sabato 28 aprile 2007

Taiwan, solo una questione interna Cinese.

(Pubblicato su Affari Italiani il 30 Aprile 2007)
Oggi a Beijing si sono aperti i lavori del 1° Forum per la cooperazione economica tra Cina e Taiwan, denominato in maniera alquanto metaforica “Forum Attraverso lo stretto”.

Punti chiave in discussione saranno: la richiesta di Taiwan per l’attivazione dei collegamenti aerei diretti (ora si passa da Hong Kong) e un ulteriore incremento degli scambi commerciali, per ora limitati solo ad alcuni prodotti agricoli di Taiwan.

Ma proprio mentre si discute e ci si incontra per cercare future intese, paradossalmente dall’altro proprio ieri Taiwan ha annunciato che non intende far passare il percorso della torcia olimpica da Taipei, come era stato annunciato dal comitato olimpico per Beijing 2008, nella cerimonia ufficiale di presentazione della torcia olimpica, con tanto di evento in mondovisione.

Quindi se la storia economica cinese è sotto gli occhi di tutti, quella politica appare spesso più oscura ed indecifrabile.

Su una questione politica però i cinesi sono chiari e finiscono talvolta addirittura per abbandonare il proverbiale autocontrollo, fino ad ora dimostrato sulle principali questioni internazionali: la riunificazione di Taiwan.

Su questo punto non ci sono dubbi o ambiguità da parte cinese. Non è una questione di se ma solo di quando.

La Cina ritiene Taiwan, a tutti gli effetti, GIA’ parte integrante della Repubblica Popolare Cinese e senza esitazioni intende procedere alla sua riunificazione con la madre patria.

La questione è così strategica, da condizionare le relazioni internazionali cinesi, tanto che nei resoconti di agenzia di tutti i meetings internazionali, viene sempre evidenziato come il leader incontrato di turno, abbia affermato il proprio “supporto alla Repubblica Popolare Cinese, affinché la riunificazione con Taiwan si realizzi”.

Per contro, i leaders e le nazioni che non riconoscono o peggio sono contrarie alla lecità della posizione cinese sulla questione di Taiwan, tendono a non venire incontrati o se è impossibile proprio evitarlo, il tutto avviene in una evidente formale freddezza.

Va inoltre sottolineato come recentemente, negli ultimi incontri bilaterali con gli USA, uno dei punti fondamentali della agenda cinese è stato proprio quello di far ribadire pubblicamente da parte degli Stati Uniti, una sorta di “neutralità” rispetto al problema Taiwan, in cambio di sempre più stretti accordi economico / politici tra i due paesi.

Che la questione della riunificazione di Taiwan sia importante, lo si nota anche per strada e tra la gente.

Il crescente e sempre più diffuso nazionalismo cinese, intende chiudere la ferita apertasi con la separazione da Taiwan di metà ‘900, visto che nella quotidianità le tensioni tra le due comunità, quella cinese e taiwanese, sono palpabili, in una competizione continua, al limite del conflittuale e del reciproco sopruso quotidiano.

Va premesso che ad oggi per i cinesi andare a Taiwan, in semplice visita turistica, è una questione di stato ed è sostanzialmente vietato.

Per contro, i cinesi che lavorano nelle aziende Taiwanesi presenti in Cina, denunciano una generale arroganza nei loro confronti da parte dei proprietari e in alcune situazioni parlano di veri e propri casi di “mobbing” che nel caso delle donne, finiscono per essere anche di carattere sessuale.

Questo atteggiamento dei Taiwanese rispetto ai cinesi, è comprensibile solo se viene osservato alla luce di quello che possiamo definire “Superiorità relativa”, atteggiamento molto diffuso nella cultura della società cinese, dove per strada, sugli autobus o nei ristoranti, le persone considerate di più basso lignaggio, vengono trattate con arroganza e disprezzo.

Non è quindi un fatto insolito, vedere come il cliente di turno di un ristorante, nemmeno guardi il cameriere che lo sta servendo o lo tratti con un disprezzo che lascia, noi occidentali, spesso sconcertati.

E’ quindi evidente che i Taiwanesi si considerino superiori ai cinesi della madre patria e quando possono, non perdono occasione per ribadirlo.

Per contro, i cinesi delle nuove generazioni, intendono vincere questo senso di “inferiorità” che sostanzialmente pervade le relazioni con Taiwan, basti pensare all’attuale divario tecnologico tra le due comunità.

