Post Terremoto: a rischio l’economia del Giappone (e dell’Asia)
“Questo terremoto proprio non ci voleva!”. Sembra essere questo il pensiero ricorrente in Giappone ma anche in molti paesi dell’area Asiatica.
Infatti quest’ultimo evento rischia di aggravare il momento di difficoltà che il Giappone sta attraversando, prima di tutto sul piano politico ma anche sul piano economico.
Politicamente dopo l’ultimo scandalo che ha finito per coinvolgere lo stesso primo ministro Naoto Kan che proprio ieri aveva confermato di avere ricevuto “donazioni illegali”, un caso molto simile a quello che aveva portato nei giorni scorsi, alle “famose” dimissioni del suo Ministro degli Esteri.
Ma lo scandalo politico è solo l’ultima delle vicissitudini di una stasi politica complessiva che hanno portato il Giappone a vedere eleggere (e dimettersi), ben 3 primi ministri negli ultimi 3 anni.
Il terremoto di ieri rischia di accelerare il logoramento in atto e mettere a durissima prova anche quest’ultimo governo, questione molto delicata, visto che ci dovesse essere un ulteriore cambio, questo potrebbe avere effetti devastanti sulla stessa tenuta della economia nipponica, già traballante a causa di un debito eccessivo che più volte ha rischiato di coinvolgere il paese nella spirale dei “Default” dei titoli di stato della crisi finanziaria del 2008 - 2009.
Rimasto a “stento” a galla fino ad ora, nel momento che sembrava ci potesse essere una ripresa in grado di rilanciarlo per il futuro, ora questo terremoto, che rischia d’essere il “colpo di grazia” alle speranze nipponiche, di potercela fare da soli.
Le ragioni di tanto timore sono connesse al fatto che, oltre ad avere intaccato la rete di produzione elettrica, basata su una rete capillare di centrali nucleari che si è dimostrata meno “indistruttibile” di quello che si pensava, intere aree produttive sono state spazzate via dalla furia dello tsunami. Aree che richiederanno ora massicci investimenti e tempi di ripristino tutti da definire.
Una situazione d’emergenza che mal si concilia con le priorità di riduzione ed ottimizzazione dei costi che il governo giapponese si stava apprestando a realizzare, proprio per cercare di allontanare il paese dal baratro.
Basti pensare che già ora, sulla base delle poche informazioni disponibili sui danni che sono stati inferti ieri dal terremoto, gli analisti stimano che questi contribuiranno a ridurre dell’1% la crescita del PIL del paese. Ma tutti dicono ciò a “denti stretti”, convinti che questa stima sia per difetto rispetto alla realtà che il Giappone sarà costretto a vivere nei prossimi anni.
A questo va aggiunto un dato, per così dire culturale che potrebbe giocare un ruolo decisivo: lo scatenarsi degli elementi naturali in Asia assume un valore sovrannaturale molto rilevante, tanto che sono spesso considerati segni e giudizi divini sull’operato di chi governa. Un evento naturale di queste proporzioni, con i danni collaterali che sembrano emergere dalle condizioni di rischio di alcune delle centrali nucleari nel paese, rischiano di minare prima di tutto il “morale” del paese, una qualità che ha caratterizzato il Giappone del dopoguerra e che lo ha portato, sconfitto sul piano bellico dagli USA nella seconda guerra mondiale, ad iniziare una rincorsa sul piano economico e finire per primeggiare 40 anni dopo.
In tutta l’Asia, si guarda quindi con grande preoccupazione a come il Giappone reagirà al terribile colpo inferto ieri. La ragione è semplice: è il primo partner commerciale di quasi tutti i paesi dell’area. Un’eventuale recessione potrebbe provocare uno tsunami commerciale che potrebbe coinvolgere molti paesi, minando seriamente il processo di crescita economico / sociale di questi anni. Un pericoloso effetto domino che inevitabilmente si diffonderebbe nel mondo, occidente compreso e potrebbe finire per intaccare anche molti dei fragili equilibri sociali esistenti.
Il mondo, dopo ieri non sarà comunque più lo stesso.