lunedì 22 giugno 2009

Crisi in Iran "vista" dalla Cina

I giornali e le televisioni cinesi, in questi giorni, hanno dato parecchio spazio a quanto sta accadendo in Iran, senza alcun trasporto, non evitando di segnalare gli elementi oggettivi a dimostrazione di possibili brogli che sembrano aver inficiato i risultati delle ultime consultazioni elettorali.

Ma non solo, quanto sta accadendo per le strade di Teheran, è sotto l’attenta osservazione della lente delle autorità cinesi, per tutta una serie di motivi strategici.

A prescindere dal “regolamento dei conti interni” in corso, di cui i cinesi alla fine, sembrano fondamentalmente poco interessati, forte è la preoccupazione che l’Iran possa essere la miccia di una esplosiva situazione per tutta l’area.

Non va infatti dimenticato come anche il Pakistan, di questi tempi stia attraversando una profonda crisi interna, con un governo ancora condizionato dalla morte della vera leader del paese, Benazir Bhutto, fantasma che continua ad aleggiare sul marito, salito al governo dopo la sua morte, ma che non sembra avere i numeri e il carisma per gestire una situazione così complessa.

Per poi non parlare della Corea del Nord, dove le notizie si ricorrono di continuo, segnalando una instabilità profonda e di difficile lettura, una situazione che potrebbe anche trasformarsi in guerra aperta, stando alle minacce degli stessi Nord Coreani, nel caso di interferenze o blocchi navali.

Stesso discorso vale per l’Afghanistan, dove la situazione militare sul terreno non evidenzia un reale controllo da parte del governo Afgano che al contrario, sembra ancora in balia delle volontà talebane e necessiti della presenza della coalizione internazionale per non venire sopraffatta.

Bene, tutti questi focolaio di fatto sono ai confini della Cina, che quindi, più di tutti, è preoccupata che un’escalation, anche in solo uno di questi paesi, possa destabilizzare l’intera area e finire per obbligare qualche tipo di intervento diretto dagli imprevedibili risultati.

E’ quindi per questo che i cinesi, nei giorni scorsi, hanno lanciato agli Americani un messaggio chiaro: non “destabilizzare” l’Iran.

Ciò non significa che intendono salvare l’attuale amministrazione Ahmadinejad, ma vogliono evitare che continuando a soffiare sul “fuoco” della rivoluzione di piazza, questa possa non fermarsi solo a Teheran.

I cinesi sono infatti consci che le elezioni sono state falsificate, tanto che da avere ragionevoli informazioni per pensare che Ahmadinejad non sia arrivato nemmeno secondo ma addirittura terzo nella recente tornata elettorale.

A preoccupare i cinesi, è l’essenza stessa della struttura del “Potere” in Iran e la sua forte componente religiosa, base del supporto all’attuale amministrazione.

Questo fatto, porta gli analisti cinesi a non pensare che la situazione si normalizzerebbe anche dopo il ripetersi di una “normale” tornata elettorale, perché non è escludibile che Khameini finanche sconfitto democraticamente, possa poi accettare la situazione, dando così inizio ad una guerra civile che trasformerebbe l’Iran in qualcosa di simile all’attuale situazione Afgana.

Tra l’altro, dopo queste elezioni, i cinesi non ritengono più lo stesso Ahmadinejad un problema come prima, vista la debolezza con cui dovrà fare i conti in futuro, elemento che potrebbe, più di qualsiasi ulteriore pressione esterna, aiutare a ridurre le velleità nucleari Iraniane e le sue posizioni radicali sostenute in passato, aiutando così a trovare una soluzione da tempo auspicata.

Questo sembra quindi essere il punto fondamentale che distingue la posizione Cinese da quella Usa, che al contrario dei cinesi, vorrebbero estromettere Ahmadinejad, senza però avere garanzia che il subentrante, possa rappresentare una vera svolta stabilizzatrice per il paese.

Ma visto l’evolversi delle precedenti crisi in Iraq ed Afghanistan come non dargli torto?