giovedì 5 luglio 2007

Libertà religiosa e politica cristiana.

(Pubblicato su Affari Italiani il 5 Luglio 2007)

Ieri sera a Roma, Magdi Allam ha lanciato una manifestazione sul tema “Salviamo i Cristiani”.

In particolare Berlusconi, presente alla manifestazione, ha sottolineato che quando era al governo, l’azione di “pressione” sulla Cina sul tema, fu fatta su input della stessa Santa Sede.

L’impressione che se ne trae dalla Cina è che ieri, i promotori e i partecipanti alla manifestazione, abbiano fatto un pò di confusione tra “persecuzione religiosa”, quella vera e la situazione cinese.

In Cina i cristiani, in quanto tali, non sono perseguitati proprio da nessuno.

E’ la Chiesa Cattolica che non viene riconosciuta.

A prima vista, sembra essere la stessa cosa, se vista con i principi e le basi stesse della nostra fede. Ma se riflettiamo un attimo con gli occhi e soprattutto la mente cinese, si capisce che fa invece una bella differenza.

I Cinesi e il governo cinese sono Laici, nel senso profondo del termine.

Non hanno quindi nulla contro le diverse e sono molte, religioni attive in Cina.

Il vero problema, lo stesso per quanto riguarda il Tibet e il suo Dalai Lama, lo hanno con quelle organizzazioni umane, la Chiesa appunto, che richiamandosi, ispirandosi ai valori religiosi, organizzano strutture e gerarchie che i cinesi percepiscono come strutture politiche terrene.

Per capirci: per i cinesi la Chiesa non è altro che uno Stato con un proprio sovrano al comando, il Papa.

Occorre sottolineare che i cinesi, per quanto riguarda la politica estera, cercano da sempre di non ingerire negli affari interni degli altri stati sovrani. Nel contempo, sistematicamente, non gradiscono che altri stati possono condizionare in qualche modo gli affari interni cinesi.

La Chiesa, con la propria struttura piramidale che fa riferimento esplicito ad un capo di stato esterno, dai governanti cinesi è quindi percepita come un elemento potenzialmente destabilizzante gli equilibri interni cinesi, quando ad esempio, nella procedura di incarico di un vescovo, oggetto del contendere, di fatto “giura” fedeltà al Papa.

I cinesi quindi non perseguono i contenuti religiosi dei cristiani e il suo praticarsi, tanto che sponsorizzano una rete di chiese cristiane i cui vescovi sono “fedeli” al governo cinese, ma chi, usando i contenuti religiosi, intenda introdurre un primato terreno assoluto, diverso dal governo centrale cinese: quello del Papa.

Quindi, mentre in Medio Oriente, è realmente una lotta tra religioni, in Cina è solamente una questione politica.

Una soluzione non potrà essere quindi che di tipo politico e in questa sede mi azzardo a proporne una.

Parafrasando il caso di successo di Hong Kong, ai cinesi si potrebbe proporre, per un periodo di 50 anni ad esempio, una intesa bilaterale basata sul principio: una chiesa, due sistemi.

I cinesi fino ad ora, si sono sempre irrigiditi, perché temono che la chiesta possa tramare o essere strumento al fine di destabilizzare il potere politico centrale.

Se per un periodo “umano” lungo, 50 anni appunto, ma storicamente ridicolo, si riesce ad iniziare quel percorso, dove la chiesa opera in maniera totalmente autonoma, “tranne che nelle questioni di incarico gerarchico, dando ai cinesi il diritto di veto alla nomina”, accettando concretamente di cooperare su questo tema con il governo cinese, i cinesi non avranno più nulla da temere e non potranno che accettare questo periodo di “transizione”.

La mediazione e la creazione di fatto di una “unica chiesa cinese” che riunisca sia quella attuale ufficiale, che quella attualmente in clandestinità, consentirebbe ai fedeli finalmente di praticare, senza essere più accusati di essere potenzialmente dei fomentatori di chissà quale rivolta e quindi rischiare la propria vita.

Solo quando i cinesi avranno compreso realmente, sul piano pratico e per parecchi anni, quello che il Papa nell’ultima lettera ai cinesi esorta, cioè che la Chiesa non ha altra funzione che quella della pratica religiosa, allora una convivenza tra i due poteri terreni sarà possibile, senza più alcuna restrizione.

Tra il nessun accordo, come ora e una graduale “mediata” pacificazione, sicuramente in Cina, la strada per una coesistenza in pace è paradossalmente più semplice che in altri territori, dove gli estremismi religiosi (Medio oriente ad esempio), quelli si, non danno spazio all’intelligenza della mediazione politica, nella quale oltretutto i cinesi sono dei veri campioni.

Centinaia di milioni di cinesi sono alla ricerca di nuovi valori e sensi della vita, in risposta alla sempre più e troppo frenetica vita attuale. La fede cattolica può aiutarli a trovarli e viverli nella propria quotidianità.

Privarli di questa opportunità è forse ben più grave che voler continuare a ribadire l’assoluto primato della Chiesa cattolica, in quanto struttura umana, portatrice si di quei valori cristiani, gli stessi che i cinesi non fanno fatica ad apprezzare ma che non possono abbracciare, perché politicamente sconveniente.

La Chiesa deve evitare in Cina di essere strumentalizzata o diventare strumento politico come avvenne nel Sud America con la “teologia della liberazione”, la stessa che Benedetto XVI, nel suo recente viaggio in Brasile, ha precisato essere “un periodo chiuso”.

Se però non verrà trovata rapidamente una mediazione, con l’attuale eccezionale crescita economica, in Cina continueranno sempre più a proliferare una predicazione spirituale tradizionale, fatta però in chiave protestante, fenomeno del resto già esplosivo negli USA, fatto che continuerebbe a lacerare, ancora di più, le basi stesse della “unità universale” della chiesa.