Made in Italy ... secondo il Governo...
(Pubblicato su Affari Italiani l'8 Giugno 2007)
Che Shanghai e la Cina rappresentino la palestra nella quale testare le strategie sul Made in Italy nel mondo, è apparso chiaro ieri nell’incontro tra la comunità d’affari di Shanghai con il Sottosegretario del Ministero degli Affari Internazionali, Mauro Agostini e il Direttore Generale dell’ICE Massimo Mamberti.
Alla presenza anche della “Missione in Cina” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (circa 80), di è potuto discutere di Made in Italy direttamente con esponenti del Governo, senza filtri e ben lontani dai “rumori” attuali della Politica Italiana.
A cappello dell’incontro, il Sottosegretario Agostini ha sottolineato che se il PIL italiano è tornato in positivo (+2%), questo lo deve ESCLUSIVAMENTE alle proprie esportazioni.
Il futuro italiano per risollevarsi e tornare a competere è quindi quello di tornare a scoprirsi un “popolo di esportatori”, come lo fummo nei periodi d’oro del Made in Italy.
Il sottosegretario ha infatti evidenziato che i margini per crescere ci sono e sono enormi. Basti pensare che il volume delle esportazioni verso la Cina era recentemente pari a quello con la Grecia e verso l’India era pari a quello con la Croazia.
Ad oggi poi, il nostro export verso la Cina rappresenta solo la metà dell’import dalla Cina stessa e aggiungiamo noi, il governo cinese ha deciso di incrementare il proprio mercato interno, creando così ulteriori enormi spazi di sviluppo, nei quali il Made in Italy potrà inserirsi.
Ma il Sottosegretario è andato oltre. Non usando mai il “faremo”, ma il ben più concreto “abbiamo fatto”; elemento nuovo negli incontri tenutesi fino ad ora, ha sottolineato che per proteggere il Made in Italy dalla contraffazione, oltre al potenziamento degli strumenti a tutela da parte delle istituzioni italiane, come il recente incremento delle presenze ICE in Cina (+4), il sistema più sicuro, rimane quello di essere presenti sui mercati, direttamente.
Come esempio, ha citato il caso limite del clone del Parmigiano Reggiano in Australia. L’assenza del VERO parmigiano su quel mercato, consente al suo clone locale, di permettersi il “lusso” di farsi pubblicità con lo slogan “ diffidate dalle Imitazioni!!”.
Questo esempio è stato sostenuto anche dal Direttore Generale dell’ICE che ha citato inoltre il caso Usa, dove il mercato per il 20% è fatto dagli originali Made in Italy mentre per l’80% sia fatto di prodotti che richiamano (copiano) lo stile e i prodotti italiani.
Quindi il mercato internazionale ha “fame” di Made in Italy, ma per beneficiare di questo reale vantaggio competitivo, occorre esserci sui mercati e in maniera diretta.
E qua il nostro “piccolo è bello” delle nostre imprese, valido negli anni passati, ora evidenzia tutti i propri limiti strutturali.
Il messaggio lanciato dal Sottosegretario agli imprenditori, condiviso ieri con i commercialisti quali loro consulenti privilegiati, è stato quello di agire direttamente, di trovare nuove formule e strutture imprenditoriali, per non perdere le opportunità del mercato, agendo all’unisono, in gruppo e non in ordine sparso come spesso fatto ora.
Il Sottosegretario ha infatti sottolineato che le singole azioni di promozione, se non inserite in più ampie attività promozionali del prodotto ITALIA, rischiano di essere più controproducenti di quanto auspicato dagli enti locali (Comuni, Provincie e Regioni) o dalle singole imprese italiane.
I cinesi vedono l’Italia come una sola. Quindi promuovere la singola realtà disgiuntamente, non fa altro che alimentare una confusione che poi si ripercuote su tutto il sistema e quindi fa perdere competitività a tutti noi.
Detto ciò, il metodo d’azione che il governo sta seguendo a supporto del Made in Italy nel mondo è stato riassunto dal Sottosegretario in tre parole: Selezione, Pianificazione, Continuità.
Selezionare in particolare le aree ad alto sviluppo quali la Cina e il Far-Est, alcune aree del mediterraneo e del Sud America, consente di investire meglio, focalizzandoli, i pochi capitali attualmente disponibili.
Ma l’aspetto che la comunità di Shanghai ha più apprezzato ieri sera, è stato il tema della “Continuità”.
Finalmente, citando incontri e temi degli incontri, si è sentita dire che il governo è stato ed intende essere sempre più presente, in continui, frequenti e periodici incontri bilaterali con le controparti cinesi, in modo da aprire quegli spazi di cooperazione e di business che le imprese italiane possano utilizzare nei propri sviluppi futuri.
