martedì 25 novembre 2008

Fiera del Turismo dei record a Shanghai: assente l’Italia!

In Italia, in questi mesi si fa un gran parlare su quanto sia o meno strategico il turismo per l’economia ed il futuro del “Bel Paese” ma soprattutto, si è più volte sottolineato quanti punti di PIL rappresenti per la barcollante economia del paese.

Di tutte queste parole ed italici buoni propositi, però a Shanghai, alla fiera del Turismo, chiusasi con successo domenica scorsa, nemmeno l’ombra.
Più di 106 i paesi rappresentati, un record, sul quale però spicca l’assenza totale dell’Italia, senza alcuna presenza istituzionale, in quella che rappresenta la fiera di punta del turismo cinese.

Peccato, visto che quella appena terminata è stata una fiera dei records, con oltre 4 mila espositori e oltre 1300 Buyers, per quanto riguarda la parte professionale dell’evento.

Ma soprattutto, si è persa l’occasione di mettere direttamente in contatto il cinese medio con la nostra offerta turistica. Una scelta che lascia un poco l’amaro in bocca, un’inspiegabile assenza di quello che viene considerato da tutti i cinese, la propria meta preferita per l’Europa.

Alla delusione è poi subentrata la rabbia, quando l’Italianità rappresentata dai cantanti vestiti da gondolieri che cantano canzoni napoletane o maschere della nostra commedia dell’arte, erano invece i piacevoli protagonisti dello stand dell’Hotel – Casinò di Macao che si chiama appunto Venezia!.

Ma la sorpresa è stata ancora maggiore quando, girando attraverso i grandiosi stands americani, tedeschi e di tutte le altre nazioni europee presenti, fortemente motivate a dare un senso alla propria vocazione turistica dalla Cina, ci si è imbattuti nello stand di San Marino.

Miseri e da terza fila, quasi nascosti invece gli unici due stands che cercavano di rappresentare l’offerta Italia. Tristi e ben lontani dallo stile che ci contraddistingue, con appese, alle bene meglio e con scarso rispetto, le immagini che una volta facevano illuminare gli occhi del mondo, ma che a Shanghai sono sembrate la sintesi del declino del sistema paese.

A questo punto, non rimane che chiedersi quale sia la “segreta strategia” che a Roma, i vertici dei nostri uffici preposti, hanno in serbo per convincere i cinesi a scegliere l’Italia come prossima meta turistica.

Ci auguriamo, che l’assenza alla fiera di Shanghai, non faccia parte di questa sconosciuta strategia che invece ha sicuramente regalato agli altri paesi, ampi spazi e visibilità, altrimenti destinata all’Italia.

Oppure semplicemente, si è preferito “tagliare” i costi, pensando di fare economia, aspettando nel frattempo, di avere qualche strategia credibile da offrire sul mercato cinese.

In attesa che qualcosa cambi veramente, almeno l’accortezza nel prossimo futuro, di non fare proclami “grandiosi” come quelli recenti alle Olimpiadi di Beijing che alla prima verifica nei fatti, poi vengono in questa maniera, totalmente disattesi.

giovedì 13 novembre 2008

Tibet: tutto da rifare

Onestamente si sperava in qualcosa di diverso. Un pelo di delusione traspare per come sono finiti gli incontri tra i rappresentanti del Governo Cinese e rappresentanti del Dalai Lama.

Il muro contro muro, che ancora una volta ha portato alla rottura delle negoziazioni, appare qualcosa su cui però vale la pena di una riflessione.

Chi crede che il Tibet debba essere uno stato indipendente e cerca appoggi internazionali affinché si facciano pressioni sulla Cina in tal senso, sta compromettendo di fatto la buona riuscita di qualsiasi trattativa futura.

Come sottolineato da Zhu Weiqun, vice presidente della Regione Autonoma del Tibet e da Du Qinglin, vice presidente NCCPPC che hanno incontrato i rappresentanti del Dalai Lama, Lodi Gyari and Kelsang Gyaltsen, questo punto non è infatti negoziabile.

