lunedì 21 marzo 2011

La solita ipocrita “miopia” occidentale

Mi spiace che forse per un eccesso d’interventismo di alcuni paesi, Francia in primis, ora si sia dato il via ad una operazione militare che, pur comprendendone le ragioni ufficiali, rischia di rivelarsi un terribile errore strategico se non un boomerang per l’occidente.

Le ragioni di questi dubbi nascono dal fatto che queste azioni militari ora giustificano lo spostamento delle "attenzioni" non più su una questione interna prettamente libica ma su uno scontro tra nazioni e non ultima, rischia anche di portarsi dietro uno scontro tra religioni, fino ad ora ben fuori dal contendere.

Tutto questo in tempi di "guerre sporche" che non necessitano di armate ed armamenti sofisticati ma dove pochi fanatici facinorosi, possono in ogni momento portare in ogni dove le tensioni che fino all’altra sera, volenti o nolenti, sarebbero comunque rimaste relegate alla Libia.

A questo si somma anche il dubbio che dietro le pur comprensibili motivazioni umanitarie ufficiali, ci siano in realtà ben altre ambizioni di geopolitica e di ridefinizione degli equilibri internazionali dell’area se non di carattere prettamente economico, vista anche la grande disponibilità energetica della Libia, qualcosa che le attribuisce un peso altrimenti non così strategico sullo scacchiere internazionale.

E’ opinione diffusa che le guerra del futuro sarebbero state causate da tre emergenze planetarie che incombono: Energia, Acqua e Cibo. Le tensioni di queste settimane in più parti del mondo sembrano tutte avere almeno una di queste motivazioni quale causa scatenante.

Iraq ed Afghanistan poi sono li a monito di come gli interventi “sulla carta” di pace, anche se richiesti dalla stessa popolazione di quel paese, come è stato proprio in Afghanistan, rischiano poi trasformarsi in guerre di occupazione di lunga durata con l’effetto a sorpresa che ora il “popolo oppresso” Afgano che aveva richiesto l’intervento occidentale, sta chiedendo agli occidentali di “levare le tende” e nel contempo ha aperto un tavolo di negoziazione con i vecchi nemici che non si fatica a pensare, nel futuro possano diventare buoni amici.

Un parallelismo tutt'altro che azzardato, visto che è cosa nota come la Libia sia tutto tranne che uno stato unitario, dove da decenni sono rimaste congelate le conflittualità che hanno da sempre caratterizzato i diversi gruppi tribali che ora, come una eruzione di un vulcano, rischiano di riemergere e vanificare l'idea stessa che possa esistere una unica Libia, l'idea occidentale che ha scatenato l'attacco militare.

Perchè è evidente che dopo le armi, bisognerà che si decida chi possa diventare la nuova guida del paese. E su questo punto credo gli occidentali avrebbero probabilmente fatto meglio a riflettere più a lungo se non lasciare che rimanesse realmente una cosa interna alla Libia, perchè statistiche alla mano, ci sono stati più morti civili post guerra dell'Iraq che in tutto il periodo bellico della sua “liberazione”.

I pazzi sono tali. E contro la pazzia non è mai corretto scendere sullo stesso piano.

La pazzia dei Gheddafi e di altri dittatori come lui, di fronte al cambiamento del mindset che sta emergendo nell'area, avevano comunque le ore contate.
E' altresì noto che dietro i ribelli in Libia ci fossero gli aiuti dell'Egitto. Così come in Siria in queste ore le piazze stanno contestando Assad e le dietrologie anche in questo caso si sprecano.

Forse l'ONU, invece di decidere di scendere in campo come parte in causa, avrebbe fatto meglio a mantenere il proprio ruolo di "super partes", perso dall’altra sera.

A chi saranno infatti imputabili in futuro gli attentati che è fin troppo prevedibile, rischiano di costellare il futuro di molti paesi occidentali?

Così come appare incredibile che una forza negativa come quella di Al Qaida rischi ora, con il suo essere stata alla finestra, di divenire addirittura possibile sponda futura del malcontento arabo, quando le decisione occidentali di queste ore, riveleranno la propria inefficacia e non esisteranno altri “luoghi” a cui appellarsi.

