mercoledì 30 aprile 2008

Attenti alle “mucche gialle”

Chi vuole acquistare un biglietto per un evento sportivo, teatrale o un ticket / pass di ingresso, in ogni paese del mondo è preda di quelli che noi chiamiamo “bagarini”.

L’origine della parola bagarini è controversa e infatti potrebbe risalire sia dall’inglese bargain “mercanteggiare”, o alla spagnola che suona come “marinaio salariato” o all’arabo baqqālīn nel senso di “venditori al minuto”.

Comunque sia, una sentenza del 2006 della Corte Costituzionale Italiana ha però sancito che non è più reato acquistare biglietti dai bagarini, perché come recita la sentenza “non è comportamento illegittimo da parte dei bagarini acquistare i biglietti e pertanto chi acquista da loro NON commette un reato”.

Bene, anche in Cina esistono quelli che noi chiamiamo “bagarini”, ma in un paese di commercianti e mercanti, questi “professionisti” della rivendita gonfiata dei biglietti degli eventi vengono chiamati in maniera singolare: “mucche gialle”.

Nulla nel nome fa pensare a qualche “anomalo” comportamento se non fosse questo Giallo che non mette in evidenza l’azione commerciale in quanto tale ma il fatto che rivendono qualcosa che non è “prodotto” da loro, utilizzando qualcosa di più simile all’inganno.
Per cui, alla faccia di qualsiasi sentenza civile che ne attesta ora il non-reato in Italia, il nome usato in Cina nasconde una inequivocabile sentenza di tipo morale.

Questo modo di dire spiega quale sia infatti l’idea profonda relativamente alle “reti commerciali”, nelle quali nei diversi passaggi i prezzi vengono “gonfiati”.
Ovviamente ad ogni passaggio il venditore si deve “inventare” qualcosa affinché venga giustificato l’aumento di prezzo che lui è costretto a chiedere. Questa astuzia (l’arte del commerciante) da queste parti viene comparata all’inganno di voler far credere al compratore di turno che esistono sia le mucche normali che hanno un prezzo, ma anche e soprattutto quelle gialle, uniche nel loro genere e rare, con un prezzo quindi ben diverso e più elevato.

Insomma, una occasione unica, irripetibile da non perdere assolutamente!

La definizione data ai “bagarini” si adatta perfettamente a molte delle professioni emergenti in Cina, di quello che comincia essere il nascente terziario, ancora in una fase embrionale.

Per cui da queste parti essere agente assicurativo o consulente finanziario, risulta essere più spesso associato agli “apprendisti stregoni”, visto che nel nascente mercato azionario cinese, i cinesi stanno investendo pesantemente, sicuri di “moltiplicare” le proprie piccole fortune, sulla scia della propria crescita economica.

Ed ecco spuntare come funghi altri “tipi” di pericolose “mucche gialle” come ad esempio i “professionisti” degli investimenti mobiliari, che a fronte della promessa di cospicui ed elevati interessi, superiori ai bassi interessi bancari cinesi, riescono a convincere il malcapitato di turno ad investire tutti i proprio sudatissimi risparmi, per poi vederlo letteralmente sparire con tutto il promesso guadagno e i sogni di una futura vita agiata.

Questo tipo di azione commerciale è chiamato in un secondo modo altrettanto originale: “borsa vuota, prendi il riso” ( Empty bag, take the rice).

Con questo modo di dire i cinesi riconoscono il valore della necessità di investire in ogni operazione commerciale (nulla si crea dal nulla).

Ma molte delle nuove professioni emergenti, soprattutto in campo finanziario, si basano però sulla “speranza” di ricevere di più di quello che si ha, finendo però spesso più per assomigliare alla favola di Pinocchio quando incontrò il Gatto e la Volpe che lo convinsero ad investire i propri soldi piantandoli nella terra.

Ma che nelle trattative commerciali la strategia della “mucca gialla” sia radicata nella società cinese, lo si riscontra in qualsiasi acquisto dove il primo prezzo è spesso più del doppio del prezzo finale con il quale chiudere la negoziazione..

Addirittura il primo prezzo “sparato”, viene definito dal venditore stesso il “fake” price, quello che però , nel gioco di prestigio in corso, deve illudervi che state ottenendo un incredibile sconto sul prezzo reale.

Ovviamente non è mai vero e infatti i cinesi adottano questa tecnica, solo con gli stranieri, che poco sanno distinguere tra i diversi valori, spesso “abbagliati” anche dal cambio così favorevole da rendere appetibili anche sovrapprezzi di parecchie volte quelli realmente accettabili.

