TIBET: La storia dal Medioevo ai giorni nostri
Rimangono poche testimonianze delle origini del Tibet, si sa però che inizialmente era popolato solamente da pastori nomadi provenienti dall'Asia centrale.
La storia del Tibet come nazione inizia con la nascita del Re Tho-tho-ri-Nyantsen nel 173 a.C. In quel periodo la religione praticata era di tipo sciamanico, detta anche Bön.
Del periodo si può ancora ammirare il castello-monastero di Yumbulakhang, nei pressi di Tsedang. Colui che venne considerato come il vero fondatore del Tibet è "Re Songsten Gampo XXXIII" della dinastia di Yarlung. Nato nel 608 d.C., il Re decise di fare diventare Lhasa la capitale del Tibet, fece costruire lo Jhorkang e introdusse per primo la religione buddista nel regno.
IL TIBET FINO AL VII SECOLO
L’origine della storia tibetana si confonde nel mito e nella leggenda. Secondo la tradizione tramandata oralmente, il popolo tibetano discende da Avalokiteshvara (Cenresig in tibetano), un essere illuminato la cui qualità principale è la compassione, e dalla dea Tara, che nella tradizione buddista rappresenta l’attività illuminata di tutti i Buddha.
Avalokiteshvara si manifestò come uno scimmione disceso dal cielo e si unì, nella valle di Yarlung, con la dea Tara che era risalita dalle viscere della terra assumendo in quell’occasione l’aspetto di un’orchessa.
Da loro discese la stirpe dei tibetani, un popolo originariamente rozzo e selvaggio costituito da tante tribù e senza un sovrano.
127 a.C. il re indiano Rupati, sconfitto in una della furiose battaglie descritte nel poema epico indiano, la Mahabarata, fuggì dall’India rifugiandosi nella valle di Yarlung. I tibetani lo considerarono un essere divino e lo proclamarono re; lo chiamarono Nyatri Tsenpo e la sua discendenza governò il Tibet per quaranta generazioni.
La dinastia che ebbe inizio nella valle di Yarlung, prescindendo da quali siano state le sue esatte origini, formò un vasto regno arrivando a confrontarsi e conquistando vasti territori ai danni dei regni dell’Asia centrale e dell’impero cinese.
L’indole di questo popolo era decisamente selvaggia, mancava di cultura scritta e prediligeva tra ogni valore la forza e l’indomabilità in guerra.
Erano combattenti temutissimi, chiamati dai cinesi “musi rossi” perché per rendere più tremendo il loro aspetto usavano colorarsi il volto con della terra rossa.
La loro strategia militare era semplice, attaccavano a ondate: finché l’ultimo loro uomo della prima linea non era morto la seconda linea aspettava, e così via.
Nelle tribù tibetane di quei tempi era considerato un disonore diventare vecchi, poiché era visto come un segno di codardia, e quando moriva un re venivano seppelliti con lui le sue donne e tutti gli amici più cari.
La religione diffusa nel territorio era il Bön che si basava sulla convinzione di una stretta interdipendenza tra l’uomo e la natura.
Parte della cultura Bön, sebbene profondamente trasformata dal contatto successivo col buddismo, è ancora presente fra i tibetani.
La tradizione orale tramanda che verso il IV secolo cadde dal cielo uno scrigno prezioso contenente dei testi buddisti, un piccolo stupa (reliquiario) e il mantra Om Mani Padme Hum. Il sovrano Lhathothori sarebbe stato dunque il primo tibetano a venire a contatto con l’insegnamento buddista; non comprese il senso dei testi, né degli oggetti, ma si narra che provò una grande devozione verso quelle reliquie.
INTRODUZIONE DEL BUDDISMO IN TIBET
La storia propriamente conosciuta e documentabile del Tibet inizia con il re Songtsen Gampo, che regnò dal 618 al 649.
Egli unì molte tribù tibetane perennemente in guerra tra loro, accrebbe ulteriormente le sue conquiste territoriali e la sua potenza militare gli fece guadagnare matrimoni di alleanza.
Oltre alle sue mogli tibetane Songtsen Gampo infatti sposò due principesse di religione buddista: una nepalese, la principessa Bhrkuti, e una cinese, la principessa Wengchen, che ebbero grande influenza su di lui.
Il nome Bhrkuti in lingua nepalese significa “dalle sopracciglia aggrottate”: voleva forse indicare il disappunto della principessa ad abbandonare la fiorente vallata di Katmandu per andare in sposa ad un rozzo barbaro.