Errate si sono rivelate anche le valutazioni di una questione Tibet utilizzabile quale strumento di pressione sulla Cina, stile Guerra Fredda.

Al contrario, occorre tornare velocemente ad un dialogo costruttivo, senza i tendenziosi pregiudizi che hanno caratterizzato le negoziazioni in questi ultimi mesi.

Il Dalai Lama ha il diritto di affermare ciò che ritiene giusto, ma forse i suoi collaboratori dovrebbero aggiornare le proprie tecniche diplomatiche, visti anche i drammatici fatti che stanno sconvolgendo il mondo.

A causa della crisi di questi giorni, i diversi paesi del mondo hanno bisogno di sinergia e positiva collaborazione, per poter rispondere tutti assieme alla crisi finanziaria attuale che rischia di mettere in serio pericolo la stabilità stessa del pianeta.

E la Cina, a partire per gli stessi Usa, rappresenta un potenziale salvagente in grado di bilanciare la crisi, mettendo a disposizione della comunità internazionale, la sua enorme potenzialità economica e finanziaria.

La questione tibetana non può essere quindi usata tutti i giorni per gettare discredito sui cinesi, che poi, giorno dopo giorno, contribuisce alla creazione di un muro “razzista”, dove il cinese è il cattivo o peggio un massacratore di povera gente.

Tale approccio assomiglia troppo allo stereotipo che fu usato nella fine dell’800, per spiegare ai coloni americani che uccidere gli indiani e portargli via le terre per tutelare gli interessi delle grandi compagnie e del nascente stato americano, fosse un’azione giusta.

Chi non ricorda nei film l’“arrivo dei nostri”, intendendo per nostri, chi può uccidere quello che veniva considerato un mostro da eliminare.

La Cina non è un mostro, come troppe volte sui media occidentali si cerca di voler fare passare.

Ma non solo. In tutti i paesi del mondo, Religione e Stato stanno seguendo due strade diverse, per cui, a parte alcune situazioni fondamentaliste islamiche, la laicità dello stato risulta essere il carattere predominante di tutti i paesi, siano essi occidentali che orientali.

Appare quindi del tutto fuori luogo ed antistorico il fatto che la questione Tibetana venga gestita dallo stesso Dalai Lama, di fatto il capo spirituale di una religione, quando tale questione è essenzialmente di carattere politico.

Infatti, relativamente alla questione religiosa, come riaffermato dai cinesi anche nei recenti incontri, non ci sono particolari problemi, tanto che al capo spirituale del buddismo è stato più volte offerto di rientrare in patria per esercitare la propria religiosità.

Ciò che invece non funziona ed è il punto che i cinesi ritengono non trattabile, è che lo stesso capo spirituale di una religione, intenda anche perseguire una logica politica, sintetizzabile in una “indipendenza del Tibet”.

Parlando con molti occidentali, questa distinzione tra Religione e Politica sulla questione Tibetana, appare di difficile comprensione, visto che i media occidentali tendono a farla passare come un fatto unitario.

E’ un po’ come confermare l’idea fondamentalistica che stanno perseguendo alcuni stati Islamici, idea ritenuta dai più pericolosa sul piano dei confronti tra nazioni, ma soprattutto poco funzionale allo sviluppo reale del paese.

Le prove di questi dubbi, sono riscontrabili nello stesso Tibet a gestione religiosa, come era prima dell’arrivo dei cinesi e dove la povertà era terribilmente diffusa e a livelli incredibili, nonostante il tutto fosse sotto la totale sovranità dei predecessori del Dalai Lama.

Questo fatto, provabile storicamente in maniera oggettiva, non depone a favore di una restaurazione dello stato Tibetano, visto anche dalla parte degli stessi Tibetani che, oltre che cercare di trasformare il proprio paese in semplice attrazione turistica, poco possono sul piano industriale, vista anche la conformazione stessa del paese.