Ma il Sottosegretario ha sottolineato che il governo non può fare business. Questo lo devono fare gli imprenditori che ahimè però, in risposta ad una delle domande dei dottori commercialisti presenti, non potranno beneficiare di alcun sgravio fiscale nella loro internazionalizzazione, in quanto ciò è ritenuto “aiuto di stato” e verrebbe sanzionato dai nostri partners Europei, in sede comunitaria.
Stesso approccio pragmatico lo ha avuto il Direttore Generale dell’ICE Mamberti nel suo intervento. Ha infatti evidenziato, forte della sua ultima esperienza in Russia, per qualche verso simile a quella cinese, come il gioco di squadra delle istituzioni italiane, sul terreno delle singole presenze internazionali, rappresenti la chiave per supportare, con ritrovato vigore, la forza propulsiva ad esportare il nostro ingegno, i nostri prodotti e creare valore tangibile.
Ma ha raccomandato alle realtà imprenditoriali di unire gli sforzi: se gli imprenditori vogliono affrontare un nuovo mercato con grande potenzialità come quello cinese, prima devono attrezzarsi, creando le premesse strutturali per poter sfruttare le opportunità. Altrimenti tutto ciò, può solo creare scompensi, ai quali difficilmente possono sopperire le strutture governative.
Entrambi quindi hanno puntato l’accenno sul ruolo delle istituzioni, quale semplice “facilitatore” a favore delle imprese italiane che però devono tornare a fare impresa.
Questo richiamo fa riflettere, anche alla luce delle ultime discussioni in Italia sulla crisi attuale della imprenditorialità italiana, in affanno ed invecchiata, troppo propensa spesso a gestire i propri capitali che a crearne di nuovi.
Probabilmente la chiave del futuro del Made in Italy nel mondo sta proprio qua: fare in modo di “facilitare” nuove imprese, nuove idee, nuove ambizioni che possono competere e creare valore, come lo fu per i nostri nonni negli anni del boom.
Le strutture e le basi ci sono. Forse il coraggio di arrivare in Cina e rimanerci, è ancora un aspetto che latita in molte imprese ed imprenditori italiani.
Spesso infatti NON investono per creare ma sperano che il semplice esserci, basti per creare ricchezza. Ma aihmè, non è possibile creare nulla se non con il duro lavoro quotidiano sul campo, la “continuità” citata dal Sottosegretario, con presenze reale e convinte, oltre le attuali semplici “vetrine”, che poco possono per creare business tangibili, in particolare in Cina.
L’esempio del Parmigiano in Australia e del Caffè o del Vino in Cina, sono lì a monito e dimostrazione che se non ci muoviamo direttamente, gli altri lo fanno già, “rubandoci” l’identità, faticosamente create negli anni.
Alla presenza anche della “Missione in Cina” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti (circa 80), di è potuto discutere di Made in Italy direttamente con esponenti del Governo, senza filtri e ben lontani dai “rumori” attuali della Politica Italiana.
A cappello dell’incontro, il Sottosegretario Agostini ha sottolineato che se il PIL italiano è tornato in positivo (+2%), questo lo deve ESCLUSIVAMENTE alle proprie esportazioni.
Il futuro italiano per risollevarsi e tornare a competere è quindi quello di tornare a scoprirsi un “popolo di esportatori”, come lo fummo nei periodi d’oro del Made in Italy.
Il sottosegretario ha infatti evidenziato che i margini per crescere ci sono e sono enormi. Basti pensare che il volume delle esportazioni verso la Cina era recentemente pari a quello con la Grecia e verso l’India era pari a quello con la Croazia.
Ad oggi poi, il nostro export verso la Cina rappresenta solo la metà dell’import dalla Cina stessa e aggiungiamo noi, il governo cinese ha deciso di incrementare il proprio mercato interno, creando così ulteriori enormi spazi di sviluppo, nei quali il Made in Italy potrà inserirsi.
Ma il Sottosegretario è andato oltre. Non usando mai il “faremo”, ma il ben più concreto “abbiamo fatto”; elemento nuovo negli incontri tenutesi fino ad ora, ha sottolineato che per proteggere il Made in Italy dalla contraffazione, oltre al potenziamento degli strumenti a tutela da parte delle istituzioni italiane, come il recente incremento delle presenze ICE in Cina (+4), il sistema più sicuro, rimane quello di essere presenti sui mercati, direttamente.
Come esempio, ha citato il caso limite del clone del Parmigiano Reggiano in Australia. L’assenza del VERO parmigiano su quel mercato, consente al suo clone locale, di permettersi il “lusso” di farsi pubblicità con lo slogan “ diffidate dalle Imitazioni!!”.
Questo esempio è stato sostenuto anche dal Direttore Generale dell’ICE che ha citato inoltre il caso Usa, dove il mercato per il 20% è fatto dagli originali Made in Italy mentre per l’80% sia fatto di prodotti che richiamano (copiano) lo stile e i prodotti italiani.
