaio a Shanghai, presso il Palazzo Lombardia di Pudong, si svolto MarediModa, mostra mercato del beachwear, underware e lingerie italiano in China.

Organizzata da MarediModa e IntimodiModa, parte del “Sistema Moda Italia”, questa originale formula itinerante è partita il 15 gennaio u.s. da HK e poi si è trasferita a Shanghai. L’obbiettivo è stato quello di mettere in diretto contatto il meglio del Made in Italy del tessile specializzato, con gli operatori cinesi.

Questo evento, è un chiaro primo passo per cercare di creare una discontinuità con le azioni fino ad ora realizzate dagli operatori del fashion italiano che normalmente agiscono solo su HK ritenendola a tutti gli effetti Cina.

Ad oggi le nostre griffe ed imprenditori di settore, ritengono possibile creare il mercato Cinese realizzando attività promozionali e di business su Hong Kong (investendovi anche molti capitali).
Ma la vera Cina non è Hong Konk. Per il crescente mercato interno cinese, la vera porta di ingresso è invece Shanghai. I Cinesi lo hanno detto a più riprese. Forse oltre che ciechi, siamo anche sordi!

Gli operatori italiani quindi, prima di agire, ed investire il proprio tempo e denaro, è il caso che tengano ben presente questa distinzione tra il ruolo REALE presente e futuro di Hong Kong (finanziario e fiscale una sorta di duty free) e quello di Shanghai (Business e guida del mercato interno cinese), distinzione che ai più non appare così evidente.

Banalmente Hong Kong è considerata dalle nostre griffe Cina a tutti gli effetti, tanto che sugli articoli di giornali italiani, le griffe annunciano il loro ingresso sul mercato cinese quando agiscono su Hong Kong.

Ma Hong Kong non è il mercato Cinese, ma solo uno strumento finanziario e fiscale alla pari delle isole caraibiche e altri paradisi fiscali. I cinesi non a caso vi hanno anche aperto DisneyWorld. Ricordiamoci dell’elefante!!.

Il fashion italiano, per entrare materialmente sul “vero” territorio cinese, deve agire direttamente in quello che i cinesi definiscono Mainland (Hong Kong non ne fa parte!!). Per fare ciò chi agisce da Hong Kong deve passare da un importatore cinese (chiamato erroneamente distributore!!), con evidente ricarico sui costi per i compratori finali cinesi.

Tutto questo crea problemi non di poco conto per permettere al Made in Italy una reale penetrazione sul mercato cinese a prezzi concorrenziali, con un passaggio di troppo del tutto inutile.

Pertanto, agire direttamente in Cina e sulla piazza di Shanghai, appare oramai tappa irrinunciabile affinché si possa realizzare una efficace distribuzione e penetrazione sul mercato interno cinese.

Maredimoda sembra aver capito tutto ciò e ha scelto Palazzo Lombardia di Shanghai come lo spazio logistico a Shanghai, di incontro con gli operatori cinesi, potendo nel contempo realizzare un evento innovativo che potesse andare oltre il semplice Business to Business o un semplice evento fieristico limitato nel tempo.

La poliedricità del Palazzo Lombardia, ha offerto infatti una significativa leva organizzativa con la quale è stato possibile creare sia gli show rooms delle aziende italiane espositrici, che mettere a disposizione anche la riconosciuta credibilità di Palazzo Lombardia, presso gli operatori cinesi.

Tutto ciò, ha consentito di dare inizio ad una azione che potrà proseguire anche dopo l’evento stesso di questi giorni, facendo leva sul Palazzo Lombardia, attivo tutti i giorni dell’anno e permettere di proseguire nel proporre il meglio della nostra creatività in tale settore agli operatori cinesi, quotidianamente.

E’ incredibile scoprire come l’Italia disponga di uno spazio per eventi fieristici e Business to Business come questo e che per logiche di campanile, non lo utilizzi come giusto che sia, tutti i giorni dell’anno.

Palazzo Lombardia, con la recente ristrutturazione, è ad oggi a tutti gli effetti equiparabile ad uno spazio espositivo permanente di vaste proporzioni e di ottima fattura, a disposizione delle imprese italiane. Ciò che più conta, tutto questo è a Shanghai, il vero crocevia degli affari cinesi che contano del presente e del prossimo futuro.

L’evento di MarediModa ha dimostrato tutte le potenzialità e la modularità di cui il palazzo dispone.

Ci si augura a questo punto che eventi di questo tipo, siano prodotti con maggiore frequenza di quella attuale dai diversi operatori italiani, anche da parte delle altre regioni italiane che onestamente ad oggi in Cina e Asia, non dispongono di alcuno spazio analogo per alcuna simile possibile azione promozionale.

Per capire come il campanilismo italiano sia il vero drive nelle scelte sul suolo cinese, basti pensare come l’ente Fiera Milano ad esempio, si ostini ad avere un semplice ufficio di rappresentanza, quando potrebbe da subito cooperare con il Palazzo Lombardia che oltretutto è già strettamente collegato allo stesso sistema lombardo.

Stesso discorso vale anche per gli altri enti fieristici italiani. Si preferisce competere (cannibalizzarsi) per cercare di organizzare questa o quella singola fiere ogni tanto durante l’anno, piuttosto che stabilmente avere un punto comune che attiri l’interesse degli operatori cinesi durante TUTTO l’anno!!

Quindi ora ci vuole un pelo di coraggio da parte dei nostri amministratori pubblici e privati: girate pagina, lasciate dietro di voi vecchie dicerie e stupide rivalità ed iniziate a cooperare veramente, replicando, ideando, progettando eventi di Business a tema e per mercati, in grado di veicolare con maggiore continuità il Made in Italy tutto l’anno!!.

Stesso discorso va fatto alle associazione e le federazioni d’impresa: ottimizzate i già pochi fondi di cui disponete, cercate di concentrarli nello sviluppo di iniziative e non per sostenere consulenti che “mangiano” sulle vostre missioni, utilizzando gli spazi che già ci sono, per non rischiare di venire schiacciati dal famoso elefante perché non avete visto che la zampa era sulla vostra testa!!.

venerdì 12 gennaio 2007

2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia…..Parte Terza:

Palazzo Lombardia di Pudong: il Palazzo della discordia italiaca
(pubblicato su affaritaliani - 11 gennaio 2007 e Corriere Asia - 12 gennaio 2007)

Quando si parla di Cina sulla questione del Palazzo Lombardia di Shanghai, si finisce nel grottesco.

Il Palazzo Lombardia di Shanghai a Pudong, con i suoi 10.000 mq. e i suoi 6 piani, rappresenta da 10 anni la più grande presenza italiana in tutta la Cina a supporto della imprenditoria italiana.

Nonostante ciò, ad oggi, il console italiano di Shanghai, non ha mai, nemmeno per sbaglio, fatto visita a questo spazio a disposizione delle imprese italiane.

Stesso discorso nei rapporti con ICE e Camere di Commercio italiane, spesso caratterizzati da una sotterranea conflittualità, su un piano più concorrenziale che di sinergia attorno ad una "causa comune".

"Troppo lontano dal centro", è la motivazione principale che viene mossa contro un efficace cooperazione con il Palazzo Lombardia.

Poi si scopre che a poca distanza, ci sia il ben più grande Palazzo Germania (!!!).

Non si capisce allora perché nella stessa zona, i tedeschi abbiano posizionato un palazzo dove tutte le istituzioni pubbliche e private, realmente collaborano tra loro, mentre la stessa cosa non sia realizzabile anche dagli italiani, attraverso una condivisione delle strutture esistenti, a partire proprio dal Palazzo Lombardia..

Ma qui a Shanghai e in Cina, il concetto di "Sistema Italia" si arena con il provincialismo italiano.
Infatti solo il fatto che sia connesso alla Regione Lombardia, rende la struttura fuori dal “range” di interesse delle altre regioni italiane. Inoltre sfruttando questa approccio e consigliate da “furbi” consulenti locali (italiani) le regioni continuano a spendere altri soldi (sprecati) per tentare di sviluppare proprie iniziative autonome.

Peccato che questi consulenti non spieghino fino in fondo ai propri referenti come ragionano o siano strutturate le procedure e le abitudini cinesi in materia di relazioni internazionali.

I Cinesi riconoscono solo la nazione in quanto tale e quindi il sistema economico connesso.

I localismi sono visti in forma assolutamente marginale e non potranno avere mai una prospettiva strategica. Questo spiega i rapporti in forte crescita a livello di Francesi, Tedeschi e UE, visti su un piano di alleanze strategiche, perché coinvolti ci sono pesantemente i governi centrali.

