La visita ufficiale del Ministro Zaia è appena terminata ed è tempo di valutazioni e di bilanci.
Sicuramente ha lasciato due tracce importanti dietro di sè: un accordo quadro di concreta collaborazione a 360° sull’agro-alimentare tra Italia e Cina ed un metodo, un approccio condiviso per il futuro.
Per quanto riguarda gli accordi sottoscritti e le implicazioni connesse, questi sono stati riassunti dallo stesso Ministro nel suo incontro con gli operatori dell’agro-alimentare Italiana e Cinese di Shanghai, incontro organizzato dal Consolato Generale Italiano di Shanghai e alla presenza dell’Ambasciatore d’Italia Sessa.
Lasciati da parte i convenevoli, gli annunci e le promesse, in 10 dicasi 10 minuti, ha così riassunto la situazione di quelli che lui ha chiamato “ i nostri dossier con la Cina”:
- quelli chiusi ( Kiwi, Prosciutto crudo),
- quelli da chiudere entro marzo ( importazione degli agrumi),
- quelli da risolvere al più presto ( Prosciutto cotto),
- attività da organizzare con il ministero cinese per i prossimi mesi
- Campagna per la qualità del food,
- Sicurezza e tutela alimentare,
- Scambi scientifico-tecnologici per una agricoltura sostenibile,
- Forum agro-alimentare Italo – Cinese entro l’estate 2010,
- la definizione del progetto del centro sulla sicurezza alimentare Italo - Cinese.
Per quanto riguarda invece il metodo, le parole chiave condivise con le proprie controparti cinesi sono state: recupero, difesa e reciproco rispetto delle rispettive culture culinarie.
E per farsi comprendere, il Ministro ha preferito un approccio diretto e senza giri di parole: “basta mangiare le schifezze cinesi!”.
Detta così potrebbe apparire una frase colorita, arrogante e soprattutto scarsamente diplomatica. Vista invece dal lato cinese non lo è stato per nulla.
Non va infatti dimenticato come in Cina, il cibo ancora oggi rappresenti la priorità del paese che non si è scordato il passato di miseria che ha alle spalle, tanto che se vuoi fare un regalo veramente “prezioso”, basta presentarsi con un bel cesto di frutta e verdura, così come regalare latte per i bambini della casa che ti ospita.
Io stesso ho modo di verificare quotidianamente l’attenzione riposta dai cinesi nella scelta degli ingredienti e dei piatti da mangiare, tanto che quando mia moglie cinese è venuta in Italia e siamo andati a Chinatown a Milano, non c’è stato verso di farle comprare nulla di venduto nei negozi cinesi della zona, da lei ritenuti di qualità troppo scadente rispetto allo standard che ormai, soprattutto nella grandi città, si trova nella Cina contemporanea.
Per cui non stupisce che le intenzioni del Ministro Zaia, abbiamo trovato tanti e vasti consensi nei vertici governativi cinesi, visto che gli obbiettivi che si prefigge, protezione e lotta alla contraffazione e qualificazione del prodotto, rappresentano anche per i cinesi priorità assolute, connesse anche con il recupero della loro secolare cultura del mangiare sano.
La medicina tradizionale cinese definisce infatti una stretta correlazione tra quello che si mangia e la salute personale. E’ per questo motivo che il cinese, tradizionalmente, è attentissimo nella selezione di quello che mangia.
Gli accadimenti storici, la povertà e le restrizioni degli anni passati, hanno obbligato i cinesi ad abbandonare questi tradizionali canoni e sani consigli, ma ora, ritrovato un tenore di vita decoroso, in particolare nei quasi 300 Milioni di quella che è la nuova middle class cinese, c’è un diffuso ritorno al salutismo alimentare di storia millenaria.
Per cui il cavallo di battaglia proprio del Ministro Zaia, non può che trovare d’accordo anche i cinesi che oltretutto, stanno facendo i conti con gli effetti del boom economico nel paese.
Di recente il Governo cinese, attraverso un rapporto sullo stato di salute della popolazione, ha infatti preso coscienza come stiano crescendo molte gravi patologie, strettamente legate alla sostanziale povertà e sbilanciamento nutrizionale della dieta cinese attuale.
Contemporaneamente e connesso con il boom economico e la possibilità d’accesso alle abitudini alimentari occidentale, in pochi anni ha finito per trovarsi una generazione di giovani obesi, fatto del tutto nuovo ed anomalo nella storia cinese, causato dall’abuso della dieta alla “Mc Donald”, che per quanto fortemente calorica, appare tutt’altro che equilibrata.
Per cui, come spesso è accaduto su molte altre questioni, nel suo vorticoso processo di crescita, ora i cinesi sono alla ricerca della “dieta perfetta”, che riesca ad offrire un più bilanciato apporto nutrizionale e nel contempo possa preservare la salute nazionale, con un’evidente riduzione dei costi sanitari connessi.
La dieta mediterranea e la tradizionale cucina italiana, rappresentano perciò per i cinesi una “economica” e salutare alternativa da seguire.
Ancora oggi il paese è tutto da alfabetizzare, sul piano del gusto e delle sane abitudini alimentari, per cui le proposte del Ministro Zaia sono state viste sicuramente come un ottimo inizio, per un duraturo cambiamento nazionale.