Molte delle metafore di carattere commerciale usate in Cina sono ancore oggi tutte di origine contadine, il richiamo ad un antico mai dimenticato buonsenso, nonostante la società cinese sia tutta proiettata verso il futuro di una economia globale che però forse, sulla propria pelle, in questi mesi sta scoprendo la validità di tali moniti del passato e che forse tutti noi bisognava stare veramente attenti alle “mucche gialle”.

sabato 26 aprile 2008

THE REAL VOICE OF CHINA

Sui grandi giornali italiani ed occidentali, troppo spesso vengono pubblicate informazioni e notizie a senso unico, nelle quali l’idea prevalente è quella di voler far passare una sostanziale “negatività” del Sistema Cina nel suo complesso.

Ciò che è peggio è che anche le principali Agenzie Stampa occidentali, invece di limitarsi nel riportare le informazioni ricevute, troppo spesso le commentano con lo stesso taglio editoriale degli altri media, selezionando ciò che va proposto, finendo per “esaltare il peggio” della Cina e “glorificando” chi in questo momento gli si contrappone.

La “fotografia” che se ne trae leggendo tutto questo flusso di informazioni è desolante, soprattutto perché in maniera “unilaterale”, da parte occidentale, la Voce della Cina viene del tutto ignorata e considerata non degna di esserlo.

A questo va aggiunto che vanno evitate “faziose” strumentalizzazioni delle questioni “umanitarie” dietro le quali sembrano celarsi ben altre ambizioni politiche di “fini registi” che puntano, attraverso tutto ciò, di cercare di ridimensionare l’attuale crescente influenza cinese sulle principali questioni economiche e politiche internazionali.

“Banale” e triste è pertanto la strumentalizzazione di queste ore da parte delle “intellighenzie” occidentali ( e di molti politici in cerca di “facili” consensi) delle Olimpiadi, quale strumento di pressione politica, in “violazione / sfregio” dello spirito Olimpico originale, quello dell’antica Grecia, indiscutibilmente la fondatrice e la “Madre spirituale” di questa manifestazione, spirito originale al quale gli stessi cinesi, correttamente, si stanno richiamando in questi mesi.

Le Olimpiadi in epoca antica, erano infatti il momento nel quale “tutte le guerre venivano sospese”, diventando un momento di “confronto leale” tra nazioni, su base metaforica, dove al vincitore veniva dato un premio “simbolico” ma dal valore universalmente riconosciuto.

Oggi dobbiamo ricordarci di tutto questo prima di qualunque presa di posizione “contro”, invitando tutte le parti a “sospendere” qualsiasi azione che ne danneggi lo “spirito originale”, per viverne la sua preparazione e le 3 settimane olimpiche quale momento di vera “pace” tra i popoli, lo spazio per aprire quei dialoghi tra le persone affinché, dopo le Olimpiadi, il “buon senso del dialogo continui e prevalga”.

Detto questo, da oggi pubblicherò i resoconti delle conferenze stampa del Ministero Affari Esteri Cinese, in modo che chi sente l’esigenza di sapere veramente come le cose stiano realmente andando, possa accedere anche a questa parte “fondamentale” di informazione, senza filtri o peggio, interpretazioni di terzi.

lunedì 21 aprile 2008

Picture of the day


giovedì 17 aprile 2008

MSN LOVE CHINA

Oggi, collegandosi al proprio Messanger, non può passare inosservato il fatto che lista dei contatti cinesi ( ma non solo) abbiano ora tutti con lo stesso Nickname: (L) LOVE CHINA.

Attraverso un passaparola partito lunedì dal sito 5Sai.com, nato come una delle proposte in votazione tra le iniziative suggerite per supportare le prossime Olimpiadi, come era inevitabile, si è poi diffuso attraverso tutta una serie di mailing list su tutta la rete cinese.
Il risultato è che in queste ore gli internauti cinesi si passano il seguente messaggio:

“Add "(L) China" in front of your MSN name. The (L) will appear on screen as a red heart”.

Questa “protesta” simbolica, un segnale di “pace” condiviso dal popolo della rete cinese è in reazione ai molti, troppi attacchi subiti dal proprio paese attraverso i media occidentali e ai “ventilati” boicottaggi di molte nazione in vista delle prossime Olimpiadi,.

Oggi, poco più di 4 milioni di cinesi ( e non solo), hanno ora questo messaggio come proprio Nick Name, un messaggio che travalica il comprensibile patriottismo del momento, cercando di essere un concreto invito affinché la si smetta nel continuare a rappresentare la Cina come fino ad ora fatto dai diversi media occidentali.

In particolare nel mirino della critica degli internauti vi è CNN, accusata con tanto di prove filmate, di “storpiare” la verità su quanto realmente accaduto.

Quello che sta succedendo nel inter-mondo cinese è interessante anche per un altro aspetto. I cinesi anche grazie a questo passa parola, si stanno informando e stanno prendendo coscienza di quanto accaduto in Tibet, anche perché la linea stessa del governo cinese sembra essere, in queste ore, quella di dare ampio spazio ai fatti tibetani, cercando di fornire tutte le informazioni in loro possesso, rispondendo punto su punto alle dichiarazioni / affermazioni che appaiono sui media occidentali.

