Sorpresa: la Cina parla inglese
(pubblicato su Affari Italiani il 24 Novembre 2006)
I cinesi da tempo sentono l’esigenza fortissima di comunicare, una sorta di reazione, di contrappasso all’isolamento vissuto negli scorsi decenni.
Questa esigenza è visibile a tutti i livelli, tanto da spingere il Ministro degli Affari Esteri, in più di una occasione pubblica, a parlare direttamente in un perfetto inglese.
Questo è un chiaro segnale di come ufficialmente i cinesi abbiano accettato la sfida della comunicazione globalizzata e accettato l’inglese come lingua franca.
Lo sforzo che la Cina sta affrontando su questo campo è incredibile, vista l’arretratezza da cui partiva. Ma i primi risultati cominciano già a vedersi.
Ora qualunque facoltà universitaria cinese sforna dei veri e propri traduttori che conoscono oltre ad un perfetto inglese anche spesso una seconda lingua occidentale (Francese o Tedesco per la maggiore).
A questa sistematica azione formativa universitaria si sono aggiunti, in occasione delle prossime olimpiadi del 2008, programmi di formazione nelle grandi città per insegnare l’inglese anche ai cittadini comuni di qualsiasi età, in modo da fornire agli stranieri una migliore assistenza, direttamente in inglese.
Capita quindi di vedere anziani esprimersi correttamente in inglese, con l’orgoglio di chi sta rinascendo, di chi finalmente può toccare il cielo con un dito per una nuova e stimolante vita culturale, oltre che sentirsi ancora utile alla causa cinese, in un momento storico come saranno le olimpiadi del 2008.
Lentamente quindi la Cina si appresta anche a sfatare il luogo comune, relativamente all’inglese, lingua fino ad ora parlata effettivamente da pochissimi.
Ma il discorso sull’inglese va inserito in un più vasto scenario macroeconomico.
Uno dei problemi storici che i Giapponesi hanno avuto nella loro espansione in tutto il mondo è stato proprio quello di non parlare inglese
Capitava così che le filiali giapponesi avessero spesso un responsabile giapponese che non sapendo l’inglese limitava le capacità di penetrazione sui mercati internazionali del “Made in Japan”.
I cinesi sembrano aver imparato la lezione e ora stanno allenandosi per poter disporre di propri managers in grado di parlare perfettamente inglese e se necessario anche un secondo idioma locale.
La chiave della futura espansione internazionale cinese sarà quindi anche culturale, in grado di favorire una più profonda integrazione, una diretta capacità di gestione e trasmissione dei messaggi economico, finanziari e commerciali.
Ma sbaglia chi crede che questo sia il segnale che i cinesi si stanno piegando alle logiche occidentali, adeguandosi ad esse.
i cinesi, infatti hanno deciso semplicemente di aprire il canale in lingua inglese solo per farsi capire meglio e trasmettere i propri contenuti e messaggi, come dei consumati esperti di comunicazione e marketing.
Oltre tutto i cinesi hanno già dimostrato nella loro storia, una innata capacità di piegare e far proprie le esperienze culturali provenienti dall’esterno. La diffusa conoscenza dell’inglese segnerà una sorta di discontinuità con il passato consentendo ai cinesi di provare per la prima volta, a condizionare e cambiare gli altri.
L’inglese appare quindi un passo fondamentale, forse decisivo, per continuare con successo il processo di apertura iniziato e favorire e preparare la prossima espansione economica e culturale sui mercati internazionali.
Quella dei cinesi su questo tema è una lezione di stile e di grande saggezza che andrebbe recepita dai nostri governanti, nata da una corretta lettura dell’epoca globalizzata in cui viviamo, dove saper comunicare e possedere l’informazione risulta già ora fondamentale e strategico.
Se confrontiamo infatti l’esempio cinese con la situazione italiana c’è da rimanere sconcertati.
Mentre i cinesi organizzano concorsi per testare il livello di conoscenza raggiunto nelle lingue straniere, nelle nostre Università, le lingue straniere nella migliore delle ipotesi sono facoltative.
Accade quindi che le nostre facoltà scientifiche ed economiche stiano preparando i nostri futuri talenti come se poi dovessero confrontarsi con una comunità internazionale che parla in Italiano!!!
È il nostro retaggio storico che continua ad emergere, il ricordo dei fasti dove il latino insegnava al mondo intero a comunicare, ma di un tempo che fù, ormai morto e sepolto, di cui rapidamente dovremo farcene una ragione.
Esattamente così come arroccarsi sulla sola idea del “Made in Italy” o il nuovo “Concept in Italy”, non possano essere sufficienti per sperare di uscire dalle secche attuali sul tema di competitività paese.
La lezione dei cinesi è semplice: tutto cambia, rapidamente, occorre essere capaci di vivere il cambiamento mettendosi costantemente in discussione, accettando fino in fondo la sfida, innovandosi profondamente, l’unico atteggiamento possibile per vivere da protagonisti gli avvenimenti futuri.
