lunedì 18 dicembre 2006

Forum Cina-Africa e povertà: paesi poveri uniti verso la nuova ricchezza

La Cina non finisce mai di stupire, visto che anche su una questione fondamentale quale quella della povertà e la questione africana, è l’artefice di novità significative, forse decisive.

Queste novità sono al centro dei colloqui in corso tra la Cina e i paesi africani nel 3° forum China-Africa apertosi oggi a Beijing.

Dopo decenni di fallimenti internazionali per cercare di risolvere il problema della povertà nel mondo( spesso più un utile strumento di marketing) e l’ormai conclamata incapacità dei paesi sviluppati di ridistribuire la propria ricchezza, ora è ufficiale: i paesi poveri faranno da sè.

Ma cosa è successo affinché questo fatto rivoluzionario potesse accadere?

Prima di tutto dal 11 settembre 2001 i Paesi sviluppati stanno concentrando immense risorse più sulla emergenza legata alla guerra al terrorismo che investirle per migliorare la qualità della vita per miliardi di persone nel resto del mondo.

Secondariamente negli stessi anni, la Cina è riuscita a diventare l'emblema, il testimonial di successo che dimostra che cambiare la propria condizione di povertà è possibile.

L'esperienza della Cina e di altri paesi dell'area Asiatica come ad esempio il Vietnam, stanno dando ai paesi poveri la possibilità di recuperare l'orgoglio della propria condizione e attraverso una sempre maggiore cooperazione tra loro, consente l’accesso alle competenze e alle tecnologie al momento solo a disposizione dei paesi sviluppati.

Ma in particolare la Cina è diventata il partner in grado di fare da volano ai paesi in via di sviluppo, esattamente come per noi lo fu l’America dell’immediato dopoguerra.

Tutto ciò lo troviamo esplicitato in un passaggio del discorso del premier cinese Wen Jiabao che nella cerimonia di apertura del recente Summit China - ASEAN dichiarò: "le emergenze della Cina sono le opportunità per tutto il mondo".

E per capire quanto questo sia vero nella soluzione della questione africana, bastano le parole dei leaders presenti al forum che all’unisono affermano: “Con la Cina si lavora da tempo in una vera e mutua cooperazione. Non come con i paesi sviluppati, ad una sola direzione e in maniera unilaterale”.

L’incontro che si è aperto oggi a Beijing è quindi un forum tra pari, tutti orientati a collaborare per un reciproco futuro migliore

In questo forum, emerge ancora una volta con forza lo stile cinese nelle cooperazioni internazionali, un approccio ben diverso da quello fin qui dimostrato dai paesi sviluppati, una lezione di etica e comprensione profonda della reale situazione e dei problemi che meriterebbe un maggiore approfondimento da parte dei paesi sviluppati.

I cinesi, per quanto stiano diventando rapidamente la prima economia mondiali, non intendono scordarsi della propria storia e dei problemi che hanno dovuto risolvere. Nei fatti stanno quindi mettendo tutto ciò a disposizione degli altri paesi, per cercare di contribuire ad un maggiore benessere distribuito.

Il fenomeno che più assomiglia a quanto i cinesi stanno quotidianamente realizzando con i paesi in via di sviluppo si chiama microcredito che nelle discussioni in corso a Beijing, raggiunge dimensioni di accordi tra nazioni.

La cosa che colpisce del forum di Beijing sono i visi dei leaders africani in arrivo; sorridenti, orgogliosi e sereni, coscienti che stanno gettando le basi per un futuro autoderminato, ben lontano dalle richieste di aiuto, quasi sempre disattese, inviate negli ultimi decenni alla comunità internazionale.

Questo evento ridà infatti agli africani quella dignità che le dominazioni coloniali prima e l’assistenzialismo economico poi, avevano tolto, contribuendo concretamente a girare pagina e reclamare il diritto di costruirsi il proprio futuro.

La forza dei cinesi è quella di essere il partners leale e concreto di cui i paesi africani avevano bisogno e con il quale condividere il desiderio e il sogno in un futuro migliore.

Per capire la portata dei mutamenti che sconvolgeranno l’Africa prossima ventura, basta vedere i vari progetti di cooperazione al centro delle discussioni, come quello per le Mauricius viste come il porto di ingresso (Hub) per la Cina verso il continente africano.

Ma in questi anni i cinesi si sono spinti oltre, donando ai paesi africani la medicina contro la malaria, basata su principi attivi della tradizione cinese.

Dato che la malaria è una delle principali cause di morte in Africa, si capisce la portata degli interventi fin qui realizzati dai cinesi.

E noi cosa stiamo facendo oltre che continuare a parlarne o letteralmente saccheggiando i principi attivi delle piante africane, brevettandoli, per poi venderli come nostri?

In queste mutate condizioni generali e grazie al tutoraggio della Cina, i paesi in via di sviluppo stanno andando rapidamente verso la propria nuova futura ricchezza.

Non dovremo quindi stupirci che sempre più in futuro questi paesi faranno sempre minore accesso ai progetti di cooperazione internazionali.

Da soli, stanno realizzando la ricetta che li porterà verso un nuovo diverso futuro, creandosi quella economia reale basata sugli scambi commerciali, in grado di sostenere la futura crescita e di accelerare il processo si uscita dalla condizione di povertà. Il loro schema di riferimento è quanto accaduto in Cina negli ultimi decenni.

Quindi i paesi in via di sviluppo, parafrasando il motto"Chi fa da se fa per tre", rendono ancora più evidente il fallimento della politica dei paesi sviluppati ed evidenzia la miopia dei nostri politici, sicuri che la storia non presenterà un giorno il proprio conto finale.

Non dobbiamo infatti dimenticare che attualmente sono alle porte crisi ancora allo stato latente ma molto rischiose, quale quella della prevista esplosione della bolla immobiliare americana che porterebbe devastanti effetti a catena nei nostri paesi, così come non possiamo dimenticarci della futura competizione strategica nell'accesso alle risorse energetiche e naturali, spesso proprio patrimonio dei paesi in via di sviluppo e dell’Africa appunto.

C’è da essere preoccupati, visto come ci siamo comportati fino ad ora e negli ultimi 200 anni.

Risulterà infatti difficile aspettarsi allora dagli attuali paesi in via di sviluppo, qualunque tipo di comprensione alle nostre future emergenze.