Con la riunificazione di Taiwan, il governo cinese intende quindi chiudere i conti con il proprio passato storico ed interrompere la strisciante competizione tra le due comunità, indirizzandola nella più onorevole competizione cinese con il resto del mondo.

Per raggiungere questo scopo, la Cina sta adottando una quotidiana strategia del “bastone e della carota”, con l’obbiettivo evidente di “annientare” il concetto stesso dell’esistenza di Taiwan come nazione.

Vari gli esempi di questo agire che vanno dall’impedire a Taiwan l’ingresso in qualsiasi organizzazione internazionale (es. diritto di veto nel caso di Taiwan nell’ONU) o citarla sempre come “Chinese Taipei” in tutti i dispacci giornalistici o televisivi”.

Taiwan viene gestita quasi fosse una semplice provincia, tanto che recentemente sul China Daily, si affermava come il PIL della provincia del Guandong, a Sud della Cina, supererà quello di Taiwan entro un paio di anni. Nemmeno si confronta più il PIL di Taiwan con quello della Cina!!.

Quest’ultima notizia esprime chiaramente il punto di vista del governo cinese, in linea con le migliori tradizione sul tema delle relazioni tra simili. In Cina infatti gli appuntamenti avvengono tra omologhi e tra pari grado, in termini di cariche e potere all’interno delle rispettive organizzazioni. Un Presidente incontra un Presidente, un Vice Presidente incontra un Vicepresidente e così via. Praticamente impossibile soprassedere a questo approccio cinese negli incontri a tutti i livelli, siano essi tra nazioni che tra imprese.

Per cui che il PIL della Provincia del Guandong sia confrontato con quello di Taiwan afferma, senza mezzi termini e giri di parole, che Taiwan è SOLO una provincia della Cina!! Taiwan non ha il lignaggio di potersi confrontare con la Cina in quanto nazione. Semplicemente perché Taiwan NON è una nazione.

Contemporaneamente, per convincere i Taiwanesi che non hanno nulla da temere nel tornare cinesi a tutti gli effetti, vengono organizzati periodici eventi musicali e culturali con la presenza dei migliori talenti cinesi, attivati programmi di scambio culturale tra le diverse scuole o università, oppure sempre più strette cooperazioni commerciali, quale quella di una sempre maggiore importazione dei prodotti agricoli da Taiwan.

Ultima significativa iniziativa, in ordine temporale, è stata l’apertura dello spazio aereo al traffico commerciale passeggeri diretto tra il Midland cinese e Taiwan, in occasione delle festività nazionali cinesi. Da un lato, ha consentito un più agile rientro dei Taiwanesi presenti in Cina, ma dall’altro intende favorire una normalizzazione dei rapporti, comunque ancora tesi, al limite del sempre sotterraneo possibile conflitto militare.

Ma che il processo di riunificazione con Taiwan sarà comunque portato a termine, la gente comune ne è fermamente convinta, al punto che per strada, nel profilo della mappa che descrive la Cina, ti capita di vedere già spesso, anche la sagoma di Taiwan!!.

Ovviamente la questione di Taiwan si inserisce in un quadro più vasto che consentirebbe alla Cina, in corsa per il vertice del podio economico mondiale, di poter contare sull’evidente vantaggio che Taiwan ha beneficiato negli ultimi decenni e che le ha consentito di assimilare e possedere molte delle chiavi del successo occidentale (Micro-Chips, Hi-tech ….).

Queste chiavi ora sono necessarie alla madre patria cinese per continuare a competere nei prossimi decenni con sempre maggiore incisività, nei rapporti di forza con le altre superpotenze economiche quali USA e Giappone.

La storia cinese è ricca di eventi riunificanti a partire dal 221 a.c., quando la Cina come la conosciamo ora, non esisteva ma era suddivisa in tanti stati, tra loro in continuo conflitto.

La questione di Taiwan può essere quindi ricondotta a questo retaggio storico, dove sempre a seguito delle precedenti riunificazioni, sono seguiti lunghi periodi di splendore e prosperità Cinesi.

L’ultima riunificazione in tempi recenti, quella di Hong Kong, alla base dell’attuale boom economico cinese, sta li a dimostrare come, pezzo dopo pezzo, il successo della Cina passa anche da strategie politiche legate alla creazione di una sempre più chiara e forte identità cinese.

Molti osservatori temono che, questo crescente nazionalismo cinese, possa portare oltre le pretese su Taiwan, rinfocolando le antiche tensioni con il Pakistan e India, relativamente alla definizione dei confini nazionali, questioni ancora aperte e mai definitivamente risolte.

