Made in Italy: Insegnare l'Italia delle emozioni
Negli scorsi interventi ho parlato molto di cercare di ritrovare una identità nazionale attorno alla quale cooperare per tornare a competere sui mercati internazionali.
Per capire quanto possa valere e cosa significhi tutto ciò, bastava andare venerdì scorso alla prima della Turandot di Puccini qua a Shanghai.
Esattamente come un emigrante di altri tempi, dopo 8 mesi di immersione nel quotidiano cinese di questi mesi, ho deciso di tornare in contatto con qualcosa di Italiano.
E' stato come rivedere la luce: questa esperienza ti fa capire come i nostri contenuti, stile ed emozioni siano veramente di un altro pianeta (e sono Italiano!!).
Contemporaneamente si può comprendere quanto possa essere difficile da parte dei cinesi "entrare" in contatto con il nostro mondo, fatto di emozioni, spesso a loro totalmente sconosciute o peggio, prive degli stessi stimoli e valori.
Ad esempio la Turandot ruota tutta attorno alla forza dell'amore e di come questo possa cambiare profondamente le persone, rendendo "la gelida" Turandot (non a caso cinese), la più passionale delle donne. Questa storia, che a noi fa quasi sorridere, qua in Cina è molto più vicina alla realtà di quanto noi si possa credere.
Questa relazione tra passione e azione in Cina è spesso totalmente scollegata, al punto che sembra non avere senso agire per una passione o con qualche trasporto nel fare le cose, tanta è la razionalità messa dai cinesi nel loro agire quotidiano.
Mentre noi italiani le emozioni e le pulsioni passionali le esprimiamo apertamente senza timori e in maniera esplicita, spesso anche in forma estrema, qua in Cina è buona norma mantenere un contegno in pubblico che noi definiremmo di formale freddezza.
Questo fatto inevitabilmente si riflette pesantemente anche nel privato e nelle relazioni interpersonali.
Per quanto noi italiani ci sforziamo di essere dei "calcolatori", mai potremo esserlo come lo sono normalmente i cinesi. Infatti ogni cosa che noi facciamo o pensiamo, "trasuda" di calore e trasporto.
Quindi mentre noi tendiamo a dare un valore totalmente positivo al saper esprimere e vivere le emozioni, i Cinesi al contrario assolutamente no, finendone per essere contemporaneamente attratti e spaventati.
Il problema quindi del nostro “Made in Italy” non è se siamo bravi o meno, se qualcosa è bella o meno, ma se riusciamo ad emozionare i nostri interlocutori e trasmettere ciò che per noi è del tutto naturale, mentre per loro assolutamente no o peggio sconveniente.
Ai cinesi occorre quindi non solo far vedere le cose ma fargli "provare le emozioni" che possono procurare, altrimenti quello che per noi ha un valore (anche economico) rischia di essere considerato alla pari di altri e rimanere a livello superficiale.
Bisogna però essere molto cauti, visto che noi sul piano delle emozioni siamo percepiti come degli extraterrestri.
Occorre quindi perdersi la responsabilità di diventare loro affettuosi tutur e/o mentori, per accompagnarli a "capire" il mondo delle emozioni che loro chiamano "Italia".
I cinesi hanno intuito che solo noi possediamo questo tesoro interiore, occorre però dimostrare che vogliamo condividerlo e insegnarglielo, trasformandolo in un patrimonio comune.
Ma da bravi insegnanti, occorre comprendere che ad oggi si deve partire dall'alfabeto base delle emozioni.
Un giorno, Yibu Yibu appunto, potranno anche loro esprimersi correttamente su un piano simile al nostro. Ma ad oggi, non dimentichiamoci che sono solo in grado di ripetere diligentemente la lezione.
Per il successo futuro del "Made in Italy", visto che la scelta e l'acquisto di un prodotto ha una preponderante motivazione emozionale, occorre trasformarci in "Missionari del Gusto e della qualità della vita" che ci contraddistingue.
I cinesi ne hanno veramente bisogno. Ora che loro condizione economica è cambiata, hanno anche cominciato ad accorgersi come spesso non sappiano cosa farsene di questa nuova ricchezza economica.