Quindi il mercato internazionale ha “fame” di Made in Italy, ma per beneficiare di questo reale vantaggio competitivo, occorre esserci sui mercati e in maniera diretta.
E qua il nostro “piccolo è bello” delle nostre imprese, valido negli anni passati, ora evidenzia tutti i propri limiti strutturali.
Il messaggio lanciato dal Sottosegretario agli imprenditori, condiviso ieri con i commercialisti quali loro consulenti privilegiati, è stato quello di agire direttamente, di trovare nuove formule e strutture imprenditoriali, per non perdere le opportunità del mercato, agendo all’unisono, in gruppo e non in ordine sparso come spesso fatto ora.
Il Sottosegretario ha infatti sottolineato che le singole azioni di promozione, se non inserite in più ampie attività promozionali del prodotto ITALIA, rischiano di essere più controproducenti di quanto auspicato dagli enti locali (Comuni, Provincie e Regioni) o dalle singole imprese italiane.
I cinesi vedono l’Italia come una sola. Quindi promuovere la singola realtà disgiuntamente, non fa altro che alimentare una confusione che poi si ripercuote su tutto il sistema e quindi fa perdere competitività a tutti noi.
Detto ciò, il metodo d’azione che il governo sta seguendo a supporto del Made in Italy nel mondo è stato riassunto dal Sottosegretario in tre parole: Selezione, Pianificazione, Continuità.
Selezionare in particolare le aree ad alto sviluppo quali la Cina e il Far-Est, alcune aree del mediterraneo e del Sud America, consente di investire meglio, focalizzandoli, i pochi capitali attualmente disponibili.
Ma l’aspetto che la comunità di Shanghai ha più apprezzato ieri sera, è stato il tema della “Continuità”.
Finalmente, citando incontri e temi degli incontri, si è sentita dire che il governo è stato ed intende essere sempre più presente, in continui, frequenti e periodici incontri bilaterali con le controparti cinesi, in modo da aprire quegli spazi di cooperazione e di business che le imprese italiane possano utilizzare nei propri sviluppi futuri.
Ma il Sottosegretario ha sottolineato che il governo non può fare business. Questo lo devono fare gli imprenditori che ahimè però, in risposta ad una delle domande dei dottori commercialisti presenti, non potranno beneficiare di alcun sgravio fiscale nella loro internazionalizzazione, in quanto ciò è ritenuto “aiuto di stato” e verrebbe sanzionato dai nostri partners Europei, in sede comunitaria.
Stesso approccio pragmatico lo ha avuto il Direttore Generale dell’ICE Mamberti nel suo intervento. Ha infatti evidenziato, forte della sua ultima esperienza in Russia, per qualche verso simile a quella cinese, come il gioco di squadra delle istituzioni italiane, sul terreno delle singole presenze internazionali, rappresenti la chiave per supportare, con ritrovato vigore, la forza propulsiva ad esportare il nostro ingegno, i nostri prodotti e creare valore tangibile.
Ma ha raccomandato alle realtà imprenditoriali di unire gli sforzi: se gli imprenditori vogliono affrontare un nuovo mercato con grande potenzialità come quello cinese, prima devono attrezzarsi, creando le premesse strutturali per poter sfruttare le opportunità. Altrimenti tutto ciò, può solo creare scompensi, ai quali difficilmente possono sopperire le strutture governative.
Entrambi quindi hanno puntato l’accenno sul ruolo delle istituzioni, quale semplice “facilitatore” a favore delle imprese italiane che però devono tornare a fare impresa.
Questo richiamo fa riflettere, anche alla luce delle ultime discussioni in Italia sulla crisi attuale della imprenditorialità italiana, in affanno ed invecchiata, troppo propensa spesso a gestire i propri capitali che a crearne di nuovi.
Probabilmente la chiave del futuro del Made in Italy nel mondo sta proprio qua: fare in modo di “facilitare” nuove imprese, nuove idee, nuove ambizioni che possono competere e creare valore, come lo fu per i nostri nonni negli anni del boom.
Le strutture e le basi ci sono. Forse il coraggio di arrivare in Cina e rimanerci, è ancora un aspetto che latita in molte imprese ed imprenditori italiani.
Spesso infatti NON investono per creare ma sperano che il semplice esserci, basti per creare ricchezza. Ma aihmè, non è possibile creare nulla se non con il duro lavoro quotidiano sul campo, la “continuità” citata dal Sottosegretario, con presenze reale e convinte, oltre le attuali semplici “vetrine”, che poco possono per creare business tangibili, in particolare in Cina.
L’esempio del Parmigiano in Australia e del Caffè o del Vino in Cina, sono lì a monito e dimostrazione che se non ci muoviamo direttamente, gli altri lo fanno già, “rubandoci” l’identità, faticosamente create negli anni.
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