L’aspetto religioso è però l’elemento che ha fatto “breccia” nelle menti di molti benpensanti occidentali, come nel caso di molti divi di Hollywood, che però paradossalmente, mentre a casa propria non tollerano l’ingerenza della religione nelle questione di stato, pensano che ciò invece sia giusto per i “poveri” tibetani.

Per cercare una soluzione al problema Tibetano, occorre quindi che la questione Religiosa e Politica si muovano su due terreni negoziali distinti.

Se seguita con coerenza, la questione Religiosa appare di semplice soluzione, visto che già in diverse sedi, i cinesi hanno ribadito la loro disponibilità ad accogliere il Dalai Lama senza pregiudizio alcuno.

La questione politica necessita invece di trovare un accordo ben diverso, più simile ad altre questioni come Hong Kong, Macao, dove di fatto, salvando il principio di integrità dello stato Cinese ( non trattabile), si possono introdurre nuove modalità di autonomia, migliori di quelle attuali ed offrire maggiore autodeterminazione alla minoranza etnica presente nel paese.

A dimostrazione di ciò, le negoziazioni con gli intermediari del Dalai Lama si sono infatti interrotte quando i cinesi hanno compreso che essi, non avessero alcuna intenzione di risolvere la questione inerente il Dalai Lama, ma al contrario, volessero porre sul tavolo anche la questione politica dell’Indipendenza del Tibet.
Nella sostanza, porre contemporaneamente sul piano negoziale le due questioni, si è dimostrato ancora una volta una cattiva idea e visti i risultati, ciò dovrebbe far riflettere lo stesso Dalai Lama, per cercare in futuro di fare dei passi più costruttivi di quelli fatti fino ad ora.

Soprattutto, evitare di continuare ad usare la strumentalizzazione della questione religiosa come leva in grado di “forzare” una soluzione politica contro gli interessi strategici nazionali cinesi.

Questo approccio continuerà anche in futuro ad indisporre i cinesi, impedendo di fatto qualsiasi ulteriore passo di avvicinamento che possa ricomporre una questione che si sta trascinando da oltre 50 anni.

martedì 11 novembre 2008

Incredibili... Trasporti!

Per le strade cinesi è possibile incontrare di tutto.

Dalle berline e Suv di ultima generazione, fino alle “tradizionali” biciclette.

Ma una cosa caratterizza il traffico cinese: tutto è trasportabile.

In occidente esiste una regola che lega in maniera direttamente proporzionale, oggetti da trasportare e mezzo di trasporto.

In Cina sembra vigere la regola contraria: più la cosa è grande, più il mezzo di trasporto usato è piccolo.

Quindi ti capita di vedere “monumentali” trasporti sopra una normale bicicletta o carretta modificata ad-hoc e si stenta a credere spesso ai propri occhi, quasi fossero più numeri da circo che seri, compassati, “professionisti” del trasporto su strada.

E quando dico monumentali, la parola non esprime a fondo il senso di quanto accaduto.

Un'altra caratteristica tutta cinese, sono i mezzi di trasporto “modificati”.

Esistono gli ultimi modelli di tutte le marche e tipologia di mezzo, ma esiste un mercato parallelo delle versioni personalizzate, come ad esempio biciclette e soprattutto motociclette con rimorchio, la “Bicicletta Cargo”, del tutto sconosciuta ad occidente e sulla quale è trasportabile di tutto

Quindi, se uno scaldabagno deve essere trasferito, che il trasporto sia fatto via bicicletta o motorino è tutt’altro che raro.

Per contraltare, le macchine sembrano “luoghi proibiti” per qualsiasi tipo di trasporto merci, che non sembra appartenere ad un mezzo, che rappresentando il nuovo status quo della classe media cinese, non può essere in nessun modo messo a rischio o sporcato.

Altrettanto comuni sono poi i minivan, ma adibiti soprattutto al trasporto di persone delle diverse imprese cinesi e raramente per trasporto merci.