Ma chi conosce la storia cinese, sa come per Taiwan, questo non possa essere considerato a tutti gli effetti un caso di espansionismo cinese o una questione internazionale ma più semplicemente una questione interna, totalmente cinese.

Quindi difficilmente la Cina, dopo Taiwan, intenderà espandersi oltre, sul piano strettamente territoriale.

La questione su Taiwan è infatti connessa alla necessita di ripristinare l’unicità della identità cinese, frammentatasi nel secolo scorso, identità che ora assomiglia sempre più ad un potente Trademark di immenso valore commerciale ed economico, brevettato e da tutelare a tutti i costi.

venerdì 20 aprile 2007

Attenzione a non scoprirsi solo degli "ipocriti razzisti"

(Pubblicato su Affari Italiani il 18 Aprile 2007)
Gli incidenti di Milano per la ormai famosa "contravvenzione", diventata una barzelletta a livello planetario, sono passati nella realtà quotidiana cinese nel disinteresse più completo, evidenziando incredibilmente invece ancora una volta i nostri limiti, tutte le nostre contraddizioni e il livello di conflittualità interna attuale.

Va precisato come le ferme reazioni formali del governo cinese e del suo ambasciatore in Italia siano state “sacrosante”, anche se occorre sottolineare che non sono comunque andate oltre alla formale richiesta al governo italiano di proteggere i cinesi residenti in Italia, da eccessi come quelli accaduti a Milano.

I media italiani, forse nella foga di un passaparola e di un rigurgito di nazionalismo interessato, hanno in questi giorni sicuramente esagerato, attribuendo ai vertici cinesi parole alquanto minacciose che se fossero state invece lette con maggiore attenzione, erano sintetizzabili nella semplice frase: risolvere con equilibrio!!
Il governo cinese segue comunque la “grottesca questione” verificatasi a Milano relativamente agli “sfortunati” fatti accaduti, come definiti dagli stessi cinesi, cercando di evitare che questa questione “monti” in una ben più pericolosa disamina complessiva sul “Sistema Cina” all’estero, in un momento delicato come questo, per l’internazionalizzazione delle imprese cinesi.

Si intende evitare strumentalizzazioni da parte di altre nazioni, ben più significative della nostra, che si diffonda un “neo-razzismo” economico / politico cinese, che potrebbe avere evidenti ripercussioni future. I timori cinesi non sono privi di fondamento, vista la piega presa a Milano ma in particolare visti i recenti pesanti contrasti con gli USA sul tema della pirateria audio / video.

A rischio sono le recenti azioni di promozione e gli investimenti di immagine fatti dal Governo Cinese sulla diffusione di Confucio come messaggero del pensiero e della filosofia cinese per la costruzione di una “Società Armonica”, vero manifesto politico / economico della Cina presente e futura nel mondo.

Ora i fatti di Milano cercherebbero di dimostrare che le comunità cinesi all'estero sono socialmente pericolose, non disponibili a nessuna integrazione e oltretutto ricettacoli di una diffusa illegalità.

Questa idea agli occhi del governo cinese, rischia di danneggiare gli sforzi e le attuali attività di espansione delle imprese e della cultura cinese in Italia e nel mondo.

L'impressione però che si trae dai fatti di Milano, spogliati dell'impatto emotivo vissuto in Italia, è che qualcuno a Milano (e in Italia) stia strumentalizzando la cosa e i cinesi di via Sarpi, fomentando un odio e un razzismo stupido e senza senso, per obbiettivi economici e/o politici solo italiani.

Quanto accaduto visto dalla Cina fa quasi sorridere, sembra di vedere uno stralcio del film "Gangs of New York".

Chi ha visto il film, può ricordare i componenti delle comunità in lotta (emigranti dalle diverse nazioni europee), la motivazione razzistica a monte delle ragioni del contendere e la decisione dell’allora governo di New York, di fare rientrare nella legalità queste comunità provenienti da tutti i principali paesi europei, che in terra americana avevano costruito un sistema di comunità chiuse tra loro contrapposte (Italiani compresi!!).

La comunità cinese a Milano non sfugge a questo parallelismo, anche se va precisato come la Cina, quella vera, con le questioni di Milano non c'entra nulla.

Va infatti fatta una premessa importante sulle comunità cinesi all'estero.