Stesso discorso vale per l'Iran, che così' incassa l'idea che i guerrafondai sono i soliti Usa e gli altri paesi della coalizione che oltretutto, a più di un osservatore orientale, sembrano oltretutto essersi prestati a “coprire” le debolezze degli Usa, già impegnati su due fronti militari.

Oltre tutto le armi non rappresentano mai una soluzione.
Peccato che ancora una volta il Premio Nobel Obama se ne sia scordato,finendo per agire come un Bush qualsiasi.

Non ultimo un commento sulla posizione italiana.

Viste le strette relazioni trascorse con tanto di "scuse" pagate a peso d'oro, cosa che non mi risulta essere stato fatto da nessun altro paese colonialista occidentale, forse sarebbe stato più onorevole mantenere una posizione di astensione.

L'interventismo che sta caratterizzando la posizione italiana, rischia di far emergere ancora una volta l'idea molto diffusa all'estero, della "banderuola" italiana, nazione che non sembra mai avere una posizione chiara e il coraggio delle proprie azioni, ma cerchi sempre il modo di uscirne vincente, con un atteggiamento sempre poco edificante: il voltafaccia.

Scordarsi gli incontri amichevoli con Gheddafi nell'era della rete non servirà. Infatti quando sui canali internazionali parlano in queste ore della storia politica di Gheddafi, senza ritegno vengono mostrate le immagini della tenda in Roma, il bacia mano del Primo Ministro  Italiano (e perchè poi un bacio?) e tutto ciò che da ieri si pensa di voler far credere non sia mai esistito.

L'astensione sarebbe stato un gran gesto di "forza", non per dimostrare che si intenda perdurare in questa relazione, ma di una posizione realmente concentrata in maniera prioritaria sulla questione sociale / umanitaria, visto che appare evidente che dopo le bombe seguiranno i profughi che sia che vinca o perda Gheddafi, avranno tutti una direzione: l’Italia!

Ora occorre vedere cosa questa guerra porterà veramente. Se ad una pace diffusa, come ci augura tutti o ad una lunga ed estenuante lotta di posizione o peggio l'inizio di un periodo bellico di “guerra sporca” permanente, dove l'atto terroristico rappresenterà il nuovo quotidiano per molti paesi del mediterraneo ed occidente, oggi in prima linea contro l'ignoto che questa azione potrebbe aver spalancato.

Non ci resta che incrociare le dita.

giovedì 17 marzo 2011

La Cina sospende il proprio piano di sviluppo nucleare.

Dopo l’evidenza di una situazione in Giappone definita da fonti cinesi “fuori controllo”, la Cina ha deciso di agire nella direzione della sospensione del proprio piano di sviluppo nucleare. In questa decisione saranno coinvolti anche gli impianti già in costruzione così come quelli già approvati e nella loro prima fase di sviluppo.

L’obbiettivo è quello di “una approfondita analisi della situazione degli impianti esistenti ed una revisione ed emanazione di nuove regole e norme di sicurezza nell’ambito di “più avanzati standard di sicurezza”.

L’annuncio arriva attraverso una nota ufficiale diffusa dopo una riunione del Consiglio di Stato presieduta dal Primo Ministro Web Jiabao.

Una decisione importante che intende rivedere dalle “fondamenta” le basi stesse secondo cui si sono costruite e si intendevano costruire centrali nucleari in Cina, visto l’evidente fallimento di quelle in essere, di fronte alla furia degli eventi naturali scatenatasi in Giappone.

Una scelta coraggiosa, che arriva subito dopo il rilascio del piano di costruzione di un nuovo sistema di 25 centrali sulle coste orientali che andavano ad aggiungersi alle 13 esistenti, piano che intendeva così rispondere alla crescente richiesta di energia e alla necessità di rispettare gli accordi internazionali per ridurre il potere inquinante degli impianti a carbone attuali.

Per fare un esempio, ancora oggi il 70% della energia di una città come Shanghai arriva da impianti a carbone. Da ciò si comprende, come la strada nucleare avrebbe sicuramente influito nella riduzione del potere inquinante di queste metropoli. Ma alla luce dei rischi ancora più gravi che la tragedia in Giappone ha fatto emergere, in Cina il Governo non ha esitato nel decidere di bloccare tutto ed iniziare un processo di revisione complessiva che potrà bloccare lo sviluppo del piano nucleare cinese per parecchi anni.

