sabato 23 dicembre 2006

Lettera a Babbo Natale dalla Cina



Il Natale 2006 è arrivato e caro Babbo Natale, in Cina, in una città come Shanghai, tanto è l’impegno profuso dai cinesi attorno all’evento, che quasi non ti accorgi di essere a 12.000 Km da casa, se non fosse per tutti questi occhi a mandorla!!

Il Natale in Cina è tutto illuminato, sia in onore al nuovo capitalismo filo-occidentale, ma soprattutto, per il coerente uso maniacale delle luci. Che poi la Cina sia la patria dei fuochi artificiali non si stenta a capirlo: infatti basta la semplice apertura di un negozio o un qualsiasi momento celebrativo anche privato, perchè la festa abbia inizio.

Bene in questo contesto natalizio, osservare l’Italia da qua, è un po’ come vedere la terra dallo spazio. Tutto è ovattato e così diverso, oltretutto le problematiche italiane hanno qua in Cina un peso specifico molto differente. fa quindi una strana impressione comprendere i nostri personaggi pubblici, quelli importanti o potenti, o i nostri scandali politici ed economici, qua nemmeno sanno chi e cosa siano e come mai potranno esercitare per il cinese medio, un minimo interesse.

Qua di potenti italiani ci sono solo i nostri calciatori e il pilota (poco importa se tedesco) della Ferrari. Dell’Italia, hanno chiaro infatti solo che abbiamo vinto gli ultimi campionati del mondo di calcio, la prima cosa che ti ricordano negli incontri, sorridendo, per rompere il ghiaccio.

Per il resto, siamo nella mente dei cinesi solo una idea, nemmeno tanto chiara sul dove sia posizionata nelle cartine geografiche.

Infatti la domanda più difficile da fare ad un cinese è: sai dove è l’Italia??

Per i cinesi, sembriamo molto “l’isola che non c’è” di Peter Pan, sognata, immaginata ma non reale e concreta.

Eppure noi italiani siamo presenti profondamente nella storia cinese, più di quanto immaginiamo noi stessi. In Cina venerano infatti un italiano di nome Ricci, che in Italia non sappiamo nemmeno chi sia.

Questo uomo che tutti i libri di storia cinese citano, ha avuto un impatto maggiore del ben più famoso Marco Polo, che i cinesi considerano solo un abile commerciante.
Ricci ha avuto il grande merito di avere disegnato, quasi in una visione preveggente del futuro, la prima mappa della Cina, dove la Cina sta nel mezzo, rispetto a tutti gli altri paesi.

Da qua il nome stesso della Cina, in Cinese: Zhong Guo“la terra di mezzo”.

Quindi, vista da qua, l’Italia e ogni informazione ricevuta è analizzabile con occhi diversi, comunque attenti, ma da una prospettiva diversa: l’occhio del viaggiatore coinvolto ma che riesce ad astrarsi da ciò che vede e dai suoi condizionamenti.

Da questo osservatorio privilegiato, quale è la Cina, ricco di stimoli e di spunti sul come guardare e costruire il futuro di una nazione, da questo spazio si rimane sconcertati dalle informazioni che quotidianamente giungono dall’Italia.

Fosse una telenovela, si dovrebbero fare i complimenti agli autori dall’incredibile fantasia, capaci di creare un genere (il gossip – poli-economico) che potrà essere valido per parecchi anni a venire, in un vero sequel di successo, che tra scandali e scandaletti, intercettazioni e ricatti sessuali, ha ben poco da invidiare ai famosi Dallas e Dynasty americani.

Peccato che tutto sia terribilmente e tristemente reale, a tal punto che i numeri, le statistiche ufficiali, confermano che tutto ciò non sia solo nella testa di alcuni irriverenti autori televisivi.

L’Italia non esiste più, si sta sfaldando come un ghiacciaio per colpa dell’effetto serra che la circonda (la globalizzazione) e ciò che è peggio, non ha i numeri per reggere le prossime sfide che oltre tutto dimostra di aver ancora visto arrivare, tutte minacciosamente oltre l’orizzonte, provenienti da est.

A parte il famoso record mondiale in tema di debiti pubblici, un pil che asfittico è definirlo in termini ottimistici, una classe dirigente e politica ormai ridotta a “pagliaccio” quotidiano, i veri numeri che preoccupano, sono contenuti nel recente rapporto Censis sulle professioni.

Mentre tutto il resto del mondo fa la corsa per qualificarsi e formarsi, Cina in primis, con l’inserimento nel suo piano quinquennale, al primo punto, la qualificazione e la formazione a tutti i livelli, agricoltori compresi, l’Italia sta facendo invece un percorso esattamente opposto, di de-qualificazione a tutti i livelli.

Evidentemente l’Italiano medio, troppo impegnato a guardare l’appassionante telenovela “Italia”, non scommette più su una propria qualificazione e formazione, tanto che oramai siamo diventati un popolo di operai specializzati o di professioni non qualificate (il 37.7%).

Quindi l’Italia che dovrebbe competere con le potenze economiche future e conquistarsi una ritrovata competitività, è sempre più un paese di muratori, carpentieri, ponteggiatori (+ 80 mila), collaboratori domestici, addetti alle pulizie, spazzini (+64 mila) e di impiegati amministrativi e contabili (+35mila), di guidatori di autobus, taxi, camionisti e fattorini.

Un ulteriore segno dei tempi e segnale che le multinazionali noi non le abbiamo più da tempo, è il dato sull’arretramento del numero degli amministratori di grandi aziende private (-11,5%).

Ma il dato più incredibile, in reale controtendenza con tutto il mondo in rapida evoluzione, che conferma la premessa di una generale de-qualificazione, è l’abbattimento del corpo insegnante per le scuole materne ed elementari e dei tutor professionali (-22 mila).

Quindi l’Italia ha abbandonato l’idea di formarsi per quella più concreta, tipica dei momenti di crisi, del far da sè, del sopravvivere, spostandosi lentamente ma inevitabilmente verso una sempre minore professionalità diffusa.

Ma non si era detto che l’Italia doveva essere centro creativo e di innovazione da esportare per il mondo?

Lo specchio dei dati del Censis dice ben altro e sicuramente questo è frutto anche dell’incredibile stato di degrado che le nostre Università stanno attraversando, dove la conoscenza non vi risiede, come negli altri stati del mondo, ma viene “spacciata” come elemento di potere.

Forse tutto ciò è legato al fatto, che non essendoci ricambio generazionale a tutti i livelli, avendo un gruppo di governanti tra i più anziani al mondo, i giovani sfiduciati, preferiscono sbarcare il lunario altrove, magari in una condizione più modesta, per provare a continuare ad andare avanti?

Forse perché l’Italia non ha più punti di riferimento economici come lo erano le grandi multinazionali americane del dopo guerra (ora tutte in Cina) che facevano la fortuna di intere comunità locali e investivano nella formazione e una sempre maggiore conoscenza diffusa?

Forse perché gli imprenditori italiani, sempre per raggiunti limiti d’età, preferiscono gestire i propri patrimoni, piuttosto che rinvestirli in esperienze formative ed innovative, in nuove sfide per il futuro?
Forse perché esempi imprenditoriali come quelli di Olivetti, sono da considerarsi ormai legati solo al nostro passato industriale Italiano o che ci vuole troppo “fegato” per provare a crearne di nuovi?

Chissà quale sia la ragione, sicuramente da noi però, come evidenzia il Censis, esiste una categoria professionale meglio pagata di tutte le altre: il calciatore.

Beh è coerente, se si investe nella formazione si raccoglie, visto che alla fine abbiamo vinto i campionati del mondo che hanno reso l’Italia famosa in tutto il pianeta, anche il pallone d’oro e quello della FIFA!!.

Bene, questo è l’immagine dell’Italia vista dalla Cina, una nazione totalmente allo sbando.

Ma la cosa più preoccupante è che apparentemente sembra senza gli strumenti (e morale) adatti per cercare qualunque tipo di recupero nel medio e lungo periodo.

Occorre che qualcuno, caro Babbo Natale, decida finalmente di spegnere la Televisione, di provare a interrompere la telenovela in programmazione, inizi a concentrare tutti solo sulle cose che sappiamo o che potremmo fare sempre meglio, guardando per una volta il mondo attorno a noi che cambia alla velocità della luce, dimenticandoci per una volta, di Macchiavelli e dei suoi insegnamenti, nel poco edificante e autolesionista attuale “gioco delle sedie”, prima che non si trasformi nell’altrettanto famoso, “un due tre, tutti giù per terra!!!”.

lunedì 18 dicembre 2006

Mario Tschang: primo italiano insignito del Premio Magnolia dalla Città di Shanghai



La gratitudine Cinese è proverbiale, mai casuale, sempre connessa a contributi e relazioni reali e spesso profonde. Da queste parti si chiama Guanxi (Amicizia).
La città di Shanghai, la prima volta per un italiano, ha ritenuto di accordare questo onore del Guanxi da parte della città a Mario Tschang, presidente della Agenzia per la Cina che Yi Bu Yi Bu è stato l'arteficie della ideazione / creazione, dal nulla, del Palazzo Lombardia a Pudong- Shanghai.