Infatti, essendo spesso le aziende lontane dai centri abitati e non disponendo il lavoratore medio di una propria utilitaria, l’azienda, anche come forma d’incentivazione, predispone appositi mezzi di trasporto che consentono ai lavoratori di essere portati dall’azienda in punti prestabiliti della città, spesso vicini a casa.

Quindi alle 17.30, orario di chiusura delle imprese, in Cina il traffico cittadino, prima sostenuto e fatto di taxi ed utilitarie, si trasforma in un “immenso ingorgo” fatto di Bus e minivan aziendali, tutti freneticamente all’inseguimento del tempo e della puntualità, nelle loro diverse tappe del giro cittadino.

Ma tornando ai mezzi di trasporto, la prevalenza è di quelli a “trazione umana” tipo le biciclette, anche se il motore a scoppio, nelle recenti evoluzioni modificate, sta diffondendosi a macchia d’olio.

In questo caso, accade che il trasporto eccezionale sia utilizzato anche come traino da amici o parenti non motorizzati, così che dietro o accanto al mezzo di trasporto, viaggiano attaccati e felicemente trasportati, anche altre persone, spesso le stesse che poi aiuteranno a smontare il carico.

Fondamentale, quando ci si imbatte in questi trasporti, è fare bene i conti con le loro modalità di manovra e gli spazi di frenata reali del trasportante.

Infatti, visto che tipicamente questi mezzi percorrono le corsie preferenziali usate dalla biciclette e dalle motociclette, passeggiando o dovendo semplicemente attraversare la strada, non è infrequente finirci letteralmente addosso, o peggio, rischiare di esserne travolti.

Si, perché questi incredibili trasporti, per evidenti leggi fisiche e anche per le condizioni stesse del mezzo trasportante, sono difficili da mettere in moto e in maniera altrettanto ardua, hanno tempi di frenata molto incerti.

Soprattutto non hanno alcuna manovrabilità laterale, visto che questa metterebbe a rischio la stabilità dell’intero carico, sempre pericolosamente in precario equilibrio.

Quindi, se vi imbattete in qualcosa che assomiglia ad una montagna in movimento che sta venendo nella vostra direzione, fate in modo di scansarvi, prima di sentire il timido tintinnio del campanello, eviterete di esserne sommersi!

lunedì 10 novembre 2008

Italia “terza” incomodo

Strano paese l’Italia.

Una volta il centro del mondo occidentale conosciuto, decisore e palcoscenico dei destini dell’umanità, ora sembra vivere solo di luce riflessa altrui.

Due esempi sembrano dimostrare il “livello” raggiunto da cotanto ex glorioso paese (“tutte le strade portano a Roma”) o meglio di una generale perdita di stile.

Obama vince meritatamente le elezioni americane e subito molti politici italiani, soprattutto dell’opposizione, esultano come se avesse vinto il proprio partito!.

In uno strano fenomeno d’immedesimazione freudiana, alcuni di questi “campioni” della politica nostrana, si sono spinti a voler far sembrare della “stessa famiglia” il vincitore americano e Obama, il “loro” campione sul quale avevano riposto non solo le speranze ma anche speso qualche azione in grado di “favorirne” l’elezione.

Questo come voler dire: “Visto? Se è stato eletto è anche merito mio!”.

Obama decide di incontrare il presidente russo Medvedev, per discutere degli equilibri tra Usa e Russia, anche alla luce della pericolosa “patata bollente” dello scudo missilistico dell’era Bush e subito Berlusconi, fa intendere che se ciò è accaduto è anche merito suo e della sua capacità di “ricucire” i rapporti internazionali.

Questo approccio della politica italiana, visto con occhi non italiani, non può che lasciare interdetti.

L’impressione che dall’esterno infatti se ne trae è che, mentre gli altri stanno discutendo e prendendo decisioni vere, concrete, pesanti e decisive, l’Italia, come quell’amico un po’ invadente di filmica memoria, cerca di essere sempre presente nelle “fotografie” che ritraggono i leaders nei loro momenti decisivi, per poi poter dire: “Visto? E’ merito mio!”.