Ora ovviamente siamo tutti in apprensione per vedere gli sviluppi in Giappone, di quello che sembra essere un continuo crescendo di una situazione che appare “fuori controllo”, nella speranza che non si assista ad una pericolosa escalation che renda ancora più terribile il già incredibile accaduto venerdi scorso.

Al momento, le analisi sembrerebbero in ogni modo confermare che le fuoriuscite radioattive della centrale di Fukushima non si siano diffuse oltre le aree circostanti la centrale stessa, anche perché le condizioni meteorologiche di questi giorni le hanno spostate ad est nell’oceano pacifico, finendo per diluirle nell’aria e nell’acqua del mare.

Una situazione che appare però in continua evoluzione, anche perché in molti cominciano a dubitare sulla consistenza e veridicità delle informazioni fornite dai Giapponesi, tanto che molti esperti cinesi pensano che il disastro di Fukushima non sia da considerarsi, come dichiarato fino ad ora, di livello 5, ma bensì sia almeno di livello 6, quindi ben più grave di quanto accaduto a Three Mile Island nel 1979.

Il livello d’incertezza sulle informazioni fino ad ora disponibili è tale che va segnalato come sia iniziata la corsa all’acquisto e all’accaparramento di sale che da queste parti contiene piccole quantità di iodio, con il quale si pensa di potersi proteggere dagli effetti delle radiazioni che evidentemente in non pochi, pensano non siano confinabili solo all’area della centrale.

lunedì 14 marzo 2011

Post Terremoto: a rischio l’economia del Giappone (e dell’Asia)

  “Questo terremoto proprio non ci voleva!”. Sembra essere questo il pensiero ricorrente in Giappone ma anche in molti paesi dell’area Asiatica.

Infatti quest’ultimo evento rischia di aggravare il momento di difficoltà che il Giappone sta attraversando, prima di tutto sul piano politico ma anche sul piano economico.

Politicamente dopo l’ultimo scandalo che ha finito per coinvolgere lo stesso primo ministro Naoto Kan che proprio ieri aveva confermato di avere ricevuto “donazioni illegali”, un caso molto simile a quello che aveva portato nei giorni scorsi, alle “famose” dimissioni del suo Ministro degli Esteri.

Ma lo scandalo politico è solo l’ultima delle vicissitudini di una stasi politica complessiva che hanno portato il Giappone a vedere eleggere (e dimettersi), ben 3 primi ministri negli ultimi 3 anni.

Il terremoto di ieri rischia di accelerare il logoramento in atto e mettere a durissima prova anche quest’ultimo governo, questione molto delicata, visto che ci dovesse essere un ulteriore cambio, questo potrebbe avere effetti devastanti sulla stessa tenuta della economia nipponica, già traballante a causa di un debito eccessivo che più volte ha rischiato di coinvolgere il paese nella spirale dei “Default” dei titoli di stato della crisi finanziaria del 2008 - 2009.

Rimasto a “stento” a galla fino ad ora, nel momento che sembrava ci potesse essere una ripresa in grado di rilanciarlo per il futuro, ora questo terremoto, che rischia d’essere il “colpo di grazia” alle speranze nipponiche, di potercela fare da soli.

Le ragioni di tanto timore sono connesse al fatto che, oltre ad avere intaccato la rete di produzione elettrica, basata su una rete capillare di centrali nucleari che si è dimostrata meno “indistruttibile” di quello che si pensava, intere aree produttive sono state spazzate via dalla furia dello tsunami. Aree che richiederanno ora massicci investimenti e tempi di ripristino tutti da definire.

Una situazione d’emergenza che mal si concilia con le priorità di riduzione ed ottimizzazione dei costi che il governo giapponese si stava apprestando a realizzare, proprio per cercare di allontanare il paese dal baratro.

Basti pensare che già ora, sulla base delle poche informazioni disponibili sui danni che sono stati inferti ieri dal terremoto, gli analisti stimano che questi contribuiranno a ridurre dell’1% la crescita del PIL del paese. Ma tutti dicono ciò a “denti stretti”, convinti che questa stima sia per difetto rispetto alla realtà che il Giappone sarà costretto a vivere nei prossimi anni.