A Mario Tshang è stato infatti assegnato il Premio Magnolia, dopo che su 40.000 aziende straniere in Cina, sono stati selezionati 100 potenziali vincitori; di questi solo 10 sono stati insigniti del prestigioso Magnolia Silver Award.

Tra questi 10, per la prima volta, vi è un cittadino italiano.
Il Premio Magnolia è assegnato ogni anno a stranieri domiciliati a Shanghai che si sono distinti per aver contribuito notevolmente allo sviluppo economico, sociale e culturale della città, per aver concorso alla costituzione di rapporti di amicizia con paesi stranieri o che hanno partecipato all’implementazione di progetti pubblici a Shanghai e avanzato iniziative costruttive per lo sviluppo della città.
Complimenti Mario!!!

CINA 2007: Macchine indietro tutta!!

La Cina teme la Cina!! La cosa è apparsa evidente negli interventi dei massimi esponenti del governo cinese nell’ultimo China's 2006 Central Economic Work Conference, tenutosi ieri a Beijing, ovvero il momento di consuntivo e pianificazione governativo di fine anno.

Dalle analisi degli esperti governativi illustrate ieri alle massime autorità cinesi presenti, appare evidente come l' attuale crescita impetuosa stia creando scompensi e squilibri a cui occorre rapidamente porvi rimedio.

Ad esempio, l’eccessiva liquidità connessa con il perseverante boom delle esportazioni, che solo negli ultimi 10 mesi ha generato un surplus di 133,60 miliardi di dollari, sta creando non poche tensioni sullo Yuan, portando le riserva monetarie in valuta estera al livello record di un Trilione di dollari!!.

E’ evidente come il governo cinese sia molto preoccupato di dover intervenire attraverso una rivalutazione della propria moneta, una azione che rischia di accentuare gli squilibri tra città e aree rurali, tra cinesi ricchi e poveri, visto che il livello relativamente basso attualmente attribuito allo Yuan, favorisce una stabilità interna e conseguentemente il mantenimento degli attuali livelli di crescita, in una sostanziale bilanciamento generale.

Ora però la parola d’ordine data dai vertici cinesi è: rallentare.

Portare la crescita del prodotto interno lordo del 2007 attorno all’8 % dall’attuale 10,5 %, come previsto per la fine del 2006.

Sconsolati, i vertici cinesi stanno però comprendendo appieno come la locomotiva stia andando oltre ogni previsione, in una sorta di autonoma deriva di difficile gestione. Evidenziano quindi come fortunatamente, già l’anno scorso, avessero fissato nel 8% la crescita del PIL nel 2006, altrimenti, rilevano, oggi la crescita sarebbe ben oltre il 12%!!!

Per cui sono coscienti che, fissare oggi all’8% l’obbiettivo di crescita del PIL cinese per il 2007, significa alla fine cercare solo di stabilizzare l’attuale 10%, cercando nel frattempo di rallentare e qualificare l’intero sistema produttivo nazionale.

Quindi è stato deciso che sia prioritario concentrare la crescita cinese in direzioni ben precise, tali da compensare gli squilibri connessi, quali il crescente consumo energetico e un sempre maggiore deterioramento ambientale, così come evitare lo scollamento in corso tra est (ricco) e ovest (povero).

Per evitare che la Cina continui la sua corsa a due velocità, ora i governanti intendono concentrarla maggiormente sugli aspetti qualitativi più che su quelli quantitativi che hanno caratterizzato gli anni scorsi, favorendo il recupero delle aree rurali, rimaste indietro in questo frangente storico, attraverso tutta una serie di azioni ad hoc.

La più importante e tangibile azione è stata quella di concentrare nella città di Chengdu, nell’ovest della Cina confinante con il Tibet, l’azione di innovazione tecnologica del paese, tanto da spingersi a definirla come la “Silicon Valley cinese”.
Questa area, posta in un triangolo virtuale comprendente il potere economico di Shanghai e quello politico di Beijing, ha già attratto investimenti importanti da parte di aziende leaders a livello mondiale, quali ad esempio la Intel e intende essere l’area di propulsione dello sviluppo di tutto l’Ovest cinese.

Strategico per i cinesi risultano quindi due macro-azioni tra loro connesse: recuperare la “sacca di povertà ad ovest” e favorire contemporaneamente la crescita complessiva del mercato interno, ora sostanzialmente assente, fondamentale per compensare la continua pressione sulla economia nazionale, generata dalle enormi esportazioni cinesi.

Occorre sottolineare che quando i cinesi parlano di crescita qualitativa, i vertici governativi intendano azioni ben precise, quali una sostanziale innovazione di tutto il sistema industriale, oggi ritenuto obsoleto per competere con le economie occidentali, attraverso l’introduzione ed invenzione di nuove tecnologie, soprattutto a favore delle aree rurali, la vera chiave per il futuro cinese.
La Cina quindi, non intende più essere considerata la “fabbrica del mondo”, l’area di delocalizzazione produttiva a basso costo a disposizione delle economie mondiali, ma diventare essa stessa area di ricerca e sviluppo ed esportazione della propria conoscenza e tecnologia.

Grande enfasi è stata quindi posta sulla necessità di far crescere gli investimenti all’estero da parte delle imprese cinesi, oltre gli attuali 12,3 Miliardi di dollari, lanciando un nuovo motto per tutto il sistema industriale cinese: “diventare globali”.

Coerentemente al nuovo ruolo che la Cina intende crearsi nel futuro tecnologico mondiale, sono i recenti annunci relativi al rilascio da parte dei cinesi di propri standards per i mercati delle Telecomunicazioni e Media, come nel caso della futura rete 3G nazionale o come per quanto riguarda la nuova Televisione digitale interattiva e terrestre.

Non meno ambiziosi sono poi gli studi e le sperimentazioni recentemente pubblicizzate relativamente alla creazione di una nuova rete internet totalmente progettata e basata su tecnologie cinesi, prodotte dalle principali università nazionali.

Il progetto intende andare oltre il progetto della Internet2 occidentale, attualmente in corso e attualmente solo a livello accademico negli USA e UE, introducendo molte novità sulla gestione degli indirizzi IP, oramai paragonabili nella futura società dell’informazione, a risorse naturali quali l’acqua e il petrolio.

Complessivamente questo stato dell’arte sulla economia cinese e le decisioni prese dal governo per il prossimo futuro, rappresentano per l’Italia un ottima notizia e una grande opportunità.

Infatti per prima cosa è il chiaro segnale che il mercato interno cinese potrà diventare veramente una opportunità più concreta di quella attuale, oggi più assomigliante ad una “grande muraglia” impenetrabile che ad una “prateria” di opportunità.

Secondariamente, i cinesi necessitano più di prima, di qualificare la propria industria e quindi sono decisi ad investire e sostenere progetti di innovazione tali da permettere un deciso balzo in avanti delle competenze interne.

Necessitano quindi di partners in grado di cooperare per sostenere questo cambiamento di pelle tecnologico che la Cina, come una farfalla, si appresta a realizzare a partire dal 2007.

Terza opportunità è infine legata al fatto che la Cina si appresta a diventare un investitore a livello mondiale e realizzare il proprio sviluppo anche al di fuori dei propri confini, esportando capitali, imprenditori e conoscenze.

Il sistema imprenditoriale italiano, ora con l’acqua alla gola, può quindi cercare nella imprenditoria cinese quell’alleato interessato ad una mutua cooperazione, basata sulla condivisione di un obbiettivo comune: lo sviluppo di nuove realtà in grado di competere sui mercati mondiali.

Quindi ora in Cina c’è spazio per una seconda generazione di imprenditori internazionali, italiani compresi. Imprenditori che intendano costruire il proprio futuro a partire dalla Cina e non vedano la Cina come uno dei mercati dove svilupparsi.

La Cina si appresta a diventare IL MERCATO e quindi necessita da parte degli imprenditori di una adeguata attenzione, concentrazione e focalizzazione.

Oggi la situazione italiana è ben diversa e i reali scarsi risultati relativi alla nostra presenza in Cina sono lì a dimostrarlo.

L’Italia possiede però una tradizione imprenditoriale unica al mondo.

Occorre ora ridarle rinnovato splendore intercettando le necessità della Cina attuale e futura, motore della economia mondiale, possibile motore per il rilancio economico italiano.

11 Dicembre 2001 ingresso della CINA nel WTO: giorno dell’Apocalisse economica ad ovest

Il 2001 è stato un anno cruciale e di svolta che ha cambiato profondamente il mondo intero.

Due i momenti storici che segneranno per sempre la storia della umanità accaduti in quell’anno: l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre e l’ingresso nella WTO da parte della Cina, l’11 Dicembre del 2001.

A parte la curiosa coincidenza nelle due date, questi due eventi di fatto hanno contribuito sicuramente a cambiare per sempre il mondo intero, un vento di cambiamento proveniente da est che ha avuto nella icona di Bin Laden e negli occhi a mandorla dei cinesi, i suoi principali protagonisti.

Gli effetti provocati da questi avvenimenti sono totalmente diversi, in antitesi, a seconda che siano osservati da ovest o da est.

Nei paesi occidentali, a partire dal 2001, è esplosa una crisi economica senza precedenti, connessa alla esplosione anche delle varie bolle finanziarie, tra cui anche quella della New Economy, dando origine ad un recessione generalizzata, ancora oggi ben lungi dall’essere risolta. Ad occidente, come prima reazione si cercò un capro espiatorio, trovandolo nel terrorismo internazionale.