Il 15 Novembre, i leaders mondiali si riuniranno a Washington nell’importantissimo G20 per prendere decisioni che potrebbero cambiare per sempre la storia del mondo.

Visti i precedenti comportamenti, possiamo immaginare che al termine di questo imminente vertice ai massimi livelli che potrebbe decidere le sorti del mondo, qualche rappresentante italiano finirà per affermerà enfaticamente:”Visto? Se ora il mondo ha un futuro è sicuramente merito nostro!”.

Speriamo solo che non accada che tutti gli altri paesi, stufi di questa continua “invadenza” del terzo incomodo, non decidano di enfatizzare il “non” ruolo italiano nelle decisioni fondamentali, anche per evitare che nei propri paesi, qualcuno cominci a porsi delle strane domande: “ma se fa tutto l’Italia, allora voi, cosa state facendo realmente?”.

Dopo, sarà molto difficile far credere ai vari elettorati nostrani, strizzando l’occhiolino, che “lo dicono solo per invidia!”


Strano paese l’Italia.

mercoledì 5 novembre 2008

Obama piace ai cinesi perché li stupisce

Ai cinesi Obama piace molto sul piano umano, soprattutto perché ha saputo stupirli in questi lunghi mesi di campagna elettorale.

La Cina ha seguito in un continuo crescendo di attenzione le vicende dell’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti, culminate oggi con le dirette televisive che hanno seguito, passo dopo passo, l’evoluzione dei risultati elettorali.

I cinesi hanno quindi potuto farsi un’idea sui personaggi coinvolti, anche se probabilmente, molte delle tematiche poste al centro della campagna elettorale, sia di Obama che del suo sfidante, sicuramente non sono state seguite puntualmente da tutto il popolo cinese.

Comunque sia, nei commenti della gente comune, c’è sincera ammirazione per un personaggio, Obama, che nel prossimo futuro avrà il difficile compito di portare fuori dalle “secche” gli Usa (e il mondo).

Detto ciò, in due parole è riassumibile “l’affinità elettiva” che ha unito Obama al cinese medio: “basta volerlo”.

Umanamente la sfida che ha saputo vincere, ha decisamente colpito molto il cinese medio che in qualche maniera si è potuto anche immedesimare, visto la quotidiana concentrazione nel dover superare ostacoli e difficoltà di ogni tipo, nella propria corsa verso il benessere nazionale.

Avendo poi come punto di riferimento nel proprio sviluppo proprio il modello americano, appare evidente che qualsiasi cosa faccia l’inquilino della Casa Bianca, risulti essere di grande interesse e fonte di profonda curiosità da queste parti.

Il fatto che poi sia nero e non bianco, ha contribuito a creare anche in Cina un ulteriore alone di fascino non al personaggio politico in sé, ma al fatto che ha dimostrato, partendo da manifeste condizioni di inferiorità, di saper raggiungere un eccezionale risultato, partendo da buone e chiare idee e senza farsi spaventare da nessuno degli ostacoli che ha dovuto superare in questi mesi.

Sul piano strettamente politico, sicuramente Obama presenta invece parecchie incognite nel futuro dei rapporti con gli Usa, anche perché a chi ha letto con attenzione i suoi discorsi dei mesi scorsi, in piena campagna elettorale, non possono essere sfuggiti alcuni accenni, forse un po’ troppo duri, rivolti all’indirizzo della Cina sulla questione dei diritti civili.

Ora che Presidente lo diverrà davvero e non dovrà più convincere nessun Americano, sicuramente dovrà cercare di utilizzare metodi e modi adeguati, affinché l’ottima relazione esistente tra i due paesi continui, favorendo così l’auspicato recupero finanziario degli USA e conseguentemente la tutela anche degli ingenti investimenti cinesi nelle imprese e nei Bond di Stato Americani.

Quello che si augurano ora in Cina, è che Obama sia l’uomo del dialogo e del reciproco rispetto, elemento che forse si faceva qualche fatica a trovare nel suo sfidante alla corsa alla Presidenza.