Sono alla ricerca dei modelli e stili di vita cui rifarsi che possano dare loro una serenità interiore e siano trasmettibili alle loro generazioni future, come dicono loro: in pace e armonia.
Per capire quanto possa valere e cosa significhi tutto ciò, bastava andare venerdì scorso alla prima della Turandot di Puccini qua a Shanghai.
Esattamente come un emigrante di altri tempi, dopo 8 mesi di immersione nel quotidiano cinese di questi mesi, ho deciso di tornare in contatto con qualcosa di Italiano.
E' stato come rivedere la luce: questa esperienza ti fa capire come i nostri contenuti, stile ed emozioni siano veramente di un altro pianeta (e sono Italiano!!).
Contemporaneamente si può comprendere quanto possa essere difficile da parte dei cinesi "entrare" in contatto con il nostro mondo, fatto di emozioni, spesso a loro totalmente sconosciute o peggio, prive degli stessi stimoli e valori.
Ad esempio la Turandot ruota tutta attorno alla forza dell'amore e di come questo possa cambiare profondamente le persone, rendendo "la gelida" Turandot (non a caso cinese), la più passionale delle donne. Questa storia, che a noi fa quasi sorridere, qua in Cina è molto più vicina alla realtà di quanto noi si possa credere.
Questa relazione tra passione e azione in Cina è spesso totalmente scollegata, al punto che sembra non avere senso agire per una passione o con qualche trasporto nel fare le cose, tanta è la razionalità messa dai cinesi nel loro agire quotidiano.
Mentre noi italiani le emozioni e le pulsioni passionali le esprimiamo apertamente senza timori e in maniera esplicita, spesso anche in forma estrema, qua in Cina è buona norma mantenere un contegno in pubblico che noi definiremmo di formale freddezza.
Questo fatto inevitabilmente si riflette pesantemente anche nel privato e nelle relazioni interpersonali.
Per quanto noi italiani ci sforziamo di essere dei "calcolatori", mai potremo esserlo come lo sono normalmente i cinesi. Infatti ogni cosa che noi facciamo o pensiamo, "trasuda" di calore e trasporto.
Quindi mentre noi tendiamo a dare un valore totalmente positivo al saper esprimere e vivere le emozioni, i Cinesi al contrario assolutamente no, finendone per essere contemporaneamente attratti e spaventati.
Il problema quindi del nostro “Made in Italy” non è se siamo bravi o meno, se qualcosa è bella o meno, ma se riusciamo ad emozionare i nostri interlocutori e trasmettere ciò che per noi è del tutto naturale, mentre per loro assolutamente no o peggio sconveniente.
Ai cinesi occorre quindi non solo far vedere le cose ma fargli "provare le emozioni" che possono procurare, altrimenti quello che per noi ha un valore (anche economico) rischia di essere considerato alla pari di altri e rimanere a livello superficiale.
Bisogna però essere molto cauti, visto che noi sul piano delle emozioni siamo percepiti come degli extraterrestri.
Occorre quindi perdersi la responsabilità di diventare loro affettuosi tutur e/o mentori, per accompagnarli a "capire" il mondo delle emozioni che loro chiamano "Italia".
I cinesi hanno intuito che solo noi possediamo questo tesoro interiore, occorre però dimostrare che vogliamo condividerlo e insegnarglielo, trasformandolo in un patrimonio comune.
Ma da bravi insegnanti, occorre comprendere che ad oggi si deve partire dall'alfabeto base delle emozioni.
Un giorno, Yibu Yibu appunto, potranno anche loro esprimersi correttamente su un piano simile al nostro. Ma ad oggi, non dimentichiamoci che sono solo in grado di ripetere diligentemente la lezione.
Per il successo futuro del "Made in Italy", visto che la scelta e l'acquisto di un prodotto ha una preponderante motivazione emozionale, occorre trasformarci in "Missionari del Gusto e della qualità della vita" che ci contraddistingue.
I cinesi ne hanno veramente bisogno. Ora che loro condizione economica è cambiata, hanno anche cominciato ad accorgersi come spesso non sappiano cosa farsene di questa nuova ricchezza economica.
Sono alla ricerca dei modelli e stili di vita cui rifarsi che possano dare loro una serenità interiore e siano trasmettibili alle loro generazioni future, come dicono loro: in pace e armonia.