Ma il fatto che in massa stiano ora rispondendo con un cuore chiamato “Love China” fa capire quale sia la propria posizione ANCHE DOPO aver appreso quello che molti media occidentali ancora vogliono fare credere sia tenuto segretamente nascosto dalle autorità cinesi.

Da tempo infatti non è più così. Da tempo i cinesi sanno quanto noi stessi sappiamo sulla questione tibetana.

Il problema sembra ora essere la continua ostinata convinzione occidentale, che tutto il torto stia dalla parte cinese, basata sul sensazionalismo e le manifestazioni mediatiche, oltretutto spesso realizzate con clamorosi “falsi”, dimostratisi ampiamente tali.

Forse questi “cuori cinesi” dovrebbero aiutarci a comprendere la “reale posizione” del cinese medio in questo particolare periodo storico, farci “aprire” gli occhi a noi occidentali, su un mondo globalizzato che spesso travalica le nostre “utopie”.

Aiutarci a comprendere come forse sarebbe più costruttivo evitare facili semplicistici approcci e sommari giudizi, cercando invece di guardare le cose con una prospettiva più realistica e concreta di quella troppo spesso utilizzata in questi mesi sui media e dai movimenti di opinione occidentali, affinché si contribuisca realmente a trovare una soluzione ad un problema complesso come quello Tibetano e non trasformarlo nella causa di problemi ancora peggiori.

giovedì 10 aprile 2008

Il “trappolone” olimpico

Vedendo come i fatti del Tibet si stanno sviluppando e gli “attacchi” preparati al passaggio della fiaccola olimpica, non ultimo l’incredibile “spegnimento” di Parigi, appare sempre più plausibile che i cinesi, nell’accettare di organizzare i Giochi Olimpici del 2008, senza volerlo, siano finiti in un “trappolone” delle proporzioni ancora tutte da valutare.

Nell’assumersi tale responsabilità nel 2001, oltre all’onore connesso alla manifestazione, i cinesi hanno accettato anche il rischio di vedere strumentalizzato o peggio “politicizzato” il grande spazio mediatico che le Olimpiadi offrono a chiunque, così come la possibilità di subire “attacchi alla propria immagine” politica e sociale, faticosamente costruita in questi decenni di apertura alla comunità internazionale.

Ma forse i cinesi, in sede di approvazione CIO, non compresero fino in fondo a quale gioco si sarebbero potuti “prestare” per una candidatura fatta passare nonostante, già allora, avesse un “apparente” parere generalizzato di segno contrario. Ora forse questa “azione” trova una sua spiegazione e una sua logica: tendere una trappola alla Cina!

E’ evidente che la ricorrenza tibetana, che sembra aver scatenato i disordini dei giorni scorsi, fosse da tempo nel calendario di molte, troppe persone ed organizzazioni internazionali di vario genere e colore, per non rappresentare un “appuntamento annunciato”.

Basti solo ricordare come nei giorni che l’hanno preceduta alcuni fatti appaiono ora segnali “premonitori” tra loro strettamente connessi: il vorticoso “tour de force” del Dalai Lama in giro per il mondo, con incontri politici a vari livelli, compresi quelli con il Presidente Bush e la Cancelliera Merkel; il blocco navale cinese che ha impedito l’ingresso di una squadra navale militare americana nelle acque di Hong Kong, lasciando così a “bocca asciutta” le migliaia di parenti in attesa da ore, nonostante la stessa squadra navale avesse precedentemente ricevute tutte le necessarie autorizzazioni dalle autorità cinesi.

All’esterrefatto ammiraglio americano che credeva in un “errore” di comunicazione e chiedeva lumi ai vertici cinesi, fu rimarcato come tale azione fosse esplicitamente da collegare agli incontri del Presidente Bush con il Dalai Lama e quindi un “segnale diretto” alla amministrazione Americana.

Tutto quello che sta accadendo sembra però uscire dal copione di un film, con una serie di azioni spesso prevedibili, copione che però sembra scritto ben lontano dallo stesso Tibet e dalle stesse strade dove la fiaccola olimpica è passata e passerà nei prossimi giorni.

Dispiace assistere a questo “linciaggio” morale quotidiano ai danni della Cina e del suo popolo, così come vedere i media occidentali tutti “pollice verso” e diventati strumenti / vetrina, di un oramai evidente tentativo occidentale di voler dare una “spallata” all’attuale assetto politico cinese, utilizzando le Olimpiadi quale strumento e grimaldello decisivo, una euforia ed aggressività ormai spesso “fuori dalle righe”, una esaltazione di piazza quasi si volesse assistere alla replica del “muro di Berlino”.