A questo va aggiunto un dato, per così dire culturale che potrebbe giocare un ruolo decisivo: lo scatenarsi degli elementi naturali in Asia assume un valore sovrannaturale molto rilevante, tanto che sono spesso considerati segni e giudizi divini sull’operato di chi governa. Un evento naturale di queste proporzioni, con i danni collaterali che sembrano emergere dalle condizioni di rischio di alcune delle centrali nucleari nel paese, rischiano di minare prima di tutto il “morale” del paese, una qualità che ha caratterizzato il Giappone del dopoguerra e che lo ha portato, sconfitto sul piano bellico dagli USA nella seconda guerra mondiale, ad iniziare una rincorsa sul piano economico e finire per primeggiare 40 anni dopo.

In tutta l’Asia, si guarda quindi con grande preoccupazione a come il Giappone reagirà al terribile colpo inferto ieri. La ragione è semplice: è il primo partner commerciale di quasi tutti i paesi dell’area. Un’eventuale recessione potrebbe provocare uno tsunami commerciale che potrebbe coinvolgere molti paesi, minando seriamente il processo di crescita economico / sociale di questi anni. Un pericoloso effetto domino che inevitabilmente si diffonderebbe nel mondo, occidente compreso e potrebbe finire per intaccare anche molti dei fragili equilibri sociali esistenti.

Il mondo, dopo ieri non sarà comunque più lo stesso.

giovedì 10 marzo 2011

Gary Locke “torna in Cina” quale nuovo ambasciatore USA.


La notizia è di quelle che colpiscono l’immaginario ed emozionano: Gary Locke attuale Ministro per il Commercio del Governo Obama, a 100 anni dalla partenza di suo nonno dalla Cina in barca, torna nella sua terra d’origine quale Ambasciatore degli USA.

Una nomina non casuale, un chiaro segnale di come gli USA intendano offrire al Governo Cinese una controparte in grado di “comprendere” le sfide attuali e soprattutto possieda le basi culturali per trattare da pari, con il chiaro obbiettivo da un lato, di consolidare le relazioni commerciali e dall’altro, portare sempre più la Cina a credere negli USA quale terreno di crescita ed investimento futuro.

Un atto coerente con gli obbiettivi dichiarati da Obama: raddoppiare l’attuale interscambio commerciale, con un incremento delle esportazioni dei prodotti Americani, per cercare di rilanciare l’economia Americana ed uscire dalla profonda crisi che la sta attanagliando.

Ma torniamo alla storia umana che caratterizza questa nomina “molto particolare”.

Durante la conferenza stampa, è lo stesso Gary Locke che ricorda di come il nonno appena arrivato negli USA, per pagarsi le lezioni d’inglese, abbia lavorato come uomo “tutto fare” in una casa di Washington.

Così come cita con grande emozione il padre, scomparso in gennaio, anch’esso nato in Cina, per il quale oggi sarebbe stato sicuramente "uno dei suoi momenti di maggiore orgoglio nel vedere il figlio chiamato ad essere l'Ambasciatore degli Stati Uniti nella sua patria ancestrale."

Una nomina quindi importante ma anche un segnale d’apertura fondamentale, attraverso una delle figure più importanti dell’Amministrazione Obama, che va a sostituire il repubblicano Jon Huntsman che tutti danno come potenziale sfidante di Obama alle prossime presidenziali del 2012.

I cinesi non possono che essere soddisfatti di questo “cambio”, anche perché Locke rappresenta il segno concreto di una continuità tra passato e futuro, di un’unione tra popoli che per quanto vivano sotto bandiere diverse, condividono spesso origini, famiglie, geni, ma soprattutto è il ritorno in patria di una storia di fuga dalla povertà del passato che trasformatasi in successo negli USA, ora può contribuire ad aiutare la “madre patria” a trovare una strada coerente ad uno sviluppo futuro duraturo.