I cinesi da tempo sentono l’esigenza fortissima di comunicare, una sorta di reazione, di contrappasso all’isolamento vissuto negli scorsi decenni.
Questa esigenza è visibile a tutti i livelli, tanto da spingere il Ministro degli Affari Esteri, in più di una occasione pubblica, a parlare direttamente in un perfetto inglese.
Questo è un chiaro segnale di come ufficialmente i cinesi abbiano accettato la sfida della comunicazione globalizzata e accettato l’inglese come lingua franca.
Lo sforzo che la Cina sta affrontando su questo campo è incredibile, vista l’arretratezza da cui partiva. Ma i primi risultati cominciano già a vedersi.
Ora qualunque facoltà universitaria cinese sforna dei veri e propri traduttori che conoscono oltre ad un perfetto inglese anche spesso una seconda lingua occidentale (Francese o Tedesco per la maggiore).
A questa sistematica azione formativa universitaria si sono aggiunti, in occasione delle prossime olimpiadi del 2008, programmi di formazione nelle grandi città per insegnare l’inglese anche ai cittadini comuni di qualsiasi età, in modo da fornire agli stranieri una migliore assistenza, direttamente in inglese.
Capita quindi di vedere anziani esprimersi correttamente in inglese, con l’orgoglio di chi sta rinascendo, di chi finalmente può toccare il cielo con un dito per una nuova e stimolante vita culturale, oltre che sentirsi ancora utile alla causa cinese, in un momento storico come saranno le olimpiadi del 2008.
Lentamente quindi la Cina si appresta anche a sfatare il luogo comune, relativamente all’inglese, lingua fino ad ora parlata effettivamente da pochissimi.
Ma il discorso sull’inglese va inserito in un più vasto scenario macroeconomico.
Uno dei problemi storici che i Giapponesi hanno avuto nella loro espansione in tutto il mondo è stato proprio quello di non parlare inglese
Capitava così che le filiali giapponesi avessero spesso un responsabile giapponese che non sapendo l’inglese limitava le capacità di penetrazione sui mercati internazionali del “Made in Japan”.
I cinesi sembrano aver imparato la lezione e ora stanno allenandosi per poter disporre di propri managers in grado di parlare perfettamente inglese e se necessario anche un secondo idioma locale.
La chiave della futura espansione internazionale cinese sarà quindi anche culturale, in grado di favorire una più profonda integrazione, una diretta capacità di gestione e trasmissione dei messaggi economico, finanziari e commerciali.
Ma sbaglia chi crede che questo sia il segnale che i cinesi si stanno piegando alle logiche occidentali, adeguandosi ad esse.
i cinesi, infatti hanno deciso semplicemente di aprire il canale in lingua inglese solo per farsi capire meglio e trasmettere i propri contenuti e messaggi, come dei consumati esperti di comunicazione e marketing.
Oltre tutto i cinesi hanno già dimostrato nella loro storia, una innata capacità di piegare e far proprie le esperienze culturali provenienti dall’esterno. La diffusa conoscenza dell’inglese segnerà una sorta di discontinuità con il passato consentendo ai cinesi di provare per la prima volta, a condizionare e cambiare gli altri.
L’inglese appare quindi un passo fondamentale, forse decisivo, per continuare con successo il processo di apertura iniziato e favorire e preparare la prossima espansione economica e culturale sui mercati internazionali.
Quella dei cinesi su questo tema è una lezione di stile e di grande saggezza che andrebbe recepita dai nostri governanti, nata da una corretta lettura dell’epoca globalizzata in cui viviamo, dove saper comunicare e possedere l’informazione risulta già ora fondamentale e strategico.
Se confrontiamo infatti l’esempio cinese con la situazione italiana c’è da rimanere sconcertati.
Mentre i cinesi organizzano concorsi per testare il livello di conoscenza raggiunto nelle lingue straniere, nelle nostre Università, le lingue straniere nella migliore delle ipotesi sono facoltative.
Accade quindi che le nostre facoltà scientifiche ed economiche stiano preparando i nostri futuri talenti come se poi dovessero confrontarsi con una comunità internazionale che parla in Italiano!!!
È il nostro retaggio storico che continua ad emergere, il ricordo dei fasti dove il latino insegnava al mondo intero a comunicare, ma di un tempo che fù, ormai morto e sepolto, di cui rapidamente dovremo farcene una ragione.
Esattamente così come arroccarsi sulla sola idea del “Made in Italy” o il nuovo “Concept in Italy”, non possano essere sufficienti per sperare di uscire dalle secche attuali sul tema di competitività paese.
La lezione dei cinesi è semplice: tutto cambia, rapidamente, occorre essere capaci di vivere il cambiamento mettendosi costantemente in discussione, accettando fino in fondo la sfida, innovandosi profondamente, l’unico atteggiamento possibile per vivere da protagonisti gli avvenimenti futuri.