Si dice che anche l’imperatore cinese fosse assai restio ad imparentarsi con un re tibetano, ma di fronte alla minaccia di un’invasione si convinse ad offrire a Songtsen Ganpo una principessa di sangue reale.
Nelle saghe e teatro tibetani ancora oggi si riscontrano storie e leggende che narrano di come il re tibetano, grazie ad alcuni stratagemmi, riuscì ad ottenere la mano di Wengchen.
Secondo le cronache tibetane la principessa cinese introdusse nel paese il baco da seta, il mulino da macina, il vetro, l’alcool di riso, la carta e l’inchiostro. Le due spose di Songtsen Ganpo sono tuttora venerate come coloro che per prime introdussero il buddismo in Tibet e per i devoti tibetani esse furono una manifestazione terrena di Tara verde e Tara bianca, divinità protettrici del paese.
Nella storiografia buddista anche il sovrano viene ricordato come un grande essere illuminato; ma ai tempi di Songtsen Ganpo la religione autoctona bönpo aveva molti convinti seguaci sia tra i nobili che tra il popolo e l’introduzione del buddismo non fu priva di conflittualità.
Nella storiografia bön infatti i grandi sovrani tibetani di questo periodo sono presentati con un pessimo volto: Songtsen Ganpo è ricordato come l’assassino del re Ligmirhya, che era sovrano di Shang Shung, la patria del Bön nel Tibet occidentale; e Tritsong Detsen come il persecutore della religione Bön.
Tramite le due regine dal Nepal e dalla Cina vennero portate le prime immagini di Buddha, tra cui la famosissima statua di Jowo Rimpoce, tuttora custodita e venerata nel tempio del Jokhang a Lhasa.
Il sovrano divenne buddista e decise di introdurre questa religione in Tibet. Fece costruire diversi templi a Lhasa e in altri luoghi ed inviò in India il suo consigliere Thonmi Sambota a studiare la lingua sanscrita.
Per desiderio del sovrano furono codificati l’alfabeto e la grammatica tibetana utilizzando come modello il sanscrito: nasceva così la lingua tibetana scritta, caso unico nella storia del mondo di una lingua scritta formulata da eruditi e creata specificamente per poter trascrivere nella fonetica tibetana i sottili significati espressi nei grandi trattati di filosofia buddista che erano conservati dalle grandi università monastiche indiane.
In India si scriveva sulla scorza di betulla o su foglie di palma, ma poiché i tibetani conoscevano l’arte della fabbricazione della carta, appresa dai cinesi, pur restando fedeli alla presentazione tradizionale dei testi racchiusi tra due tavolette di legno, al posto delle foglie adottarono i fogli di carta.
Il sovrano del Tibet fece tradurre i primi testi buddisti e cominciò la costruzione del Potala a Lhasa; ma le attuali maestose dimensioni del palazzo risalgono ai lavori di ampliamento eseguiti nel XVII secolo dal V Dalai Lama.
Il re Tritson Detsen (765 – 804), discendente di Songtsen Ganpo, decise di dare ulteriore impulso alla diffusione degli insegnamenti buddisti nel Paese delle Nevi. Invitò i più eminenti maestri indiani dell'epoca (Upadhyaya, Santaraksita, Vimalamitra, Santigarbha, Dharmakirti, Buddhaguhya, Kamalashila, Vibuddhasiddha ed altri) per lavorare in collaborazione con i maestri tibetani nella traduzione dei testi e nella diffusione della religione.
I Pandit (eruditi) dell’India ed i Lotsawa (traduttori) tibetani trasposero fedelmente i testi sacri dal sanscrito in tibetano e grazie a questo sforzo le tre suddivisioni principali del Tripitaka, o Canone buddista (formato da Vinaya, Sutra e Abhidharma), che costituiscono l'intero corpo degli insegnamenti di Gautama Buddha, iniziarono a divenire accessibili nella lingua tibetana.
In questo periodo nel monastero di Samye si svolse un celebre dibattito dove venne deciso l’indirizzo filosofico che avrebbe preso il buddismo tibetano, quando si incontrarono per un confronto i monaci cinesi rappresentanti del Chan guidati da Heshang Mahayana e i monaci indiani guidati dal maestro Kamalashila, discepolo di Santaraksita, rappresentanti della visione Madyamika (la via di mezzo).
La scuola indiana fu quella prescelta, e da quel momento gli insegnamenti della Madyamika sono diventati la fonte d’ispirazione che ha plasmato la cultura del Tibet fino ad essere così profondamente assimilati da diventarne la vera essenza.
