Lettera a Babbo Natale dalla Cina
Il Natale in Cina è tutto illuminato, sia in onore al nuovo capitalismo filo-occidentale, ma soprattutto, per il coerente uso maniacale delle luci. Che poi la Cina sia la patria dei fuochi artificiali non si stenta a capirlo: infatti basta la semplice apertura di un negozio o un qualsiasi momento celebrativo anche privato, perchè la festa abbia inizio.
Bene in questo contesto natalizio, osservare l’Italia da qua, è un po’ come vedere la terra dallo spazio. Tutto è ovattato e così diverso, oltretutto le problematiche italiane hanno qua in Cina un peso specifico molto differente. fa quindi una strana impressione comprendere i nostri personaggi pubblici, quelli importanti o potenti, o i nostri scandali politici ed economici, qua nemmeno sanno chi e cosa siano e come mai potranno esercitare per il cinese medio, un minimo interesse.
Qua di potenti italiani ci sono solo i nostri calciatori e il pilota (poco importa se tedesco) della Ferrari. Dell’Italia, hanno chiaro infatti solo che abbiamo vinto gli ultimi campionati del mondo di calcio, la prima cosa che ti ricordano negli incontri, sorridendo, per rompere il ghiaccio.
Per il resto, siamo nella mente dei cinesi solo una idea, nemmeno tanto chiara sul dove sia posizionata nelle cartine geografiche.
Infatti la domanda più difficile da fare ad un cinese è: sai dove è l’Italia??
Per i cinesi, sembriamo molto “l’isola che non c’è” di Peter Pan, sognata, immaginata ma non reale e concreta.
Eppure noi italiani siamo presenti profondamente nella storia cinese, più di quanto immaginiamo noi stessi. In Cina venerano infatti un italiano di nome Ricci, che in Italia non sappiamo nemmeno chi sia.
Questo uomo che tutti i libri di storia cinese citano, ha avuto un impatto maggiore del ben più famoso Marco Polo, che i cinesi considerano solo un abile commerciante.
Ricci ha avuto il grande merito di avere disegnato, quasi in una visione preveggente del futuro, la prima mappa della Cina, dove la Cina sta nel mezzo, rispetto a tutti gli altri paesi.
Da qua il nome stesso della Cina, in Cinese: Zhong Guo“la terra di mezzo”.
Quindi, vista da qua, l’Italia e ogni informazione ricevuta è analizzabile con occhi diversi, comunque attenti, ma da una prospettiva diversa: l’occhio del viaggiatore coinvolto ma che riesce ad astrarsi da ciò che vede e dai suoi condizionamenti.
Da questo osservatorio privilegiato, quale è la Cina, ricco di stimoli e di spunti sul come guardare e costruire il futuro di una nazione, da questo spazio si rimane sconcertati dalle informazioni che quotidianamente giungono dall’Italia.
Fosse una telenovela, si dovrebbero fare i complimenti agli autori dall’incredibile fantasia, capaci di creare un genere (il gossip – poli-economico) che potrà essere valido per parecchi anni a venire, in un vero sequel di successo, che tra scandali e scandaletti, intercettazioni e ricatti sessuali, ha ben poco da invidiare ai famosi Dallas e Dynasty americani.
Peccato che tutto sia terribilmente e tristemente reale, a tal punto che i numeri, le statistiche ufficiali, confermano che tutto ciò non sia solo nella testa di alcuni irriverenti autori televisivi.
L’Italia non esiste più, si sta sfaldando come un ghiacciaio per colpa dell’effetto serra che la circonda (la globalizzazione) e ciò che è peggio, non ha i numeri per reggere le prossime sfide che oltre tutto dimostra di aver ancora visto arrivare, tutte minacciosamente oltre l’orizzonte, provenienti da est.
A parte il famoso record mondiale in tema di debiti pubblici, un pil che asfittico è definirlo in termini ottimistici, una classe dirigente e politica ormai ridotta a “pagliaccio” quotidiano, i veri numeri che preoccupano, sono contenuti nel recente rapporto Censis sulle professioni.