Invece la comunità italiana di Shanghai, come tradizione nei migliori “bar sport” di provincia, è tutta concentrata a parlare male del Palazzo Lombardia e passarsi leggende metropolitane spesso prive di alcun fondamento, invece di concentrarsi maggiormente su come favorire la nascita di un comune Palazzo Italia, necessario a tutti noi per cambiare il passo nelle cooperazione con i Cinesi.

Il Palazzo Lombardia, può rappresentare uno ottimo spazio, un punto di partenza per le cooperazioni, per iniziare a fare fronte comune nelle diverse attività e cercare di ottenere risultati ancora più significativi di quelli fino ad ora ottenuti, onestamente ben al di sotto del potenziale, contribuendo ad ottimizzare concretamente i costi complessivi a favore di tutti.

Detto ciò, mi immagino quanto potrà crescerà l'invidia (e l’ostracismo), ora che la Città di Shanghai ha riconosciuto a Mario Tschang il prestigioso Magnolia Award, primo italiano nella storia del premio, proprio quale ideatore e responsabile del Palazzo Lombardia!!.

Dopo questo premio, la comunità italiana a Shanghai dovrebbe però iniziare a porsi onestamente una domanda: non è che i cinesi abbiano voluto indicare, con questo gesto formale, mai casuale nelle mentalità cinese, guarda caso proprio nell’anno dell’Italia in Cina, la strada per una sempre e più proficua cooperazione tra Cinesi ed Italiani?

Speriamo che la sempre maggiore presenza di una “nuova generazione” di italiani, contribuisca a cambiare la situazione dei rapporti all'interno della comunità italiana che a parte qualche periodico buffet, è in perenne guerra civile in terra cinese.

L'anomalia delle multicamere di commercio, l'azione di contrasto al Palazzo Lombardia, le missioni delle diverse regioni realizzate in maniera autonoma, la sproporzione tra consulenti (troppi) e clienti da consulenziare (pochi), la moltitudine di personaggi senza arte ne parte presenti nel sottobosco locale, così come le tante altre azioni del quotidiano, sono la prova che tra le nostre priorità non ci sia quella di presentarci uniti rispetto ai cinesi, ma continuare ad esportare gli interessi di campanile, il nostro individualismo, cercare di continuare a tirare a campare.

Così la sconfitta e la nostra marginalizzazione come Italiani dalle future questioni che contano, sarà una triste certezza nei nostri rapporti con la Cina e l’Asia in genere.

Il potere negoziale del nostro Sistema, risulta ad oggi decisamente compromesso, favorendo una sostanziale svendita della identità italiana e dei valori connessi (Made in Italy, creatività, innovazione..), indubbie qualità che potrebbero ottenere molto di più da un più convinto gioco di squadra, ben diverso dalle attuali "vuote" parole di collaborazione dette a "denti stretti"!!!

E’ arrivato il 2007: “Good Morning Italia”.

Ps. da Shanghai da tenere bene a mente: L’Italia non deve fidarsi dei cugini Francesi, Tedeschi e Inglesi e degli USA. Anche se oggi siamo tutti assieme nella UE e se nel dopo guerra gli USA ci hanno aiutato a crescere, gli scenari complessivi sono totalmente cambiati. Oggi, nella sostanza queste nazioni stanno correndo da sole la partita verso il proprio futuro e non hanno minimamente a cuore quello dell’Italia che anzi è vista come un pericoloso concorrente da sconfiggere (turismo, vino, cibo, fashion, lusso ….).
La prima parte de "2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia" intitolato "Il fai da te .... regionale" è stata pubblicata l' 8 gennaio 2007.

mercoledì 10 gennaio 2007

2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia…..Parte seconda:

Cacciatori d'Oro
(pubblicato su affaritaliani - 9 gennaio 2007)

Gli italiani presenti in Cina sembrano più cacciatori d'oro, alla ricerca del filone fortunato, come ai tempi dell'Eldorado americano, piuttosto che soggetti facenti parte di un Sistema industriale e nazionale, quale dovrebbe essere quello Italiano. Proprio come all’epoca dei “cacciatori d'oro” ben presto si rendono però conto che l'oro non c'è, ritrovandosi così a dover sbarcare il lunario, nel tentativo di sopravvivere.

Ecco allora spiegata la totale assenza di circolazione di informazioni di qualsiasi tipo. E’ infatti quindi frequente vedere degli imprenditori “vagare”alla ricerca di questa o quella informazione, in un triste “porta a porta” ben poco edificante. Poi ci si stupisce che tornino in Italia, convinti che la Cina sia un territorio ostile, oscuro e pericoloso!!.

La situazione Cinese, vista da questa parte, è fatta infatti di ragazzi troppo giovani e senza alcuna esperienza e reale competenza (i nostri managers!!), mandati dall'Italia allo sbaraglio in prima linea, con stipendi da fame. Cosa si pretende da loro, che pensino di lavorare per il bene dell'Italia??

Tutt'altro, questi giovani sono proprio i primi a comprendere che qualcosa non funziona nelle promesse fatte loro prima di partire (l’Eldorado). Il risultato è che a persone con il quotidiano problema della sopravvivenza, rimane quindi ben poco tempo (e voglia) per qualsiasi forma di cooperazione che anzi rischia di portare via tempo utile per altre azioni o al puro divertimento, che diventa una sorta di “oppio” in grado di addolcire le difficoltà quotidiane.

L'interesse individuale in Cina, viene quindi prima di quello nazionale e del gruppo (sistema).

Ma soprattutto è assente nella comunità italiana il concetto di Investimento. Siamo probabilmente l’unica nazione al mondo che pretende di realizzare grandi iniziative in Cina a “costo zero”!!!,.

Questo approccio è molto italiano, nel senso che in Italia l’assenza di investimenti è all'ordine del giorno (assenza di investimenti) con il risultato che l'Italia è un paese di Piccole e Microimprese con grandi problemi per continuare a competere. La causa è da ricercarsi proprio nella scarsa attitudine dell'imprenditore italiano a collaborare ed ad investire nella innovazione e nello sviluppo.

Fuori dall'Italia questo approccio provoca risultati a dir poco terrificanti, al punto che la competizione all'interno della comunità italiana è all'ordine del giorno, ma ahimè sembra più una guerra tra “poveri” che una corsa verso una nuova eccellenza!!

Per amor del cielo, ognuno è libero di essere quello che vuole, ma provate a vedere come agiscono gli americani, i francesi o i tedeschi, o i “piccoli” finlandesi quando si parla di interessi nazionali!!!

Sul piano istituzionale le cose vanno anche peggio.

Il nostro paese possiede il suo Eldorado nel turismo. Si auspica con favore un significativo incremento del numero dei turisti cinesi verso l’Italia, stimato in alcune decine di milioni dei nuovi ricchi cinesi.

Poco importa però se:
-> le nostre regole per il rilascio dei visti per venire in Italia sono le più restrittive di tutta la UE, pertanto risulta molto più semplice andare in Francia o Germania;
-> dato che i soldi sono finiti, il consolato italiano subappalterà ad una società asiatica, la gestione di questa fondamentale porta di ingresso verso l’Italia!!!

La prima parte de "2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia" intitolato "Il fai da te .... regionale" è stata pubblicata l' 8 gennaio 2007.

La terza parte de "2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia" intitolato "Palazzo Lombardia di Pudong: il palazzo della discordia italica" è stata pubblicata - 11 gennaio 2007

martedì 9 gennaio 2007

2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia…..Parte prima:

Il fai da tè… regionale
(pubblicato su affaritaliani - 8 gennaio 2007)

Giorni fa Severgnini, sul Corriere della Sera, parlava di "disertori", relativamente alla scarsa propensione degli italiani ad augurare "Buon Natale" nelle email, quasi la cosa risultasse ormai fuori moda.

Caro Severgnini, se parliamo di "Sistema Italia" e Cina altro che "disertori", in questo caso si può parlare proprio di "traditori".

Come da programma, il 2006 era l'anno dell'Italia in Cina. Ancora una volta, siamo riusciti a dimostrare di che “pasta” siamo fatti, trasformando questa fantastica opportunità, in una incredibile “occasione mancata”.

Per preparare un evento del genere, chiunque penserebbe che il Governo abbia riunito, le migliori menti nazionali dei diversi settori, tutte assieme concentrate sul come mostrare in maniera unitaria i “valori e le leve Italiane” e stupire i cinesi.