Questo approccio, condizionato dalla sempre presente necessità americana di cercare di continuare a mantenere elevati i flussi dei capitali verso gli USA, strettamente legati alla rendita petrolifera e alla vendita degli armamenti, ha però impedito di fatto all’occidente, Europa per prima, di analizzare e comprendere a fondo le reali dinamiche connesse alla crisi sopraggiunta.

Queste hanno radici ben più profonde di quelle riconducibili banalmente ad effetti legati al terrorismo internazionale, che oggettivamente ha avuto come unica reale tangibile conseguenza, quella di contribuire a creare una nuova economia legata alla sicurezza.

Questa miopia “indotta”, in tutto l’occidente ha aperto invece le porte ad un periodo “grigio”, una sorta di medioevo occidentale e di caccia alle streghe, pieno di fantasmi (Bin Laden il più gettonato) vissuto nel concreto terrore di vedere annientato il livello di benessere fino ad allora raggiunto.

Ben diversa la posizione ad est ed in Cina in particolare. Il 2001 rappresenta l’inizio di un vero e proprio rinascimento economico e culturale che pone pochi limiti agli obbiettivi raggiungili nel futuro, ricco invece di stimolanti sfide globali, tutte al positivo, non ultima quella sportiva che culminerà con le Olimpiadi del 2008 (assegnate alla Cina nel 2001!!) e l’expo del 2010 di Shanghai.

Volendo parafrasare quanto accaduto in termini sportivi, l’est nel 2001 ha iniziato il sorpasso e noi occidentali, come molti campioni alla fine della propria carriera, totalmente sorpresi, impreparati ed invecchiati, abbiamo attribuito l’accaduto ad attenuanti e congetture di tutti i tipi: ambientali, scarsa concentrazione, la sorte etc…

Ma i numeri parlano chiaro. Dal 2001, anno dell’ingresso della Cina nel WTO, mentre la Cina raddoppiava la propria quota sul mercato globale, passando dal precedente 3,9% all’attuale 7,7%, come oggi dichiarato dal Ministro del Commercio Cinese Bo Xilai, oltre a riuscire a mantenere una crescita del PIL annuo mediamente superiore al 9%, il resto delle economie occidentali retrocedevano la propria quota di mercato in maniera continua ed inesorabile.

Nel contempo dal 2001, la qualità delle esportazioni cinesi è decisamente cresciuta, tanto che i prodotti dell’elettronica sono passati al 56% sul totale dell’esportato cinese, quelli Hi-tech al 28% e in generale, gli assemblati ora rappresentano il 94% del totale delle esportazioni cinesi.

Nello stesso periodo, nei paesi occidentali ed in particolare in Europa, crescite annuali nell’ordine del 2% del PIL sono tuttora considerabili miracolose. A ciò, va aggiunto come la recessione interna nei diversi paesi, unita ai conflitti e stalli tra i diversi partners delle UE, su quale strategia utilizzare per tentare di reagire alla crisi, ha provocato effetti devastanti: ora tutto è fermo.

Proprio come il Titanic, l’occidente nel 2001 si è imbattuto nell’iceberg della Cina ma chissà per quali strana ragione, il comandante era convinto che l’affondamento fosse legato ad un attacco militare da parte di un certo Bin Laden, tuttora impegnato da qualche parte della nave a procurare qualche altra falla nello scafo e che andava a tutti i costi fermato.

La confusione da allora è ancora tanta. Ancora non si sono comprese ed analizzate a fondo le vere ragioni per cui “l’inaffondabile” economia occidentale, nella incredulità generale, ora stia proprio affondando.

Sorge a questo punto una domanda: non è che l’occidente sia caduto nella trappola preparata ad est affinché tutto contribuisse ad un cambiamento generalizzato, una autentica rivoluzione planetaria?

Infatti è chiaro che dal 2001 le cose sono veramente cambiate sotto molti aspetti, rendendo possibili eventi prima impensabili, come quella de vedere l’Africa cominciare a marciare con le proprie gambe, assegnare il Premio Nobel al fondatore della Banca specializzata nel microcredito, negazione delle basi stesse del sistema bancario tradizionale, o che le economie in via di sviluppo, come lo era anche la Cina, saranno i leaders della economia mondiale futura.

Il terrorismo uccide molto meno dell’AIDS, della fame e della sete mondiale. Però l’ovest ha compiuto il terribile errore di ergere una muraglia per difendersi dal terrorismo, lasciando ai “barbari” venuti dall’est, ampi spazi di manovra, fino ad allora impensabili.

Ora gli effetti di una scelta come quella fatta dall’occidente nel 2001, sono sotto gli occhi di tutti, tanto che gli USA, per uscire dalla palude Afghana ed Irachena sotto la pressione della opinione pubblica, dovrà accettare, a denti stretti, l’aiuto di un nemico giurato, quale è l’Iran attuale.

Forse è proprio vero che il nuovo millennio iniziava con il 2001 che probabilmente verrà ricordato nel futuro, come l’anno “dell’apocalisse economica occidentale” e l’inizio della nuova alba ad est, così come l’11 Dicembre 2001, sarà ricordata come la tappa fondamentale affinché tutto ciò accadesse.

Ma nonostante tutto, ad ovest si continua a dormire sonni tranquilli (non siamo forse inaffondabili??), sonni che assomigliano però sempre più ad un incubo, dal quale abbiamo paura di svegliarci.

La situazione necessita un cambiamento di rotta ed in fretta, per affrontare adeguatamente la realtà, prima che questa ci sommerga del tutto.

Agroalimentare/ Flop delle fiere italiane in Cina. Servono nuove strategie

(pubblicato su Affari Italiani il 8 Dicembre 2006 e su Agenzia per la Cina)
Dal 23 al 25 Novembre scorso, a Shanghai si è tenuta l’8° edizione del Vinitaly – Cibus, manifestazione presentata come la più grande fiera Italiana sul tema in Cina.

Come è andata? Un totale fallimento.

In uno paese dove le fiere si pesano per le migliaia operatori presenti a ciascuna di esse, il Vinitaly di Shanghai potrà essere ricordata per la sostanziale assenza degli operatori di settore e dei responsabili dei ristoranti o wine-shop cinesi, non certo compensabili dalla presenza di alcuni intenditori cinesi a caccia del vino pregiato o dai gruppi di semplici curiosi, in veste del tutto personale e a scrocco (abitudine molto cinese in tema culinario!!), che passavano da un assaggio all’altro nei diversi stands.

Presenze ridotte a poche centinaia di persone in tutto, ben poca cosa per una fiera che intendeva essere la punta di diamante per penetrare il mercato cinese fatto da 1 miliardo 300 milioni di persone!!!.

Le ragioni di questo ulteriore passo falso della nostra diplomazia commerciale sono da ricercarsi nel perseverare negli errori di base, nel continuare ad organizzare fiere di questo tipo, che anche se organizzate per i prossimi 100 anni, continueranno ad avere lo scarso riscontro attuale sia in termini di visibilità che di ricadute commerciali.

Chi ha organizzato Vinitaly si comporta come se il mercato cinese fosse come gli altri mercati, dove la cultura del vino è comunque da tempo presente e radicata (Giappone e Corea ad esempio).

La Cina non ha una reale cultura in tal senso e va educata dalla base, ma per farlo non basta un evento espositivo.

Servono tutta una serie di eventi sul territorio per portare il piacere del gusto, del bere il vino italiano, direttamente nelle case dei cinesi e non sperare, come ora, che i cinesi vengano a cercare il gusto e il vino italiano.

Qui emerge tutta la fragilità della nostra diplomazia commerciale, incapace di andare oltre eventi spot e di facciata, senza poi dare seguito ad essi nei mesi successivi con azioni tangibili sul piano commerciale e di business.

La buona volontà NON basta, occorrono capitali economici ed umani per entrare in contatto con i cinesi quotidianamente, per fare conquistare all’agro-alimentare italiano lo spazio che merita nelle preferenze del cinese medio.

Occorre pianificare azioni di comunicazione più profonde e quotidiane, usando tutti i mezzi di informazione possibili, in modo da presentare il “sistema” del nostro gusto non come una serie di marchi, ma come un vero e proprio stile di vita; organizzare campagne di diverso stampo, visto che il modello fieristico / espositivo tradizionale non rappresenta da solo il modo migliore per entrare, penetrare e preparare i cinesi a diventare fan sfegatati del nostro gusto, dei nostri prodotti tradizionali, della nostra cultura.

E’ importante lavorare sul piano dell’integrazione dei gusti, facendo “evolvere” la nostra cucina e i nostri prodotti in leccornie ricercate dal cinese medio.

Un elemento fondamentale è rendersi conto che il prezzo rappresenta il parametro determinante che oggi guida un cinese nello scegliere cosa mangiare e bere. Occorre farsene una ragione, pena l’esclusione dal mercato in quanto “fuori range”, a vantaggio di altri concorrenti più flessibili ed adattivi (Francesi, Australiani, Americani …)

Quindi basta con queste fiere vetrina, autocelebrative e missioni di politica nazionale. Usciamo dal castello di argilla della nostra convinzione che essere italiani rappresenta di per se garanzia di successo e iniziamo a diventare “missionari” dei nostri valori per le strade della Cina, quella vera.