Peccato veramente, anche perché la Cina da tempo ha iniziato la strada verso un futuro diverso e ha già attivato profondi e radicali cambiamenti interni che però necessitano di tempo per svilupparsi.

Il Tibet poi, sembra essere più una buona “scusa” che il reale problema da risolvere.

Forse queste Olimpiadi sono arrivate “troppo presto” per essere un momento di condivisione con il mondo intero di una rinascita, pacifica e condivisa del “paese di mezzo”.

Speriamo solo che questo astio non degeneri in ulteriori e più gravi azioni e si apra quel dialogo necessario ed auspicabile tra le parti affinché si trovi una soluzione, dialogo che non passa dal “muro contro muro” o dalle dichiarazioni di boicottaggio di alcuni politici di queste ore che sembrano più un arma elettorale interna che un reale tentativo di contribuire ad una costruttiva soluzione.

Ma soprattutto, per favore, lasciamo fuori qualunque tipo di violenza. Non è la soluzione per nessun tipo di problema, soprattutto in questa delicata situazione internazionale.

sabato 5 aprile 2008

Tibet: qualche riferimento storico ... per cercare di capire

TIBET: La storia dal Medioevo ai giorni nostri
Rimangono poche testimonianze delle origini del Tibet, si sa però che inizialmente era popolato solamente da pastori nomadi provenienti dall'Asia centrale.
La storia del Tibet come nazione inizia con la nascita del Re Tho-tho-ri-Nyantsen nel 173 a.C. In quel periodo la religione praticata era di tipo sciamanico, detta anche Bön.
Del periodo si può ancora ammirare il castello-monastero di Yumbulakhang, nei pressi di Tsedang. Colui che venne considerato come il vero fondatore del Tibet è "Re Songsten Gampo XXXIII" della dinastia di Yarlung. Nato nel 608 d.C., il Re decise di fare diventare Lhasa la capitale del Tibet, fece costruire lo Jhorkang e introdusse per primo la religione buddista nel regno.

IL TIBET FINO AL VII SECOLO
L’origine della storia tibetana si confonde nel mito e nella leggenda. Secondo la tradizione tramandata oralmente, il popolo tibetano discende da Avalokiteshvara (Cenresig in tibetano), un essere illuminato la cui qualità principale è la compassione, e dalla dea Tara, che nella tradizione buddista rappresenta l’attività illuminata di tutti i Buddha.
Avalokiteshvara si manifestò come uno scimmione disceso dal cielo e si unì, nella valle di Yarlung, con la dea Tara che era risalita dalle viscere della terra assumendo in quell’occasione l’aspetto di un’orchessa.
Da loro discese la stirpe dei tibetani, un popolo originariamente rozzo e selvaggio costituito da tante tribù e senza un sovrano.
127 a.C. il re indiano Rupati, sconfitto in una della furiose battaglie descritte nel poema epico indiano, la Mahabarata, fuggì dall’India rifugiandosi nella valle di Yarlung. I tibetani lo considerarono un essere divino e lo proclamarono re; lo chiamarono Nyatri Tsenpo e la sua discendenza governò il Tibet per quaranta generazioni.

La dinastia che ebbe inizio nella valle di Yarlung, prescindendo da quali siano state le sue esatte origini, formò un vasto regno arrivando a confrontarsi e conquistando vasti territori ai danni dei regni dell’Asia centrale e dell’impero cinese.
L’indole di questo popolo era decisamente selvaggia, mancava di cultura scritta e prediligeva tra ogni valore la forza e l’indomabilità in guerra.
Erano combattenti temutissimi, chiamati dai cinesi “musi rossi” perché per rendere più tremendo il loro aspetto usavano colorarsi il volto con della terra rossa.
La loro strategia militare era semplice, attaccavano a ondate: finché l’ultimo loro uomo della prima linea non era morto la seconda linea aspettava, e così via.
Nelle tribù tibetane di quei tempi era considerato un disonore diventare vecchi, poiché era visto come un segno di codardia, e quando moriva un re venivano seppelliti con lui le sue donne e tutti gli amici più cari.
La religione diffusa nel territorio era il Bön che si basava sulla convinzione di una stretta interdipendenza tra l’uomo e la natura.
Parte della cultura Bön, sebbene profondamente trasformata dal contatto successivo col buddismo, è ancora presente fra i tibetani.

La tradizione orale tramanda che verso il IV secolo cadde dal cielo uno scrigno prezioso contenente dei testi buddisti, un piccolo stupa (reliquiario) e il mantra Om Mani Padme Hum. Il sovrano Lhathothori sarebbe stato dunque il primo tibetano a venire a contatto con l’insegnamento buddista; non comprese il senso dei testi, né degli oggetti, ma si narra che provò una grande devozione verso quelle reliquie.