Bene, l'anno “dell'Italia in Cina” si è invece trasformato in terreno di competizione tra le diverse Regioni italiane, assolutamente non interessate a collaborare collegialmente tra loro, con il Governo sostanzialmente alla “finestra”.

Come risultato sono stati organizzati eventi di carattere prettamente regionale, al punto che alcune fiere di settore, sponsorizzate dalla regione di turno, avevano presenti aziende provenienti solo dalle regioni sponsors.

A complicare le cose ci si è messo lo stesso Governo italiano, con la sua improvvisata spedizione di settembre, apertamente disconosciuta dalle principali regioni italiane, che temevano di vedersi sottrarre il centro del palcoscenico agli occhi dei cinesi, visti i cospicui investimenti da loro fatti.

Alla faccia del Sistema Italia!!!

Sorge però un dubbio: non è che sia un errore dei vocabolari e che in realtà il significato della parola "Sistema" sia un altro? Tutto ciò spiegherebbe infatti quanto accaduto e stia accadendo in Cina.

L'anno dell'Italia in Cina verrà anche ricordato per i Milioni di euro fantasma che il Governo avrebbe investito nell’evento (4??, 16?? 45??), soldi che nessuno sa se siano mai realmente esistiti, come invece indicato dagli organi di stampa nazionale.

Qua in Cina, sembra proprio che quei soldi non siano mai arrivati, dato che tutti gli interlocutori istituzionali, per tutto il 2006, hanno “pianto miseria”. Per contro qualche sospetto (siamo italiani!!) ci viene, vedendo nascere contemporaneamente sul tema, una associazione riconducibile direttamente ad uno dei ministri del passato governo. Alla faccia del conflitto di interessi!!!

Quindi non bastavano le 2 camere di commercio con la Cina, caso unico al mondo, dove addirittura una di esse nemmeno ha propri uffici in Cina (vedere per credere: http://www.cameraitacina.com/, http://www.china-italy.com/ )!!!

Con l’occasione, abbiamo provveduto a moltiplicare gli interlocutori coinvolti nella questione, in modo da favorire questo o quell'interesse privato, dando così ai cinesi definitivamente la prova di quello che definiscono: l’"inaffidabilità" italiana.

Fantastico, gran bel risultato!!!. Forse era meglio non far nulla, ci costava anche molto meno, anche la faccia ha il suo valore.

Ma ahimè, l'anno dell’Italia in Cina è solo la punta dell’iceberg del reale stato delle attività italiane in Cina, sia a livello istituzionale che imprenditoriale.

Mentre i nostri cugini francesi o tedeschi hanno concentrato tutte le loro attenzioni sulle attività di cooperazione di business, attraverso operazioni concertate tra le diverse organizzazioni ed imprese presenti sul territorio, noi con un approccio molto provinciale, abbiamo provveduto ad esportare il nostro modo di fare affari: il fare da sè.

Da queste parti quindi poco importa lavorare per la causa italiana. Qua è forte il senso di lontananza non sul piano fisico con l’Italia, ma proprio dal senso di una vera e comune identità nazionale.

Ognuno qui agisce in nome solo dei propri interessi, la cooperazione è un fatto secondario, addirittura considerato pericoloso e guardato con diffidenza.

Forse, caro Severgnini, di questi tempi appare fuori moda l’essere italiani, non in quanto italiani ma in quanto nazione italiana. Ci piace affermare la nostra italianità a tavola, con gli amici e con le ragazze, quando vinciamo i campionati del mondo di calcio, poi quando si tratta di fare affari, beh E’ tutto un altro discorso.

Bene, forse un po’ di sano Nazionalismo dovremmo recuperarlo anche noi, visto che senza una chiara identità e una chiara proposta, non ci sarà dato alcuno spazio in un mondo che proprio a partire dai diversi nazionalismi (Cina, Usa, Francia, Germania, UK, …) sta creando i nuovi equilibri mondiali futuri.

La seconda parte de "2007 Cina- Lo Strano caso del Sistema Italia" intitolato "Cacciatori d'oro" è stata pubblicata l' 8 gennaio 2007.

sabato 23 dicembre 2006

Lettera a Babbo Natale dalla Cina



Il Natale 2006 è arrivato e caro Babbo Natale, in Cina, in una città come Shanghai, tanto è l’impegno profuso dai cinesi attorno all’evento, che quasi non ti accorgi di essere a 12.000 Km da casa, se non fosse per tutti questi occhi a mandorla!!

Il Natale in Cina è tutto illuminato, sia in onore al nuovo capitalismo filo-occidentale, ma soprattutto, per il coerente uso maniacale delle luci. Che poi la Cina sia la patria dei fuochi artificiali non si stenta a capirlo: infatti basta la semplice apertura di un negozio o un qualsiasi momento celebrativo anche privato, perchè la festa abbia inizio.

Bene in questo contesto natalizio, osservare l’Italia da qua, è un po’ come vedere la terra dallo spazio. Tutto è ovattato e così diverso, oltretutto le problematiche italiane hanno qua in Cina un peso specifico molto differente. fa quindi una strana impressione comprendere i nostri personaggi pubblici, quelli importanti o potenti, o i nostri scandali politici ed economici, qua nemmeno sanno chi e cosa siano e come mai potranno esercitare per il cinese medio, un minimo interesse.

Qua di potenti italiani ci sono solo i nostri calciatori e il pilota (poco importa se tedesco) della Ferrari. Dell’Italia, hanno chiaro infatti solo che abbiamo vinto gli ultimi campionati del mondo di calcio, la prima cosa che ti ricordano negli incontri, sorridendo, per rompere il ghiaccio.

Per il resto, siamo nella mente dei cinesi solo una idea, nemmeno tanto chiara sul dove sia posizionata nelle cartine geografiche.

Infatti la domanda più difficile da fare ad un cinese è: sai dove è l’Italia??

Per i cinesi, sembriamo molto “l’isola che non c’è” di Peter Pan, sognata, immaginata ma non reale e concreta.

Eppure noi italiani siamo presenti profondamente nella storia cinese, più di quanto immaginiamo noi stessi. In Cina venerano infatti un italiano di nome Ricci, che in Italia non sappiamo nemmeno chi sia.

Questo uomo che tutti i libri di storia cinese citano, ha avuto un impatto maggiore del ben più famoso Marco Polo, che i cinesi considerano solo un abile commerciante.
Ricci ha avuto il grande merito di avere disegnato, quasi in una visione preveggente del futuro, la prima mappa della Cina, dove la Cina sta nel mezzo, rispetto a tutti gli altri paesi.

Da qua il nome stesso della Cina, in Cinese: Zhong Guo“la terra di mezzo”.

Quindi, vista da qua, l’Italia e ogni informazione ricevuta è analizzabile con occhi diversi, comunque attenti, ma da una prospettiva diversa: l’occhio del viaggiatore coinvolto ma che riesce ad astrarsi da ciò che vede e dai suoi condizionamenti.

Da questo osservatorio privilegiato, quale è la Cina, ricco di stimoli e di spunti sul come guardare e costruire il futuro di una nazione, da questo spazio si rimane sconcertati dalle informazioni che quotidianamente giungono dall’Italia.

Fosse una telenovela, si dovrebbero fare i complimenti agli autori dall’incredibile fantasia, capaci di creare un genere (il gossip – poli-economico) che potrà essere valido per parecchi anni a venire, in un vero sequel di successo, che tra scandali e scandaletti, intercettazioni e ricatti sessuali, ha ben poco da invidiare ai famosi Dallas e Dynasty americani.

Peccato che tutto sia terribilmente e tristemente reale, a tal punto che i numeri, le statistiche ufficiali, confermano che tutto ciò non sia solo nella testa di alcuni irriverenti autori televisivi.

L’Italia non esiste più, si sta sfaldando come un ghiacciaio per colpa dell’effetto serra che la circonda (la globalizzazione) e ciò che è peggio, non ha i numeri per reggere le prossime sfide che oltre tutto dimostra di aver ancora visto arrivare, tutte minacciosamente oltre l’orizzonte, provenienti da est.

A parte il famoso record mondiale in tema di debiti pubblici, un pil che asfittico è definirlo in termini ottimistici, una classe dirigente e politica ormai ridotta a “pagliaccio” quotidiano, i veri numeri che preoccupano, sono contenuti nel recente rapporto Censis sulle professioni.