In questa fase ebbe un ruolo importante Santarakshita, abate della rinomata Università monastica indiana di Nalanda, uno dei maestri buddisti più eruditi, che consigliò al re di invitare dall’India un maestro dalle doti particolari, molto adatte a convincere i tibetani. Si trattava di un colto maestro tantrico celebre per le capacità taumaturgiche, gli eccezionali poteri psichici e rinomato per i suoi esorcismi: Guru Padmasambhava, il cui nome significa "nato dal loto".
Si racconta infatti che nacque miracolosamente da un fiore di loto sulla superficie del lago Danakosa in Uddyana, mitica terra di maestri tantrici e Dakini (le "Danzatrici del cielo”), un luogo che è stato identificato nell’attuale regione dello Swat in Pakistan. Ma è pressoché impossibile distinguere il personaggio storico (o i personaggi storici) dalle innumerevoli leggende che lo circondano. Padmasambhava introdusse il buddismo tantrico (Vajrayana) in Tibet; venne chiamato Guru Rinpoce ("Maestro prezioso") e la sua effigie è rappresentata in quasi tutti i monasteri.
Padmasambhava riunì una squadra di traduttori sotto la direzione del suo discepolo tibetano Pagor Vairocana ed ebbe venticinque discepoli principali, tra cui lo stesso re Tritson Detsen, che ottennero alte realizzazioni spirituali e dettero inizio ai “lignaggi di trasmissione” ovvero alla trasmissione orale diretta maestro-discepolo, caratteristica delle scuole buddiste Vajrayana.
Il periodo dei re Songtsen Gampo, Tritson Detsen e poi di suo nipote Tri Ralpa Chen è noto come l'epoca della "Prima diffusione della Dottrina", o “Periodo d’oro dei sovrani religiosi” di cui il momento emblematico fu la costruzione del primo monastero tibetano di Samye (767), che divenne il modello di riferimento per le successive architetture monastiche.
Alla edificazione di Samye sembra abbia partecipato lo stesso Padmasambhava eseguendo personalmente i riti di purificazione del sito, con una danza che per i tibetani fu il seme da cui trae origine la grande tradizione dei Cham, i celebri festival eseguiti con costumi, maschere e musiche rituali.
La rapida diffusione del buddismo in Tibet trovò delle resistenze soprattutto da parte della nobiltà e del clero Bön, la religione preesistente. Il successore di Trisong Detsen, Ralpa Chen (817 – 863), volle continuare l’opera di diffusione del buddismo iniziata dal padre: stabilì che le famiglie nobili dovessero occuparsi del mantenimento dei monaci, fece costruire molti monasteri e proseguì l’opera di traduzione dei testi indiani.
Ralpa Chen fu fatto uccidere nell’ 863 dal fratello Langdarma che gli succedette e si oppose alla diffusione degli insegnamenti buddisti.
Fu ristabilito il culto Bön e cominciò una crudele persecuzione che rese Langdarma sinonimo di tutto ciò che per i tibetani è malvagio.
Soprattutto nel Tibet centrale molti monaci vennero uccisi e i monasteri distrutti o confiscati. La successione della trasmissione orale diretta degli insegnamenti (lignaggio) di Padmasambhava fu mantenuta in vita da alcuni meditatori che, nei loro eremi sperduti tra i monti, praticarono e trasmisero ai loro discepoli l’insegnamento tantrico e conservarono scrupolosamente tutti i testi tradotti. Molti adepti si rifugiarono nelle regioni del Kham e dell'Amdo, altri si recarono in India.
Langdarma fu ucciso a Lhasa da un monaco buddista travestito da sacerdote Bön; seguì una guerra civile per la successione al trono che non ebbe un esito preciso ed il Tibet rimase per più di tre secoli privo di un re legittimo che fosse riconosciuto da tutte le famiglie feudali.
L’impero si disintegrò in tanti piccoli staterelli autonomi e la cultura tibetana ebbe un periodo oscuro. Il punto focale della cultura buddista tibetana si spostò verso le regioni più occidentali del Tibet, in Ladakh, Zanskar e Spiti.
Sotto il regno di Trisong Detsen, col arrivo di Padmasambhava, il buddismo diventa religione di stato per prima volta.
1042: assieme al grande maestro indiano Atisha, arrivano il Tibet una serie di maestri e saggi che diffondono di nuovo il buddismo nel paese.
1072: nacque il grande monastero di Sakya, sede della omonima setta "Sakya-pa", che avrà un ruolo importante nella storia del Tibet.
1239: in seguito all'invasione delle truppe mongole giudate da Kulblai Khan il potere centrale passa da Lhasa a Sakya.
1391, nasce Gedun Khapa, il I Dalai Lama.