INTRODUZIONE DEL BUDDISMO IN TIBET
La storia propriamente conosciuta e documentabile del Tibet inizia con il re Songtsen Gampo, che regnò dal 618 al 649.
Egli unì molte tribù tibetane perennemente in guerra tra loro, accrebbe ulteriormente le sue conquiste territoriali e la sua potenza militare gli fece guadagnare matrimoni di alleanza.
Oltre alle sue mogli tibetane Songtsen Gampo infatti sposò due principesse di religione buddista: una nepalese, la principessa Bhrkuti, e una cinese, la principessa Wengchen, che ebbero grande influenza su di lui.
Il nome Bhrkuti in lingua nepalese significa “dalle sopracciglia aggrottate”: voleva forse indicare il disappunto della principessa ad abbandonare la fiorente vallata di Katmandu per andare in sposa ad un rozzo barbaro.
Si dice che anche l’imperatore cinese fosse assai restio ad imparentarsi con un re tibetano, ma di fronte alla minaccia di un’invasione si convinse ad offrire a Songtsen Ganpo una principessa di sangue reale.
Nelle saghe e teatro tibetani ancora oggi si riscontrano storie e leggende che narrano di come il re tibetano, grazie ad alcuni stratagemmi, riuscì ad ottenere la mano di Wengchen.
Secondo le cronache tibetane la principessa cinese introdusse nel paese il baco da seta, il mulino da macina, il vetro, l’alcool di riso, la carta e l’inchiostro. Le due spose di Songtsen Ganpo sono tuttora venerate come coloro che per prime introdussero il buddismo in Tibet e per i devoti tibetani esse furono una manifestazione terrena di Tara verde e Tara bianca, divinità protettrici del paese.
Nella storiografia buddista anche il sovrano viene ricordato come un grande essere illuminato; ma ai tempi di Songtsen Ganpo la religione autoctona bönpo aveva molti convinti seguaci sia tra i nobili che tra il popolo e l’introduzione del buddismo non fu priva di conflittualità.
Nella storiografia bön infatti i grandi sovrani tibetani di questo periodo sono presentati con un pessimo volto: Songtsen Ganpo è ricordato come l’assassino del re Ligmirhya, che era sovrano di Shang Shung, la patria del Bön nel Tibet occidentale; e Tritsong Detsen come il persecutore della religione Bön.
Tramite le due regine dal Nepal e dalla Cina vennero portate le prime immagini di Buddha, tra cui la famosissima statua di Jowo Rimpoce, tuttora custodita e venerata nel tempio del Jokhang a Lhasa.
Il sovrano divenne buddista e decise di introdurre questa religione in Tibet. Fece costruire diversi templi a Lhasa e in altri luoghi ed inviò in India il suo consigliere Thonmi Sambota a studiare la lingua sanscrita.
Per desiderio del sovrano furono codificati l’alfabeto e la grammatica tibetana utilizzando come modello il sanscrito: nasceva così la lingua tibetana scritta, caso unico nella storia del mondo di una lingua scritta formulata da eruditi e creata specificamente per poter trascrivere nella fonetica tibetana i sottili significati espressi nei grandi trattati di filosofia buddista che erano conservati dalle grandi università monastiche indiane.
In India si scriveva sulla scorza di betulla o su foglie di palma, ma poiché i tibetani conoscevano l’arte della fabbricazione della carta, appresa dai cinesi, pur restando fedeli alla presentazione tradizionale dei testi racchiusi tra due tavolette di legno, al posto delle foglie adottarono i fogli di carta.
Il sovrano del Tibet fece tradurre i primi testi buddisti e cominciò la costruzione del Potala a Lhasa; ma le attuali maestose dimensioni del palazzo risalgono ai lavori di ampliamento eseguiti nel XVII secolo dal V Dalai Lama.
Il re Tritson Detsen (765 – 804), discendente di Songtsen Ganpo, decise di dare ulteriore impulso alla diffusione degli insegnamenti buddisti nel Paese delle Nevi. Invitò i più eminenti maestri indiani dell'epoca (Upadhyaya, Santaraksita, Vimalamitra, Santigarbha, Dharmakirti, Buddhaguhya, Kamalashila, Vibuddhasiddha ed altri) per lavorare in collaborazione con i maestri tibetani nella traduzione dei testi e nella diffusione della religione.
I Pandit (eruditi) dell’India ed i Lotsawa (traduttori) tibetani trasposero fedelmente i testi sacri dal sanscrito in tibetano e grazie a questo sforzo le tre suddivisioni principali del Tripitaka, o Canone buddista (formato da Vinaya, Sutra e Abhidharma), che costituiscono l'intero corpo degli insegnamenti di Gautama Buddha, iniziarono a divenire accessibili nella lingua tibetana.
In questo periodo nel monastero di Samye si svolse un celebre dibattito dove venne deciso l’indirizzo filosofico che avrebbe preso il buddismo tibetano, quando si incontrarono per un confronto i monaci cinesi rappresentanti del Chan guidati da Heshang Mahayana e i monaci indiani guidati dal maestro Kamalashila, discepolo di Santaraksita, rappresentanti della visione Madyamika (la via di mezzo).