Il governo cinese di recente ha infatti deciso di riqualificarle, trasformandole nei “trampolini” di lancio per una sempre maggiore diffusione della cultura cinese ed un sempre più efficace strumento economico a supporto della internazionalizzazione delle imprese cinesi.

Questo cosa significa?

Semplicemente che il governo cinese è cosciente come le comunità cinesi all'estero NON siano totalmente formate da semplici emigrati, visto che negli anni sono state formate da chi scappava dalla Cina per vari problemi con la giustizia cinese e per i crimini più disparati (pena di morte compresa).

Quindi i cinesi all'estero, spesso non rappresentano una "emigrazione qualificata", come la definiscono i cinesi , non sono il "Sistema Cina" all'estero, ma spesso sono veri e propri malavitosi e faccendieri senza scrupoli.

Per queste e altre ragioni, non godono del benché minimo supporto governativo della Madre patria. Solo dopo una profonda ristrutturazione, come accaduto di recente per la Chinatown inglese a Londra, vengono a tutti gli effetti riconosciute dalla madre patria e risultano integrate con il “Sistema Cina”.

Non sorprende quindi che comunità, come quella di via Sarpi, siano a tutti gli effetti comunità chiuse, spesso refrattarie alle leggi locali, dovendo proteggere gli interessi non sempre trasparenti e spesso la stessa incolumità dei suoi componenti.

Basti pensare che molti dei miliardi di dollari rubati dai migliaia di loschi e corrotti funzionari governativi, a cui il governo cinese sta dando una caccia in tutto il mondo, siano finiti nelle comunità internazionali a finanziare attività locali, in una vera propria "lavanderia" a cielo aperto di capitali poco puliti, comunque provenienti dalla semplice corruzione non da altre fonti, quali ad esempio la droga.

Inutile comunque scomodare la Cina per capire quanto accaduto in Via Sarpi.

Milano non è Napoli, ma chi conosce Napoli sa che il quartiere Sanità appare ben più pericoloso per le forze di polizia del quartiere Sarpi e lo stato di illegalità è ben più diffuso. Ma come a Napoli gli interessi economici tutelano quello status quo, anche a Milano lo stesso è stato negli anni per la comunità cinese in Città.

Quindi prima di dare un giudizio sommario sulla presenza cinese e lanciare messaggi assurdi tipo quelli letti su alcuni quotidiani italiani, occorre osservare come quanto accaduto a Milano sia maturato in una comunità di persone che rischia molto dalla citata riqualificazione cinese in programma e sta cominciando a sentire il “fiato sul collo” di una resa dei conti con la madre patria e con un passato che coerentemente alla filosofia cinese, era stato solo rimandato.

E’ per questa ragione che molti dei manifestanti in piazza hanno esibito la bandiera cinese. Era un messaggio indirizzato a chi di dovere in Cina, una richiesta di comprensione e supporto visto che la situazione quotidiana attualmente appare ben diversa.

Per dirla tutta, viste le pressioni e il concreto rischio di essere emarginati dalle autorità italiane le nuove generazioni di via Sarpi hanno cercato di richiamarsi alle origini cinesi, nel tentativo di uscire dall’isolamento in cui vivono attualmente e cercare di non finire in un limbo difficilmente gestibile in futuro.

Grave è però che la miccia sia stata innescata dai nostri poliziotti, agendo con una durezza mai usata negli anni contro un gruppo di persone abituate a difendersi da tutto e da tutti, anche dalla stessa madre patria. Tutto ciò senza dubbio è sintomo di una profonda ignoranza e pressappochismo da parte dei nostri responsabili nel leggere la situazione e i fatti.

D’altra parte appare quanto meno sospetto che sia accaduto dopo le recenti manifestazioni sui call-centers e sulla sicurezza, quasi una “invisibile mano” abbia voluto fare esplodere una “bomba sociale” nel centro di Milano, nota da decenni, sempre tollerata, mai curata.

Insomma invece di condannare i cinesi in quanto tali, dovremmo evitare di nascondere la testa nella sabbia e di come negli anni passati occorresse intervenire anche in via Sarpi, come nelle altre parti della città.

Non è un mistero che molti dei cinesi presenti, gli stessi cinesi li "vorrebbero indietro" per far loro espiare le colpe già commesse in patria, persone che quindi andavano perseguite fin dall’inizio, non ora che “oscuri” interessi suggeriscono di farlo.