Ricordiamoci di come il Made in Italy ha conquistato il mondo: i nostri emigranti, questi milioni di “disperati” sono stati in grado di esportare concretamente il nostro “made in italy” e radicarlo in ogni dove, trasformando una drammatica emergenza, in uno dei più grandi successi commerciale di tutti i tempi.

Ora bisogna ricominciare anche noi la nostra lunga marcia che affascini, conquisti, emozioni i cinesi.

Gli strumenti e le materie prime per farlo le abbiamo. Ora serve la volontà di crederci fino in fondo e utilizzare meglio e con maggiore intelligenza, i pochi soldi e le risorse a disposizione.

Fiere di questo tipo sono solo delle deprimenti dimostrazioni che la strategia fino ad ora seguita, nel caso della Cina, è totalmente fallimentare.

Un esempio pratico? Mentre noi organizziamo questo tipo di inutili fiere, aspettando l’anno prossimo, i francesi continuano a firmare accordi commerciali e creano aziende miste Sino-Francesi per insegnare ai cinesi a produrre essi stessi il vino per il mercato interno, sostenendo tutto questo con la loro “grande distribuzione” presente in Cina (Carrefour).

I Francesi non vendono direttamente ma creano squadre di cinesi che vendano per loro. Questa è la chiave per capire la Cina, in una fase come questa, di crescente nazionalismo di una nazione che orgogliosamente intende costruirsi da sola la strada della propria identità e del benessere futuro.

Se analizziamo analogamente la situazione nel caso del caffè, c’è da rimanere sconcertati. Anche in questo caso dimostriamo che pur possedendo i migliori talenti a livello mondiale, stiamo rifiutando di giocare la partita commerciale e culturale, lasciando a giocatori modesti, quali ad esempio Starbucks, il vantaggio di far pagare fino a 5 Euro (una enormità in Cina, un vero furto!!) una tazza di acqua sporca!!!

Occorre riflettere velocemente e svegliarsi dal torpore della autoreferenza oramai storicamente datata, prima che del gusto italiano non ne siano pieni i resoconti storici, come quelli che esaltano il gusto dei greci e dei romani.

Ganbei a tutti. (Cin cin in Cinese)

Sorpresa: la Cina parla inglese

(pubblicato su Affari Italiani il 24 Novembre 2006)
I cinesi da tempo sentono l’esigenza fortissima di comunicare, una sorta di reazione, di contrappasso all’isolamento vissuto negli scorsi decenni.

Questa esigenza è visibile a tutti i livelli, tanto da spingere il Ministro degli Affari Esteri, in più di una occasione pubblica, a parlare direttamente in un perfetto inglese.

Questo è un chiaro segnale di come ufficialmente i cinesi abbiano accettato la sfida della comunicazione globalizzata e accettato l’inglese come lingua franca.

Lo sforzo che la Cina sta affrontando su questo campo è incredibile, vista l’arretratezza da cui partiva. Ma i primi risultati cominciano già a vedersi.

Ora qualunque facoltà universitaria cinese sforna dei veri e propri traduttori che conoscono oltre ad un perfetto inglese anche spesso una seconda lingua occidentale (Francese o Tedesco per la maggiore).

A questa sistematica azione formativa universitaria si sono aggiunti, in occasione delle prossime olimpiadi del 2008, programmi di formazione nelle grandi città per insegnare l’inglese anche ai cittadini comuni di qualsiasi età, in modo da fornire agli stranieri una migliore assistenza, direttamente in inglese.

Capita quindi di vedere anziani esprimersi correttamente in inglese, con l’orgoglio di chi sta rinascendo, di chi finalmente può toccare il cielo con un dito per una nuova e stimolante vita culturale, oltre che sentirsi ancora utile alla causa cinese, in un momento storico come saranno le olimpiadi del 2008.

Lentamente quindi la Cina si appresta anche a sfatare il luogo comune, relativamente all’inglese, lingua fino ad ora parlata effettivamente da pochissimi.

Ma il discorso sull’inglese va inserito in un più vasto scenario macroeconomico.

Uno dei problemi storici che i Giapponesi hanno avuto nella loro espansione in tutto il mondo è stato proprio quello di non parlare inglese

Capitava così che le filiali giapponesi avessero spesso un responsabile giapponese che non sapendo l’inglese limitava le capacità di penetrazione sui mercati internazionali del “Made in Japan”.

I cinesi sembrano aver imparato la lezione e ora stanno allenandosi per poter disporre di propri managers in grado di parlare perfettamente inglese e se necessario anche un secondo idioma locale.

La chiave della futura espansione internazionale cinese sarà quindi anche culturale, in grado di favorire una più profonda integrazione, una diretta capacità di gestione e trasmissione dei messaggi economico, finanziari e commerciali.

Ma sbaglia chi crede che questo sia il segnale che i cinesi si stanno piegando alle logiche occidentali, adeguandosi ad esse.

i cinesi, infatti hanno deciso semplicemente di aprire il canale in lingua inglese solo per farsi capire meglio e trasmettere i propri contenuti e messaggi, come dei consumati esperti di comunicazione e marketing.

Oltre tutto i cinesi hanno già dimostrato nella loro storia, una innata capacità di piegare e far proprie le esperienze culturali provenienti dall’esterno. La diffusa conoscenza dell’inglese segnerà una sorta di discontinuità con il passato consentendo ai cinesi di provare per la prima volta, a condizionare e cambiare gli altri.

L’inglese appare quindi un passo fondamentale, forse decisivo, per continuare con successo il processo di apertura iniziato e favorire e preparare la prossima espansione economica e culturale sui mercati internazionali.

Quella dei cinesi su questo tema è una lezione di stile e di grande saggezza che andrebbe recepita dai nostri governanti, nata da una corretta lettura dell’epoca globalizzata in cui viviamo, dove saper comunicare e possedere l’informazione risulta già ora fondamentale e strategico.

Se confrontiamo infatti l’esempio cinese con la situazione italiana c’è da rimanere sconcertati.

Mentre i cinesi organizzano concorsi per testare il livello di conoscenza raggiunto nelle lingue straniere, nelle nostre Università, le lingue straniere nella migliore delle ipotesi sono facoltative.

Accade quindi che le nostre facoltà scientifiche ed economiche stiano preparando i nostri futuri talenti come se poi dovessero confrontarsi con una comunità internazionale che parla in Italiano!!!

È il nostro retaggio storico che continua ad emergere, il ricordo dei fasti dove il latino insegnava al mondo intero a comunicare, ma di un tempo che fù, ormai morto e sepolto, di cui rapidamente dovremo farcene una ragione.

Esattamente così come arroccarsi sulla sola idea del “Made in Italy” o il nuovo “Concept in Italy”, non possano essere sufficienti per sperare di uscire dalle secche attuali sul tema di competitività paese.

La lezione dei cinesi è semplice: tutto cambia, rapidamente, occorre essere capaci di vivere il cambiamento mettendosi costantemente in discussione, accettando fino in fondo la sfida, innovandosi profondamente, l’unico atteggiamento possibile per vivere da protagonisti gli avvenimenti futuri.

Cina/ L'esercito dei disoccupati per scelta

(pubblicato su Affari Italiani il 17 Novembre 2006)
La Cina è un incredibile macchina del tempo, un treno capace di attraversare in pochi anni fasi sociali ed economiche che nel resto del mondo hanno richiesto decenni, tutto come in un laboratorio a cielo aperto.

In questo percorso, in una sorta di ritorno al futuro, è possibile imbattersi improvvisamente in una generazione di “disoccupati per scelta”!!! Quella dei neo laureati cinesi.

Ogni anno la Cina sforna qualcosa come 4,13 milioni di laureati, cosa che, a prima vista, rappresenta una ottimo risultato, un costante incremento delle competenze a supporto della crescita economica e sociale cinese.

Oggi però Tian Chengping, Ministro del lavoro e sicurezza sociale, ha annunciato che 1,24 Milioni di questi neo laureati nel prossimo anno rimarranno senza lavoro, dato il brusco rallentamento della domanda di neo laureati, quantificato in -22%.

Superficialmente questa analisi appare credibile anche se probabilmente la vera ragione di questo fenomeno va cercata altrove: questo esercito di disoccupati ha deciso di esserlo.

Questa estate, ad esempio, il governo cinese, a fronte di questa crescente emergenza giovanile, aveva lanciato una campagna per lo stanziamento di sussidi ai neo laureati disoccupati, ma nonostante la promozione fatta a tappeto in tutte le università nazionali, di fatto questa opportunità non è stata colta, tanto che a livello governativo ci si è chieste le ragioni di questo “rifiuto”, totalmente in contro tendenza se comparato alle precedenti esperienze nei paesi occidentali.

I giovani neo laureati, senza troppi giri di parole, hanno risposto che preferiscono rimanere disoccupati, piuttosto che essere sostenuti da un sussidio.

Questo ha sconcertato molto il governo cinese, dato che lo stato di disoccupazione può durare anche degli anni e sta coinvolgendo proprio tutti, anche i talenti che terminato il proprio percorso di studi all’estero, hanno deciso di rientrare in Cina.