Qualcosa che può sicuramente aiutare Cina ed Usa, ma in grado di influenzare in maniera rilevante anche gli equilibri commerciali e diplomatici di tutto il mondo, da tempo alla continua ricerca di nuovi equilibri e ritrovata stabilità, in grado di aiutarlo ad uscire dalla pericolose “secche” di questi anni di recessione.

martedì 8 marzo 2011

Reincarnazione si, Reincarnazione no.... (Dilemma Tibetano)


Il Dalai Lama l'altro giorno, ha dichiarato che dopo la sua morte debba essere abolito l'istituto della reincarnazione, lo stesso per cui lui è divenuto Dalai Lama.

Un tema delicato, molto sensibile, di un istituto millenario che sicuramente ha caratterizzato il passato di un popolo ed influenzato molte menti nel mondo. 

Questa mossa, per così dire "estrema", più che sul piano strettamente spirituale, sembra però dettata da calcoli politici, una sorta di "indiretta" risposta al governo cinese sul futuro della leadership spirituale tibetana e letta con grande attenzione, una sorta di "estensione" del proprio ruolo anche dopo la propria morte dello stesso Dalai Lama.

La risposta cinese non si è fatta attendere. Di seguito la reazione su questa proposta del Dalai Lama, che non si fatica a pensarlo, rischia di divenire, in futuro, terreno per ulteriori prevedibili tensioni internazionli.

"THE Dalai Lama does not have right to abolish the institution of reincarnation to choose a successor, a high-ranking official said yesterday.

The 14th Dalai Lama, 76, has said the institution of reincarnation might be abolished after his death.

"What he said does not count," said Padma Choling, chairman of the Tibet autonomous regional government.

He said Tibetan Buddhism had a history of more than 1,000 years, and the reincarnation institutions of the Dalai Lama and Panchen Lama had been carried on for several hundred years.

"We must respect the historical institutions and religious rituals of Tibetan Buddhism. I am afraid it is not up to anyone to abolish the reincarnation institution or not," he said.

The death of the Dalai Lama will not have any impact on the overall situation of Tibet, said another senior official.

"Of course there will be a few repercussions due to religious factors, but we will take that into consideration and will surely guarantee the long-term political stability in Tibet," said Qiangba Puncog, chairman of the Standing Committee of the Tibet Autonomous Regional People's Congress.

"I dare not say that Tibet will not see any incidents, big or small, forever, but I dare say that the current situation in Tibet is on the whole stable, and the Tibetan people wish for stability and object to troublemaking," he said.

The Party chief of Tibet, Zhang Qingli, reiterated yesterday that the Dalai Lama was a "wolf in monk's robes" and again blamed the Dalai clique for separating China.

"I had described him in those words after the March 14 riot in Lhasa in 2008 because I think he himself is a living Buddha but had done things beneath his status," Zhang told reporters in Beijing.

He accused the Dalai Lama of instigating the riot three years ago which left 18 people dead and nearly 400 wounded.

Armed rebellion

He said that he had quoted the words of late Premier Zhou Enlai. Zhou referred to the Dalai Lama as a "wolf in monk's robes" after the central government foiled an armed rebellion staged by the Dalai Lama and his supporters in 1959.

Zhang also made comparisons between the Dalai Lama and Rebiya Kadeer, a Uygur separatist and leader of the World Uygur Congress.

"Rebiya is a housewife who has used her illegal fortune to conduct secessionist activities. She has no influence among the public," he said. "While Dalai is a secessionist chief who fools simple believers under the guise of religion."

He added: "The Tibetan people have been aware that unity and stability are a fortune, and separation and unrest are a disaster," he said."

martedì 1 marzo 2011

Popolazione Cinese "ferma" a 1 Miliardo 340 milioni di abitanti ...


Si stanno cominciando a tirare le somme dell'ultimo censimento 2010 e il mese prossimo saranno rivelati i dati ufficiali.

Ma la prima sorpresa sembra essere rappresentata dal numero di abitanti totali che da alcune prima valutazioni dovrebbe attestarsi attorno ai 1 miliardo 340 milioni di abitanti.

A parte il dato numerico, se fosse confermato anche dai dati ufficiali, potrebbe avere il suo peso nella gestione della politica del figlio unico, introdotta proprio per interrompere il "processo al raddoppio" che ha cartatterizzato la storia cinese nel dopoguerra. (Link)

ps. la foto è di una spiagga cinese!! Il "sogno proibito" di ogni Tour Operator italico!!