Mentre tutto il resto del mondo fa la corsa per qualificarsi e formarsi, Cina in primis, con l’inserimento nel suo piano quinquennale, al primo punto, la qualificazione e la formazione a tutti i livelli, agricoltori compresi, l’Italia sta facendo invece un percorso esattamente opposto, di de-qualificazione a tutti i livelli.

Evidentemente l’Italiano medio, troppo impegnato a guardare l’appassionante telenovela “Italia”, non scommette più su una propria qualificazione e formazione, tanto che oramai siamo diventati un popolo di operai specializzati o di professioni non qualificate (il 37.7%).

Quindi l’Italia che dovrebbe competere con le potenze economiche future e conquistarsi una ritrovata competitività, è sempre più un paese di muratori, carpentieri, ponteggiatori (+ 80 mila), collaboratori domestici, addetti alle pulizie, spazzini (+64 mila) e di impiegati amministrativi e contabili (+35mila), di guidatori di autobus, taxi, camionisti e fattorini.

Un ulteriore segno dei tempi e segnale che le multinazionali noi non le abbiamo più da tempo, è il dato sull’arretramento del numero degli amministratori di grandi aziende private (-11,5%).

Ma il dato più incredibile, in reale controtendenza con tutto il mondo in rapida evoluzione, che conferma la premessa di una generale de-qualificazione, è l’abbattimento del corpo insegnante per le scuole materne ed elementari e dei tutor professionali (-22 mila).

Quindi l’Italia ha abbandonato l’idea di formarsi per quella più concreta, tipica dei momenti di crisi, del far da sè, del sopravvivere, spostandosi lentamente ma inevitabilmente verso una sempre minore professionalità diffusa.

Ma non si era detto che l’Italia doveva essere centro creativo e di innovazione da esportare per il mondo?

Lo specchio dei dati del Censis dice ben altro e sicuramente questo è frutto anche dell’incredibile stato di degrado che le nostre Università stanno attraversando, dove la conoscenza non vi risiede, come negli altri stati del mondo, ma viene “spacciata” come elemento di potere.

Forse tutto ciò è legato al fatto, che non essendoci ricambio generazionale a tutti i livelli, avendo un gruppo di governanti tra i più anziani al mondo, i giovani sfiduciati, preferiscono sbarcare il lunario altrove, magari in una condizione più modesta, per provare a continuare ad andare avanti?

Forse perché l’Italia non ha più punti di riferimento economici come lo erano le grandi multinazionali americane del dopo guerra (ora tutte in Cina) che facevano la fortuna di intere comunità locali e investivano nella formazione e una sempre maggiore conoscenza diffusa?

Forse perché gli imprenditori italiani, sempre per raggiunti limiti d’età, preferiscono gestire i propri patrimoni, piuttosto che rinvestirli in esperienze formative ed innovative, in nuove sfide per il futuro?
Forse perché esempi imprenditoriali come quelli di Olivetti, sono da considerarsi ormai legati solo al nostro passato industriale Italiano o che ci vuole troppo “fegato” per provare a crearne di nuovi?

Chissà quale sia la ragione, sicuramente da noi però, come evidenzia il Censis, esiste una categoria professionale meglio pagata di tutte le altre: il calciatore.

Beh è coerente, se si investe nella formazione si raccoglie, visto che alla fine abbiamo vinto i campionati del mondo che hanno reso l’Italia famosa in tutto il pianeta, anche il pallone d’oro e quello della FIFA!!.

Bene, questo è l’immagine dell’Italia vista dalla Cina, una nazione totalmente allo sbando.

Ma la cosa più preoccupante è che apparentemente sembra senza gli strumenti (e morale) adatti per cercare qualunque tipo di recupero nel medio e lungo periodo.

Occorre che qualcuno, caro Babbo Natale, decida finalmente di spegnere la Televisione, di provare a interrompere la telenovela in programmazione, inizi a concentrare tutti solo sulle cose che sappiamo o che potremmo fare sempre meglio, guardando per una volta il mondo attorno a noi che cambia alla velocità della luce, dimenticandoci per una volta, di Macchiavelli e dei suoi insegnamenti, nel poco edificante e autolesionista attuale “gioco delle sedie”, prima che non si trasformi nell’altrettanto famoso, “un due tre, tutti giù per terra!!!”.

lunedì 18 dicembre 2006

Mario Tschang: primo italiano insignito del Premio Magnolia dalla Città di Shanghai



La gratitudine Cinese è proverbiale, mai casuale, sempre connessa a contributi e relazioni reali e spesso profonde. Da queste parti si chiama Guanxi (Amicizia).
La città di Shanghai, la prima volta per un italiano, ha ritenuto di accordare questo onore del Guanxi da parte della città a Mario Tschang, presidente della Agenzia per la Cina che Yi Bu Yi Bu è stato l'arteficie della ideazione / creazione, dal nulla, del Palazzo Lombardia a Pudong- Shanghai.

A Mario Tshang è stato infatti assegnato il Premio Magnolia, dopo che su 40.000 aziende straniere in Cina, sono stati selezionati 100 potenziali vincitori; di questi solo 10 sono stati insigniti del prestigioso Magnolia Silver Award.

Tra questi 10, per la prima volta, vi è un cittadino italiano.
Il Premio Magnolia è assegnato ogni anno a stranieri domiciliati a Shanghai che si sono distinti per aver contribuito notevolmente allo sviluppo economico, sociale e culturale della città, per aver concorso alla costituzione di rapporti di amicizia con paesi stranieri o che hanno partecipato all’implementazione di progetti pubblici a Shanghai e avanzato iniziative costruttive per lo sviluppo della città.
Complimenti Mario!!!

CINA 2007: Macchine indietro tutta!!

La Cina teme la Cina!! La cosa è apparsa evidente negli interventi dei massimi esponenti del governo cinese nell’ultimo China's 2006 Central Economic Work Conference, tenutosi ieri a Beijing, ovvero il momento di consuntivo e pianificazione governativo di fine anno.

Dalle analisi degli esperti governativi illustrate ieri alle massime autorità cinesi presenti, appare evidente come l' attuale crescita impetuosa stia creando scompensi e squilibri a cui occorre rapidamente porvi rimedio.

Ad esempio, l’eccessiva liquidità connessa con il perseverante boom delle esportazioni, che solo negli ultimi 10 mesi ha generato un surplus di 133,60 miliardi di dollari, sta creando non poche tensioni sullo Yuan, portando le riserva monetarie in valuta estera al livello record di un Trilione di dollari!!.

E’ evidente come il governo cinese sia molto preoccupato di dover intervenire attraverso una rivalutazione della propria moneta, una azione che rischia di accentuare gli squilibri tra città e aree rurali, tra cinesi ricchi e poveri, visto che il livello relativamente basso attualmente attribuito allo Yuan, favorisce una stabilità interna e conseguentemente il mantenimento degli attuali livelli di crescita, in una sostanziale bilanciamento generale.

Ora però la parola d’ordine data dai vertici cinesi è: rallentare.

Portare la crescita del prodotto interno lordo del 2007 attorno all’8 % dall’attuale 10,5 %, come previsto per la fine del 2006.

Sconsolati, i vertici cinesi stanno però comprendendo appieno come la locomotiva stia andando oltre ogni previsione, in una sorta di autonoma deriva di difficile gestione. Evidenziano quindi come fortunatamente, già l’anno scorso, avessero fissato nel 8% la crescita del PIL nel 2006, altrimenti, rilevano, oggi la crescita sarebbe ben oltre il 12%!!!

Per cui sono coscienti che, fissare oggi all’8% l’obbiettivo di crescita del PIL cinese per il 2007, significa alla fine cercare solo di stabilizzare l’attuale 10%, cercando nel frattempo di rallentare e qualificare l’intero sistema produttivo nazionale.

Quindi è stato deciso che sia prioritario concentrare la crescita cinese in direzioni ben precise, tali da compensare gli squilibri connessi, quali il crescente consumo energetico e un sempre maggiore deterioramento ambientale, così come evitare lo scollamento in corso tra est (ricco) e ovest (povero).

Per evitare che la Cina continui la sua corsa a due velocità, ora i governanti intendono concentrarla maggiormente sugli aspetti qualitativi più che su quelli quantitativi che hanno caratterizzato gli anni scorsi, favorendo il recupero delle aree rurali, rimaste indietro in questo frangente storico, attraverso tutta una serie di azioni ad hoc.

