sabato 20 febbraio 2010

Cyberterrorismo; Hacker/ Non sono i cinesi a colpire Google

In linea con i precedenti post e che mi trova completamente allineato (oggi su Affari Italiani):

L'inquadratura è stretta, quella tipica di un film. Si vede un viso concentrato. Si capisce che l'uomo sta facendo degli attenti calcoli geometrici. Il campo visuale si allarga, viene inquadrato il busto che si protende in avanti. Le sue mani tengono saldamente l'attrezzo, indubbiamente ne ha piena padronanza. Nella testa dell'uomo si delineano complicate geometrie, vuole arrivare a bersaglio ma non ci può arrivare direttamente, deve prima poter effettuare diversi rimbalzi. Un ultimo momento di concentrazione prima di sferrare il colpo... centro! Così a prima vista sembrerebbe una scena che si svolge attorno ad un tavolo di biliardo. Invece no. E' la scena che si ripete, tutti i giorni, mille volte al giorno intorno al tavolo che regge il laptop dell'hacker di turno. Che c'entra tutto questo? Pare che recentemente alcuni hacker cinesi abbiano sferrato un attacco ai server di Google e di alcune aziende americane. E pare che il tutto sia partito da alcune università cinesi, la Shanghai Jiaotong e la Lanxiang Vocational School. La prima riportata come università di scienze informatiche e la seconda come università nata da una iniziativa dell'esercito. Bum! Maledetti cinesi. E giù fiumi di inchiostro. 
Torniamo al biliardo. A seconda del gioco e delle sue regole, a volte è possibile spedire la palla in buca direttamente, altre volte è necessario dover colpire prima almeno una sponda. Nel mondo degli attacchi informatici, quelli seri, accade invece che la regola vigente sia sempre e solo quella del rimbalzo. Nessuno ha interesse a farsi beccare con le mani nel sacco, è quindi prassi prima di lanciare un attacco informatico quella di compromettere uno o più server da frapporre tra chi attacca e il bersaglio finale. Possibilmente scegliendo server ubicati in paesi diversi e possibilmente in contrasto politico fra di loro, così che le rispettive polizie non possano collaborare. Così facendo ricostruire le tracce e risalire all'attaccante sarà infinitamente più complicato. Una sorta di polizza-vita insomma. Pare che questa regola valga per tutti gli hacker del mondo, tranne che per i cinesi. Gli hacker cinesi sono stupidi, attaccano senza frapporre nessun server di rimbalzo. Peggio, attaccano direttamente da server riconducibili ad organizzazioni nate dalla volontà dell'esercito popolare. Sfacciataggine in salsa cze-chuan. Ma ne siamo così sicuri? 
Ragioniamo. Che gli hacker cinesi esistano e facciano il loro dannato lavoro è un dato di fatto. E quando lo fanno, lo fanno pure in maniera efficace. Che motivo avrebbero di farlo in maniera altrettanto stupida? Perché farsi beccare con le zampe nella marmellata? E così spesso poi, specialmente da un paio d'anni a questa parte e specialmente dopo che la stampa internazionale ha cominciato a parlarne diffusamente?Ipotesi: e se i cinesi facessero spesso da sponda inconsapevole per attacchi originati da qualche altro governo, che ha tutto l'interesse a gettare la colpa su di loro? Magari un governo occidentale? Non è che i governi occidentali si possano propriamente considerare immacolati. Gli Usa fecero ampio uso della rete di spionaggio denominata Echelon ai danni delle industrie europee. Il consorzio Airbus ne sa qualcosa nella annosa lotta contro la Boeing. E la Francia? Non fu da meno, a farne le spese qualche anno fa fu una azienda militare italiana di livello. Parliamo sempre di spionaggio tecnologico ed informatico. Poi il mondo è piccolo e tra gli hacker è un po' come tra i rugbisti. Prima ti sferro un cazzotto sul campo, poi ti invito fuori la sera a bere una birra. E fu così' che una sera mi ritrovai al tavolo di un caffè in un paese asiatico con altre due persone. Quello alla mia sinistra era quello che per conto dell'industria militare francese cercava di fare le scarpe alla famosa azienda militare italiana, a suon di colpi sapientemente rimbalzati digitalmente da una paese all'altro. Quello alla mia destra era colui che era preposto alla difesa digitale della stessa. Decisamente una situazione originale, indubbiamente una birra sorseggiata con gusto. Tutto questo per farvi riflettere sul fatto che dietro i cinesi, non sempre si cela Mao. R.P.