Quindi invece di cercare scuse sul nostro comportamento negli anni passati, dovremmo cercare ora di non confondere o strumentalizzare il sacrosanto ordine in una città come Milano, con un ipocrita quanto triste provinciale razzismo, prima che prenda una piega ben diversa o peggio di diffonda anche nelle altre comunità presenti in Città per non assistere ad un finale simile a quello a suo tempo accaduto a New York (“Gangs of New York”), dove lo stupido tarlo razzistico è stata la molla per una altrettanto stupida e sanguinosa guerra per la città.

venerdì 6 aprile 2007

Pasqua della resurrezione Italiana: Nasce il “Sistema Italia” in Cina??

(Pubblicato su Affari Italiani il 7 Aprile 2007)

Pasqua per la nostra tradizione è un momento molto particolare.

Coincidenza vuole che proprio alla vigilia di un momento come questo, il nuovo Ambasciatore di Italia in Cina, Riccardo Sessa, in visita a Palazzo Lombardia, abbia lanciato un semplice ma chiaro messaggio di programma: “Fare sistema”.

Pasqua può essere quindi il momento giusto per lanciare il seme di un rinnovato "patto" all'interno della comunità italiana: rinascere cooperando assieme.
Nei giorni scorsi, con questo rinnovato spirito e memore anche delle recenti parole dell'Ambasciatore, ho avuto modo di confrontarmi con alcuni membri della comunità italiana su questa "visione" in comune.Sono rimasto colpito di come, su questo tema, esistano due nette e contrapposte reazioni:

la prima è quella che accomuna chi da molti anni vive a Shanghai e in Cina, riassumibile sinteticamente in "Conoscendo come funzionano, si muovono e come decidono le nostre istituzioni, la vedo molto difficile".

La seconda è di chi è arrivato da poco. Rendendosi conto dello scarso peso specifico della presenza Italiana se comparata con i nostri partners europei, si auspica di vedere crescere quel gioco di squadra in grado di far sopperire alle molte, troppe mancanze e deficienze strutturali, tutte italiane.

Dopo questo primo giro di vedute, non posso quindi che rimanere perplesso; sarà reale la prima o la seconda o nessuna delle due?

Sarà veramente possibile girare pagina??
Comunque sia, di tutte le parole ed inviti espressi dall'Ambasciatore Sessa, nella recente visita a Palazzo Lombardia, ce ne sono alcuni pienamente condivisibili, quali "fare sistema", "cooperazione", "rischiare imprenditorialmente", ma su una osservazione mi permetto di avere qualche riserva, quella che testuale dice" ora tocca a voi venire a Puxi, per una maggiore integrazione e sinergia con le istituzioni".

Bene Ambasciatore Sessa, ribadendo che noi, come abbiamo avuto modo di dirle di persona, siamo dalla sua parte e sosterremo la sua azione per una comunità italiana più integrata, è però necessario sottolinearle come il grosso delle aziende italiane che producono fatturato a Shanghai sono nell'area di Pudong e non a Puxi.

Attorno e dentro a Palazzo Lombardia sono presenti molte aziende che nel silenzio e spesso nell'anonimato, lavorano e produco nuova ricchezza.

Quindi proprio in virtù del totale spirito di cooperazione con i suoi obbiettivi, la invito a non distinguere tra Puxi e Pudong, un gioco “goliardico” all'interno della comunità italiana per distinguere tra chi è "cool" da chi è "sfigato, ma di vedere Shanghai e la sua comunità italiana, come una unica realtà.

E' oltretutto il momento di portare l'attenzione (e strutture italiane), direttamente a Pudong, per sostenere sul campo la comunità italiana, visto il livello di sviluppo raggiunto dall’area e gli interessi industriali in gioco, quale luogo di vera produzione di nuova ricchezza italiana.

Il Palazzo l'ha visitato e per sua informazione a soli 3 Km ci sono i Tedeschi, con tutte le loro organizzazioni concentrate assieme, in una struttura analoga su 30.000 mq.

E noi cosa facciamo?

Perchè non ci diamo un lasso di tempo di 3-4 anni nel quale tutti gli italiani, concentrati in uno stesso luogo (es: Palazzo Italia a Pudong) sullo stile dei tedeschi, lasciando a Puxi le sole funzioni di rappresentanza, possano realmente cooperare assieme e creare nuova ricchezza tangibile, reale.

Poi, una volta creata una nuova vera ricchezza tangibile, ci potremo anche permettere di comprare, tutti assieme, un nuovo più "cool" building nel centro di Shanghai!!