La ragione è semplice quanto incredibile: oggi un teenager cinese rifiuta qualunque soluzione di contingenza (salario nell’ordine dei 100 / 200 € mensili) perché convinto che, come gli insegna io il suo Tao e la sua tradizione aspettando arriverà una occasione migliore (circa 500€); basta sapere attendere che le condizioni migliori maturino.

Il benessere sempre più diffuso porta quindi tutta una generazione ad un sostanziale attendismo, in attesa che arrivino tempi migliori.

Questo approccio è connesso anche al manifestarsi di un secondo fenomeno storico: la regola del figlio unico, vigente in Cina fino a poco tempo fa.

Risultato; i figli, spesso unici, sono al centro degli interessi e degli affetti dei propri genitori, che anche involontariamente finiscono con il viziarli.

Per cui, i genitori del nuovo benessere cinese, anche se raggiunto dopo decenni di privazioni e sudati risparmi, finiscono per sostenere la scelta di disoccupazione dei figli, essi stessi convinti della imponderabilità di un futuro migliore, dato per certo.

Il cinese medio oggi pensa SOLO positivo e sostenuto dalla propria cultura e filosofia tradizionale, assomiglia più ad un passeggero di un treno in viaggio verso una nuova stazione, che il macchinista dello stesso.

I giovani cinesi quindi sono come partiti per un viaggio; poco interessati alla contingenza quotidiana e nella sola attesa che la stazione desiderata arrivi.

Se a tutto questo aggiungiamo il fascino che il modello occidentale sta esercitando sulle nuove generazioni cinesi, il risultato è sotto gli occhi di tutti: le nuove generazioni cinesi non sono più propense ai sacrifici che hanno caratterizzato i loro predecessori.

Questo sta creando quindi un pericoloso attrito tra le varie generazioni cinesi.

Parlando con i trentenni ci si rende conto della poca stima e fiducia che ripongono nelle generazioni a venire, viste come dei veri e propri parassiti, poco propensi a vivere per il bene comune, la Cina, intrisi di un crescente individualismo che fa molta paura.

Si, perché questo tarlo terrorizza il cinese medio attuale.

Non sono gli europei o gli americani a preoccuparli davvero, ma il diffuso timore che il benessere fin qui faticosamente costruito, rischi di non perpetuare a causa dell’incapacità delle generazioni future a continuare il lavoro fin qui svolto.

E le prime avvisaglie non sembrano contraddire questi timori, visto che sembra crescere un esercito di Peter Pan poco interessati a faticare per costruire, ben intenzionati a consumare quello che c’è, come voraci cavallette.

Forse questa rappresenta la nuova e vera sfida cinese per il futuro.

Occorrerebbe pertanto spiegare ai giovani cinesi come il modello di vita che stanno cercando di emulare, quello occidentale, non rappresenti la perfezione ma anzi forse il primo sintomo del NOSTRO decadimento, esattamente come quello che storicamente portò la grande Roma a scomparire dal centro della storia mondiale.

La Cina ancora forse non è arrivata a rischiare tanto, ma in un mondo globalizzato come quello attuale, visto che la fame e le necessità concrete dei popoli poveri saranno i veri drivers degli sviluppi futuri, non aver il desiderio di costruire e guidare il proprio benessere futuro, rappresenta di per sé una pericolosa spia di allarme, di cui la Cina dovrà tenere conto, per evitare di diventare nel futuro una eterna ed incompiuta Peter Pan.

Forum Cina-Africa e povertà: paesi poveri uniti verso la nuova ricchezza

La Cina non finisce mai di stupire, visto che anche su una questione fondamentale quale quella della povertà e la questione africana, è l’artefice di novità significative, forse decisive.

Queste novità sono al centro dei colloqui in corso tra la Cina e i paesi africani nel 3° forum China-Africa apertosi oggi a Beijing.

Dopo decenni di fallimenti internazionali per cercare di risolvere il problema della povertà nel mondo( spesso più un utile strumento di marketing) e l’ormai conclamata incapacità dei paesi sviluppati di ridistribuire la propria ricchezza, ora è ufficiale: i paesi poveri faranno da sè.

Ma cosa è successo affinché questo fatto rivoluzionario potesse accadere?

Prima di tutto dal 11 settembre 2001 i Paesi sviluppati stanno concentrando immense risorse più sulla emergenza legata alla guerra al terrorismo che investirle per migliorare la qualità della vita per miliardi di persone nel resto del mondo.

Secondariamente negli stessi anni, la Cina è riuscita a diventare l'emblema, il testimonial di successo che dimostra che cambiare la propria condizione di povertà è possibile.

L'esperienza della Cina e di altri paesi dell'area Asiatica come ad esempio il Vietnam, stanno dando ai paesi poveri la possibilità di recuperare l'orgoglio della propria condizione e attraverso una sempre maggiore cooperazione tra loro, consente l’accesso alle competenze e alle tecnologie al momento solo a disposizione dei paesi sviluppati.

Ma in particolare la Cina è diventata il partner in grado di fare da volano ai paesi in via di sviluppo, esattamente come per noi lo fu l’America dell’immediato dopoguerra.

Tutto ciò lo troviamo esplicitato in un passaggio del discorso del premier cinese Wen Jiabao che nella cerimonia di apertura del recente Summit China - ASEAN dichiarò: "le emergenze della Cina sono le opportunità per tutto il mondo".

E per capire quanto questo sia vero nella soluzione della questione africana, bastano le parole dei leaders presenti al forum che all’unisono affermano: “Con la Cina si lavora da tempo in una vera e mutua cooperazione. Non come con i paesi sviluppati, ad una sola direzione e in maniera unilaterale”.

L’incontro che si è aperto oggi a Beijing è quindi un forum tra pari, tutti orientati a collaborare per un reciproco futuro migliore

In questo forum, emerge ancora una volta con forza lo stile cinese nelle cooperazioni internazionali, un approccio ben diverso da quello fin qui dimostrato dai paesi sviluppati, una lezione di etica e comprensione profonda della reale situazione e dei problemi che meriterebbe un maggiore approfondimento da parte dei paesi sviluppati.

I cinesi, per quanto stiano diventando rapidamente la prima economia mondiali, non intendono scordarsi della propria storia e dei problemi che hanno dovuto risolvere. Nei fatti stanno quindi mettendo tutto ciò a disposizione degli altri paesi, per cercare di contribuire ad un maggiore benessere distribuito.

Il fenomeno che più assomiglia a quanto i cinesi stanno quotidianamente realizzando con i paesi in via di sviluppo si chiama microcredito che nelle discussioni in corso a Beijing, raggiunge dimensioni di accordi tra nazioni.

La cosa che colpisce del forum di Beijing sono i visi dei leaders africani in arrivo; sorridenti, orgogliosi e sereni, coscienti che stanno gettando le basi per un futuro autoderminato, ben lontano dalle richieste di aiuto, quasi sempre disattese, inviate negli ultimi decenni alla comunità internazionale.

Questo evento ridà infatti agli africani quella dignità che le dominazioni coloniali prima e l’assistenzialismo economico poi, avevano tolto, contribuendo concretamente a girare pagina e reclamare il diritto di costruirsi il proprio futuro.

La forza dei cinesi è quella di essere il partners leale e concreto di cui i paesi africani avevano bisogno e con il quale condividere il desiderio e il sogno in un futuro migliore.

Per capire la portata dei mutamenti che sconvolgeranno l’Africa prossima ventura, basta vedere i vari progetti di cooperazione al centro delle discussioni, come quello per le Mauricius viste come il porto di ingresso (Hub) per la Cina verso il continente africano.

Ma in questi anni i cinesi si sono spinti oltre, donando ai paesi africani la medicina contro la malaria, basata su principi attivi della tradizione cinese.

Dato che la malaria è una delle principali cause di morte in Africa, si capisce la portata degli interventi fin qui realizzati dai cinesi.

E noi cosa stiamo facendo oltre che continuare a parlarne o letteralmente saccheggiando i principi attivi delle piante africane, brevettandoli, per poi venderli come nostri?

In queste mutate condizioni generali e grazie al tutoraggio della Cina, i paesi in via di sviluppo stanno andando rapidamente verso la propria nuova futura ricchezza.

Non dovremo quindi stupirci che sempre più in futuro questi paesi faranno sempre minore accesso ai progetti di cooperazione internazionali.

Da soli, stanno realizzando la ricetta che li porterà verso un nuovo diverso futuro, creandosi quella economia reale basata sugli scambi commerciali, in grado di sostenere la futura crescita e di accelerare il processo si uscita dalla condizione di povertà. Il loro schema di riferimento è quanto accaduto in Cina negli ultimi decenni.

Quindi i paesi in via di sviluppo, parafrasando il motto"Chi fa da se fa per tre", rendono ancora più evidente il fallimento della politica dei paesi sviluppati ed evidenzia la miopia dei nostri politici, sicuri che la storia non presenterà un giorno il proprio conto finale.

Non dobbiamo infatti dimenticare che attualmente sono alle porte crisi ancora allo stato latente ma molto rischiose, quale quella della prevista esplosione della bolla immobiliare americana che porterebbe devastanti effetti a catena nei nostri paesi, così come non possiamo dimenticarci della futura competizione strategica nell'accesso alle risorse energetiche e naturali, spesso proprio patrimonio dei paesi in via di sviluppo e dell’Africa appunto.