Mentre tutto il resto del mondo fa la corsa per qualificarsi e formarsi, Cina in primis, con l’inserimento nel suo piano quinquennale, al primo punto, la qualificazione e la formazione a tutti i livelli, agricoltori compresi, l’Italia sta facendo invece un percorso esattamente opposto, di de-qualificazione a tutti i livelli.
Evidentemente l’Italiano medio, troppo impegnato a guardare l’appassionante telenovela “Italia”, non scommette più su una propria qualificazione e formazione, tanto che oramai siamo diventati un popolo di operai specializzati o di professioni non qualificate (il 37.7%).
Quindi l’Italia che dovrebbe competere con le potenze economiche future e conquistarsi una ritrovata competitività, è sempre più un paese di muratori, carpentieri, ponteggiatori (+ 80 mila), collaboratori domestici, addetti alle pulizie, spazzini (+64 mila) e di impiegati amministrativi e contabili (+35mila), di guidatori di autobus, taxi, camionisti e fattorini.
Un ulteriore segno dei tempi e segnale che le multinazionali noi non le abbiamo più da tempo, è il dato sull’arretramento del numero degli amministratori di grandi aziende private (-11,5%).
Ma il dato più incredibile, in reale controtendenza con tutto il mondo in rapida evoluzione, che conferma la premessa di una generale de-qualificazione, è l’abbattimento del corpo insegnante per le scuole materne ed elementari e dei tutor professionali (-22 mila).
Quindi l’Italia ha abbandonato l’idea di formarsi per quella più concreta, tipica dei momenti di crisi, del far da sè, del sopravvivere, spostandosi lentamente ma inevitabilmente verso una sempre minore professionalità diffusa.
Ma non si era detto che l’Italia doveva essere centro creativo e di innovazione da esportare per il mondo?
Lo specchio dei dati del Censis dice ben altro e sicuramente questo è frutto anche dell’incredibile stato di degrado che le nostre Università stanno attraversando, dove la conoscenza non vi risiede, come negli altri stati del mondo, ma viene “spacciata” come elemento di potere.
Forse tutto ciò è legato al fatto, che non essendoci ricambio generazionale a tutti i livelli, avendo un gruppo di governanti tra i più anziani al mondo, i giovani sfiduciati, preferiscono sbarcare il lunario altrove, magari in una condizione più modesta, per provare a continuare ad andare avanti?
Forse perché l’Italia non ha più punti di riferimento economici come lo erano le grandi multinazionali americane del dopo guerra (ora tutte in Cina) che facevano la fortuna di intere comunità locali e investivano nella formazione e una sempre maggiore conoscenza diffusa?
Forse perché gli imprenditori italiani, sempre per raggiunti limiti d’età, preferiscono gestire i propri patrimoni, piuttosto che rinvestirli in esperienze formative ed innovative, in nuove sfide per il futuro?
Forse perché esempi imprenditoriali come quelli di Olivetti, sono da considerarsi ormai legati solo al nostro passato industriale Italiano o che ci vuole troppo “fegato” per provare a crearne di nuovi?
Chissà quale sia la ragione, sicuramente da noi però, come evidenzia il Censis, esiste una categoria professionale meglio pagata di tutte le altre: il calciatore.
Beh è coerente, se si investe nella formazione si raccoglie, visto che alla fine abbiamo vinto i campionati del mondo che hanno reso l’Italia famosa in tutto il pianeta, anche il pallone d’oro e quello della FIFA!!.
Bene, questo è l’immagine dell’Italia vista dalla Cina, una nazione totalmente allo sbando.
Ma la cosa più preoccupante è che apparentemente sembra senza gli strumenti (e morale) adatti per cercare qualunque tipo di recupero nel medio e lungo periodo.
Occorre che qualcuno, caro Babbo Natale, decida finalmente di spegnere la Televisione, di provare a interrompere la telenovela in programmazione, inizi a concentrare tutti solo sulle cose che sappiamo o che potremmo fare sempre meglio, guardando per una volta il mondo attorno a noi che cambia alla velocità della luce, dimenticandoci per una volta, di Macchiavelli e dei suoi insegnamenti, nel poco edificante e autolesionista attuale “gioco delle sedie”, prima che non si trasformi nell’altrettanto famoso, “un due tre, tutti giù per terra!!!”.