La più importante e tangibile azione è stata quella di concentrare nella città di Chengdu, nell’ovest della Cina confinante con il Tibet, l’azione di innovazione tecnologica del paese, tanto da spingersi a definirla come la “Silicon Valley cinese”.
Questa area, posta in un triangolo virtuale comprendente il potere economico di Shanghai e quello politico di Beijing, ha già attratto investimenti importanti da parte di aziende leaders a livello mondiale, quali ad esempio la Intel e intende essere l’area di propulsione dello sviluppo di tutto l’Ovest cinese.

Strategico per i cinesi risultano quindi due macro-azioni tra loro connesse: recuperare la “sacca di povertà ad ovest” e favorire contemporaneamente la crescita complessiva del mercato interno, ora sostanzialmente assente, fondamentale per compensare la continua pressione sulla economia nazionale, generata dalle enormi esportazioni cinesi.

Occorre sottolineare che quando i cinesi parlano di crescita qualitativa, i vertici governativi intendano azioni ben precise, quali una sostanziale innovazione di tutto il sistema industriale, oggi ritenuto obsoleto per competere con le economie occidentali, attraverso l’introduzione ed invenzione di nuove tecnologie, soprattutto a favore delle aree rurali, la vera chiave per il futuro cinese.
La Cina quindi, non intende più essere considerata la “fabbrica del mondo”, l’area di delocalizzazione produttiva a basso costo a disposizione delle economie mondiali, ma diventare essa stessa area di ricerca e sviluppo ed esportazione della propria conoscenza e tecnologia.

Grande enfasi è stata quindi posta sulla necessità di far crescere gli investimenti all’estero da parte delle imprese cinesi, oltre gli attuali 12,3 Miliardi di dollari, lanciando un nuovo motto per tutto il sistema industriale cinese: “diventare globali”.

Coerentemente al nuovo ruolo che la Cina intende crearsi nel futuro tecnologico mondiale, sono i recenti annunci relativi al rilascio da parte dei cinesi di propri standards per i mercati delle Telecomunicazioni e Media, come nel caso della futura rete 3G nazionale o come per quanto riguarda la nuova Televisione digitale interattiva e terrestre.

Non meno ambiziosi sono poi gli studi e le sperimentazioni recentemente pubblicizzate relativamente alla creazione di una nuova rete internet totalmente progettata e basata su tecnologie cinesi, prodotte dalle principali università nazionali.

Il progetto intende andare oltre il progetto della Internet2 occidentale, attualmente in corso e attualmente solo a livello accademico negli USA e UE, introducendo molte novità sulla gestione degli indirizzi IP, oramai paragonabili nella futura società dell’informazione, a risorse naturali quali l’acqua e il petrolio.

Complessivamente questo stato dell’arte sulla economia cinese e le decisioni prese dal governo per il prossimo futuro, rappresentano per l’Italia un ottima notizia e una grande opportunità.

Infatti per prima cosa è il chiaro segnale che il mercato interno cinese potrà diventare veramente una opportunità più concreta di quella attuale, oggi più assomigliante ad una “grande muraglia” impenetrabile che ad una “prateria” di opportunità.

Secondariamente, i cinesi necessitano più di prima, di qualificare la propria industria e quindi sono decisi ad investire e sostenere progetti di innovazione tali da permettere un deciso balzo in avanti delle competenze interne.

Necessitano quindi di partners in grado di cooperare per sostenere questo cambiamento di pelle tecnologico che la Cina, come una farfalla, si appresta a realizzare a partire dal 2007.

Terza opportunità è infine legata al fatto che la Cina si appresta a diventare un investitore a livello mondiale e realizzare il proprio sviluppo anche al di fuori dei propri confini, esportando capitali, imprenditori e conoscenze.

Il sistema imprenditoriale italiano, ora con l’acqua alla gola, può quindi cercare nella imprenditoria cinese quell’alleato interessato ad una mutua cooperazione, basata sulla condivisione di un obbiettivo comune: lo sviluppo di nuove realtà in grado di competere sui mercati mondiali.

Quindi ora in Cina c’è spazio per una seconda generazione di imprenditori internazionali, italiani compresi. Imprenditori che intendano costruire il proprio futuro a partire dalla Cina e non vedano la Cina come uno dei mercati dove svilupparsi.

La Cina si appresta a diventare IL MERCATO e quindi necessita da parte degli imprenditori di una adeguata attenzione, concentrazione e focalizzazione.

Oggi la situazione italiana è ben diversa e i reali scarsi risultati relativi alla nostra presenza in Cina sono lì a dimostrarlo.

L’Italia possiede però una tradizione imprenditoriale unica al mondo.

Occorre ora ridarle rinnovato splendore intercettando le necessità della Cina attuale e futura, motore della economia mondiale, possibile motore per il rilancio economico italiano.

11 Dicembre 2001 ingresso della CINA nel WTO: giorno dell’Apocalisse economica ad ovest

Il 2001 è stato un anno cruciale e di svolta che ha cambiato profondamente il mondo intero.

Due i momenti storici che segneranno per sempre la storia della umanità accaduti in quell’anno: l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre e l’ingresso nella WTO da parte della Cina, l’11 Dicembre del 2001.

A parte la curiosa coincidenza nelle due date, questi due eventi di fatto hanno contribuito sicuramente a cambiare per sempre il mondo intero, un vento di cambiamento proveniente da est che ha avuto nella icona di Bin Laden e negli occhi a mandorla dei cinesi, i suoi principali protagonisti.

Gli effetti provocati da questi avvenimenti sono totalmente diversi, in antitesi, a seconda che siano osservati da ovest o da est.

Nei paesi occidentali, a partire dal 2001, è esplosa una crisi economica senza precedenti, connessa alla esplosione anche delle varie bolle finanziarie, tra cui anche quella della New Economy, dando origine ad un recessione generalizzata, ancora oggi ben lungi dall’essere risolta. Ad occidente, come prima reazione si cercò un capro espiatorio, trovandolo nel terrorismo internazionale.

Questo approccio, condizionato dalla sempre presente necessità americana di cercare di continuare a mantenere elevati i flussi dei capitali verso gli USA, strettamente legati alla rendita petrolifera e alla vendita degli armamenti, ha però impedito di fatto all’occidente, Europa per prima, di analizzare e comprendere a fondo le reali dinamiche connesse alla crisi sopraggiunta.

Queste hanno radici ben più profonde di quelle riconducibili banalmente ad effetti legati al terrorismo internazionale, che oggettivamente ha avuto come unica reale tangibile conseguenza, quella di contribuire a creare una nuova economia legata alla sicurezza.

Questa miopia “indotta”, in tutto l’occidente ha aperto invece le porte ad un periodo “grigio”, una sorta di medioevo occidentale e di caccia alle streghe, pieno di fantasmi (Bin Laden il più gettonato) vissuto nel concreto terrore di vedere annientato il livello di benessere fino ad allora raggiunto.

Ben diversa la posizione ad est ed in Cina in particolare. Il 2001 rappresenta l’inizio di un vero e proprio rinascimento economico e culturale che pone pochi limiti agli obbiettivi raggiungili nel futuro, ricco invece di stimolanti sfide globali, tutte al positivo, non ultima quella sportiva che culminerà con le Olimpiadi del 2008 (assegnate alla Cina nel 2001!!) e l’expo del 2010 di Shanghai.

Volendo parafrasare quanto accaduto in termini sportivi, l’est nel 2001 ha iniziato il sorpasso e noi occidentali, come molti campioni alla fine della propria carriera, totalmente sorpresi, impreparati ed invecchiati, abbiamo attribuito l’accaduto ad attenuanti e congetture di tutti i tipi: ambientali, scarsa concentrazione, la sorte etc…

Ma i numeri parlano chiaro. Dal 2001, anno dell’ingresso della Cina nel WTO, mentre la Cina raddoppiava la propria quota sul mercato globale, passando dal precedente 3,9% all’attuale 7,7%, come oggi dichiarato dal Ministro del Commercio Cinese Bo Xilai, oltre a riuscire a mantenere una crescita del PIL annuo mediamente superiore al 9%, il resto delle economie occidentali retrocedevano la propria quota di mercato in maniera continua ed inesorabile.

Nel contempo dal 2001, la qualità delle esportazioni cinesi è decisamente cresciuta, tanto che i prodotti dell’elettronica sono passati al 56% sul totale dell’esportato cinese, quelli Hi-tech al 28% e in generale, gli assemblati ora rappresentano il 94% del totale delle esportazioni cinesi.