C’è da essere preoccupati, visto come ci siamo comportati fino ad ora e negli ultimi 200 anni.

Risulterà infatti difficile aspettarsi allora dagli attuali paesi in via di sviluppo, qualunque tipo di comprensione alle nostre future emergenze.

Cina, guerra alla corruzione

(pubblicato su Affari Italini il 3 Novembre 2006)
Quando si parla di Cina, il primo e più diffuso luogo comune è che sia un paese dove la corruzione imperi ovunque.

Arrivi e pensi di doverti preparare al peggio, gabelle e dazi fin dal tuo ingresso in aeroporto e rassegnarti a qualunque tipo di sovratassa compiacente per qualsiasi operazione.

Quindi non ci si stupisce, quando entrando per la prima volta in un ufficio governativo, si attenda l’arrivo della fatidica richiesta in grado di “aiutare” la procedura in corso.

Sorpresa!! Entrare in un ufficio statale in Cina, a Shanghai, è come entrare in una banca.

Tutte le procedure, sono corredate da una chiara lista dei documenti necessari, di un listino prezzi chiaro ed univoco, professionalità stile banca.

Sicuramente Shanghai non è tutta la Cina, ma è evidente fin nei dettagli delle singole procedure, lo sforzo governativo affinché questa piaga venga sanata al più presto.

Un esempio? In tutte le procedure e per ogni singolo passaggio, sono stabiliti l’ufficio responsabile e i tempi entro cui la pratica presentata sarà evasa o otterrà una risposta. Il rispetto dei tempi risulta essere elemento tassativo per l’ufficio governativo, oltre ad essere un evidente metodo di auto-verifica dell’operato dei funzionari coinvolti.

Un altro esempio? In tutti gli uffici in Cina, (compresi i guidatori d’autobus!!), hai sempre chiaro con chi stai parlando, in quanto è presente una targhetta di identificazione personale, con tanto di foto.

Quindi, nel caso qualcosa non vada per il verso giusto, tu puoi sempre fare nome e cognome del funzionario con il quale sei entrato in contatto, senza alcun problema o reticenza.

La lotta alla corruzione in Cina è quindi diventata una emergenza nazionale, tanto che leggendo i giornali e guardando la televisione, ogni giorno viene dato conto dei funzionari governativi finiti in prigione accusati di atti di corruzione.

L’ultimo evento rilevante è stato quello che ha riguardato proprio Shanghai, dove senza pensarci due volte, è stata rimossa la massima carica della città e adesso anche altri funzionari sono sotto inchiesta.

Dati alla mano dal 2003 ad oggi, in Cina 67.500 ufficiali governativi sono stati giudicati per atti di corruzione, così come annunciato da Wang Zhenchau, procuratore generale della Suprema Procura del Popolo. In Cina per reati del genere si rischia di passare il resto della vita in prigione.

Interessante è osservare inoltre che la polizia stima che i reati economici più gravi commessi da soli 500 di questi funzionari, hanno contribuito a sottrarre qualcosa come 70 Miliardi di Yuan (8,75 Miliardi di Dollari).

La cosa per quanto stupefacente, sembra confermare la premessa: la Cina è la patria della corruzione a livello mondiale.

Poi si riflette un attimo sui recenti casi di corruzione accaduti in Ungheria, Taiwan e Thailandia dove hanno fatto seguito manifestazioni di piazza e un colpo di stato.

Si legge delle recenti condanne ai manager Enron in USA, di quello che sta accadendo in Russia e le accuse al premier Putin fatte dalla giornalista finita ammazzata, per finire a fare mente locale su un passato che ci riguarda; la questione connessa all’omicidio di Ilaria Alpi e della nostra cooperazione in Somalia.

Da questi e altri casi, si capisce che il problema della corruzione è un problema non circoscrivibile a zone specifiche ma risulta un problema su scala planetaria, ora confermato dalla nascita di un organismo internazionale preposto a combatterla, l’Associazione Internazionale delle Autorità anti-corruzione (IAACA) che raccoglie 137 paesi e 12 organizzazioni internazionali.

La IAACA è nata come strumento operativo nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (UNCAC) che dovrebbe trovare la sua attuazione dal prossimo 14 dicembre, proprio per combattere la corruzione nel mondo.

A questo punto una paio di domande. Dove si è riunita la prima sessione di questa associazione mondiale contro la corruzione? Manco a farlo apposta a XIANGHE, HEBEI (Cina) il 23 Ottobre u.s.

A chi è stata affidata la presidenza di questa associazione da parte di tutti e 137 gli stati aderenti? Sarà una coincidenza ma proprio alla Cina, nella persona di Jia Chunwang Capo della Suprema Procura del Popolo.

Cosa significa tutto ciò? Semplicemente che mentre gli Americani pubblicizzano ogni giorno che il male del mondo si annida nelle pieghe del terrorismo, i cinesi affermano invece che per vedere un crescente benessere generalizzato, occorre sconfiggere la corruzione in ogni dove essa si annidi.

Questo approccio appare molto credibile quando si provano ad analizzare le cause principali che mantengono all’attuale livello di povertà ad esempio le popolazioni dell’Africa e del Sud America.

La corruzione governativa in quei paesi impedisce che la ricchezza presente, spesso sotto forma di materie prime e risorse naturali, rappresenti realmente un bene comune.

Detto questo, la corruzione ha quindi sicuramente un impatto quotidiano ben superiore a quello legato al terrorismo mondiale, quando ogni 5 secondi una persona muore di fame e quando più di 1 miliardo di persone non hanno accesso diretto all’acqua.

Quindi forse è giunto il momento di soffermarsi a riflettere sulla pragmatica proposta contenuta nel messaggio cinese di lotta alla corruzione senza oltranza.

Evidentemente nasce dalla esperienza che ha consentito alla Cina (ricordiamoci di 1 miliardo e 300 milioni di persone!!) di passare da una situazione di indigenza alla ben diversa situazione attuale, dove ad ogni cinese è garantito acqua e cibo.

Inoltre il governo cinese da questa azione pensa di risparmiare qualcosa come 9 Miliardi di dollari.

E noi, quanti Miliardi di Euro risparmieremmo se affrontassimo seriamente la questione della corruzione, trasformandola in una vera e propria emergenza nazionale con la stessa determinazione dimostrata fin qui dai Cinesi?

Sicuramente un diverso approccio sulla questione sarebbe un forte segnale, in grado di dare al paese quella scossa di cui ha tanto bisogno, per tornare a competere sui mercati internazionali.

A conferma della necessità di una azione, basti ricordare che la Cina è il paese che raccoglie il più grande volume di investimenti stranieri, mentre noi sul tema degli investimenti internazionali in Italia siamo tra gli ultimi, vista la sostanziale sfiducia degli investitori stranieri verso le nostre procedure interne.

La lezione e il monito cinese è sotto gli occhi di tutti, per comprenderla basterebbe smettere di indossare gli occhiali da sole dei pregiudizi e dei luoghi comuni, visto che per prima cosa dobbiamo sfatare i nostri, senza se e senza ma, prima che la confusione attuale diventi ingovernabile.

Ecco come Cina ha convinto la NordCorea

(pubblicato su Affari Italiani il 1 Novembre 2006)
La Cina ha dimostrato concretamente tutta la sua innovativa capacità di mediazione internazionale contribuendo a sgonfiare in sole tre settimane la questione connessa ai test nucleari effettuati dalla Corea del Nord.

Quali sono state la ragioni di un tale rapido cambio di rotta da parte del Governo Nord Coreano?

Semplicemente la ferma e reale opposizione da parte della Cina a qualsiasi proliferazione nucleare nell’area, unita all’utilizzo, da parte delle Cina, della leva economica che la lega alla Corea del Nord.

Tradizionalmente i due paesi sono molto vicini, tanto che nel sostanziale isolamento in cui vive la Corea del Nord dal resto della comunità internazionale, per ben il 90% delle proprie importazioni, essa dipenda dalla Cina.

Ma mentre in altre situazioni analoghe, la Cina aveva sempre mantenuto una sostanziale fredda distanza, lasciando la gestione alle altre organizzazioni internazionali, in questo caso, il governo cinese ha deciso di agire direttamente ed immediatamente, sia per scongiurare una escalation militare ai propri confini, che per dimostrare al mondo come la Cina sia attenta realmente ad un equilibrio di pace mondiale.

E dato che la ferma opposizione verbale sembrava non bastare a convincere la Corea del Nord della reale posizione della Cina sulla questione, il governo cinese ha provveduto ieri a tagliare le forniture di petrolio alla Corea del Nord, lanciando un decisivo segnale negoziale.

Questa azione, probabilmente del tutto inaspettata dalla parte Nord Coreana, ha obbligato immediatamente il governo di Pyongyang ad accettare il ritorno al tavolo delle negoziazioni, con l’intenzione, già dichiarata, di abbandonare ogni aspirazione di proseguire nel proprio programma nucleare.

Questa crisi e le modalità con le quali si sta risolvendo, sono probabilmente lo specchio degli equilibri mondiali presenti e futuri.

Basti pensare al sostanziale fallimento della azione USA (e ONU) che aveva tentato di risolverla bloccando i fondi finanziari destinati alla Corea del Nord e la faticosa ratifica della solita risoluzione di condanna internazionale all’ONU.