Stesso discorso anche per quanto riguarda la proposta della creazione della lista nera degli “importatori scorretti”, alla stregua di criminali che attentano alla salute pubblica, elemento accolto con trasporto dai Cinesi, che non vogliono diventare un’area di stoccaggio di prodotti scaduti o peggio adulterati e nel contempo non apprezzano che all’estero il cibo cinese sia considerato di bassa qualità.
La visita del Ministro ha lasciato però nella comunità Italiana anche un’altra immagine: risposte dirette e senza fronzoli, una squadra ministeriale affiatata guidata da un Ministro sicuramente competente sul tema e con idee molto chiare su come vadano fatte le cose.
Qualcosa che ha sorpreso non poco i presenti, così come la chiarezza dei ruoli e delle funzioni o l’onesta evidenziazione anche dei limiti della azione ministeriale e delle risorse disponibili, che però come ha dichiarato “non devono diventare alibi per fasciarsi la testa”.
Esemplare è stata infatti la risposta ad una questione definita da Zaia “una leggenda metropolitana” riassumibile nella domanda: “perché non vengono fatte Campagne Governative a supporto del Made in Italy agroalimentare, come fanno invece le altre nazioni?”.
Senza giri di parole, provocatoriamente, il Ministro Zaia ha chiesto ai presenti di Shanghai: “ditemi se qualcuno di voi ha visto una campagna istituzionale fatta dagli Americani, Francesi, Tedeschi …”.
Al silenzio che ne è seguito ha poi aggiunto: “Visto che ci riuniamo periodicamente in sede Europea, so quali sono i budget degli altri e quindi le affermazioni che gli altri investono e noi no, sono prive di qualsiasi fondamento”.
“Il vero problema”, ha sottolineato il Ministro Zaia, “è che le altre nazioni possono beneficiare dell’effetto trascinamento delle proprie multinazionali dell’agro-alimentare, qualcosa di cui non possono trarre profitto gli Italiani. Questa evidenza ci ha portato a valutare accordi con alcune di queste Multinazionali per permettere anche alle aziende Italiane di entrare in gioco”.
Come è successo a Shanghai, dove “il Governo locale ci ha chiesto di partecipare nella piattaforma logistica in via di completamento che garantirà ben il 50% degli approvvigionamenti per l’intera città di oltre 20 milioni di abitanti.”
“Questo è quello che il Ministero può e deve fare. Il resto lo devono fare gli imprenditori”.
“Il Ministero”- ha continuato Zaia – “con i suoi 20 milioni di Euro, deve sostenere la campagna di promozione a livello mondiale che a fronte dei quasi 4.500 prodotti tipici nazionali, sono solo una goccia nel mare”.
Una situazione ben diversa se paragonata per esempio con una Mc Donald, che deve promuovere “solo due pezzi di pane con in mezzo una fetta di carne”.
Una “convincente” metafora, che però fa emergere quale sia la grande emergenza del sistema Italia agro-alimentare: creare nuove economie di scala per poter competere in giro per il mondo.
Ad oggi, ben 9 su 10 dei prodotti in commercio detti “italiani”, usano la bandiera italiana, un nome italiano o semplicemente si definiscono Ristorante Italiano, per attrarre i propri clienti, senza che a ciò corrisponda una italianità reale e tangibile.
Un danno per il paese, stimabile per i soli USA in 50 Miliardi di Euro, mentre per la Cina in 100 Miliardi di Euro.
Per recuperare a questo vero e proprio “scippo”, il Ministro è convinto dell’importanza e la centralità di un’azione di qualificazione dei prodotti attraverso anche la creazione di un marchio di certificazione nazionale che sia in grado di attestarne l’autenticità, andando ben oltre la semplice attuale tracciabilità.
Il Ministro Zaia ha infatti sottolineato come questo marchio di qualità “dovrebbe anche contenere le informazioni sulla proprietà aziendale” e che quindi per ottenerlo, i prodotti e i ristoranti Italiani che vogliano chiamarsi tali, “devono essere a maggioranza Italiana”.
Questo per le basi culturali che un piatto ed un prodotto alimentare si porta inevitabilmente con sè.
A margine dell’incontro di Shanghai, abbiamo allora chiesto al Ministro se questo voglia dire che un “ristorante Italiano” gestito ad esempio da non italiani, potrà in futuro aspirare a ricevere questo marchio di certificazione di qualità.
La sua risposta è stata emblematica: “direi di no, esattamente come appare poco credibile che un ristorante Cinese sia gestito da Italiani”. Questa proposta sembra quindi potrà diventare in futuro il “metodo Zaia” per valorizzare e difendere il “Made in Italy” a tavola nel mondo
Un punto condiviso anche con le controparti cinesi ed in linea con l’accordo firmato con i cinesi, di reciproco riconoscimento e tutela delle proprie peculiarità culturali.
Bene, per finire un’osservazione: dopo averlo sentito parlare e visti anche i risultati ottenuti in questa missione in Cina, ma siamo proprio sicuri che sia un bene per il paese che diventi il prossimo Governatore del Veneto?
Forse l’Italia come Ministro ne ha ben più bisogno!.