Nello stesso periodo, nei paesi occidentali ed in particolare in Europa, crescite annuali nell’ordine del 2% del PIL sono tuttora considerabili miracolose. A ciò, va aggiunto come la recessione interna nei diversi paesi, unita ai conflitti e stalli tra i diversi partners delle UE, su quale strategia utilizzare per tentare di reagire alla crisi, ha provocato effetti devastanti: ora tutto è fermo.

Proprio come il Titanic, l’occidente nel 2001 si è imbattuto nell’iceberg della Cina ma chissà per quali strana ragione, il comandante era convinto che l’affondamento fosse legato ad un attacco militare da parte di un certo Bin Laden, tuttora impegnato da qualche parte della nave a procurare qualche altra falla nello scafo e che andava a tutti i costi fermato.

La confusione da allora è ancora tanta. Ancora non si sono comprese ed analizzate a fondo le vere ragioni per cui “l’inaffondabile” economia occidentale, nella incredulità generale, ora stia proprio affondando.

Sorge a questo punto una domanda: non è che l’occidente sia caduto nella trappola preparata ad est affinché tutto contribuisse ad un cambiamento generalizzato, una autentica rivoluzione planetaria?

Infatti è chiaro che dal 2001 le cose sono veramente cambiate sotto molti aspetti, rendendo possibili eventi prima impensabili, come quella de vedere l’Africa cominciare a marciare con le proprie gambe, assegnare il Premio Nobel al fondatore della Banca specializzata nel microcredito, negazione delle basi stesse del sistema bancario tradizionale, o che le economie in via di sviluppo, come lo era anche la Cina, saranno i leaders della economia mondiale futura.

Il terrorismo uccide molto meno dell’AIDS, della fame e della sete mondiale. Però l’ovest ha compiuto il terribile errore di ergere una muraglia per difendersi dal terrorismo, lasciando ai “barbari” venuti dall’est, ampi spazi di manovra, fino ad allora impensabili.

Ora gli effetti di una scelta come quella fatta dall’occidente nel 2001, sono sotto gli occhi di tutti, tanto che gli USA, per uscire dalla palude Afghana ed Irachena sotto la pressione della opinione pubblica, dovrà accettare, a denti stretti, l’aiuto di un nemico giurato, quale è l’Iran attuale.

Forse è proprio vero che il nuovo millennio iniziava con il 2001 che probabilmente verrà ricordato nel futuro, come l’anno “dell’apocalisse economica occidentale” e l’inizio della nuova alba ad est, così come l’11 Dicembre 2001, sarà ricordata come la tappa fondamentale affinché tutto ciò accadesse.

Ma nonostante tutto, ad ovest si continua a dormire sonni tranquilli (non siamo forse inaffondabili??), sonni che assomigliano però sempre più ad un incubo, dal quale abbiamo paura di svegliarci.

La situazione necessita un cambiamento di rotta ed in fretta, per affrontare adeguatamente la realtà, prima che questa ci sommerga del tutto.

Agroalimentare/ Flop delle fiere italiane in Cina. Servono nuove strategie

(pubblicato su Affari Italiani il 8 Dicembre 2006 e su Agenzia per la Cina)
Dal 23 al 25 Novembre scorso, a Shanghai si è tenuta l’8° edizione del Vinitaly – Cibus, manifestazione presentata come la più grande fiera Italiana sul tema in Cina.

Come è andata? Un totale fallimento.

In uno paese dove le fiere si pesano per le migliaia operatori presenti a ciascuna di esse, il Vinitaly di Shanghai potrà essere ricordata per la sostanziale assenza degli operatori di settore e dei responsabili dei ristoranti o wine-shop cinesi, non certo compensabili dalla presenza di alcuni intenditori cinesi a caccia del vino pregiato o dai gruppi di semplici curiosi, in veste del tutto personale e a scrocco (abitudine molto cinese in tema culinario!!), che passavano da un assaggio all’altro nei diversi stands.

Presenze ridotte a poche centinaia di persone in tutto, ben poca cosa per una fiera che intendeva essere la punta di diamante per penetrare il mercato cinese fatto da 1 miliardo 300 milioni di persone!!!.

Le ragioni di questo ulteriore passo falso della nostra diplomazia commerciale sono da ricercarsi nel perseverare negli errori di base, nel continuare ad organizzare fiere di questo tipo, che anche se organizzate per i prossimi 100 anni, continueranno ad avere lo scarso riscontro attuale sia in termini di visibilità che di ricadute commerciali.

Chi ha organizzato Vinitaly si comporta come se il mercato cinese fosse come gli altri mercati, dove la cultura del vino è comunque da tempo presente e radicata (Giappone e Corea ad esempio).

La Cina non ha una reale cultura in tal senso e va educata dalla base, ma per farlo non basta un evento espositivo.

Servono tutta una serie di eventi sul territorio per portare il piacere del gusto, del bere il vino italiano, direttamente nelle case dei cinesi e non sperare, come ora, che i cinesi vengano a cercare il gusto e il vino italiano.

Qui emerge tutta la fragilità della nostra diplomazia commerciale, incapace di andare oltre eventi spot e di facciata, senza poi dare seguito ad essi nei mesi successivi con azioni tangibili sul piano commerciale e di business.

La buona volontà NON basta, occorrono capitali economici ed umani per entrare in contatto con i cinesi quotidianamente, per fare conquistare all’agro-alimentare italiano lo spazio che merita nelle preferenze del cinese medio.

Occorre pianificare azioni di comunicazione più profonde e quotidiane, usando tutti i mezzi di informazione possibili, in modo da presentare il “sistema” del nostro gusto non come una serie di marchi, ma come un vero e proprio stile di vita; organizzare campagne di diverso stampo, visto che il modello fieristico / espositivo tradizionale non rappresenta da solo il modo migliore per entrare, penetrare e preparare i cinesi a diventare fan sfegatati del nostro gusto, dei nostri prodotti tradizionali, della nostra cultura.

E’ importante lavorare sul piano dell’integrazione dei gusti, facendo “evolvere” la nostra cucina e i nostri prodotti in leccornie ricercate dal cinese medio.

Un elemento fondamentale è rendersi conto che il prezzo rappresenta il parametro determinante che oggi guida un cinese nello scegliere cosa mangiare e bere. Occorre farsene una ragione, pena l’esclusione dal mercato in quanto “fuori range”, a vantaggio di altri concorrenti più flessibili ed adattivi (Francesi, Australiani, Americani …)

Quindi basta con queste fiere vetrina, autocelebrative e missioni di politica nazionale. Usciamo dal castello di argilla della nostra convinzione che essere italiani rappresenta di per se garanzia di successo e iniziamo a diventare “missionari” dei nostri valori per le strade della Cina, quella vera.

Ricordiamoci di come il Made in Italy ha conquistato il mondo: i nostri emigranti, questi milioni di “disperati” sono stati in grado di esportare concretamente il nostro “made in italy” e radicarlo in ogni dove, trasformando una drammatica emergenza, in uno dei più grandi successi commerciale di tutti i tempi.

Ora bisogna ricominciare anche noi la nostra lunga marcia che affascini, conquisti, emozioni i cinesi.

Gli strumenti e le materie prime per farlo le abbiamo. Ora serve la volontà di crederci fino in fondo e utilizzare meglio e con maggiore intelligenza, i pochi soldi e le risorse a disposizione.

Fiere di questo tipo sono solo delle deprimenti dimostrazioni che la strategia fino ad ora seguita, nel caso della Cina, è totalmente fallimentare.

Un esempio pratico? Mentre noi organizziamo questo tipo di inutili fiere, aspettando l’anno prossimo, i francesi continuano a firmare accordi commerciali e creano aziende miste Sino-Francesi per insegnare ai cinesi a produrre essi stessi il vino per il mercato interno, sostenendo tutto questo con la loro “grande distribuzione” presente in Cina (Carrefour).

I Francesi non vendono direttamente ma creano squadre di cinesi che vendano per loro. Questa è la chiave per capire la Cina, in una fase come questa, di crescente nazionalismo di una nazione che orgogliosamente intende costruirsi da sola la strada della propria identità e del benessere futuro.

Se analizziamo analogamente la situazione nel caso del caffè, c’è da rimanere sconcertati. Anche in questo caso dimostriamo che pur possedendo i migliori talenti a livello mondiale, stiamo rifiutando di giocare la partita commerciale e culturale, lasciando a giocatori modesti, quali ad esempio Starbucks, il vantaggio di far pagare fino a 5 Euro (una enormità in Cina, un vero furto!!) una tazza di acqua sporca!!!