La scuola indiana fu quella prescelta, e da quel momento gli insegnamenti della Madyamika sono diventati la fonte d’ispirazione che ha plasmato la cultura del Tibet fino ad essere così profondamente assimilati da diventarne la vera essenza.
In questa fase ebbe un ruolo importante Santarakshita, abate della rinomata Università monastica indiana di Nalanda, uno dei maestri buddisti più eruditi, che consigliò al re di invitare dall’India un maestro dalle doti particolari, molto adatte a convincere i tibetani. Si trattava di un colto maestro tantrico celebre per le capacità taumaturgiche, gli eccezionali poteri psichici e rinomato per i suoi esorcismi: Guru Padmasambhava, il cui nome significa "nato dal loto".
Si racconta infatti che nacque miracolosamente da un fiore di loto sulla superficie del lago Danakosa in Uddyana, mitica terra di maestri tantrici e Dakini (le "Danzatrici del cielo”), un luogo che è stato identificato nell’attuale regione dello Swat in Pakistan. Ma è pressoché impossibile distinguere il personaggio storico (o i personaggi storici) dalle innumerevoli leggende che lo circondano. Padmasambhava introdusse il buddismo tantrico (Vajrayana) in Tibet; venne chiamato Guru Rinpoce ("Maestro prezioso") e la sua effigie è rappresentata in quasi tutti i monasteri.
Padmasambhava riunì una squadra di traduttori sotto la direzione del suo discepolo tibetano Pagor Vairocana ed ebbe venticinque discepoli principali, tra cui lo stesso re Tritson Detsen, che ottennero alte realizzazioni spirituali e dettero inizio ai “lignaggi di trasmissione” ovvero alla trasmissione orale diretta maestro-discepolo, caratteristica delle scuole buddiste Vajrayana.
Il periodo dei re Songtsen Gampo, Tritson Detsen e poi di suo nipote Tri Ralpa Chen è noto come l'epoca della "Prima diffusione della Dottrina", o “Periodo d’oro dei sovrani religiosi” di cui il momento emblematico fu la costruzione del primo monastero tibetano di Samye (767), che divenne il modello di riferimento per le successive architetture monastiche.
Alla edificazione di Samye sembra abbia partecipato lo stesso Padmasambhava eseguendo personalmente i riti di purificazione del sito, con una danza che per i tibetani fu il seme da cui trae origine la grande tradizione dei Cham, i celebri festival eseguiti con costumi, maschere e musiche rituali.
La rapida diffusione del buddismo in Tibet trovò delle resistenze soprattutto da parte della nobiltà e del clero Bön, la religione preesistente. Il successore di Trisong Detsen, Ralpa Chen (817 – 863), volle continuare l’opera di diffusione del buddismo iniziata dal padre: stabilì che le famiglie nobili dovessero occuparsi del mantenimento dei monaci, fece costruire molti monasteri e proseguì l’opera di traduzione dei testi indiani.
Ralpa Chen fu fatto uccidere nell’ 863 dal fratello Langdarma che gli succedette e si oppose alla diffusione degli insegnamenti buddisti.
Fu ristabilito il culto Bön e cominciò una crudele persecuzione che rese Langdarma sinonimo di tutto ciò che per i tibetani è malvagio.
Soprattutto nel Tibet centrale molti monaci vennero uccisi e i monasteri distrutti o confiscati. La successione della trasmissione orale diretta degli insegnamenti (lignaggio) di Padmasambhava fu mantenuta in vita da alcuni meditatori che, nei loro eremi sperduti tra i monti, praticarono e trasmisero ai loro discepoli l’insegnamento tantrico e conservarono scrupolosamente tutti i testi tradotti. Molti adepti si rifugiarono nelle regioni del Kham e dell'Amdo, altri si recarono in India.
Langdarma fu ucciso a Lhasa da un monaco buddista travestito da sacerdote Bön; seguì una guerra civile per la successione al trono che non ebbe un esito preciso ed il Tibet rimase per più di tre secoli privo di un re legittimo che fosse riconosciuto da tutte le famiglie feudali.
L’impero si disintegrò in tanti piccoli staterelli autonomi e la cultura tibetana ebbe un periodo oscuro. Il punto focale della cultura buddista tibetana si spostò verso le regioni più occidentali del Tibet, in Ladakh, Zanskar e Spiti.
Sotto il regno di Trisong Detsen, col arrivo di Padmasambhava, il buddismo diventa religione di stato per prima volta.
1042: assieme al grande maestro indiano Atisha, arrivano il Tibet una serie di maestri e saggi che diffondono di nuovo il buddismo nel paese.
1072: nacque il grande monastero di Sakya, sede della omonima setta "Sakya-pa", che avrà un ruolo importante nella storia del Tibet.
1239: in seguito all'invasione delle truppe mongole giudate da Kulblai Khan il potere centrale passa da Lhasa a Sakya.
1391, nasce Gedun Khapa, il I Dalai Lama.
1624-63 Missionari Gesuiti arrivano nel Tibet occidentale.