Nonostante queste azioni i test nucleari avevano avuto comunque luogo e i messaggi successivi dalla Corea del Nord continuavano ad essere tutt’altro che amichevoli.

A quel punto la Cina ha deciso di agire direttamente, tagliando le linee di approvvigionamento tanto necessarie alla Corea del Nord, modificando radicalmente le posizione negoziali, anche perché senza la Cina, la Corea del Nord non può sopravvivere, obbligandola così, suo malgrado, a fare dietro-front immediatamente su tutte le precedenti ambizioni e rivendicazioni.

Interessante è però osservare come mentre la crisi Nord Coreana cercava la sua soluzione, sui canali televisivi cinesi venissero mostrate analisi che se da una parte mettevano in evidenza l’importanza del ruolo dell’ONU e il sempre crescente coinvolgimento della Cina nella organizzazione, dall’altra ne denunciavano la sostanziale immobilità, gli sprechi finanziari e gli scandali connessi.

Addirittura, nel riassumere quanto fatto da Kofi Annan durante il suo mandato in scadenza, senza mezzi termini si è parlato di fallimento, per non essere stato in grado in nessun modo di ridurre gli enormi sprechi di denaro della pachidermica organizzazione ONU.

L’avvenuta elezione alla segreteria dell’ONU di un rappresentante proveniente dell’Asia, oltre ad essere un fatto storico, rappresenta sicuramente più che un segnale di come gli equilibri mondiali passeranno sempre più da Beijing che da Washington,

Il modo con il quale gli americani hanno affrontato le crisi in Afghanistan e Iraq, autorizza infatti i Cinesi ad esautorarli nell’affrontare secondo il loro stile, le crisi prossime venture, finendo per contrapporre due visioni; quella Americana che intende sconfiggere il terrorismo in ogni dove così come tutte le relazioni internazionali che lo sostengono (vedi stati canaglia) e quella Cinese, totalmente concentrata solo al mantenimento di un equilibrio in pace e di collaborazione tra le diverse nazioni e tra i popoli per un maggiore e sempre più diffuso benessere.

E sulla crisi Nord Coreana, questa seconda impostazione sembra aver dato rapidi e concreti risultati.

Dolcetto o schelzetto? Halloween in salsa cinese

(Pubblicato su Affari Italiani il 1 Novembre 2006)
Quest’anno la Cina del miracolo economico non ha resistito alla tentazione di importare anche l'ultima delle festività internazionali: Halloween.

Premesso che siamo nel paese dove ancora oggi sono appesi i cartelloni e addobbi degli Happy Cristhmas di chissà quale Natale è ovvio non esiste alcuna reale conoscenza e back-ground connesso con questa e nessun altra delle festività occidentali, viste nelle grandi città cinesi sempre e solo come delle fresche novità e una occasione di fare business.

Ma su Halloween c'è un elemento in più di disputa: si scopre che i cinesi rivendicano la paternità dei fantasmi ben prima degli occidentali, visto che da oltre 2 mila anni viene festeggiato in Cina la notte dei fantasmi.

La festività cinese viene festeggiata il 15 luglio del calendario lunare ( qua tutto è collegato al calendario lunare e non a quello solare) che corrisponde più o meno alla metà del nostro agosto.

La leggenda cinese dice che il cancello dell'inferno si apre alla mezzanotte per fare entrare nel mondo degli esseri umani, uno sciame di fantasmi alla ricerca di mangiare e/o di soldi. (in cina anche i fantasmi sono venali!!!)

Questi fantasmi sono affamatissimi visto che sono a digiuno da un anno e quindi cercano di entrare nelle case alla ricerca di cibo per sfamarsi.

Tradizionalmente nel sud della Cina, per sfamare questa orda di fantasmi si depongono sui gradini davanti all’ingresso piatti di carne, pezzi di pollo, verdure, riso, tè e frutta.

In aggiunta, come gesto scaramantico, viene bruciata carta che intende simboleggiare la moneta corrente, oltre ad illuminare le vie con le candele in modo da accogliere l’arrivo dei fantasmi.

Ma è vietato agli esseri umani incrociare uno di questi fantasmi. Quindi nella notte dei fantasmi cinesi le strade sono tradizionalmente vuote, visto che se un umano avesse la sventura di incrociarne uno, la sfortuna finirebbe per abbattersi su tutta la famiglia del malcapitato.

Un ulteriore leggenda dice che durante la notte dei fantasmi viene consigliato di evitare di stare vicini ai laghi o fiumi, perchè si rischia di essere afferrati dai fantasmi annegati che vogliono tornare in vita, utilizzando il corpo del malacapitato.

Quindi evidentemente fedeli alle origini tradizionali connesse alla loro notte dei fantasmi, l'Halloween cinese di quest’anno, si è caratterizzato nell'essere probabilmente il più digitale sul pianeta.

Infatti, dato che nessuno si sogna di vedere andare per strada gruppi di ragazzi a bussare alle porte per il mitico "Dolcetto o scherzetto?", i cinesi hanno sfruttato questa festività per attivare la loro tremenda macchina dei contatti digitali.

Sono partite quindi milioni di E-Halloween cards che hanno saturato le mailbox (letteralmente) degli internauti cinesi e hanno visto il coinvolgimento di tutti i principali portali on line cinesi quali Sina.com, Sohu.com e 163.com.

Ovviamente nei grandi magazzini delle grandi città sono anche in vendita le tradizionali zucche e i gadgets tipici dell’Halloween che noi conosciamo, così come sono state organizzate feste stile occidentale in alcuni dei principali locali, ma il tutto è rimasto delimitato in questi spazi, dando ancora una volta la chiara sensazione che la Cina all’uopo sa indossare qualsiasi vestito, ma sotto sotto, rimane fedele sempre a se stessa.

China-ASEAN Summit/ Entro il 2010 arriva il "Mercato Comune d'Asia"

(pubblicato su Affari Italiani il 30 Ottobre 2006)
Oggi a Nanning (Cina) si incontrano i leaders della ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) che comprende i 10 paesi asiatici più attivi, tra cui Indonesia, Thailandia, Filippine, Vietnam e Singapore per festeggiare i 15 anni di partnership con la China.

Al momento la China è per così dire partner strategico, ma dalle interviste rilasciate dai diversi leader, si capisce che la relazione è di ben altro tipo, dato che il tema della discussione è il futuro assetto della ASEAN e le future membership.

Appare evidente che dall’ASEAN dipenda la futura leadership politica ed economica nell’area asiatica e quindi mondiale; vista la sostanziale contrapposizione tra Cina e Giappone sul tema della composizione finale dei membri della ASEAN.

Da una parte la Cina preme verso un ampliamento graduale degli attuali membri ed un eventuale coinvolgimento anche di Giappone, Corea del Sud e Cina stessa, dall’altra il Giappone che spinge verso un allargamento ben più esteso (ASEAN + 6) che comprenda anche India, Australia e Nuova Zelanda.

Coincidenza vuole che, nel fine settimana tra il 3 e il 7 Novembre, saranno a Beijing tutti i leader Africani per il forum China-Africa, che come obiettivo hanno quello di proseguire e consolidare il privilegiato percorso di cooperazione e partnerships in corso tra i loro paesi.

Questo summit di Nanning è stato organizzato inoltre in concomitanza con l’anniversario degli accordi GATT sul libero mercato del 1947 che poi hanno portato, nel 1995, al presente WTO. (World Trade Organization).

Occorre riflettere seriamente su quanto sta accadendo visto che di fatto dal 2010 probabilmente nascerà in Asia il più grande mercato comune al mondo; ad oggi di oltre 2 Miliardi di persone.

Non si fatica anche ad immaginare che questo nuovo mercato comune avrà una sua moneta unica o di riferimento e quale potrebbe essere? Lo Yuan che sta studiando per diventare il dollaro del terzo millennio?

Di certo ci sono gli accordi già sottoscritti tra ASEAN e Cina che ipotizzano come anno di nascita di questo Mercato Comune (Free Trade Area) il 2010 ignorando le misure anti-dumping Ue ed occidentali.

Siamo proprio sicuri nfatti che per quella data i cinesi e gli asiatici in genere continueranno a perdere tempo nel cercare di convincere gli europei ad una parità di condizione e concorrenza nelle transazioni commerciali e nel trading?

E’ ormai evidente e lo si è visto chiaramente nella recente visita del Presidente Francese Chirac in Cina, che i cinesi, punto di riferimento per tutte le economie in via di sviluppo, comincino ad essere seriamente infastiditi dall’approccio occidentale in materia di scambi commerciali.

Infatti durante gli incontri ufficiali, i cinesi in qualità di clienti da svariati Miliardi di Euro (Airbus e Nucleare)delle imprese francesi, hanno esplicitato direttamente a Chirac, senza giri di parole, di sentirsi seriamente danneggiati dalle ultime misure Ue in materia di dazi anti-dumping.

Chirac prontamente, non ha potuto fare altro che affermare che si prenderà a cuore la questione a livello di Ue.

I cinesi però pensano che questa sia stata più che altro, un' operazione di facciata, date le cifre dei contratti e delle collaborazione sottoscritte durante gli incontri bilaterali, ma soprattutto alla luce delle ben note e distanti posizioni su questo tema all’interno della stessa Ue.