Occorre riflettere velocemente e svegliarsi dal torpore della autoreferenza oramai storicamente datata, prima che del gusto italiano non ne siano pieni i resoconti storici, come quelli che esaltano il gusto dei greci e dei romani.

Ganbei a tutti. (Cin cin in Cinese)

Sorpresa: la Cina parla inglese

(pubblicato su Affari Italiani il 24 Novembre 2006)
I cinesi da tempo sentono l’esigenza fortissima di comunicare, una sorta di reazione, di contrappasso all’isolamento vissuto negli scorsi decenni.

Questa esigenza è visibile a tutti i livelli, tanto da spingere il Ministro degli Affari Esteri, in più di una occasione pubblica, a parlare direttamente in un perfetto inglese.

Questo è un chiaro segnale di come ufficialmente i cinesi abbiano accettato la sfida della comunicazione globalizzata e accettato l’inglese come lingua franca.

Lo sforzo che la Cina sta affrontando su questo campo è incredibile, vista l’arretratezza da cui partiva. Ma i primi risultati cominciano già a vedersi.

Ora qualunque facoltà universitaria cinese sforna dei veri e propri traduttori che conoscono oltre ad un perfetto inglese anche spesso una seconda lingua occidentale (Francese o Tedesco per la maggiore).

A questa sistematica azione formativa universitaria si sono aggiunti, in occasione delle prossime olimpiadi del 2008, programmi di formazione nelle grandi città per insegnare l’inglese anche ai cittadini comuni di qualsiasi età, in modo da fornire agli stranieri una migliore assistenza, direttamente in inglese.

Capita quindi di vedere anziani esprimersi correttamente in inglese, con l’orgoglio di chi sta rinascendo, di chi finalmente può toccare il cielo con un dito per una nuova e stimolante vita culturale, oltre che sentirsi ancora utile alla causa cinese, in un momento storico come saranno le olimpiadi del 2008.

Lentamente quindi la Cina si appresta anche a sfatare il luogo comune, relativamente all’inglese, lingua fino ad ora parlata effettivamente da pochissimi.

Ma il discorso sull’inglese va inserito in un più vasto scenario macroeconomico.

Uno dei problemi storici che i Giapponesi hanno avuto nella loro espansione in tutto il mondo è stato proprio quello di non parlare inglese

Capitava così che le filiali giapponesi avessero spesso un responsabile giapponese che non sapendo l’inglese limitava le capacità di penetrazione sui mercati internazionali del “Made in Japan”.

I cinesi sembrano aver imparato la lezione e ora stanno allenandosi per poter disporre di propri managers in grado di parlare perfettamente inglese e se necessario anche un secondo idioma locale.

La chiave della futura espansione internazionale cinese sarà quindi anche culturale, in grado di favorire una più profonda integrazione, una diretta capacità di gestione e trasmissione dei messaggi economico, finanziari e commerciali.

Ma sbaglia chi crede che questo sia il segnale che i cinesi si stanno piegando alle logiche occidentali, adeguandosi ad esse.

i cinesi, infatti hanno deciso semplicemente di aprire il canale in lingua inglese solo per farsi capire meglio e trasmettere i propri contenuti e messaggi, come dei consumati esperti di comunicazione e marketing.

Oltre tutto i cinesi hanno già dimostrato nella loro storia, una innata capacità di piegare e far proprie le esperienze culturali provenienti dall’esterno. La diffusa conoscenza dell’inglese segnerà una sorta di discontinuità con il passato consentendo ai cinesi di provare per la prima volta, a condizionare e cambiare gli altri.

L’inglese appare quindi un passo fondamentale, forse decisivo, per continuare con successo il processo di apertura iniziato e favorire e preparare la prossima espansione economica e culturale sui mercati internazionali.

Quella dei cinesi su questo tema è una lezione di stile e di grande saggezza che andrebbe recepita dai nostri governanti, nata da una corretta lettura dell’epoca globalizzata in cui viviamo, dove saper comunicare e possedere l’informazione risulta già ora fondamentale e strategico.

Se confrontiamo infatti l’esempio cinese con la situazione italiana c’è da rimanere sconcertati.

Mentre i cinesi organizzano concorsi per testare il livello di conoscenza raggiunto nelle lingue straniere, nelle nostre Università, le lingue straniere nella migliore delle ipotesi sono facoltative.

Accade quindi che le nostre facoltà scientifiche ed economiche stiano preparando i nostri futuri talenti come se poi dovessero confrontarsi con una comunità internazionale che parla in Italiano!!!

È il nostro retaggio storico che continua ad emergere, il ricordo dei fasti dove il latino insegnava al mondo intero a comunicare, ma di un tempo che fù, ormai morto e sepolto, di cui rapidamente dovremo farcene una ragione.

Esattamente così come arroccarsi sulla sola idea del “Made in Italy” o il nuovo “Concept in Italy”, non possano essere sufficienti per sperare di uscire dalle secche attuali sul tema di competitività paese.

La lezione dei cinesi è semplice: tutto cambia, rapidamente, occorre essere capaci di vivere il cambiamento mettendosi costantemente in discussione, accettando fino in fondo la sfida, innovandosi profondamente, l’unico atteggiamento possibile per vivere da protagonisti gli avvenimenti futuri.

Cina/ L'esercito dei disoccupati per scelta

(pubblicato su Affari Italiani il 17 Novembre 2006)
La Cina è un incredibile macchina del tempo, un treno capace di attraversare in pochi anni fasi sociali ed economiche che nel resto del mondo hanno richiesto decenni, tutto come in un laboratorio a cielo aperto.

In questo percorso, in una sorta di ritorno al futuro, è possibile imbattersi improvvisamente in una generazione di “disoccupati per scelta”!!! Quella dei neo laureati cinesi.

Ogni anno la Cina sforna qualcosa come 4,13 milioni di laureati, cosa che, a prima vista, rappresenta una ottimo risultato, un costante incremento delle competenze a supporto della crescita economica e sociale cinese.

Oggi però Tian Chengping, Ministro del lavoro e sicurezza sociale, ha annunciato che 1,24 Milioni di questi neo laureati nel prossimo anno rimarranno senza lavoro, dato il brusco rallentamento della domanda di neo laureati, quantificato in -22%.

Superficialmente questa analisi appare credibile anche se probabilmente la vera ragione di questo fenomeno va cercata altrove: questo esercito di disoccupati ha deciso di esserlo.

Questa estate, ad esempio, il governo cinese, a fronte di questa crescente emergenza giovanile, aveva lanciato una campagna per lo stanziamento di sussidi ai neo laureati disoccupati, ma nonostante la promozione fatta a tappeto in tutte le università nazionali, di fatto questa opportunità non è stata colta, tanto che a livello governativo ci si è chieste le ragioni di questo “rifiuto”, totalmente in contro tendenza se comparato alle precedenti esperienze nei paesi occidentali.

I giovani neo laureati, senza troppi giri di parole, hanno risposto che preferiscono rimanere disoccupati, piuttosto che essere sostenuti da un sussidio.

Questo ha sconcertato molto il governo cinese, dato che lo stato di disoccupazione può durare anche degli anni e sta coinvolgendo proprio tutti, anche i talenti che terminato il proprio percorso di studi all’estero, hanno deciso di rientrare in Cina.

La ragione è semplice quanto incredibile: oggi un teenager cinese rifiuta qualunque soluzione di contingenza (salario nell’ordine dei 100 / 200 € mensili) perché convinto che, come gli insegna io il suo Tao e la sua tradizione aspettando arriverà una occasione migliore (circa 500€); basta sapere attendere che le condizioni migliori maturino.

Il benessere sempre più diffuso porta quindi tutta una generazione ad un sostanziale attendismo, in attesa che arrivino tempi migliori.

Questo approccio è connesso anche al manifestarsi di un secondo fenomeno storico: la regola del figlio unico, vigente in Cina fino a poco tempo fa.

Risultato; i figli, spesso unici, sono al centro degli interessi e degli affetti dei propri genitori, che anche involontariamente finiscono con il viziarli.

Per cui, i genitori del nuovo benessere cinese, anche se raggiunto dopo decenni di privazioni e sudati risparmi, finiscono per sostenere la scelta di disoccupazione dei figli, essi stessi convinti della imponderabilità di un futuro migliore, dato per certo.

Il cinese medio oggi pensa SOLO positivo e sostenuto dalla propria cultura e filosofia tradizionale, assomiglia più ad un passeggero di un treno in viaggio verso una nuova stazione, che il macchinista dello stesso.