IL GOVERNO DEL DALAI LAMA
Il V Dalai Lama, Lobsang Gyatso (1617 –1682), conosciuto come "Il Grande quinto", unificò le fazioni feudali e cercò di raggiungere un equilibrio tra le scuole limitando i privilegi dei Ghelugpa. Diffuse nel paese cure mediche ed istruzione, viaggiò, insegnò molto e diede una costituzione all’organizzazione religiosa.
Il grandioso palazzo del Potala fu costruito durante il suo regno ed è il simbolo della potenza del Tibet di allora, quando Lhasa era il fulcro della civiltà del buddismo Mahayana Vajrayana ed i monaci di tutte le regioni aspiravano ad essere ammessi alle sue tre famose università.
1652: il V Dalai Lama fu accolto a Pechino su invito dell’imperatore della Cina che lo accolse come suo pari.

Il V Dalai Lama era così venerato dai tibetani che i reggenti ne tennero nascosta la morte per 15 anni temendo un ritorno alle guerre civili.
Così il VI Dalai Lama era già un adolescente quando salì al trono. Tra la sorpresa generale, il VI Dalai Lama rifiutò l’ordinazione monastica ed insegnò seduto tra la gente.
Di animo estremamente sensibile fu autore di numerose poesie d’amore che appartengono alla letteratura poetica del Tibet. I suoi scritti possono essere interpretati sia come sonetti dedicati all’amata che come esperienze di estasi spirituale.
Tuttavia, senza un abile capo politico, Lhasa divenne preda contesa tra Cina e Mongolia.
1670-1750: l'impero Cinese conquista il Tibet orientale e Lhasa ed instaurò il suo protettorato sul Tibet.

Il VII (1708-1757) e l’VIII (1758 –1804) Dalai Lama furono eminenti eruditi ed autori di testi filosofici di grande valore, ma si dedicarono esclusivamente alle pratiche spirituali lasciando l’amministrazione politica nelle mani dei politici laici.
I loro successori dal IX al XII vissero pochissimo, non più di 21 anni, e la figura del reggente assunse un ruolo di sempre maggior rilievo.
1716:con l'arrivo del Gesuita Ippolito Desideri a Lhasa, iniziano i primi contatti con l'occidente.

1774:la prima missione britannica entra in Tibet, seguita dalla invasione Nepalese, che viene fermata grazie all'aiuto delle truppe cinesi chiamate in aiuto dai tibetani.

Quando nacque il XIII Dalai Lama, nel 1876, il Tibet era un paese a rischio; da una parte gli amministratori britannici, coinvolti negli intrighi di potere in tutta l’Asia centrale, cercavano di assumere il controllo anche del mercato tibetano, dall’altra i cinesi esercitavano una politica espansionistica.

1904: una spedizione militare di truppe del Regno Unito invade il Tibet arrivando fino a Lhasa e costringendo il Dalai Lama a fuggire in Mongolia (alleato del Tibet) e poi si recò in Cina dove assistette all’incoronazione dell’ultimo imperatore.
Dopo cinque anni di occupazione militare, gli inglesi giunsero ad un accordo con i tibetani ed abbandonarono Lhasa.
1910: truppe del impero Cinese occupano parte orientale del Tibet conquistando anche Lhasa.
1912: il Dalai Lama riprende il pieno potere in Tibet senza alcun influenza estera.

1933: alla morte del XIII Dalai Lama, Tensing Gyatso diventa il XIV Dalai Lama. A soli 18 anni di età nel 1940, all'attuale Dalai Lama, vennero conferiti i poteri spirituali di capo della comunità buddista del Tibet.