Sintetizzando la polemica, i Cinesi ritengono che le ultime misure anti-dumping UE, caldeggiate anche dall'Italia, altro elemento che meriterebbe ulteriori approfondimenti, violano le regole stesse dei trattati del WTO, in quanto finiscono per penalizzare solo la Cina a favore dei suoi concorrenti e degli stessi Europei.

I Cinesi hanno pertanto iniziato tutta una serie di azioni legali a livello internazionale per vedersi riconoscere il principio di reale concorrenza nelle relazioni commerciali e consentire alle proprie produzioni di avere un trattamento adeguato e un maggiore rispetto.

E nel frattempo, nella attesa dei possibili riscontri a queste azioni di diritto internazionale, la Cina che farà?

Semplice, pragmaticamente come da sua consuetudine, si costruisce il proprio libero mercato che da solo è in grado di spostare i futuri equilibri economici mondiali e di compensare qualsiasi decisione possa essere presa in sede Europea.

Solo che stavolta anche gli altri paesi asiatici, come ad esempio il Vietnam e l’Indonesia avranno sbocchi preferenziali su cui contare nel proprio futuro economico nella attesa degli sviluppi delle negoziazioni tra ASEAN e India per aprire l’AIFTA (ASEAN-India Free Trade Area).

Se a questo scenario, aggiungiamo la sostanziale preferenziale capacità di penetrazione dei cinese sui mercati Africani e Sud Americani (Brasile e Venezuela), si capisce che dal 2010 le regole del gioco economico mondiali saranno profondamente diverse da quelle attuali.

E stavolta noi rischiamo seriamente di non essere più in grado di inseguire il carro Asiatico che sembra aver messo da tempo decisamente la quinta.

Città che vai forum della cooperazione economica che trovi

(pubblicato su Affari Italiani il 30 Ottobre 2006)
Per scoprire il vero segreto dell’attuale crescita economica e culturale della Cina e farsi un'idea diversa dai soliti stereotipi, è consigliabile scegliere semplicemente una qualsiasi città della provincia cinese e visitarla.

Cosa ci si trova? Semplice; il locale forum della Cooperazione Economica!!! E finalmente ci si rende conto di cosa sia realmente la Cina ora ma soprattutto di quello che sarà nel prossimo futuro.

Appare allora chiaro come i Cinesi stiano trasformando le loro province in vere "locomotive dello sviluppo futuro", in concrete opportunità economiche e in occasioni di promozione internazionale, anche solo dal semplice progetto di un ponte che verrà!!

Infatti visitando il forum della cooperazione economica di TongZhou nello Jiangsu Province si scopre come il futuro di una comunità di alcuni milioni di persone ruoterà attorno al fatto che dal 2007 sarà pronto il ponte sullo Yangtze che renderà la città un importante crocevia da e per Shanghai e il nuovo porto Yangkou per le super navi porta container.

E' un pò come se Capriate, facesse una propria fiera campionaria in vista dell'inaugurazione di un nuovo ponte come crocevia per Milano.

Ma mentre da noi tutto questo avrebbe un impatto di poco superiore ad una festa patronale, qui in Cina può diventare di portata Nazionale ed Internazionale.

E qui si capisce che tutto in Cina possa essere di portata internazionale e anche un semplice ponte può dare luogo a un evento con tanto di serata di Gala da noi impensabile.

Lo scopo di questi eventi in Cina è anche quello di creare e cementare le identità locali e motivarle a crescere attorno ai propri punti di forza, come in questo caso il ponte.

E' un pò come nel nostro passato, costruito un ponte nasceva una nuova città. La Cina è chiaramente in questa fase storica ed evolutiva, dove tutto è ancora in divenire e la nascita di nuove metropoli parte anche dalla costruzione di un ponte.

Queste ovviamente sono le premesse e poco importa se parlando con alcuni miei amici cinesi proprio di TongZhou che ora vivono e lavorano a Shanghai, si scopre che il ponte in questione dovrebbe essere pronto per il 2008 e non come annunciato per il 2007!!!.

Infatti una volta che sarà pronto diverrà asse di un concreto sviluppo per qualche altro milione di contadini cinesi che potranno finalmente vivere in una città e costruirsi una nuova e diversa prospettiva di vita futura.

Ma osservando quello che in soli 10 anni sono diventate Pudong a Shanghai, partendo dalla bonifica di un acquitrino, non si stenta a crederci.

VIDEO:Filmato TV cinese partecipazione al 12 ° Forum sulla Cooperazione di Tongzhou

Partita la nuova "lunga marcia" cinese verso la “società armonica”

(pubblicato su Affaritaliani il 24 ottobre 2006)
Per chi avesse ancora il dubbio che i futuri equilibri mondiali verranno costruiti a partire dalla Cina, ora è ufficiale: la Cina ha iniziato la nuova LUNGA MARCIA.

Oggi nella cerimonia di commemorazione dei settantenni della storicamente nota "Lunga marcia del 1934-36", il Presidente cinese Hu Jintao, a reti unificate (China National Radio, China Central Television China Radio International e su internet su Xinhuanet.Com and People.Com.Cn, People's Daily) ha lanciato ai cinesi la nuova sfida per il futuro: la nuova "Lunga marcia".

Ricordando i sacrifici di allora e le motivazioni che hanno spinto i protagonisti della Lunga marcia del ‘36 a diventare eroi del loro tempo, il presidente Hu Jintao ha indicato ai cinesi la nuova missione futura: quella di esportare in tutto il mondo i valori e il modello cinese di cooperazione e sviluppo riassunti nella definizione: "società armonica".

Per dare un senso a questa "missione" e in una sorta di passaggio del testimone, tre interventi in rappresentanza delle diverse generazioni cinesi si sono susseguiti durante cerimonia,: quella che ha fatto la Lunga marcia, quella della rivoluzione culturale e quella attuale, tutta protesa verso il futuro.

Che la Cina stia realmente facendo sul serio nel volere esportare il proprio modello di sviluppo è testimoniato dal fatto che dal 3 novembre 2006 si aprirà a Beijing il "forum CINA - AFRICA", evento con il quale la Cina dimostrerà, oltre qualsiasi dubbio, la propria concreta e radicata relazione con tutto il continente africano.

Per promuover l'evento, sui canali televisivi cinesi, vengono quotidianamente trasmesse schede di presentazione dei diversi paesi africani seguite da un cartello con l’anno d'inizio delle cooperazioni con la Cina, spesso trentennali, come in una specie di rosario.

Se a questo si aggiungono i recenti accordi di stretta e strategica cooperazione con il Brasile di Lula, il Venezuela di Chavez e il Vietnam, appare chiaro come il "sistema cinese" stia internazionalizzandosi partendo dal sostegno concreto ai paesi in via di sviluppo, completando così l'uscita della Cina dall'area di influenza economica e culturale degli Stati Uniti.

A questi paesi vengono infatti fornite competenze, capitali e cosa più importante, un strettissima alleanza strategica che andando ben oltre gli accordi commerciali degli altri paesi, intende anche dimostrare al mondo che la strada per sconfiggere la povertà e la miseria esiste; occorre seguire l'esempio della Cina.

Inoltre, dato che in Cina nulla è casuale, strettamente connesso è anche il recente annuncio del successo ottenuto dagli scienziati cinesi della Academy of Sciences (CAS) in Hefei,sul tema della fusione termonucleare, con un esperimento che anticipa di quasi 10 anni le attività dei consorzi internazionali previste solo per il 2016!!!

Di questo esperimento è stata data ampia copertura mediatica nei giorni scorsi, mostrando il reattore a fusione sormontato da una bandiera cinese, esattamente come si fosse scalato l'Everest; questa è la Cina. Mentre in tutti gli altri paesi la fusione rimane emarginata ai laboratori e per pochi eletti, qui la conquista della “energia pulita” è diventata da tempo una missione nazionale, come ribadito da Xu Guanhua, Ministro per le scienze e le tecnologie del governo cinese.

La Cina sta quindi cercando in tutte le maniere di staccarsi dall'etichetta di mercato globale e di produttore a basso costo che le è stata attribuitale dai paesi industrializzati allo scopo di costruirsi una nuova immagine, un esempio mondiale per la costruzione della prosperità e per una nuova armonia nel mondo.

Oggettivamente, visti gli eccezionali risultati ottenuti negli ultimi 10 anni, che hanno portato la Cina da paese povero a primaria potenza economica mondiale, risulta difficile dargli torto.

Ma tutto ciò è probabilmente connesso all'originale alchimia che si respira oggi in Cina un misto tra di “confucianesimo” e difesa ad oltranza dei diritti dei più poveri che porta la modernizzazione ad essere non un fine ma uno "strumento" per realizzare una nuova armonia globale, sogno condiviso oggi da ogni cinese e motore di tutte le attività economiche che culturali.
Non è quindi casuale che la Cina di oggi prenda parte sempre più spesso alle missioni di pace nel mondo e si ponga in prima linea per un diverso approccio agli attuali conflitti.

Quindi se fino ad ora avevate l'idea che la Cina fosse lontana, ora potete essere certi che arriverà prestissimo a bussare alla “vostra porta” e non più attraverso alcun intermediario. Dipende ora decidere come accoglierla.