I giovani cinesi quindi sono come partiti per un viaggio; poco interessati alla contingenza quotidiana e nella sola attesa che la stazione desiderata arrivi.

Se a tutto questo aggiungiamo il fascino che il modello occidentale sta esercitando sulle nuove generazioni cinesi, il risultato è sotto gli occhi di tutti: le nuove generazioni cinesi non sono più propense ai sacrifici che hanno caratterizzato i loro predecessori.

Questo sta creando quindi un pericoloso attrito tra le varie generazioni cinesi.

Parlando con i trentenni ci si rende conto della poca stima e fiducia che ripongono nelle generazioni a venire, viste come dei veri e propri parassiti, poco propensi a vivere per il bene comune, la Cina, intrisi di un crescente individualismo che fa molta paura.

Si, perché questo tarlo terrorizza il cinese medio attuale.

Non sono gli europei o gli americani a preoccuparli davvero, ma il diffuso timore che il benessere fin qui faticosamente costruito, rischi di non perpetuare a causa dell’incapacità delle generazioni future a continuare il lavoro fin qui svolto.

E le prime avvisaglie non sembrano contraddire questi timori, visto che sembra crescere un esercito di Peter Pan poco interessati a faticare per costruire, ben intenzionati a consumare quello che c’è, come voraci cavallette.

Forse questa rappresenta la nuova e vera sfida cinese per il futuro.

Occorrerebbe pertanto spiegare ai giovani cinesi come il modello di vita che stanno cercando di emulare, quello occidentale, non rappresenti la perfezione ma anzi forse il primo sintomo del NOSTRO decadimento, esattamente come quello che storicamente portò la grande Roma a scomparire dal centro della storia mondiale.

La Cina ancora forse non è arrivata a rischiare tanto, ma in un mondo globalizzato come quello attuale, visto che la fame e le necessità concrete dei popoli poveri saranno i veri drivers degli sviluppi futuri, non aver il desiderio di costruire e guidare il proprio benessere futuro, rappresenta di per sé una pericolosa spia di allarme, di cui la Cina dovrà tenere conto, per evitare di diventare nel futuro una eterna ed incompiuta Peter Pan.

Forum Cina-Africa e povertà: paesi poveri uniti verso la nuova ricchezza

La Cina non finisce mai di stupire, visto che anche su una questione fondamentale quale quella della povertà e la questione africana, è l’artefice di novità significative, forse decisive.

Queste novità sono al centro dei colloqui in corso tra la Cina e i paesi africani nel 3° forum China-Africa apertosi oggi a Beijing.

Dopo decenni di fallimenti internazionali per cercare di risolvere il problema della povertà nel mondo( spesso più un utile strumento di marketing) e l’ormai conclamata incapacità dei paesi sviluppati di ridistribuire la propria ricchezza, ora è ufficiale: i paesi poveri faranno da sè.

Ma cosa è successo affinché questo fatto rivoluzionario potesse accadere?

Prima di tutto dal 11 settembre 2001 i Paesi sviluppati stanno concentrando immense risorse più sulla emergenza legata alla guerra al terrorismo che investirle per migliorare la qualità della vita per miliardi di persone nel resto del mondo.

Secondariamente negli stessi anni, la Cina è riuscita a diventare l'emblema, il testimonial di successo che dimostra che cambiare la propria condizione di povertà è possibile.

L'esperienza della Cina e di altri paesi dell'area Asiatica come ad esempio il Vietnam, stanno dando ai paesi poveri la possibilità di recuperare l'orgoglio della propria condizione e attraverso una sempre maggiore cooperazione tra loro, consente l’accesso alle competenze e alle tecnologie al momento solo a disposizione dei paesi sviluppati.

Ma in particolare la Cina è diventata il partner in grado di fare da volano ai paesi in via di sviluppo, esattamente come per noi lo fu l’America dell’immediato dopoguerra.

Tutto ciò lo troviamo esplicitato in un passaggio del discorso del premier cinese Wen Jiabao che nella cerimonia di apertura del recente Summit China - ASEAN dichiarò: "le emergenze della Cina sono le opportunità per tutto il mondo".

E per capire quanto questo sia vero nella soluzione della questione africana, bastano le parole dei leaders presenti al forum che all’unisono affermano: “Con la Cina si lavora da tempo in una vera e mutua cooperazione. Non come con i paesi sviluppati, ad una sola direzione e in maniera unilaterale”.

L’incontro che si è aperto oggi a Beijing è quindi un forum tra pari, tutti orientati a collaborare per un reciproco futuro migliore

In questo forum, emerge ancora una volta con forza lo stile cinese nelle cooperazioni internazionali, un approccio ben diverso da quello fin qui dimostrato dai paesi sviluppati, una lezione di etica e comprensione profonda della reale situazione e dei problemi che meriterebbe un maggiore approfondimento da parte dei paesi sviluppati.

I cinesi, per quanto stiano diventando rapidamente la prima economia mondiali, non intendono scordarsi della propria storia e dei problemi che hanno dovuto risolvere. Nei fatti stanno quindi mettendo tutto ciò a disposizione degli altri paesi, per cercare di contribuire ad un maggiore benessere distribuito.

Il fenomeno che più assomiglia a quanto i cinesi stanno quotidianamente realizzando con i paesi in via di sviluppo si chiama microcredito che nelle discussioni in corso a Beijing, raggiunge dimensioni di accordi tra nazioni.

La cosa che colpisce del forum di Beijing sono i visi dei leaders africani in arrivo; sorridenti, orgogliosi e sereni, coscienti che stanno gettando le basi per un futuro autoderminato, ben lontano dalle richieste di aiuto, quasi sempre disattese, inviate negli ultimi decenni alla comunità internazionale.

Questo evento ridà infatti agli africani quella dignità che le dominazioni coloniali prima e l’assistenzialismo economico poi, avevano tolto, contribuendo concretamente a girare pagina e reclamare il diritto di costruirsi il proprio futuro.

La forza dei cinesi è quella di essere il partners leale e concreto di cui i paesi africani avevano bisogno e con il quale condividere il desiderio e il sogno in un futuro migliore.

Per capire la portata dei mutamenti che sconvolgeranno l’Africa prossima ventura, basta vedere i vari progetti di cooperazione al centro delle discussioni, come quello per le Mauricius viste come il porto di ingresso (Hub) per la Cina verso il continente africano.

Ma in questi anni i cinesi si sono spinti oltre, donando ai paesi africani la medicina contro la malaria, basata su principi attivi della tradizione cinese.

Dato che la malaria è una delle principali cause di morte in Africa, si capisce la portata degli interventi fin qui realizzati dai cinesi.

E noi cosa stiamo facendo oltre che continuare a parlarne o letteralmente saccheggiando i principi attivi delle piante africane, brevettandoli, per poi venderli come nostri?

In queste mutate condizioni generali e grazie al tutoraggio della Cina, i paesi in via di sviluppo stanno andando rapidamente verso la propria nuova futura ricchezza.

Non dovremo quindi stupirci che sempre più in futuro questi paesi faranno sempre minore accesso ai progetti di cooperazione internazionali.

Da soli, stanno realizzando la ricetta che li porterà verso un nuovo diverso futuro, creandosi quella economia reale basata sugli scambi commerciali, in grado di sostenere la futura crescita e di accelerare il processo si uscita dalla condizione di povertà. Il loro schema di riferimento è quanto accaduto in Cina negli ultimi decenni.

Quindi i paesi in via di sviluppo, parafrasando il motto"Chi fa da se fa per tre", rendono ancora più evidente il fallimento della politica dei paesi sviluppati ed evidenzia la miopia dei nostri politici, sicuri che la storia non presenterà un giorno il proprio conto finale.

Non dobbiamo infatti dimenticare che attualmente sono alle porte crisi ancora allo stato latente ma molto rischiose, quale quella della prevista esplosione della bolla immobiliare americana che porterebbe devastanti effetti a catena nei nostri paesi, così come non possiamo dimenticarci della futura competizione strategica nell'accesso alle risorse energetiche e naturali, spesso proprio patrimonio dei paesi in via di sviluppo e dell’Africa appunto.

C’è da essere preoccupati, visto come ci siamo comportati fino ad ora e negli ultimi 200 anni.

Risulterà infatti difficile aspettarsi allora dagli attuali paesi in via di sviluppo, qualunque tipo di comprensione alle nostre future emergenze.