1949, Mao Tsedong a Pechino, proclamò la fondazione della Repubblica Popolare della Cina.
1950 il Dalai Lama fugge in esilio verso il Sikkim, ma poco dopo ritorna a Lhasa in seguito agli aco.
1951:La Cina che nel corso della storia da sempre aveva considerato il Tibet parte del Impero invade il Tibet e a Lhasa su richiesta di rappresentanti governativi tibetani.
Le autorità Cinesi inizialmente non interferivano nella politica interna del paese, lasciando il governo tibetano ad esercitare il suo potere.
Ma successivamente la situazione deteriora.
1959: il Dalai Lama decide di fuggire in India seguito dall'elite feudale e i monaci temendo l'aria di rivoluzione che spirava dalla Cina. Gli unici che rimasero nel paese furono i poveri.
1964: la Cina dichiara formalmente il Tibet "Provincia Autonoma del Tibet" della Cina.

mercoledì 2 aprile 2008

Tutti a Beijing .. senza paura..Liberi di viaggiare..

In questi giorni, parlando con alcuni amici sulle vacanze che stanno organizzando per la prossima estate, apprendo che alcuni di loro avrebbero desiderato venire in Cina per assistere ai Giochi Olimpici per poi prendersi qualche giornata e poter completare la visita anche di altre città cinesi.

La maggioranza di loro però alla fine ha rinunciato per una ragione che li accomuna, del tutto “campata per aria”, da parte delle Agenzia di Viaggio Italiane a cui si erano rivolte: “il viaggio è tutto organizzato dai cinesi a scatola chiusa, non si è liberi di scegliere gli itinerari”.

Nulla di più falso!!.

Peccato che questa “storiella” faccia ancora presa, dato che nella mente dei più, la Cina è ancora un paese chiuso, dove gli stranieri non possono muoversi senza sottostare alla approvazione restrittiva delle autorità cinesi. Bene, da molto tempo ciò è totalmente FALSO.

A parte alcune (poche) aree dove per ragioni, diciamo di “ordine pubblico” che non sto qua a ricordare, l’ingresso agli stranieri è sconsigliato o anche impedito, tutto il resto della Cina è libera meta per qualsiasi tipo di turista, anche il “fai da tè”.

Quindi durante i Giochi, a nessuno straniero sarà impedito di andare a Beijing. Semmai il problema vero è che in quelle giornate trovare un posto letto sarà alquanto difficile, così come trovare un biglietto per le cerimonie di apertura e chiusura.

Spazi esistono per le altre specialità “minori” ma occorre venire qua per sperare di trovare qualcosa di disponibile.

La situazione di Beijing non sarà quindi tanto diversa da quella di Milano, Parigi o Londra nelle giornate della Moda o dei principali eventi fieristici.

Detto che si è liberi di venire in Cina in ogni momento, semmai un problema pratico, una volta arrivati, è un altro: a differenza di quando si viaggia in Europa o Usa, un turista medio alla conquista della propria avventura, magari vissuta alla giornata, può trovare una ben diversa barriera, quella “linguistica” che, anche nella grandi città, può finire per impedire anche le cose più elementari.

Ma questo non centra nulla con la libertà di movimento di cui si può godere quando si entra in Cina.

I pacchetti turistici cinesi sono creati dai cinesi, perché formalmente il mercato turistico cinese è ancora ufficialmente chiuso per le aziende turistiche non cinesi. Ma questo non vieta ad una agenzia viaggi italiana di venire in Cina e concordare con una controparte cinese viaggi ad hoc e diversi tragitti, in modo da consentire ai propri clienti Italiani di scoprire la “vera Cina”.

Detto questo, è quindi sicuramente consigliato organizzarsi affinché, trovata una guida locale o una agenzia viaggi Cinese, si possa con essa fare quello che si fa nel girare qualsiasi altro paese occidentale.

Questo anche perché i pacchetti turistici in vendita dalle nostre parti sono spesso “massacranti” e stile alla giapponese del “vedi, fotografa e passa oltre”, un approccio poco consono per un turista italiano spesso più incuriosito ad approfondire e cercare di entrare in contatto con questa dimensione così diversa dalla nostra, andando oltre la semplicistica fotografia di rito, stile “Americano a Roma” di fronte al Colosseo.

Sarete così liberi di scegliere i vostri itinerari, anche da un giorno all’altro. Le procedure di segnalazione agli enti di polizia sono infatti automatizzate e quando soggiornerete in un albergo, come del resto anche da noi, sarà l’albergo stesso a segnalare la vostra presenza agli organi preposti di polizia.

Ma state tranquilli, nessuno vi chiederà quale sarà la vostra prossima meta, lasciandovi così intatto il “piacere della scoperta” di un paese che offre soprattutto fuori dagli itinerari canonici il proprio meglio, ma che proprio a causa di questa scarsa professionalità di molte agenzie di viaggio italiane e a causa di molti preconcetti duri a morire, restano prerogativa solo dei cinesi.

Esiste una sola richiesta formale inderogabile che vi verrà fatta al momento della richiesta del visto turistico: presentare il biglietto di andata e ritorno, testimonianza concreta della vostra intenzione di tornare e raccontare delle bellezze e delle esperienze da voi vissute nel profondo Far East.