Un punto però mette d’accordo tutti i cinesi: la (troppo) giovane età di questo nuovo Presidente.

In una cultura dove viene ancora data grande importanza all’età, in quanto portatrice di saggezza ed equilibrio, nel caso di Obama, i suoi 47 anni finiscono per rappresentare il “biglietto da visita” sia di un nuovo modo di vedere le cose ed affrontare le questioni mondiali, ma dall’altro, alimenta forti dubbi che sia in grado di governare e saper prendere sagge decisioni, in una situazione così difficile e complessa come quella attuale.

Obama da oggi ha quindi gli occhi puntati anche del miliardo e trecento milioni di cinesi, che sono molto curiosi di vederlo presto all’opera e si augurano che, quale segno concreto d’amicizia reciproca, uno dei suoi primi viaggi ufficiali possa essere proprio in Cina.

Obama: Realizzato il sogno di Martin Luther King

Quella di oggi è una giornata storica.

Obama non ha vinto solo le elezioni presidenziali, ma soprattutto ha vinto la 2° “guerra” di Secessione Americana.

Se infatti guardate la mappa di come hanno votato i diversi stati americani, appare chiaro dove la forza dirompente del motto che ha incarnato Obama in queste elezioni “Yes, We Can” ha realmente fatto breccia.

Motto dal “sapore antico” ma nello stesso tempo estremamente moderno, ha “scosso” dalle fondamenta tutta l’America.

Ma a guardare i risultati, il messaggio di rinnovamento non ha trovato “alleati” nel profondo sud e nell’America più conservatrice e spesso fondamentalisticamente bianca.

Lo scontro politico di questi mesi, chiusosi con il successo elettorale odierno, sembra stia rendendo possibile un nuovo “balzo in avanti” sociale, esattamente come la Guerra di Secessione Americana lo fece fare alla storia del popolo americano prima e in seguito a tutto il mondo.

L’imporsi di idee innovative come quelle che lo stesso Obama incarna fisicamente, è un messaggio forte per tutto il mondo.

E’ la fine di un ciclo e di un percorso iniziato dalla metà dell ‘800 e che ha trasformato prima lo schiavismo in integrazione ed ora in “uguaglianza”.

Tre passi stile “conquista della luna”, qualcosa che travalica i contenuti stessi della politica che Obama deciderà di adottare, qualcosa che da domani trasformerà in “vecchio”, sorpassato, “vetusto” molti degli “status quo” in giro per il mondo.

Prima di tutto l’Europa, che apparirà agli occhi degli Americani qualcosa di antico, gestito da una “aristocrazia oligarchica” legata ai partiti che per il futuro dovranno cercarsi un nuovo ruolo sociale nell’era Obama.

L’Italia, che se vorrà cooperare con il partner, definito dal Ministro degli Esteri strategico, dovrà cambiare registro e passo, prima di tutto nei valori fondanti la società e nella politica che li governa, ponendo in testa alla lista delle priorità il tema dell’integrazione inter-razziale nella futura società Italiana.

L’Asia e la Cina in particolare, si troveranno finalmente a poter “dialogare” senza la tracotanza del passato colonialista, da pari, tanto che ora in Cina si comincia a “tifare” e a sognare in un prossimo presidente americano che possa avere gli occhi a mandorla!.

Ma soprattutto tutti i poveri del mondo che questa notte hanno visto, toccato con mano il sogno del “il riscatto terreno è possibile”.

Insomma, oggi la famosa frase di Martin Luther King “I have a dream”, sembra essersi realizzata!

Ora tutto il mondo sembra avere un sogno condiviso, tutto ciò proprio nell’anno Olimpico dal motto “One World, One Dream”!

I cambiamenti storici che hanno segnato le diverse ere della storia umana, spesso sono frutto di coincidenze, combinazioni e sogni impossibili realizzati.

Oggi è uno di questi. Oggi si è fatta la Storia.

Auguri Presidente!