1624-63 Missionari Gesuiti arrivano nel Tibet occidentale.
IL GOVERNO DEL DALAI LAMA
Il V Dalai Lama, Lobsang Gyatso (1617 –1682), conosciuto come "Il Grande quinto", unificò le fazioni feudali e cercò di raggiungere un equilibrio tra le scuole limitando i privilegi dei Ghelugpa. Diffuse nel paese cure mediche ed istruzione, viaggiò, insegnò molto e diede una costituzione all’organizzazione religiosa.
Il grandioso palazzo del Potala fu costruito durante il suo regno ed è il simbolo della potenza del Tibet di allora, quando Lhasa era il fulcro della civiltà del buddismo Mahayana Vajrayana ed i monaci di tutte le regioni aspiravano ad essere ammessi alle sue tre famose università.
1652: il V Dalai Lama fu accolto a Pechino su invito dell’imperatore della Cina che lo accolse come suo pari.
Il V Dalai Lama era così venerato dai tibetani che i reggenti ne tennero nascosta la morte per 15 anni temendo un ritorno alle guerre civili.
Così il VI Dalai Lama era già un adolescente quando salì al trono. Tra la sorpresa generale, il VI Dalai Lama rifiutò l’ordinazione monastica ed insegnò seduto tra la gente.
Di animo estremamente sensibile fu autore di numerose poesie d’amore che appartengono alla letteratura poetica del Tibet. I suoi scritti possono essere interpretati sia come sonetti dedicati all’amata che come esperienze di estasi spirituale.
Tuttavia, senza un abile capo politico, Lhasa divenne preda contesa tra Cina e Mongolia.
1670-1750: l'impero Cinese conquista il Tibet orientale e Lhasa ed instaurò il suo protettorato sul Tibet.
Il VII (1708-1757) e l’VIII (1758 –1804) Dalai Lama furono eminenti eruditi ed autori di testi filosofici di grande valore, ma si dedicarono esclusivamente alle pratiche spirituali lasciando l’amministrazione politica nelle mani dei politici laici.
I loro successori dal IX al XII vissero pochissimo, non più di 21 anni, e la figura del reggente assunse un ruolo di sempre maggior rilievo.
1716:con l'arrivo del Gesuita Ippolito Desideri a Lhasa, iniziano i primi contatti con l'occidente.
1774:la prima missione britannica entra in Tibet, seguita dalla invasione Nepalese, che viene fermata grazie all'aiuto delle truppe cinesi chiamate in aiuto dai tibetani.
Quando nacque il XIII Dalai Lama, nel 1876, il Tibet era un paese a rischio; da una parte gli amministratori britannici, coinvolti negli intrighi di potere in tutta l’Asia centrale, cercavano di assumere il controllo anche del mercato tibetano, dall’altra i cinesi esercitavano una politica espansionistica.
1904: una spedizione militare di truppe del Regno Unito invade il Tibet arrivando fino a Lhasa e costringendo il Dalai Lama a fuggire in Mongolia (alleato del Tibet) e poi si recò in Cina dove assistette all’incoronazione dell’ultimo imperatore.
Dopo cinque anni di occupazione militare, gli inglesi giunsero ad un accordo con i tibetani ed abbandonarono Lhasa.
1910: truppe del impero Cinese occupano parte orientale del Tibet conquistando anche Lhasa.
1912: il Dalai Lama riprende il pieno potere in Tibet senza alcun influenza estera.
1933: alla morte del XIII Dalai Lama, Tensing Gyatso diventa il XIV Dalai Lama. A soli 18 anni di età nel 1940, all'attuale Dalai Lama, vennero conferiti i poteri spirituali di capo della comunità buddista del Tibet.
1949, Mao Tsedong a Pechino, proclamò la fondazione della Repubblica Popolare della Cina.
1950 il Dalai Lama fugge in esilio verso il Sikkim, ma poco dopo ritorna a Lhasa in seguito agli aco.
1951:La Cina che nel corso della storia da sempre aveva considerato il Tibet parte del Impero invade il Tibet e a Lhasa su richiesta di rappresentanti governativi tibetani.
Le autorità Cinesi inizialmente non interferivano nella politica interna del paese, lasciando il governo tibetano ad esercitare il suo potere.
Ma successivamente la situazione deteriora.
1959: il Dalai Lama decide di fuggire in India seguito dall'elite feudale e i monaci temendo l'aria di rivoluzione che spirava dalla Cina. Gli unici che rimasero nel paese furono i poveri.
1964: la Cina dichiara formalmente il Tibet "Provincia Autonoma del Tibet" della Cina.