Cosa servono ad esempio 100 mq di uffici della Promozione Toscana, anche se a Xin Tian Di (il massimo del cool a Shanghai) se poi non sono parte integrante di un Sistema Italia in grado di disporre di strutture logistiche rilevanti, tangibili?.

Come può l'ICE pensare di crescere con gli spazi attuali nel supporto alle imprese od organizzare frequenti, quotidiani incontri Business to Business del Made in Italy, andando oltre le fiere istituzionali?.

Che senso ha che Lombardia e Toscana ( e le altre regioni) competano in questo stupido modo, moltiplicando gli investimenti in affitti e personale??

Magari Palazzo Lombardia non è nel centro "cool" di Shanghai e magari il nome Lombardia da fastidio a qualcuno ma ad oggi, volenti o nolenti, altri spazi di proprietà Italiana, di queste proporzioni (10.000 mq), già pronti all’uso, non sono disponibili, senza ulteriori consistenti (inutili) investimenti.

A tutto si può trovare oltretutto una facile soluzione; come quella di creare un efficiente sistema di navette, che costa molto meno di qualsiasi nuovo palazzo in centro, per risolvere i problemi logistici attuali e chiamarlo "Palazzo Italia" per affermare la missione nazionale.

Mi permetto di suggerirle anche, per dare una reale concreta svolta alla situazione attuale, di evidenziare con maggiore forza a tutte le istituzioni ed imprese italiane, soprattutto a quelle che operano nell’area di Pudong che nella cooperazione italiana futura non esisteranno “zone d’ombra” o cosa ancora peggiore “ghetti” o società considerate di secondo ordine.

Se siamo tutti Italiani, lo siamo sia che si sia a Puxi che nella "concreta" Pudong. Siamo a Shanghai!!

Sicuramente nel futuro, Lei può rappresentare quel punto di riferimento comune a tutti noi, attorno al quale far "risorgere" quella identità italiana, dispersa in infinite inutili provinciali discussioni, sulla presunta superiorità di Puxi a Pudong!!

Proporrei quindi di organizzare un incontro (Stati generali) che coinvolga tutte le organizzazioni italiane presenti e realmente operative, in modo da mettere a "fattor comune" ciò di cui già da oggi dispongono, in modo da rendere davvero tangibile quel patto di cooperazione tra gli italiani che ora non esiste.

Per fare questo occorre la Sua presenza ed azione diretta, non lasci alla sola Camera di Commercio un ruolo che solo l'Istituzione vera può e deve avere in momenti come questi, superando la latitanza governativa, spesso denunciata da chi è presente da molto tempo in terra Cinese.

Il suo coinvolgimento diretto nella definizione di questo rinnovato "patto" è fondamentale anche perchè di fronte alle organizzazioni regionali, oggettivamente la Camera di Commercio appare fragile e soprattutto non può, allo stato attuale, rappresentare il vero trust di tutti, visto che in Cina non operano SOLO 250 imprese italiane.

Qualche dubbio sulla sua reale funzione, sorge poi se si analizzano gli iscritti degli ultimi anni, dove si nota una certa (sostanziale) "rotazione" degli stessi.

Questa rotazione non aiuta certo a creare e stabilizzare il Sistema e forse è anche sintomo di qualcosa che non ha funzionato, fino ad ora, in questo tipo di organizzazione.

Le organizzazioni sono fatte di persone e se molte aziende italiane nè si iscrivono nè rinnovano l'iscrizione alla Camera di Commercio in Cina, forse vanno capite le ragioni profonde di questa comunque diffusa posizione nella comunità italiana.

Come inoltre avrà avuto modo di constatare e dalle domande che le sono state poste sempre a margine della sua presentazione alla Comunità Italiana, molti dei presenti, speravano di vedere annunciato in quella sede qualche profondo e radicale cambiamento in terra cinese relativamente alla presenza italiana.

Occorre probabilmente domandarsi: come mai nella comunità italiana e alla sua presenza, sostanzialmente tutte le domande a lei poste fossero riassumibili in due parole: maggiore trasparenza?.

Ma ora è Pasqua, speriamo di poter aprire l'uovo e vedere finalmente la nascita del "Sistema Italia" nei fatti, in un rinnovato "patto", per vedere gli italiani allearsi, unire gli sforzi per competere solo contro i veri concorrenti, quali francesi, tedeschi, americani etc..... contribuendo assieme a creare una crescente reale nuova ricchezza in Cina, ritrovando unità ed identità nazionale, oltre le semplici intenzioni.

Buona Pasqua Ambasciatore e buon Lavoro a lei e a tutti.